l’attenzione di papa Francesco per l’ecologia

L’ecologia al centro della prossima enciclica di Francesco

Rss Feed Twitter Facebook 
Solanas con papa Bergoglio
Solanas con papa Francesco

Il Papa ha chiesto a un gruppo di esperti di lavorare a un testo sulla difesa dell’ambiente, tema che occuperà una parte importante della seconda enciclica del suo Pontificato

 

La prossima lettera enciclica di Francesco non si occuperà soltanto del tema della povertà, ma nel testo ci sarà spazio anche per un forte messaggio in difesa dell’ambiente.  Nonostante il progetto stia muovendo i primi passi e la sua pubblicazione non sia imminente, il Papa ha già chiesto a un gruppo di esperti di redigere il suo messaggio ecologico.

Negli ultimi giorni, Jorge Mario Bergoglio ha rivelato questa iniziativa a tre diverse personalità. In primis, al suo amico Gustavo Vera, deputato argentino e attivista nella lotta contro il traffico di persone. Ha condiviso con lui il pranzo nella residenza vaticana di Santa Marta la scorsa domenica 3 novembre.

Del tema ha anche parlato con la presidentessa del Costa Rica, Laura Chinchilla, durante l’udienza privata dello scorso 8 novembre. «Non mi stupirei se questo tema occupasse uno spazio importante nella prossima enciclica», ha detto la Chinchilla in un incontro con i giornalisti.

Il Pontefice è stato anche più esplicito durante il suo incontro con il senatore argentino Pino Solanas, che è stato ricevuto lunedì 10 novembre in un’altra udienza privata a Santa Marta. L’incontro si è svolto per quasi un’ora e il rappresentante del movimento politico “Proyecto Sur” ha affrontato con Francesco il tema dell’impunità con la quale l’uomo rovina la natura.

«Il Pontefice si è mostrato molto sensibile: mi ha detto che stava preparando un’enciclica su questo tema. Un argomento impegnativo: non a caso ha creato un gruppo di lavoro che lo aiuterà redigerla. Ecco perché le sue dicharazioni su tema si stanno diradando sebbene a settembre avesse paralto dei pericoli derivanti dallo sfruttamento eccessivo delle miniere», ha dichiarato Solanas a Vatican Insider.

Il senatore ha ricordato di aver parlato di ecologia con Papa Francesco in un’altra occasione, a giugno, quando gli aveva inviato una lettera con un rapporto allegato.

In quell’occasione Solanas aveva chiesto il supporto del Pontefice nel tentativo di definire i reati ambientali e per lanciare (in futuro) la proposta del Tribunale Internazionale Penale. Un organismo chiamato a giudicare i reati ecologici, veri e propri crimini contro l’umanità, perché a pagare le conseguenze di quei reati sono intere popolazioni. Il senatore aveva anche denunciato che tutto questo accade quasi sempre con la complicità dei governi, perché non c’è alcun controllo pubblico.

«Francesco è interessato sopratutto al tema dell’acqua. Mi ha detto: non ci sarà da stupirsi se la prossima guerra sarà proprio a causa diessa. E ha anche ricordato, da questo punto di vidta, la disastrosa situazione dell’Africa. L’ho visto molto preoccupato perchè assecondando solo la logica del profitto tutto viene raso al suolo», ha affermato.

Solanas ha ribadito che la difesa dell’ambiente rappresenta un costo molto elevato che le grosse multinazionali non sono disposte a pagare, ed è per questo che nessuna delle imprese lavora con polizze assicurative ambientali, nonostante i “paletti” legislativi

Il Papa, secondo il senatore argentino, sarà un alleato importante nella campagna di sensibilizazione sui pericoli ai quali è esposto l’ambiente. Non per niente alcuni sondaggi importanti compiuti in America Latina e in Europa collocano Francesco tra i quattro personaggi più influenti del mondo.

Andrés Beltramo Álvarez

Città del Vaticano

image_pdfimage_print

‘il foglio’ e il ‘questionario’

halloween1

aspre e ingenerose le critiche che il quotidiano di G. Ferrara, ‘il Foglio’, continua a rivolgere alla nuova conduzione ecclesiale di papa Francesco

questa volta, per la penna di Pietro di Alessandro Gnocchi e di Mario Palmaro, viene duramente criticato il ‘questionario’ che papa Francesco vuole vuole diffuso a tutto il popolo dei cattolici perché ciacuno abbia la possibilità di esprimere in prima persona la propria posizione in merito ai problemi morali e antropologici riguardanti la famiglia, in vista del sinodo straordinario dell’anno prossimo dedicato appunto alle famiglie:

 

Il questionario

di Pietro di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro
in “Il Foglio” del 14 novembre 2013

Anche quando dovrebbe essere al servizio di Nostro Signore, la burocrazia ecclesiale finisce sempre per provvedere soprattutto a se stessa, proprio come quella mondana. Non fa che parlare di sé, avocare ogni atto a sé e vedere chiesa e mondo a immagine di sé. Il questionario di preparazione per il Sinodo straordinario sulla famiglia recentemente diramato da Roma ne è solo l’ultima conferma. Riesce difficile vederne l’utilità, se si vuole veramente comprendere che cosa crede e che cosa pensa, quindi che cosa prega e che cosa è, il gregge affidato a Pietro. Fino a qualche decennio fa, sarebbe bastato molto meno per avere contezza della situazione: qualsiasi prete che dicesse messa santamente, dopo il “Salve Regina” finale, avrebbe saputo riferire immediatamente al vescovo, e poi questi al Papa, senza dimenticare un volto e un’anima. Ma era un’altra messa ed era un modo di “sentire cum Ecclesia” che non va più di moda. La domenica mattina, dopo l’esile e orante “Asperges me…” intonato dal sacerdote, il popolo proseguiva vigoroso e sicuro sulla melodia gregoriana nell’implorare “Domine hyssopo et mundabor, lavabis me et super nivem dealbabor…”. Sulle parole del Salmo 50, ciascuno chiedeva per sé e per i fratelli di essere mondato nel sentore sacro dell’issopo e nel lavacro divino che lo avrebbero reso più bianco della neve. Intanto, racchiuso nel piviale sorretto dai chierichetti, il celebrante si era avviato lungo la navata ad aspergere e mondare con acqua benedetta coloro che, ancora una volta, accorrevano al sacrificio del Golgota. Per ognuno aveva uno sguardo e un’attenzione speciali, a ciascuno secondo il suo bisogno, poiché ne conosceva le virtù e i peccati. Era Cristo che passava ancora tra le folle della Galilea e della Giudea: “Miserere mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam…”, e chi sentiva il gregoriano risuonare da fuori si affrettava per toccare il lembo del mantello di Colui che li conosceva e li amava uno per uno. “Il padre Smith”, racconta Bruce Marshall nel romanzo della lotta di questo sacerdote con la carne e il mondo, “percorse le file dei fedeli, mentre Patrik O’Shea lo precedeva con secchiello dell’acqua benedetta, e spruzzò di gocce d’argento i facchini ferroviari, gli scaricatori del porto, i marinai, le maestre di scuola, le commesse e le servette, che si segnarono. Sui capelli, sugli scialli, sulle zucche pelate, il prete spargeva l’acqua santa, lavando tutti, simbolicamente, dai pensieri e dalle ambizioni dei giorni feriali. Arrivò alle vecchine degli ultimi banchi che avevano in testa il berretto del marito appuntato con un grosso spillo perché se san Paolo aveva detto che la gloria della donna è la sua capigliatura, aveva detto anche che quando andava in casa del Signore doveva tenerla coperta. Alle tre girls del varietà, coi capelli che parevano trucioli, il padre Smith dette una spruzzatina speciale, perché quei loro visi gialli gli fecero un effetto così tremendo, e lo stesso fece per il professor Bordie Ferguson, in terza fila, perché pensava che questo metafisico soffrisse di orgoglio intellettuale”. Padre Smith, come ogni altro sacerdote dei suoi tempi e della sua pasta, non avrebbe avuto bisogno di un questionario arrivato da Roma e anticipato dai giornali per sapere che cosa pensassero le sue pecorelle della fede, della dottrina, della morale e delle follie del mondo e della carne. Parlava al suo gregge con le parole di Dio e riferiva a Dio con le parole del suo gregge, che nulla avevano di mondano: mediatore sull’altare, lo era anche in canonica e lungo le strade della sua città. Ora, la chiesa di Roma si appresta al Sinodo sulla famiglia e avvia un’indagine conoscitiva in ogni diocesi per sapere che cosa frulla nella testa dei fedeli. C’è chi ha gridato al sondaggio e se, formalmente, si può anche eccepire, materialmente non si può ignorare la deriva mondana che concede molto, forse troppo, all’ansia sondaggistica. A cominciare dal linguaggio dolciastro e pedestre che ricorda tanto le preghiere dei fedeli delle messe di oggigiorno: “Quali sono le richieste che le persone divorziate e risposate rivolgono alla chiesa a proposito dei sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione? (…) Esiste una pastorale per venire incontro a questi casi? Come si svolge tale attività pastorale? Esistono programmi al riguardo a livello nazionale e diocesano? Come viene annunciata a separati e divorziati risposati la misericordia di Dio e come viene messo in atto il sostegno della chiesa al loro cammino di fede?”. E’ sempre la liturgia a dettare la metrica e il linguaggio della chiesa e se, in un ospedale da campo, viene celebrata la messa inventata a furor di Concilio da monsignor Achille Bugnini non ci si può attendere altro: una specie di questionario da accettazione per un pronto soccorso, ma meno preciso. Non potrebbe essere adottato strumento migliore per dare corpo a quella contiguità con il mondo che piace tanto ai fan del pontificato di Papa Francesco. Gilbert Keith Chesterton, con piena ragione, amava ripetere che ogni secolo ha bisogno di santi che lo contraddicano, ma oggi è difficile sentir dire da un pastore che, per esempio, nella chiesa si entra in ginocchio lasciando il secolo sulla soglia. “Eppure”, diceva in un’intervista Marshall McLuhan a proposito della sua conversione, “quando le persone iniziano a pregare hanno bisogno di verità. Tu non arrivi alla chiesa per idee e concetti, e non puoi abbandonarla per un mero disaccordo. Ciò avviene per una perdita di fede, una perdita di partecipazione. Quando le persone lasciano la chiesa possiamo dire che hanno smesso di pregare. Il relazionarsi attivamente alla preghiera e ai sacramenti della chiesa non avviene per mezzo delle idee. Oggi un cattolico che è in disaccordo intellettuale con la chiesa, vive un’illusione. Non si può essere in disaccordo intellettuale con la chiesa: non ha senso. La chiesa non è un’istituzione intellettuale, è un’istituzione sovrumana”. Laddove rimanga un minimo di rigore liturgico e razionale, risuona patetica la rincorsa al dissidente per offrirgli qualcosa di meno invece che qualcosa in più. Il questionario di preparazione per il Sinodo sulla famiglia è un repertorio di suggerimenti al ribasso, ricco di perle che possono solo inquietare. “Lo snellimento della prassi canonica in ordine al riconoscimento della dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale” vi si dice per esempio “potrebbe offrire un reale contributo positivo alla soluzione delle problematiche delle persone coinvolte? Se sì, in quali”. Sembra che la chiesa abbia scoperto oggi il territorio prima del tutto ignoto del dolore e della sofferenza abitato dalle famiglie distrutte e dalle coppie ricostruite che non possono accedere alla Comunione. Finalmente, nell’ospedale da campo di Papa Francesco, dopo secoli di indifferenza e di distrazione, si troverà la medicina giusta. Ma sui divorziati risposati, e ai divorziati risposati, la chiesa dice da sempre tutto quello che c’era, c’è e ci sarà da dire: “Ci sono nella vita situazioni coniugali che chiedono comprensione e destano compassione senza fine (…). Questi casi veramente pietosi di donne tradite, disprezzate, abbandonate, ovvero di mariti umiliati dal contegno della propria moglie rappresentano, per la chiesa e per il cristiano, casi meritevoli di molto rispetto e di sofferta considerazione”. Parole scritte nel febbraio 1967 da monsignor Pietro Fiordelli, vescovo di Prato che assurse agli onori delle cronache per la sua battaglia antidivorzista. E’ del 14 settembre 1994, festa dell’Esaltazione della Santa Croce, il documento firmato dal prefetto della congregazione per la Dottrina della fede Joseph Ratzinger e rivolto a tutti i vescovi del mondo “circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati”. Stiamo parlando di 19 anni fa. Il Sant’Uffizio, citando la “Familiaris consortio” di Giovanni Paolo II, Anno Domini 1982, parte dalla considerazione che “speciale attenzione meritano le difficoltà e le sofferenze di quei fedeli che si trovano in situazioni matrimoniali irregolari”. E poi scrive che “i pastori sono chiamati a far  sentire la carità di Cristo e la materna vicinanza della chiesa” accogliendo con amore queste persone, “esortandoli a confidare nella misericordia di Dio e suggerendo loro con prudenza e rispetto concreti cammini di conversione. Il Sant’Uffizio del “pastore tedesco” conosceva già la misericordia di Dio e la sofferenza bisognosa e, proprio per questo, nel capoverso successivo, citando la “Humanae vitae” di Paolo VI, concludeva: “Consapevoli però che l’autentica comprensione e la genuina misericordia non sono mai disgiunti dalla verità, i pastori hanno il dovere di richiamare a questi fedeli la dottrina della chiesa riguardante la celebrazione dei sacramenti e in particolare la recezione dell’eucarestia”. La pastoralità non può mangiarsi la dottrina e il documento del 1994 ribadisce che la chiesa “fedele alla parola di Gesù Cristo non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il precedente matrimonio”. Questo concetto si chiama indissolubilità, è un vincolo di diritto divino e nessuna autorità, nemmeno un Papa, potrebbe arbitrariamente rinnegarlo. Da Enrico all’ultima pecorella di padre Smith, nessuno può cancellare quel vincolo, se esiste ed è valido. “Perciò”, conclude in modo euclideo il Sant’Uffizio, “se i divorziati si sono risposati civilmente, si trovano in una condizione che contrasta oggettivamente con la legge di Dio e perciò non possono accedere alla Comunione eucaristica per tutto il tempo in cui perdura tale situazione”. La chiesa è, innanzi tutto, custode dell’eucarestia e non può venire a patti sul monito paolino che mette in guardia dal comunicarsi senza essere il grazia di Dio per non mangiare la propria condanna. Se un’anima è in peccato mortale, nessun atto formale che sia ingiusto potrebbe cancellare una verità di fatto, anche se reca la firma di un uomo di chiesa. Non è possibile nessuna “amnistia”, neanche per i divorziati risposati, perché essa non cambierebbe in alcun modo la loro condizione reale davanti a Dio. Ma oggi, dentro la chiesa, si è smarrito il senso del peccato e ciò che inquieta nel questionario inviato a tutte le diocesi dell’Orbe è l’implicita rassegnazione a tale fenomeno. Questa sorta di tensione anagogica al contrario turba sempre meno anime, come scriveva Cristina Campo in una lettera del 1965 a Maria Zambrano: “Come mai si celebra ancora la festa dogmatica dell’Unica Immacolata, mentre implicitamente si nega, in mille modi, la maculazione di tutti gli altri? In un mondo dove non è più riconosciuto non dico il sacrilegio, l’eresia, la blasfemia, la predestinazione al male – ma il puro e semplice concetto di peccato? Padre Mayer mi disse un giorno di scrivergli tutte le cose che mi turbano nello svolgersi del Concilio; e io gli riposi: ‘Ma non sono che due, sempre le stesse: la negazione della Comunione dei Santi (potenza della preghiera, ruolo sovrano della contemplazione, reversibilità e trasferimento delle colpe e delle pene) e il rifiuto della croce (l’uomo ‘non deve più soffrire’, restare un’ora sola inchiodato alla croce della propria coscienza o alla porta chiusa di un irrevocabile ‘non licet’)”. Quel “non licet” oggi spaventa soprattutto la chiesa, anche se è stato meritoriamente ribadito dal prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Müller, subito rimbrottato dal confratello Reinhard Marx. Sarebbe segno di ingenuità sottovalutare il sommovimento teso ad ammorbidire la posizione della chiesa. Il dibattito avviato negli ultimi tempi non è altro che lo sbocco in superficie di un fiume carsico presente nel mondo cattolico da decenni. Un’acqua torbida e tumultuosa che vorrebbe spazzare via il muro dottrinale che protegge l’indissolubilità matrimoniale. Per motivazioni di ordine pastorale, per realismo e apertura al mondo e alle sue esigenze pratiche. Non si contano i parroci, i moralisti, i docenti di seminario, i vescovi che su questa faccenda hanno abbandonato da tempo quanto insegnato dalla chiesa. C’è chi pensa al modello ortodosso, che consente un bonus, una sorta di carta jolly per validare il secondo matrimonio dopo il fallimento del primo. C’è chi studia l’idea della “benedizione” delle seconde nozze, come succedaneo del sacramento vero e proprio. Dal Concilio Vaticano II in poi, la chiesa ha preso a concepirsi e presentarsi come problema invece che come soluzione per la salvezza degli uomini. Anche quando parla del mondo, in realtà lascia trasparire o dice palesemente la propria inadeguatezza e promette solennemente di porvi rimedio recuperando il terreno perso dall’avvento dell’illuminismo in poi. La portata di tale mutamento di prospettiva la si può paragonare a quanto avvenne in filosofia con il criticismo di Kant. Con l’avvento della filosofia kantiana, l’uomo non è più ritenuto capace di conoscere il mondo nella sua intima realtà poiché la ragione non viene più ritenuta in grado di raggiungere il noumeno, la cosa in sé, il vero nucleo dell’esistente. Di conseguenza, essendo considerata incapace di conoscere veramente il reale, la ragione viene anche considerata incapace di definirlo e si ripiega su stessa, non parla che di se stessa e finisce inevitabilmente per concepirsi come un problema. Oggi la chiesa appare intimidita davanti al mondo al pari dell’uomo kantiano davanti al noumeno. Dubita dei propri fondamenti intellettuali e pertanto, pur proclamando di aprirsi al mondo, in realtà si considera incapace di conoscerlo, di definirlo e, quindi, rinuncia a insegnare e a convertire: tenta solo di interpretare. Se tutto diviene oggetto di interpretazione, è normale che sorgano le torri di Babele di documenti nei quali ogni minimo aspetto dello scibile viene preso in esame fin nei dettagli. Ma è ancora più naturale che i documenti non sortiscano alcun effetto sulla realtà per il semplice fatto che, in fondo, non se ne curano. Del resto, un organismo costretto a dubitare della propria capacità di conoscere e intervenire sul mondo non può che rifugiarsi in un universo fittizio creato sulla carta. Il questionario di preparazione per il Sinodo sulla famiglia conferma tale deriva. E ora ne seguiranno altri, molti altri, moltiplicheranno le domande suggerendo un ancor maggiore numero di risposte. Se la chiesa aveva affascinato Chesterton come “luogo dove tutte le verità si danno appuntamento”, oggi sembra diventata il luogo dove si danno appuntamento le opinioni. In un luogo simile si sarebbe trovata a disagio una santa anima sacerdotale come il Curato d’Ars. A un confratello che gli confidava le pene per la condotta immorale dei suoi parrocchiani, quella creatura naturaliter antikantiana non consigliò di far circolare un questionario, chiese semplicemente: “Ha provato a flagellarsi?”.

image_pdfimage_print

commento di p. Maggi al vangelo della domenica

p. Maggi

 

XXXIII domenica del tempo ordinario

17 novembre  2013

CON LA VOSTRA PERSEVERANZA SALVERETE LA VOSTRA VITA

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi
Lc 21,5-19

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

La liturgia di questa domenica ci presenta che vuole essere di grande incoraggiamento per le comunità cristiane che sono sottoposte a degli attacchi esterni da parte della religione, dei governanti, ma anche interni da parte dei propri familiari. Allora le parole di Gesù non vogliono mettere paura, ma  toglierla, non vogliono scoraggiare i credenti, ma incoraggiarli.
Il brano prende l’avvio dall’ammirazione che i discepoli, che ancora non hanno capito la novità portata da Gesù, hanno del tempio. L’evangelista scrive: Mentre alcuni, si riferisce ai discepoli, parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi. Ebbene Gesù aveva dichiarato il tempio una spelonca di ladri un tempio dove Dio era diventato una sanguisuga, che anziché comunicare la vita ai suoi fedeli gliela toglieva, come nell’episodio che precede questo brano, quello della vedova, che poverina si dissanguava per mantenere in vita il Dio che la sfruttava.
Dio, nell’Antico Testamento, nella Legge, aveva previsto che con i proventi del tempio bisognasse mantenere proprio le categorie più deboli, rappresentate dalla vedova. Ebbene l’istituzione religiosa aveva deturpato il volto di Dio e non solo con i proventi del tempio non si mantenevano le vedove, ma erano le vedove, quindi la parte più debole della società, che dovevano dissanguarsi per mantenere in vita questo Dio vampiro.
Gesù non tollera tutto questo e allora all’ammirazione dei discepoli Gesù risponde: “Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta”.
Questo è il primo dei grandi cambiamenti che avverrà nella storia. Ogni istituzione religiosa e civile che si oppone al bene dell’uomo, che sfrutta l’uomo, che umilia l’uomo, Gesù ci assicura – ed è questa la grande speranza, la grande certezza dei credenti – cadrà, anche se sembra una cosa impossibile, come il tempio di Gerusalemme, una delle meraviglie del mondo, uno splendore come ammirano questi discepoli, tutto cadrà.
Non c’è sistema di potere economico, politico, religioso che sfrutti l’uomo, lo schiacci, lo umili e non vedrà la fine. E Gesù quindi ha parole di incoraggiamento verso i suoi, verso la comunità cristiana, avvertendo però che tutto questo non sarà indolore, perché questa società si rivolterà contro i discepoli di Gesù che annunziano un mondo nuovo.
Gesù, e qui delude i suoi discepoli, non è venuto a restaurare il defunto regno di Israele, con la sua idea di grandezza, ma è venuto ad inaugurare il Regno di Dio, una nuova società alternativa e i principali nemici di questo regno saranno quei tre pilastri sacri di ogni società, pilastri che si reggono su valori considerati talmente sacri per la difesa dei quali si può dare la propria vita o si può togliere la vita all’altro, e sono Dio, Patria e Famiglia; sistemi di potere basati sull’obbedienza.
A Dio l’obbedienza del credente, attraverso i rappresentanti religiosi, il cittadino che deve obbedienza ai governatori e la famiglia dove la moglie deve obbedire al marito e il figlio al padre.
Ebbene saranno proprio questi tre ambiti che si rivolteranno contro Gesù e contro i suoi discepoli perché Gesù ha presentato un Dio diverso, un Dio che non comanda, ma che serve, un Dio soprattutto che non chiede obbedienza, ma somiglianza al suo amore.
Allora questi tre ambiti dominati dal potere e dall’obbedienza si rivolteranno contro i discepoli di Gesù che, con il loro annunzio di una società diversa, un modello di vita completamente differente, metteranno in crisi proprio le basi, le radici di questa società autoritaria. Ecco perché Gesù dice che “saranno portati di fronte alle sinagoghe, di fronte ai governanti, ma addirittura all’interno della famiglia ci sarà un odio mortale che farà sì che tra congiunti, appartenenti alla stessa famiglia, ci si ammazzerà”.
Perché? Perché l’adesione a Gesù verrà considerata un crimine talmente grave da annullare perfino i legami di sangue. Ma Gesù assicura: “Nonostante queste sofferenze, nonostante queste inevitabili tribolazioni, persecuzioni, siete i vincitori.” E conclude: “Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”.
E Gesù assicura che neanche un capello, la parte più piccola della persona, andrà perduto.
Quindi chi collabora al messaggio di Gesù, all’inaugurazione del Regno di Dio, è già vincitore contro queste forze che sembrano preponderanti, contro queste forze che schiacciano, questi poteri che sembrano indistruttibili, Gesù ci assicura: “Lavorate per il Regno e uno dopo l’altro, cominciando dal tempio di Gerusalemme, tutte queste istituzioni si dissolveranno nel nulla”.
Il brano dell’evangelista continua poi con il versetto 28 in cui conferma che è un’immagine di speranza, di salvezza e non di paura. Gesù annunzia: “Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo perché la vostra liberazione è vicina”. Quindi non catastrofi che mettono paura al gruppo di discepoli, ma l’annunzio di una grande verità: tutto quello che domina, che opprime e umilia l’uomo, man mano nella storia cadrà.
Questo comporterà inevitabili sofferenze ai componenti della comunità cristiana, ma questo non li deve scoraggiare perché sono già i vincitori.

image_pdfimage_print
image_pdfimage_print