la teologia e gli animali, una relazione stravagante?

 

nidiata

no! non si tratta di una stravaganza perché fanno parte dell’unico mondo di Dio e dell’unica realtà vivente cui noi stessi facciamo parte

anzi sono il nostro ‘prossimo’ nei cui confronti abbiamo un obbligo di rispetto e di cura e sono destinati a far parte del regno della pienezza di vita che Dio prepara per i suoi figli

qui sotto un bell’articolo di A. M. Valli che riflette opportunamente su questo:

La teologia degli animali non è una stravaganza

di Aldo Maria Valli

Paolo De Benedetti, teologo e biblista, classe 1927, parla volentieri degli animali e li fa anche vedere. A volte, quando tiene conferenze, mostra alle persone alcune foto con animali, per dimostrare quanta dignità e dolcezza c’è in questi amici che vivono accanto a noi. Per lui tutto il creato, e in particolare il creato vivente, è il prossimo, è il mio prossimo. Quindi l’indifferenza e la trascuratezza verso i viventi sono letteralmente blasfemi, perché costituiscono la negazione e il disprezzo del bisogno stesso di Dio di avere un prossimo. Nella Genesi, secondo De Benedetti, questo progetto si vede bene, quindi “una teologia degli animali” non è una stravaganza né un lusso, ma può essere uno strumento di conversione verso il rispetto di ogni vita. “Animale” vuol dire “che ha l’anima”. Lo si dice anche in ebraico. L’avere un’anima accomuna, secondo il teologo, accomuna quindi tutti i viventi e tutti li avvicina a Dio creatore. Sono le tesi che De Benedetti sostiene da tempo e che di nuovo ribadisce in un libro prezioso, In paradiso ad attenderci (Edizioni Sonda, 144 pagine, 14 euro) nel quale ricorda le parole di Sergio Quinzio: «Guardate gli occhi di un cane che muore e vergognatevi della vostra presuntuosa filosofia». Il problema non è se gli animali possono ragionare, ma se possono soffrire. Nell’Odissea nel canto XVII si racconta del vecchio cane Argo, che giaceva là trascurato, pieno di zecche, ma
che, resosi conto del ritorno di Ulisse, mosse la coda e drizzò le orecchie, anche se non poteva alzarsi sulle zampe. Argo così poté morire, contento di aver rivisto il padrone. Una pagina che De Benedetti definisce sublime e che andrebbe meditata anche da un punto di vista religioso. Lo dovrebbe fare soprattutto la Chiesa cattolica che, con pochissime eccezioni (la più grande, san Francesco) ha sempre colpevolmente trascurato gli animali, in base a un «delirio antropocentrico» (espressione di Karl Barth) che ha legittimato inenarrabili violenze e crudeltà verso gli animali. Il dominio dell’uomo sugli animali, di cui si parla nella Bibbia, non è violento. È lo stesso dominio con cui Dio domina l’uomo: un dominio buono verso la creatura. Ecco perché la violenza e la sofferenza procurate agli animali costituiscono un problema teologico. Al quale va dato risposta. Una risposta che, secondo De Benedetti, sta nella certezza che tutto ciò che ha avuto vita risorgerà. Tutto, anche gli animali. Se gli animali non risorgessero, vorrebbe dire che la morte, nel loro caso, ha avuto il sopravvento, ma Dio questo non lo può consentire. La tesi, come si può immaginare, fa discutere. Risorgeranno anche pulci e zanzare? Quando glielo chiedono, De Benedetti risponde così: «Se la vedrà Dio». Ma, al di là dei particolari “tecnici”, quando De Benedetti chiede che l’uomo guardi agli animali come Dio guarda agli uomini, lancia un messaggio sul quale vale la pena di meditare. Come scrive Vito Mancuso nella prefazione al libro, interrogarsi sull’anima degli animali fa bene. Infatti «Noi non abbiamo l’anima. L’anima non è una cosa che si possiede, o che viene da fuori. Noi, semmai, ed è questa l’espressione giusta, siamo un’anima».

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terribile dialogo tra madre e figlia

 

“STUDI DUE ORE E TI PROSTITUISCI DOPO, ALTRIMENTI VIA DA SCUOLA”

Prostituzione

SCANDALO BABY PROSTITUTE A ROMA

INTERCETTAZIONI TRA MADRE E FIGLIA.

“Allora rifletti bene su questo aspetto della scuola per cortesia… perché se no è inutile che… io ti ritiro”. La risposta: “Non mi puoi ritirare mamma non c’ho (ancora, ndr) 16 anni, non lo puoi fare”. Fanno venire i brividi quelle conversazioni tra madre e figlia finite agli atti dell’inchiesta sulle due minorenni che in una stanza dei Parioli incontravano i loro clienti. Chi parla al telefono è Emanuela (nome di fantasia), di appena 15 anni. Dall’altra parte della cornetta, la madre arrestata perché, secondo l’accusa, avrebbe indotto la figlia a prostituirsi.

I magistrati romani che indagano sul caso infatti sono convinti che la donna non poteva non sapere, anche se la figlia – sentita dai pm lo scorso 28 ottobre – l’ha sempre difesa: “Mamma non chiedeva, ma io cercavo di aiutarla. Quando le davo i soldi li prendeva anche se pensava non fosse giusto”. Ma è dalle intercettazioni che si capisce il ruolo della madre. La conversazione è dell’11 ottobre.

Madre: Allora… mi ha chiamato la tua professoressa di latino (…) voleva sapere perché non stai andando… Gli ho detto: guardi che non si sente bene. (…) Ha detto no, a noi interessa che la ragazza venga a scuola perché con il programma andiamo avanti, vorrei parlare con lei… e risiamo alle solite… Mi ha detto: pensa che domani verrà a scuola? Allora tu che cosa hai intenzione di fare? Dimmelo perché se no andiamo lì… ci prendiamo in giro … andiamo dagli insegnanti e glielo diciamo. Figlia: Ma io voglio andarci a scuola… è solo che non c’ho tempo per fare i compiti. M: Vabbè, il tempo si trova per fare i compiti. F: Ma quando si trova mamma? M: Quando esci da scuola torni a casa… due ore studi… tre ore… F: Non ce la faccio se studio prima. M: Allora non sai studià (…) Io studiavo la sera, qual è il problema? Devi trovare un modo per organizzarti. F: Non ce la faccio perché dopo che ho studiato sono stanca. M: Allora devi fare una scelta… puoi alternare i giorni… Qui una soluzione bisogna trovarla perché non è che… allora rifletti bene su questo aspetto della scuola per cortesia. Perché se no è inutile che… io ti ritiro e… F: Non mi puoi ritirare mamma non c’ho 16 anni, non lo puoi fare. M: Apposto, allora ce devi andà fino a che non… F: Mamma ci voglio andare, però non voglio andarci senza aver fatto i compiti. Poi la madre si sarebbe proposta di aiutare la figlia a studiare per due ore al giorno, per poi andare al “lavoro”. Altra conversazione finita agli atti, risale al 7 ottobre scorso. Madre: Senti un po’… ma tu che fai? Non te movi oggi? Figlia: No ma’ perché sto male. M: E come facciamo? Perché io… F: Certificato medico. M: Eh, lo so me… l’ho chiamata. F: I compiti… eh, appunto. M: E come facciamo perché io sto a corto? Dobbiamo recuperà. F: Eh, domani vedo che posso fà… comunque pure se… comincio tardi, cioè oggi ma’, veramente sto male. M: no no, bè che c’entra.. certo, ma che sta a scherzà? Assolutamente… F: Domani dopo scuola si vede. M: Ma ce la facciamo a recuperarla sta settimana? F: Ma come no, avoja.

V. Pacelli, da Il Fatto Quotidiano del 08/11/2013.

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