chiesa italiana e Berlusconi

 

il delinquente

è arrivata la sentenza che non si voleva che arrivasse e ha confermato senza esitazioni quello che solo i ciechi o chi non voleva vedere non vedeva …

e siccome non si tratta solo di evasione fiscale ma di tutto un quadro di tristezza morale e politica fino ad un utilizzo sfacciato della religione e della chiesa per i propri scopi politici, si impongono necessariamente delle domande anche alla nostra chiesa che o era fuori del mondo o sembra che si sia lasciata strumentalizzare facilmente per assecondare  a sua volta i propri fini non propriamente evangelici

su questo, sorprendentemente un giovane reporter, A. M. Valli (che molti danno per legato all’Opus Dei) da qualche tempo va criticamente riflettendo andando alla radice vera dei problemi, come nell’articolo che qui immediatamente riporto:

Chiesa cattolica italiana e Berlusconi: a quando un esame di coscienza?
di Aldo Maria Valli
La condanna è arrivata, e irresponsabili non sono i giudici, ma coloro che la mettono in discussione. Non accettarla, o dipingerla come sintomo di un disegno politico, vuol dire minare lo stato di diritto alle fondamenta. Il guitto Berlusconi, ormai vecchio e gonfio, con la sua faccia da bambolotto di plastica, continua la recita, stancamente, come per inerzia, ma la cosa più triste è che un paese intero questa recita la segue e la subisce da un ventennio. E senza neppure la consolazione di poter dire di aver vissuto una pagina drammatica. Perché qui prevale la farsa, come nella peggior tradizione italica. Ora però una domanda che riguarda i cattolici e le gerarchie. Come è stato possibile che per tanti, troppi anni la Chiesa istituzionale e un largo numero di sedicenti cattolici abbiano appoggiato quest’uomo? Com’è stato possibile che tanti cattolici, a tutti i livelli, abbiano votato e chiesto di votare per lui, che gli abbiano concesso credito, che lo abbiano visto come l’uomo della provvidenza? Com’è stato possibile che una parte, una larga parte del mondo cattolico non abbia provato un moto di spontanea ripulsa verso il guitto impegnato a usare la politica e gli italiani per il proprio tornaconto? E’ una vecchia domanda che tuttavia non ha mai trovato risposta. Forse perché rispondere, per i cattolici italiani, vorrebbe dire fare un profondissimo e doloroso esame di coscienza, non solo e non tanto in termini politici, ma sotto il profilo culturale. Equivarrebbe a mostrare il vuoto culturale di un soggetto, il cattolico medio italiano, che sia sotto la Dc sia, e a maggior ragione, sotto l’ombrello berlusconiano non è mai stato abituato a pensare con la propria testa, a usare lo spirito critico, a distinguere tra senso dello Stato e opportunismo, ma si è lasciato guidare da una categoria tanto generica quanto comoda, l’anticomunismo, accontentandosi di parole d’ordine vuote. Fare questo esame di coscienza equivarrebbe inoltre a togliere il velo steso sopra una classe dirigente ecclesiale in gran parte modesta e tremebonda, incline a non disturbare il manovratore e anzi a ingraziarselo, per ottenere vantaggi immediati. Fare questo esame di coscienza equivarrebbe a mostrare come la religione, separata dalla fede, diventi facilmente alibi per giustificare il non giustificabile, per chiudere gli occhi davanti all’arroganza del potere, per trasformare la stessa appartenenza di fede in strumento di potere e di sottopotere. Procedere con questo esame di coscienza equivarrebbe alla fin fine a mostrare il tradimento del Vangelo operato da tanti, sia chierici sia laici cattolici, che il berlusconismo o l’hanno sposato in pieno o l’hanno tollerato in silenzio o hanno cercato di utilizzarlo. Fare questo esame di coscienza vorrebbe dire scrivere una pagina triste del cattolicesimo italiano, quasi del tutto incapace di sottrarsi alle lusinghe del guitto e pronto anzi a sponsorizzarlo in maniera più o meno aperta. Fare un simile esame di coscienza vorrebbe dire mostrare come i cattolici italiani, a tutti i livelli, si siano lasciati incantare dalla sottocultura televisiva dispensata a piene mani dal guitto e non abbiano opposto resistenza alcuna, preferendo anzi crogiolarsi in essa come sotto l’effetto di un narcotico. Fare questo esame di coscienza equivarrebbe a chiedersi come e perché politici molto solerti nello sbandierare la loro cattolicità abbiano deciso di militare sotto le insegne truffaldine del guitto. Fare questo esame di coscienza equivarrebbe a constatare che perfino gli oppositori ormai hanno nel proprio dna dosi massicce di berlusconismo. Fare un tale esame di coscienza equivarrebbe a dimostrare che gran parte dei cattolici non sanno nemmeno che cosa sia la parresia, la libertà e la capacità di dire tutto, senza reticenze e senza sotterfugi interessati. Dov’erano i cattolici quando il guitto destabilizzava lo Stato con le sue battaglie ad personam? Dov’erano quando inebetiva gli italiani con i suoi circenses televisivi? Dov’erano quando separava la morale privata da quella pubblica infrangendo così uno dei pilastri della dottrina sociale della Chiesa? Dov’erano quando, palesemente e senza vergogna, divulgava con il proprio comportamento l’idea che con la ricchezza sia possibile guadagnarsi l’impunità?
La verità è che la Chiesa italiana e gran parte dei cattolici, se si studia il loro rapporto con il guitto di Arcore, hanno sulla coscienza gravi peccati, sia di connivenza sia di omissione. Quando ne hanno preso le distanze lo hanno fatto timidamente e in ritardo, a scempio ormai compiuto, e comunque è difficile dimenticare certe immagini, come la folla del meeting di Rimini osannante nei confronti del guitto, accolto come un salvatore e riverito, incredibile dictu, come un vero statista. Per tutte queste ragioni l’esame di coscienza non ci sarà e chi proverà a farlo, dentro il mondo cattolico, sarà guardato per lo più con fastidio e messo ai margini, come del resto è già avvenuto durante il regno del guitto.

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la scenegiata con la lacrima

il delinquente

il giorno della condanna definitiva di Berlusconi sono numerosissimi gli spunti di riflessione che troviamo nei media

mi piace segnalare questo bello e , come al solito, brillante quadretto di F. Merlo sulla reazione scomposta e melodrammatica di Berlusconi immediatamente dopo la lettura del dispositivo della sentenza (il termine ‘delinquente’ inserito nella foto è da prendere nella sua accezione puramente etimologica, senza nessuna volontà di denigrazione o di additare alla gogna … ):

La sceneggiata con la lacrimuccia

Ieri sera in tv abbiamo rivisto il vecchio attore che per non subire la pena cercava di far pena. Ed è vera pena. È stata infatti una sceneggiata con la lacrima, come il gorgonzola e i fichi. Con un videomessaggio ha mandato in onda il dramma simulato del ricco evasore che si fa povero e vittima e chiede aiuto al popolo che ha frodato. Ricordava lo Stanlio che per malafede piagnucola e si copre la testa con le mani per mitigare la durezza della scoppola di Ollio.

L’amico di Putin e di Gheddafi vuole solidarietà perché ha rubato allo Stato, cioè agli italiani a cui ora si appella. E vuole la rivoluzione contro i giudici.

E il pop è diventato trash quando Berlusconi, seduto alla sua solita scrivania di rappresentanza, ha portato come prova regina del complotto della magistratura la conferma della stessa sentenza in primo, in secondo grado e in Cassazione. Prima ancora di un arretramento della civiltà c’è un arretramento della logica che fa del Berlusconi piangente un caso unico nella storia. Ieri sera con il video del dolore si è infatti impiccato ai suoi stessi sortilegi: il maestro della telecomunicazione è rimasto schiacciato dalla verità delle immagini, è diventato tutto quello che nei tempi felici esorcizzava, gonfio, acceso e fuori misura, ancora mattatore ma nel baraccone della finta pietà. Eppure non hanno condannato lo statista ma l’omuncolo.

La verità è che anche questa condanna non riesce ad essere drammatica, tutta dentro la piccineria del delinquente comune. Pure il caritatevole rinvio all’italiana della sua cacciata dalla politica non ha la grandiosità dello strazio di Craxi, non c’era lapietasche suscitò Forlani ripreso in tv con la bava alla bocca, neppure la complicità di un intero Stato come nel processo Andreotti, meno che mai la profondità di Gava che al carabiniere che pronunziava la formula di rito, «È lei Gava Antonio?», rispose: «Io ero, guagliò. Io ero».

La frode fiscale non rimanda infatti ai foschi destini di tanti politici italiani, all’oltraggio e alla tragedia di Piazzale Loreto, alla drammatica fuga e alla morte di Bettino ad Hammamet. Berlusconi ha rubato i soldi dello Stato, dunque nel suo Pantheon ci sono solo gli evasori truffatori, quel Felice Riva che fuggì a Beirut, i titolari dei conti segreti nei paradisi fiscali, e poi Callisto Tanzi, Ricucci, Coppola, i furbetti e i furboni, i manigoldi finanziari…. Non giganti sulle cui spalle giganteggia il nano, ma nani che nanizzano i giganti.

E il rinvio, che introduce una morbidezza “tecnica” nel peggio, è una invincibile pulsione italiana. Non è una scappatoia come le prescrizioni, le depenalizzazioni ad personam, i lodi e i legittimi impedimenti, ma è il punto debole più efficace per tentare nuove scappatoie. Sicuramente riduce le asperità, leviga le asprezze e permette alla politica di procedere nell’equivoco ancora per molti mesi.

Non ci sono precedenti nella storia d’Italia di un ex premier “arrestato” in villa. Il Tg1 ha pronunziato la parola “carcerazione”, ma nessuna delle sue mille case somiglia al bunker di Hitler né al Gran Sasso di Mussolini e neppure al modesto rifugio di Hammamet, dimore tragiche dove non giravano le patonze né i camerieri sotto forma di avvocati (e viceversa) e neppure i giornalisti a libro paga. Si capisce insomma che Berlusconi non è prenotato in una saga nibelungica ma in un carnevale estivo.

Ed è la prima volta che il telegiornale della Rai lo definisce «ultrasettantenne ». Cade dunque anche la finzione dell’eterna giovinezza, il lifting è stato strappato. E se chiedesse l’affidamento ai servizi sociali, come Forlani e come Previti, gli italiani vi troverebbero la barzelletta e tutti si eserciterebbero a immaginarlo assistito da una giovane badante marocchina, una fantesca giudiziaria, insomma un altro dei mille travestimenti orchestrati nella cantinetta: dopo la poliziotta con la manette, dopo la suorina, ecco la lap dance dei servizi sociali.

Abbiamo avuto Poggiolini e il suo puff pieno di danaro, un ministro della Sanità che bruciava le carte compromettenti dentro un pentolone, abbiamo avuto i terribili suicidi di Moroni, di Gardini, di Cagliari, abbiamo avuto la piramide di Panseca e il conto gabbietta del Pci, ma Berlusconi non riesce ad essere drammatico neppure nella solennità della Cassazione. Gli toglieranno il titolo di cavaliere ma resterà cummenda come nelle gag di Bramieri.

Eppure i suoi giornali hanno lungamente insistito nel reclutare tra gli antenati di Berlusconi i tanti protagonisti di quella politica criminale che è stata qualcosa di più grande, di più vasto e anche di più nobile della miserabile frode fiscale. Con il risultato che anche molti antiberlusconiani, vignettisti compresi, sono caduti nella trappola culturale di immaginare Craxi che dall’Aldilà vuole abbracciare il suo compare nell’Aldiquà.

Non è così. Nel caso di Berlusconi non solo la politica non è all’origine del crimine, ma è stata usata per legittimare il crimine, come fabbrica di impunità.

È vero che la storia del nostro Paese è, in gran parte, storia di criminalità politica, una lunghissima battaglia sui delitti e sulle pene, anche nella variante persecutoria. Scriveva il socialista Filippo Turati nel lontano 1882: “È nel delitto, in questa sciagurata materia che l’Italia ha un primato che non è quello sognato da Gioberti”. E nello stesso anno Pasquale Turiello, che militava nella Destra storica: «Mentre le altre nazioni sono rose dal nichilismo o dal socialismo, l’Italia è corrotta dalla terribile infermità del delitto politico». Ma nessuno può seriamente credere all’autoproclamazione di Berlusconi come continuatore di Crispi e di Giolitti («il ministro della malavita » lo chiamava Salvemini) o della Dc, che utilizzava il bandito Giuliano nella lotta di classe, e neppure dei protagonisti- vittime di Tangentopoli con i suoi crimini ma anche con le sue ingiustizie. Qui non c’è l’onore perduto della grande tradizione degli espatriati socialisti da Filippo Buonarroti ad Andrea Costa, Garibaldi, Salvemini, i fratelli Rosselli, Nenni… Qui il finale grottesco è la perfezionedell’inizio. E si capisce che davvero Berlusconi preferirebbe che dei forsennati lo trascinassero per strada e gli infliggessero qualche atroce supplizio, sceglierebbe lo scempio della folla invece di questo finalissimo da pirla. Patire, da sconfitto, una violenza, sarebbe il modo più sicuro per purificarsi, per farsi subito rimpiangere, per far credere agli italiani che era meglio tenersela cara quella loro abitudine, quel difetto nazionale, quel Cristo che andava protetto dagli squilibrati comunisti. Mal’Italia si limita a sghignazzare, a ridere, a disprezzare .

La frode fiscale, come del resto l’appropriazione indebita, la prostituzione minorile, la corruzione dei magistratiper impadronirsi della Mondadori, la corruzione del teste Mills…, non hanno nulla a che fare con la politica criminale che è una delle anime profonde di questo Paese di colpevoli che ha bisogno periodicamente di farsi cannibale e di sbranare un campione di colpevolezza. Al contrario Berlusconi ha tolto il senso politico anche al più politico dei delitti perché la compravendita dei parlamentari con denaro contante ha degradato persino il trasformismo in reato comune.

Non è dunque vero che questo è stato il processo del secolo, più spettacolare del processo Andreotti, e la sentenza di condanna, sostanzialmente uguale in ben tre gradi di giudizio, non è stata emessa a colpi di maggioranza parlamentare. Eppure per settimane hanno propalato l’idea che l’assoluzione avrebbe segnato il trionfo di Berlusconi ma solo la sua condanna ne avrebbe provocato l’apoteosi. E hanno cercato in tutte le maniere di trascinare nell’aula del Palazzaccio, e di nuovo sulle strade di Roma, il conflitto politico tra centrodestra e centrosinistra. Il tentativo, ancora e sempre televisivo, è quello di trasformare in un martire il solito campione del chiagne e fotte,il peggio della natura italiana, ora certificata dalla Cassazione. Ecco perché ancora più che giustizia è stata fatta chiarezza.

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condannato! la fine di un’epoca!

 

 

bel buquet

è la notizia che si è diffusa in un istante in tutto il mondo

S. Berlusconi è stato condannato definitivamente, dalla Cassazione, ieri, per evasione fiscale protrattasi anche negli anni in cui era presidente del Consiglio dei ministri rappresentando ai massimi livelli le Istituzioni

questo sito non ha un intento in primo luogo ‘informativo’ per cui non si dilunga in dettagliate informazioni su un fatto che purtuttavia ha una rilevanza di primissimo piano per il nostro paese che deve prendere atto che per un ventennio è stato governato da un delinquente

si limita a prendere atto con sollievo che è indubbiamente  finita un’epoca e lo fa prendendo a prestito le parole amare ma vere dal sito ‘il mondo di Galatea’:

Lo han condannato. E a me non è venuto nemmeno da scrivere un post in diretta, mentre Porta a Porta mandava in onda una puntata in cui non c’era un plastico costruito ad hoc, ma la sua faccia, però in un video di qualche tempo fa ripescato; e a In Onda, causa l’afa e le ferie, non trovavano nessuno cui far commentare la cosa se non Briatore.

E’ da queste cose che si capisce che, bene o male, è proprio finita un’epoca.

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