ricordo di don Bruno Nicolini

donbrunonicolini

di Cinzia Sgreccia*

 Ad un anno dalla morte di Mons. Bruno Nicolini (1927-2012) l’Opera Nomadi di Reggio Calabria ricorda la figura di un grande uomo, amico del popolo rom a cui ha dedicato oltre 50 anni della sua vita.

Incaricato di occuparsi di zingari dall’Arcidiocesi di Trento nel 1959, successivamente, nel 1963, fondò nella Diocesi di Bolzano- Bressanone l’Opera Nomadi che dopo qualche anno divenne ente nazionale promuovendo la nascita di Sezioni locali in tutta Italia.
Fu chiamato a Roma da papa Paolo VI per occuparsi della pastorale dei Rom e proprio da Roma, nel 1965, organizzò , nello spirito del Concilio Vaticano II, il primo grande incontro europeo tra il popolo rom ed il papa che si tenne a Pomezia.
Il suo impegno pastorale fu sempre costante “incarnandolo” e concretizzandolo con quello sociale facendo onore al suo mandato di sacerdote cristiano.
Nel giugno del 2011 aveva partecipato con grande gioia all’incontro dei Rom europei con papa Benedetto XVI in San Pietro.
Come Presidente dell’Opera Nomadi Nazionale aveva sempre centrato il suo impegno per il popolo Rom mediando fra tre realtà che riteneva fondamentali ai fini dell’inclusione sociale di questi cittadini: le istituzioni, la collettività locale e i Rom.
Negli anni Sessanta mentre la comunità romnì locale reggina soffriva in una favelas nella periferia della città sotto il ponte S. Agata, tre “giganti” facevano convergere le proprie energie per affrontare le gravi problematiche di questa popolazione.Tre pastori, che realizzarono la loro missione a partire dagli ultim:.
Mons. Bruno Nicolini, sempre alla ricerca di soluzioni per una pacifica convivenza tra Rom e società a livello nazionale. Don Lillo Altomonte, padre amato dal popolo Rom reggino, che dal 1958, data della nascita della parrocchia di Modena, S.Pio X, come parroco, iniziò a dedicarsi anche ai rom che gravitavano intorno al territorio parrocchiale, emarginati sotto i ponti delle fiumare. Avendo saputo dell’esperienza di don Bruno, nel 1965, aderì a questo ente costituendo la Sezione Opera Nomadi di Reggio Calabria. E S.E. Mons. Giovanni Ferro, che si impegnò personalmente a sottoscrivere un personale contributo finanziario per avviare a soluzione il problema degli alloggi della comunità.
La collaborazione proficua tra queste tre grandi personalità consentì di avviare il primo intervento di aiuto organizzato in favore dei Rom di Reggio Calabria.
Questo percorso che Don Bruno sviluppò in tutta Italia, è stato alimentato dalla sua stessa intuizione di affiancare alle azioni sociali la ricerca scientifica. Egli realizzò, insieme alla professoressa Mirella Karpati, il «Centro studi zingari», punto di riferimento scientifico per la comprensione della storia e della cultura del popolo Rom in Europa, che divulgava le sue ricerche attraverso la rivista bimestrale “Lacio drom”.
Se oggi abbiamo delle analisi più precise sull’inserimento sociale dei rom e sugli interventi da porre in essere, lo dobbiamo all’operato realizzato da don Bruno.
Sotto il profilo umano Mons. Bruno Nicolini, definito “persona affabilissima, dai modi estremamente familiarizzanti”, coniugava l’esperienza maturata nelle gravi problematiche vissute dai cittadini Rom in Italia e nel mondo con la semplicità e l’amore con cui svolgeva la sua opera. Questo gli consentiva di comprendere la persona, sensibilizzare l’opinione pubblica e mettere a punto programmi di promozione sociale, coinvolgendo le istituzioni.
Per cinquant’anni si è impegnato per i fratelli rom, facendosi ultimo tra gli ultimi e diventando spesso presenza scomoda per tanti. Non ha cercato e non ha avuto né gloria né onori, ha vissuto da umile prete e così è morto. Ha concluso la sua esistenza terrena all’età di 85 anni in povertà e con coerenza rispetto alla sua Missione di pastore, ponendosi al servizio del prossimo cercando di “capire meglio per poter aiutare meglio” nel rispetto della cultura dell’altro.
Il suo profilo di sacerdote corrisponde pienamente alla figura del buon pastore, indicato da papa Francesco, che realizza la sua Missione, vivendo e prendendosi cura delle ” sue pecore”, umilmente al servizio del suo “gregge”, per servire, non per essere servito (Papa Francesco, Ordinazione di nuovi sacerdoti, 2142013) e … amando fino alla fine.
Ciao don Bruno, grazie per quello che hai fatto, per le basi che hai posto per l’aiuto del popolo Rom e per la testimonianza umana e cristiana che ci hai offerto. Veglia su di noi.

*Responsabile settore scuola Opera Nomadi di Reggio Calabria

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la crisi terminale del capitalismo secondo Boff

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di Leonardo Boff

Da qualche tempo a questa parte sostengo l’idea che l’attuale crisi del capitalismo va oltre il suo carattere congiunturale e strutturale, cioè è terminale. Si può affermare che è giunta la fine dello spirito del capitalismo sempre pronto ad adattarsi al sopraggiungere di qualsiasi circostanza? Sono conscio che poche persone sostengono questa tesi. Tuttavia sono due le ragioni che mi spingono verso questa interpretazione.

La prima ragione è che la crisi è terminale perché tutti noi, ma particolarmente il capitalismo, abbiamo oltrepassato i limiti di sostenibilità della Terra. Abbiamo occupato e depredato tutto il pianeta, distruggendo l’equilibrio sottile che lo regge ed esaurendo i suoi beni e servizi fino al punto che esso non riesce più a rigenerare ciò che gli è stato sottratto. Verso la fine del XIX secolo Karl Marx scriveva in modo profetico che la tendenza del capitale si orientava verso la distruzione delle sue due fonti di ricchezza e di riproduzione: la natura e il lavoro. Ed è ciò che sta avvenendo.

Difatti la natura è sottoposta a un grosso stress come non lo è mai stata prima, almeno per quanto concerne quest’ultimo secolo, senza prendere in considerazione le quindici più grandi estinzioni che il pianeta ha conosciuto attraverso tutta la sua storia di oltre quattro milioni di anni. I fenomeni estremi che si sono verificati in tutte le latitudini e i cambi climatici che tendono verso un sempre maggiore surriscaldamento globale confermano la tesi di Marx. In assenza della natura il capitalismo come potrà riprodursi? Ha ormai raggiunto un limite insormontabile.

Il capitalismo precarizza o prescinde del lavoro. Esiste un grosso sviluppo che fa a meno del lavoro. Il sistema produttivo informatizzato e robotizzato produce di più e meglio con la quasi totale assenza di manodopera. La conseguenza diretta è la disoccupazione strutturale.

Milioni di persone non entreranno mai a formare parte del mondo del lavoro, neppure come esercito di riserva. Il lavoro poiché dipende dal capitale, è da quest’ultimo ignorato. In Spagna la disoccupazione raggiunge il 20% del totale della popolazione e il 40% dei giovani. In Portogallo il 12% del paese e il 30% dei giovani. Questo significa che esiste una grave crisi sociale come quella che colpisce in questo momento la Grecia. Si sacrifica tutta la società in nome di un’economia pensata non per soddisfare la domanda sociale, ma per pagare il debito delle banche e del sistema finanziario. Marx ha ragione: il lavoro sfruttato non costituisce più fonte di ricchezza. Lo è la macchina.

La seconda ragione si riferisce alla crisi umanitaria che il capitalismo sta generando. In passato si limitava ai paesi periferici. Non si può risolvere la questione economica smontando la società. Le vittime, collegate dalle nuove reti della comunicazione, resistono, si ribellano e minacciano l’ordine. Sempre un maggior numero di persone, specialmente i giovani, non accetta la logica perversa dell’economia politica capitalista: la dittatura delle finanze che con il mercato sottopone gli Stati ai propri interessi e la redditività dei capitali speculativi che circolano da una borsa a un’altra, ottenendo profitti senza produrre assolutamente nulla se non maggiori profitti per i rentier.

È stato il capitale a produrre il veleno che lo può uccidere: mentre richiedeva ai lavoratori una formazione tecnica sempre migliore e una maggiore competitività per essere all’altezza di una crescita sempre più accelerata, involontariamente ha creato degli individui che pensano. Essi lentamente vanno scoprendo la perversità del sistema che scuoia le persone in nome di un’accumulazione meramente materiale, la quale si mostra insensibile al momento di esigere una sempre maggiore efficienza fino a stressare profondamente i lavoratori, spingendoli alla disperazione e in alcuni casi anche al suicidio come accade in alcuni paesi, compreso il Brasile.

Le strade di diversi paesi europei e arabi, gli “indignados” che occupano le piazze della Spagna e della Grecia sono l’espressione di una ribellione contro il sistema politico vigente a rimorchio del mercato e della logica del capitale. I giovani spagnoli urlano: «non è una crisi, è un furto». I ladri sono insediati a Wall Street, nel FMI e nella BCE. In altre parole sono i sommi sacerdoti del capitale globalizzato e sfruttatore.

Con l’aggravarsi della crisi in tutto il mondo si svilupperanno le moltitudini che non tollereranno più le conseguenze dello sfruttamento delle proprie vite e della vita della Terra a oltranza e si ribelleranno contro questo sistema economico che ora è in agonia, non per invecchiamento, ma per la forza del veleno e delle contraddizioni che ha generato, punendo la Madre Terra e tormentando la vita dei suoi figli e delle sue figlie.

*Teologo/Filosofo e autore del volume “Proteger a Terra-cuidar da vida: como evitar o fim do mundo”, Record 2010 (Proteggere la Terra badare alla vita: come evitare la fine del mondo).

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“fuoco son venuto a portare … “

p. Pagola commenta il brano del vangelo di domani XX domenica del tempo ordinario:

Senza fuoco non è possibile

In uno stile chiaramente profetico, Gesù riassume la sua vita intera con alcune parole insolite: Sono venuto “io a portare fuoco nel mondo, e magari stesse già ardendo! “. Di che cosa sta parlando Gesù? Il carattere enigmatico del suo linguaggio conduce gli esegeti a cercare la risposta in differenti direzioni. In qualsiasi caso, l’immagine del “fuoco” ci sta invitando ad avvicinarci al suo mistero in maniera più ardente ed appassionata.

Il fuoco che arde nel suo interiore è la passione per Dio e la compassione per la quale egli soffre. Non potrà mai essere svelato quell’amore insondabile che incoraggia la sua vita intera. Il suo mistero non rimarrà mai rinchiuso in formule dogmatiche né in libri di saggistica. Mai nessuno scriverà un libro definitivo su di lui. Gesù attrae e brucia, turba e purifica. Nessuno potrà seguirlo col cuore spento o con pietà annoiata.

La sua parola fa ardere i cuori. Si offre amichevolmente agli esclusi maggiormente, sveglia la speranza nelle prostitute e la fiducia nei peccatori più sdegnati, lotta contro tutto quello che fa male all’essere umano. Combatte i formalismi religiosi, i rigorismi inumani e le interpretazioni ristrette della legge. Niente né nessuno può incatenare la sua libertà nel fare il bene. Non potremo mai seguirlo vivendo nella routine religiosa o nel convenzionalismo della cosa corretta.”

Gesù infiamma gli animi, non li spegne. Non è venuto a portare falsa tranquillità, bensì tensioni, confronto e divisioni. In realtà, introduce il conflitto nel nostro cuore. Non è possibile difendersi dalla sua chiamata dietro lo scudo dei riti religiosi o delle pratiche sociali. Nessuna religione ci proteggerà dal suo sguardo. Nessun agnosticismo ci libererà della sua sfida. Gesù ci sta richiamando a vivere nella realtà e ad amare senza egoismi.

Il suo fuoco non è rimasto spento immergendosi nelle acque profonde della morte. Risuscitato ad una vita nuova, il suo Spirito continua ad ardere durante il corso della storia. I primi seguaci lo sentono ardere nei loro cuori quando ascoltano le sue parole mentre cammina insieme a loro.

Dove è possibile sentire oggi quel fuoco di Gesù? Dove possiamo sperimentare la forza della sua libertà creativa? Quando ardono i nostri cuori accogliendo il suo Vangelo? Dove si vive in maniera appassionata seguendo i suoi passi? Benché la fede cristiana sembri estinguersi oggi tra noi, il fuoco portato da Gesù nel mondo continua ad ardere sotto le ceneri. Non possiamo lasciare che si spenga. Senza fuoco nel cuore non è possibile seguire Gesù.

José Antonio Pagola

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“sono venuto a portare il fuoco sulla terra”

 

 

 

 

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p. Hermes Ronchi commenta il vangelo di domani  XX dom. del tempo ordinario

Quel fuoco che rompe la falsa pace

 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

Sono venuto a portare il fuoco sulla terra. Pensate che io sia venuto a portare la pace? No, vi dico, ma la divisione. Credo che tutti abbiamo avuto la fortuna di conoscere uomini e donne ardenti, appassionati di Dio e dell’uomo, di averli visti passare fra noi come fuoco e come spada. Ricordo la sorpresa, liberante, quando ascoltavo padre Turoldo dire: io mi sento mandato a rompere le false paci dei conventi. Pace apparente, rotta da un modo più evangelico di intendere la vita, da qualcuno che vuole riproporre il sogno di Dio. Forse quando va in frantumi un vecchio equilibrio, nella casa o nella comunità, quella che si rompe non è una pace autentica ma una situazione sbagliata, fondata su mancanza di saggezza, su egoismi e silenzi.
Sono venuto a portare il fuoco, l’alta temperatura morale in cui avvengono le vere trasformazioni del cuore e della storia. E come vorrei che divampasse! Stare vicino a Lui è stare vicino al fuoco. Siamo discepoli di un Vangelo che brucia dentro, che ci infiamma qualche volta almeno, oppure abbiamo una fede che rischia di essere solo un tranquillante, una fede sonnifero? Disinteressati a tutto, ai problemi ambientali, a ciò che tocca violenza e armi, passivi di fronte alle ingiustizie, senza fuoco?
Al tempo di Gesù le donne e i bambini erano senza diritti; gli schiavi in balia dei padroni; i lebbrosi, i ciechi, i poveri trattati con disprezzo. E Lui si mette dalla loro parte, li chiama al suo banchetto, fa di un bambino il modello e dei poveri i principi del suo Regno, invia le donne ad annunciare la Pasqua.
La fede è abbracciare il suo progetto di vita, convinti che un altro mondo è possibile; non tanto mettere in pace la coscienza, ma risvegliarla! E la pace di chi si dona, di chi ama, di chi non si attacca al denaro, di chi non vuole dominare né vendicarsi diventa precisamente la spada, cioè l’urto inevitabile con chi pensa che vivere è dominare, arricchire, divertirsi.
Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto? Un invito pieno di energia e di futuro, rivolto alla folla cioè a tutti: non seguite il pensiero dominante, non accodatevi all’opinione della maggioranza. Così è il cristiano, intelligente e libero, medita sulla vita e sulla bibbia, scruta i segni dei tempi e avanza: “la differenza decisiva non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa” (Card. Martini).Tra chi si domanda che cosa c’è di buono o di sbagliato in ciò che accade, e chi non si domanda niente.
Giudicate da voi… Siate un po’ profeti – invito forte e disatteso! – siate profeti anche scomodi, dice il Signore, fate divampare la goccia di fuoco che lo Spirito ha deposto in voi.
(Letture: Geremia 38,4-6.8-10; Salmo 39; Ebrei 12,1-4; Luca 12,49-53)

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un’altra Italia

 

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SULLA SPIAGGIA DI MORGHELLA UN BARCONE ARRIVA A POCHE DECINE DI METRI DALLA RIVA. LA SOLIDARIETÀ DEI BAGNANTI CHE SI BUTTANO IN ACQUA PER AIUTARE I 160 PROFUGHI.

Pachino (Siracusa)
Alle 11 del mattino il cielo è grigio, la luce è pesante, metallica, c’è vento di ponente. È ferragosto, Morghella è la spiaggia più vicina all’Africa, il mare rompe sulla roccia. Così la vita si ferma, alle 11 del mattino, mentre un barcone tracolla, a pochi metri dalla riva.
Una specie di golem emerso dal sonno delle nostre pavidità, sputa il carico malsano, si prende gioco del coraggio di ognuno. Il barcone, con i bambini vascello, sono uguali a quelli che finiscono negli abissi, che spirano avvolti nello hijab delle madri, con i piedini azzurri violacei, immobili come le statue di sale; e invece sono tutti lì, un carico impudico di carne viva, siriani, immigrati, profughi, clandestini, neri: sono 160, di questi 67 sono bambini e 28 le donne, oppressi nella solita lurida carretta. Solo che stavolta non muore nessuno, nessuno cade in mare. Stavolta le guardie non berciano.
LA SPIAGGIA zittisce di colpo, la vita si ferma, anche sopra la baia; la vita si ferma, in paese, qualcuno avvista il golem, è giorno, è ferragosto, il golem è un’apparizione, da far tremare i polsi. Di colpo nessuno pensa al coraggio, a tutti però tocca di essere diversi; gli uomini sono neri, sono sagome che si agitano sul barcone, ma è ferragosto, non è notte, non è il canale dove muoiono come tonni, è una spiaggia, è un giorno qualunque anche. C’è ancora uno strano silenzio, da far tremare i polsi; le creature sputate dal golem parlano la lingua di Babilonia, ognuno dei presenti avrà la certezza che l’evento è enorme e che nasconde un significato terrificante, che induce ad una pietà scandalosa come l’amore, una pietà biblica. Le donne si dispongono in fila, entrano in acqua, usano lo stesso passo, sono decise però, sorridono, cominciano a tendere le mani alle altre che tremano sul barcone, nessuno pensa al coraggio, benché la vita lo stia pretendendo in quel preciso momento, alle 11 del mattino di un giorno d’agosto, una pretesa corale, distesa come un immenso hijab sul capo di quegli uomini normali.
DIETRO LE DONNE, si aggiungono gli uomini, i ragazzini, le onde si rompono sulla roccia, il barcone è fissato alla cima. Il barcone è un golem circondato da mani tese adesso, i giovani si tuffano in mare, guizzano come delfini nei loro costumi sportivi, raggiungono le fiancate del peschereccio, con la prua azzurra, le donne in fila con i pareo annodati al fianco tendono le braccia alle altre avvolte dalle pashmine, i colori delle stoffe si confondono dentro la luce metallica, non un neonato cade in mare, non un vagito inghiottito dagli abissi. Catania ha appena seppellito i suoi morti, l’olocausto dei sei sulla spiaggia della plaja. Ci sono molti catanesi a Morghella, il lutto brucia ancora, tutti presenti stavolta, se la vita interroga sul coraggio o la coscienza, saremo tutti presenti: è accaduto.
LA SPIAGGIA di Morghella è un luogo inaudito, sconfessa l’umanità che ci hanno raccontato in questi anni, chi sono costoro? Chi era quell’umanità? Un vecchio in canottiera, un vecchio nero profugo clandestino, tentenna accompagnato da due ragazzoni, uno con gli occhiali, l’aria da bravo studente, il vecchio è al sicuro, ha le lacrime agli occhi, o le abbiamo noi che li guardiamo da qui. Oggi il presidente Napolitano esulta. “Questa è l’Italia migliore”. Così è stato: gli uomini aspettavano a prua, nel golem fissato alla cima, ammutoliti, mentre si compiva ogni cosa; gli altri smettevano di essere gli altri, da qualunque parte si osservassero, ognuno era un po’ più libero.

Da Il Fatto Quotidiano del 17/08/2013.

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