“anche voi tenetevi pronti” lc 12

 

 

cuore di margherita

p. Alberto Maggi commenta il brano di Luca della liturgia domenicale di domani !9° domenica del tempo ordinario

 

Lc 12,32-48
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. [Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». ]
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».
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Tutti i Vangeli hanno un respiro eucaristico. Cosa significa? Che l’eucaristia è al centro dell’azione, del pensiero e della linea teologica dell’evangelista, perché l’eucaristia è il momento importante, prezioso e indispensabile per la vita e per la crescita della comunità.
C’è nel Vangelo di questa domenica una perla preziosa con la quale Luca ci indica che cos’è l’eucaristia. Che cos’è l’eucaristia?
L’eucaristia non è un culto chela comunità dei credenti offre a Dio, ma al contrario è il momento in cui la comunità di credenti accoglie un Dio che si offre a loro. Sentiamo l’evangelista in questo brano molto importante dove Gesù invita alla piena fiducia nel Padre, così come presenta l’eucaristia. Gesù invita ad essere pronti “con le vesti strette ai fianchi”, che significa azione, disponibilità, servizio. Quando ci si doveva mettere a servizio ci si cingeva le vesti ai fianchi.
Dice poi “«Siate simili a quelli che aspettano il loro padrone»”, è il termine greco Kyrion, qui signore, “«quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito»”. Ebbene, scrive l’evangelista, “«Beati»”, quindi pienamente felici, “«quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli»”.
Quindi quelli che, quando si presenta il signore sono in servizio – non sono servi del signore, sono coloro che liberamente mettono la propria vita a servizio degli altri – Gesù li chiama beati. Perché? La logica sarebbe: se il padrone torna a casa e trova i servi ancora svegli si farà servire. Invece ecco la novità clamorosa portata da Gesù, “«In verità vi dico»”, quindi assicura qualcosa di importante, “«si stringerà le vesti ai fianchi»”.
Abbiamo detto che stringersi le vesti è segno del servizio. Ecco, Dio, il Signore, è colui che si presenta con la caratteristica del servizio, non come un padrone che chiede di essere servito dai suoi servi, ma come un signore che si mette a fare il servo, perché quelli che sono considerati tali si sentano liberi.
“«Li farà mettere a tavola e passerà a servirli.»” Ecco che cos’è l’eucaristia, il momento importante, prezioso, indispensabile, in cui la comunità di quanti, liberamente, hanno messo la propria vita a servizio del bene degli altri, vengono fatti riposare dal Signore, che passa lui stesso a servirli, cioè a ricaricarli con la sua stessa energia vitale, comunicando loro vita.
Questo è il significato dell’eucaristia.
E, continua Gesù, “«Se giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverò così, beati loro!»” Cioè l’atteggiamento del credente è sempre quello del servizio. Dove c’è il servizio il Signore collabora con il suo Spirito. Quindi a chi serve il Signore comunica le sue energie.
Ma c’è Pietro che, come al solito, si dimostra preoccupato e chiede “«Signore, questo lo dici per noi o per tutti?»” cioè, tutti devono servire o siamo soltanto noi? Allora Gesù ha questo richiamo, rivolto a Pietro, ma riguarda tutta la comunità, “«Chi è dunque l’economo fedele»” – è questo il termine che l’evangelista ha adoperato – “«che il signore metterà …»” – non a capo,
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nella comunità cristiana non ci sono persone a capo di altre – “«… sulla sua servitù per dare la razione del cibo»”.
Quindi Gesù non mette nessuno al di sopra degli altri ma incarica di comunicare vita. Questo è l’insegnamento del credente. Allora nell’eucaristia il Signore si fa pane perché quanti lo accolgono siano poi capaci di farsi pane per gli altri.
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“Dio è diverso dai padroni”

dente di leone

omelia di don Angelo Casati in  commento alle letture della liturgia della domenica 19° del tempo ordinario e del vangelo: Lc 12, 32-48

 

Nel cuore dell’estate tre parabole dal Vangelo di Luca che invitano alla vigilanza. Apparentemente sembrano fuori tempo; noi siamo soliti collocarle nei giorni dell’Avvento, giorni che ci parlano degli accadimenti dell’ultima ora, delle ultime cose.

E forse c’è una ragione se Luca, a differenza di Matteo, colloca queste parabole dentro le istruzioni del viaggio, quasi a dire che la vigilanza è dimensione permanente, appartiene al viaggio, a tutte le ore del viaggio.

E’ un’opinione personale, e quindi discutibile, ma a me sembra che proprio d’estate andrebbe raddoppiata la vigilanza, perché d’estate, quando l’attenzione di un popolo è meno vigile, si tentano a volte operazioni di una gravità estrema.

E vorrei iniziare la riflessione dalla prima delle parabole, quella che riguarda i servi nell’assenza del padrone, i servi ai quali viene raccomandata, con immagini ricche di fascino, la vigilanza. Ecco le immagini: la notte, la cintura ai fianchi, le lampade accese.

La notte: la venuta del Signore, la sua incessante venuta, i suoi appelli, i suoi inviti sono dentro le nostre notti, quando è buio, quando non è tutto così chiaro, dentro l’incertezza, l’imprevedibilità della vita.

Penso che tutti voi abbiate colto la bellezza, la poeticità, la suggestione del testo della Sapienza che oggi abbiamo ascoltato, testo in cui gli ebrei ricordano la loro grande notte: “la notte della liberazione desti al tuo popolo, Signore, una colonna di fuoco, come guida in un viaggio sconosciuto, e come un sole innocuo per il glorioso emigrare”.

Glorioso emigrare: bellissimo! Dov’era la gloria? Partire di notte? Guadare il fiume? Camminare quarant’anni?

Glorioso emigrare, perché era il viaggio verso la libertà, lontano dai faraoni, fuori da un servire da schiavi.

Vigilanti, voi mi capite, era notte: pronti a cogliere bagliori di libertà, di liberazione, smascherando i sintomi, spesso nascosti, di una perdita di libertà, smascherando l’avvento dei nuovi, truccati, seducenti faraoni.

“Cinti i fianchi”: l’abito di chi parte, e l’abito di chi lavora, di chi non vuole essere impedito nel viaggio e nel lavoro.

E’ la partenza – dicevamo – per un viaggio di libertà, per un lavoro – aggiungiamo – che non potrà mai essere un lavoro servile, un lavoro da schiavi, perché da questo Dio ti conduce fuori, come dal paese d’Egitto.

Dio è diverso dai padroni: Dio si assenta, Dio lascia a te questa casa, questa terra, queste cose. Le lascia alla tua responsabilità: non vuole schiavi.

Ha rovesciato – bellissimo – l’immagine stessa del padrone, l’ha rovesciata per quanto lo riguarda. L’ha rovesciata nella parabola. E non dite più che Dio è un padrone. E’ un Signore. Ha rovesciato l’immagine del padrone, cingendo lui i suoi fianchi, mettendosi lui a servire. Gesù ha lavato i piedi ai discepoli, come fa il servo. Ma per amore.

E proprio per questo, perché non vuole più faraoni, e lui ci ha dato l’esempio: la cosa che Dio non sopporta, non potrà mai più sopportare né nella chiesa né nella società civile, è che qualcuno approfitti della sua assenza per farla da padrone.

C’è nella parabola una dura condanna per l’amministratore che approfitta del ritardo del Signore per percuotere, mangiare, bere, ubriacarsi. No. L’autorità gli era stata conferita per distribuire armoniosamente. Se viene usata per interesse personale o per altri fini, trova nella parabola la sua condanna. Cinti i fianchi.

“Prenditi cura” -è un verbo evangelico- prenditi cura delle cose di ogni giorno, delle relazioni di ogni giorno, della casa, della strada, della città, delle occupazioni, dei volti di ogni giorno, come se a te fossero stati affidati dal Signore, prima di partire. Ritornerà.

E, infine, le lucerne accese.

Se è vero che il nostro è un andare nella notte, se è vero che gli accadimenti della vita non sono di così facile né immediata interpretazione, se è vero che discernere i segni dei tempi è compito a volte arduo, importanti diventano le lucerne nella notte.

Dio aveva dato al suo popolo ” una colonna di fuoco come guida in un viaggio sconosciuto”.
Oggi, rileggendo le immagini, mi ritornava al cuore la preghiera nel salmo: “lampada ai mie passi è la tua parola, Signore” (Sl. 119,105).

Chiediamoci più spesso che cosa dice non il tale opinionista o quell’altro, ma la parola di Dio. E sia luce, luce critica, luce di giudizio, luce di accompagnamento del viaggio sconosciuto.

L’evangelista Luca, proprio nel capitolo precedente al nostro, parlava di questa luce interiore:

“Stai attento” – diceva Gesù – “che la tua luce non diventi tenebra. Se dunque tu sei totalmente nella luce, senza alcuna parte nelle tenebre, allora tutto sarà splendente, come quando una lampada ti illumina con il suo splendore” (Lc 11,35-36).

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