dopo il caso ‘bimba bionda’ c’è chi chiede il censimento dei campi rom

Immagine articolo - Il sito d'Italia

Dopo il caso della piccola Maria, la bambina bionda dagli occhi azzurri ritrovata durante un controllo di routine in un accampamento di nomadi presso la città di Farsala, in Grecia, Claudio Morganti, europarlamentare indipendente nonché vicepresidente dell’Intregruppo sulla disabilità, chiede che venga fatto «un censimento di tutti i campi rom europei e il test del DNA dei bimbi presenti.

L’Ue – dichiara Morganti – continua a ribadire che circa 10-12 milioni di rom sono bersaglio di pregiudizi, di discriminazioni e vengono esclusi dalla società. Tali posizioni dimostrano la lontananza dell’Unione Europea verso questa comunità, che sceglie volutamente di vivere da nomade e che non ha intenzione di integrarsi nella nostra società».

 

In particolare, l’europarlamentare si sofferma sui fondi stanziati dall’Unione Europea. «Tra il 2007 e il 2013 – sottolinea Morganti – sono stati stanziati per le comunità rom 127milioni. Non solo, ma l’Ue – prosegue – nel suo programma 20/20 obbliga di utilizzare parte del fondo sociale europeo e del fondo di sviluppo regionale per l’integrazione dei rom. Questi fondi – spiega – originariamente dovevano essere destinati esclusivamente alle persone disagiate e in difficoltà, come i disabili. Nulla di tutto questo è successo.

Non possiamo restare ancora in una Unione Europea che pensa prima ai rom, anziché ai nostri disabili e alla nostra gente. Vedere, inoltre, realizzare progetti per l’integrazione sociale e lavorativa dei rom, come quello successo a Lamezia Terme dove sono stati stanziati 1.7milioni dall’Ue e 1.2milioni dall’Italia. Tutto questo è uno schiaffo verso quei sei milioni di persone che in Italia non hanno un lavoro oppure verso quei pensionati che, a causa della loro esigua pensione, sono costretti a chiedere carità o a rovistare nei cassonetti. La verità – termina – è che il nostro Governo rimane sordo davanti ai problemi reali della nostra gente e delle persone con disabilità».

image_pdfimage_print

in tilt i tradizionalisti a proposito di papa Francesco

 

 Udienza Generale del mercoledì di Papa Francesco

La “conversione” dei tradizionalisti a proposito della figura di papa Francesco

di Sergio Paronetto*
in “Adista” – Segni Nuovi -n. 32 del 2 novembre 2013

Il Foglio di Giuliano Ferrara, già organo degli “atei devoti”, diventato ora l’avanguardia del movimento anti-Francesco, si sta muovendo in tre direzioni: dare spazio agli attacchi frontali del mondo cattolico più reazionario e anticonciliare verso un papa ritenuto traditore della dottrina cattolica; raccogliere ogni forma di contrarierà, compresa quella giudicata “ultra liberal”, un tempo considerata cattiva maestra ma ora utile per evidenziare le contraddizioni dell’attuale pontificato; minimizzare il “disagio”, come scrive Massimo Introvigne, e mediare per evitare i rischi di uno scisma. Lo scopo complessivo è quello di mettere in risalto l’inaffidabilità di un papa pericoloso per l’unità della Chiesa. Il giornale più papista diventa apertamente antipapista. Chi ha fatto per anni apologia (ideologica) di papa Ratzinger a sostegno di Berlusconi, di Bush e della superiorità dell’“Occidente”, ora denuncia papa Bergoglio avvertito come scomodo innovatore troppo francescano o, semplicemente, troppo cristiano (la seria riflessione di Andrea Monda del 9 ottobre, collocata all’interno, appare un’ardita eccezione, vista «la teologia da strapazzo» che il giornale, come osserva Eugenio Scalfari su la Repubblica del 13 ottobre, sta sostenendo). Il 9 ottobre viene concessa grande evidenza al lungo intervento, “Questo Papa non ci piace”, firmato da Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, presentati come «espressione autorevole del mondo tradizionalista cattolico». Il loro ragionamento attacca, in ordine: l’«imponente esibizione di povertà» nella visita ad Assisi; il dialogo con Scalfari e con i non credenti fondato sulla centralità della coscienza; la rottura di tutta la tradizione ecclesiastica; la dichiarazione della irreversibilità del Concilio; la vicinanza all’amico gesuita Carlo Maria Martini; la deformazione del Vangelo sottomesso al «mondo»; le espressioni «io credo in Dio, non in un Dio cattolico», «il proselitismo è una solenne sciocchezza», «la Chiesa ospedale da campo», «i poveri sono la carne di Cristo»; l’insistenza sulla misericordia e sul perdono. Inutile parlare di contesto da interpretare, dicono: «L’errore, quando c’è, si riconosce ad occhio nudo», «i sei mesi di papa Francesco hanno cambiato un’epoca». Sono stati «un campionario di relativismo». Costituiscono «un’inversione di rotta». Siamo al «rovesciamento del passato». Il papa si è fatto complice del gioco mediatico tendente a esaltare episodi marginali ma cari alle folle. Viene scomodato anche Mc Luhan che nel 1969 ha definito i mass media «facsimile del Corpo mistico, assordante manifestazione dell’anticristo». In estrema sintesi, papa Francesco è gesuitico, sconcertante, inquietante, relativista, modernista, permissivo, amorale, populista, pauperista, esibizionista, seminatore di dubbi, anticristiano. Ancora più dura la posizione di Mattia Rossi (Il Foglio, 11 ottobre) intitolata “Francesco sta fondando una nuova religione opposta al Magistero cattolico”. Il papa starebbe dissolvendo la dottrina cattolica attraverso un «erosivo magistero liquido», un «antropocentrismo spinto» (più grave di quello espresso nel n. 22 della Gaudium et spes), sentimenti umanitaristi che «rasentano fortemente l’eresia» e negano il valore redentivo dell’incarnazione. Le sue parole, con il loro «stillicidio disgregante», si basano su «un inganno molto sottile e intollerabile per un cattolico». Da parte mia, tre opinioni. Osservo, anzitutto, che i tradizionalisti (che preferisco chiamare reazionari perché la tradizione è una cosa seria), da sempre cultori del primato assoluto di Pietro e infallibilisti a tutto campo, diventano subito relativisti rispetto a gesti e parole che non condividono e che valutano come pareri slegati da alcun magistero. Vedo, poi, che denunciano la presunta falsa umiltà del papa proponendosi con molta presunzione come possessori della verità cattolica, come inquisitori di un papa ritenuto deviato. Noto, in terzo luogo, un’altra contraddizione: proprio chi intende la verità in modo dottrinario e immutabile, a sostegno di una politica reazionaria e di un modello di sviluppo ritenuto altrettanto immutabile o naturale, dominato dal “dio denaro”, predica una fede alternativa al mondo cattivo-peccatore. In questa ideologia sadomasochista, tipica di “un cristianismo senza Cristo”, sta forse il nucleo dell’attacco al papa. Probabilmente, ciò che dà fastidio
è la denuncia del mondo ingiusto, dell’«idolatria del denaro», della «cultura dello scarto», della follia delle guerre. Ciò che disturba è la centralità di Cristo, l’invito alla spoliazione, «l’amore ai poveri e l’imitazione di Cristo povero». Un’esagerazione demagogica per i tradizionalisti. Un’ardua sfida per tutti, anche per i “progressisti”, come osserva Vito Mancuso nell’intervento sulla necessità di una fondazione etica del bene e della giustizia grazie all’esercizio di un “pensiero femminile” (la Repubblica,  4 ottobre 2013). Certo, le tematiche sollevate sono difficili, esposte alla verifica di un’avventura comune, ma una cosa è la critica argomentata, altra cosa è l’ipercritica pregiudiziale e ideologizzata. È sempre improprio definire il papa secondo categorie fisse di conservazione, tradizione, progresso, riforma, rottura, rivoluzione o altro. Non è nemmeno necessario. Siamo dentro un evento da curare e accompagnare con lucida attiva responsabilità. Siamo forse davanti a un’innovazione basata sull’interconnessione nonviolenta tra mezzi e fine. Il cambiamento di stile, infatti, è parte integrante della verità che è sempre “relazionale”. I cattolici sono convocati a una rigenerazione, a un rinnovato cammino di fede. Ne sono conferma la grande veglia per la pace del 7 settembre, iniziata con la “benedizione originaria” sul creato e sull’umanità («Dio vide che era cosa buona») e il progetto di spoliazione presentato ad Assisi con le parole di Matteo 11,25: «Ti rendo lode, Padre, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli». Ha inizio la rivoluzione dei piccoli? In ogni caso, le Beatitudini e il capitolo 25 del Vangelo di Matteo (“il protocollo con il quale saremo giudicati”) costituiscono per il papa “il piano d’azione” dei credenti (discorso ai giovani argentini in Brasile). I detrattori più aspri di papa Francesco mi fanno venire in mente l’auspicio di Tonino Bello, rivolto in forma orante a Oscar Romero, a liberare il mondo da tutti «gli aspiranti al ruolo di Dio».
* Vicepresidente nazionale di Pax Christi

image_pdfimage_print

tragedia lavoro

Allarme lavoro:

6 milioni  a casa disoccupati e sfiduciati

Le persone potenzialmente impiegabili nel processo produttivo sono oltre 6 milioni, se ai 3,07 milioni di disoccupati si sommano i 2,99 milioni di persone che non cercano ma sono disponibili a lavorare (gli scoraggiati sono tra questi), oppure cercano lavoro ma non sono subito disponibili. E’ questa la fotografia scattata dall’Istat nelle tabelle sul II trimestre 2013.

Nel secondo trimestre 2013 – secondo la tabella sulle ‘forze lavoro potenziali’ – c’erano 2.899.000 persone tra i 15 e i 74 anni che pur non cercando attivamente lavoro sarebbero state disponibili a lavorare (con una percentuale dell’11,4% più che tripla rispetto alla media europea pari al 3,6% nel secondo trimestre 2013). A queste si aggiungono circa 99.000 persone che pur cercando non erano disponibili immediatamente a lavorare.

Nel primo gruppo, ovvero gli inattivi che non cercano pur essendo disponibili a lavorare, ci sono quasi 1,3 milioni di persone ‘scoraggiate’, ovvero che non si sono attivate nella ricerca di un lavoro pensando di non poter trovare impiego.

Trovare un lavoro resta una chimera soprattutto al Sud e tra i giovani: su 3.075.000 disoccupati segnati nel secondo trimestre 2013 quasi la metà sono al Sud (1.458.000) mentre oltre la metà sono giovani (1.538.000 tra i 15 e i 34 anni, 935.000 se si considera la fascia 25-34 anni). Se si guarda alle forze lavoro potenziali il Sud fa la parte del leone con 1.888.000 persone sui 2.998.000 inattivi potenzialmente occupabili.

Se si guarda alla fascia dei più giovani sono potenzialmente occupabili nel complesso (ma inattivi) 538.000 persone tra i 15 e i 24 anni e 720.000 tra i 25 e i 34 anni con una grandissima prevalenza di coloro che non cercano pur essendo disponibili a lavorare. L’Istat infine individua nell’area della ”sotto-occupazione” nel secondo trimestre 2013 circa 650.000 persone mentre oltre 2,5 milioni di persone sono occupati con un ‘part time involontario’, in crescita di oltre 200.000 unita’ rispetto allo stesso periodo del 2012.

image_pdfimage_print

“rom ‘biondo’ di carnagione chiara”: parla un rohttp://www.padreluciano.it/wp-admin/plugins.phpm abruzzase dopo il caso della ‘bimba bionda’

bimba bionda

si è fatto un gran parlare nei giorni scorsi a proposito del ‘caso’ della ‘bimba bionda’ non figlia ‘biologica’ dei ‘genitori’ subito definiti ‘rapinatori’, soprattutto un gran sparlare conseguente ad assoluta non conoscenza della realtà rom e soprattutto a quasi compiaciuta ripetitività dei peggiori pregiudizi che ogni volta infangano in modo sempre più irrecuperabile l’immagine del popolo rom, anche dopo le prevedibili, rituali e scontate correzioni di tiro dei mezzi di comunicazione a breve distanza temporale dal lancio di notizie incontrollate.

di seguito le parole di un rom abruzzese, Nazzareno Guarnieri, che si autodefinisce ‘rom di carnagione chiara’, gestore del sito: www.fondazioneromani.it e lui stesso testimone, all’interno della sua stessa famiglia, di qualcosa di simile a quanto vissuto dalla ‘bimba bionda’

Rom “”biondo” di carnagione chiara

Una bambina rom “BIONDA”, di carnagione chiara, è la protagonista del claim della campagna contro il pregiudizio della Fondazione romanì Italia.  (link: http://www.fondazioneromani.it/it/campagna­3r ).
Nelle ultime settimane è scattata la caccia ai bambini rom “biondi” e “carnagione chiara”, presunte vittime di rapimento da parte di famiglie rom. Il pregiudizio falso più antico del mondo  negli ultimi giorni ha ripreso quota: i rom rubano i bambini.
Nelle ultime settimane in tutto il mondo si è parlato di una bambina “bionda” rubata da una famiglia rom in Grecia e l’esame del dna ha accertato che NON erano i genitori biologici. Subito è scattata la psicosi dei bambini “biondi” che non possono essere rom.
In Irlanda la polizia ha individuato la presenza di una bambina rom “bionda” in una famiglia rom, è scattato il pregiudiziale allarme, l’esame del dna ha accertato che la bambina era figlia naturale della coppia rom.
La notizia greca della bambina bionda rubata da una coppia rom ha fatto il giro del mondo e dopo qualche giorno la polizia greca, con una ricerca internazionale, ha trovato i genitori naturali, si tratta di un’altra famiglia rom.  La coppia di rom greci incriminata per rapimento della bimba ha sempre negato l’accusa, sostenendo che la bambina le era stata affidata volontariamente dalla madre che non poteva prendersi cura di lei, e che la richiesta di registrazione presso il comune greco era stata rifiutata.
Chi conosce la realtà rom scopre che a volte,  per diverse motivazioni,  un  bambino  rom    di una determinata famiglia ROM, vive consensualmente e stabilmente in un’altra famiglia ROM, NON per un questione di interessi, ma solo ed esclusivamente per una questione affettiva.
Non è possibile in poche righe spiegare ed illustrare questo dato che sarebbe importante conoscere.   Non è un caso che la Fondazione romanì Italia nell’azione di sistema TRE ERRE abbiamo costruito il progetto ADOZIONE IN VICINANZA, che sarà avviato nell’autunno dell’anno 2014.
Per essere chiaro presento il caso della mia famiglia. Uno dei miei 9 fratelli dopo pochi mesi dalla nascita ha avuto diversi problemi clinici ed è stato costretto alle cure dei sanitari con continui ricoveri in ospedale fino all’età di 4 anni periodo in cui ha iniziato a muovere i primi passi. In tutto questo periodo di malattia mio fratello è stato accudito da due donne rom della mia famiglia allargata che giorno e notte si sono presi cura del suo benessere unitamente ai  miei genitori. Mio fratello con il consenso dei miei genitori ha vissuto con loro per sempre.  I miei genitori non hanno mai abbandonato o venduto il proprio figlio, ma hanno permesso ad altre persone della propria comunità rom di dare ulteriore affetto ed opportunità al proprio figlio. Oggi mio fratello è una persona serena, felice e realizzata.
Le cronache di questi giorni dimostrano quando poco e mal conosciuta sia la realtà romanì a tutti i livelli per l’assenza di una partecipazione attiva e qualificata della popolazione romanì.
Dr. Nazzareno Guarnieri

image_pdfimage_print
image_pdfimage_print