una teologia per i rifiuti

lacrima

 

 

un libro decisamente interessante quello di G. Cuozzo, docente di filosofia teoretica all’Università di Torino dal titolo: ‘filosofia delle cose ultime’ dedicato al tema degli ‘scarti’ e dei ‘rifiuti’ della storia

si può uscire dalla nostra ‘società dello scarto’ ?  

e se fosse proprio lo ‘scarto’ a suggerire una vera alternativa?

una bella intervista al professor Cuozzo di R. Righetto su l’ ‘Avvenire’:

 

 

Una teologia per i rifiuti

 

intervista a Gianluca Cuozzo

a cura di Roberto Righetto
in “Avvenire” del 28 novembre 2013

Quanti autori, spesso più scrittori che filosofi, si sono affacciati, o meglio si sono sforzati di penetrare e capire le contraddizioni del ’900, dall’Angelo della storia di Klee alle rovine di Eliot alle pesti di Camus. Poco prima di morire Simone Weil si diceva pronta a fare spazio a Dio, «il quale si serve di qualsiasi cosa perché pratica il recupero degli scarti». Proprio al tema degli scarti e dei rifiuti della storia dedica un saggio intenso Gianluca Cuozzo, docente di Filosofia teoretica all’Università di Torino, da poco uscito da Moretti & Vitali col titolo Filosofia delle cose ultime (pagine 184, euro 17,00).
Partirei da una frase che lei cita di Bauman: ‘I raccoglitori di immondizie sono gli eroi non celebrati della modernità’. Il nostro orizzonte è davvero quello di un mondo sopraffatto dalle proprie scorie? «La nostra civiltà è caratterizzata da vistosi fallimenti, i quali si traducono in scorie di vario genere: innanzitutto oggettuali, come l’immondo pattume al centro delle considerazioni di Bauman e Saviano; poi anche naturali, nel senso di quei resti osceni di natura, logorata e inquinata, a cui l’uomo riduce la Terra a seguito delle sue attività produttive; ma anche morali e culturali, se è vero che l’Italia, per fare un esempio, è tra gli ultimi paesi al mondo nella promozione della cultura e nella tutela del patrimonio storico-artistico; e, non in ultimo, umane: è sempre più evidente come la globalizzazione sia all’origine di un processo di accumulazione dei capitali, da un lato, e di marginalizzazione cruenta dei poveri, dall’altro. Facendo anche riferimento ad alcuni scrittori contemporanei (penso a Paul Auster e a Don DeLillo), tutto ciò mi ha spinto a un’indagine filosofica del concetto di ‘resto’ e di ‘residuale’: la nostra è una società che produce esclusione e rifiuti di ogni tipo, oggettuali e spirituali. Oggi siamo circondati dalle scorie dei nostri progetti d’ordine e di benessere: WallE, il robottino dell’omonimo film d’animazione che accumula rifiuti su rifiuti in un mondo devastato, è il simbolo del presente. Qualcosa di decisivo è sfuggito alla pretesa marcia trionfale verso la realizzazione della società ipertecnologica e governata dall’economia finanziaria. La mia è una disamina pessimistica ma non rinunciataria. Lo stesso Wall-E, che raccoglie oggetti desueti e abbandonati, è il simbolo di questa conversione del lutto nella speranza: un mondo altro è ancora possibile, e proprio a partire dalle scorie di ciò che resta».
Anche papa Francesco insiste molto nei suoi interventi sulla ‘cultura dello scarto’ che caratterizza la società contemporanea. Lei stesso, nella sua analisi, non sembra però trascurare la possibilità di una redenzione, fra utopia e salvezza. Dove la si può intravvedere? «Papa Francesco, nel suo essere mi perdoni l’espressione – ‘diversamente Papa’, ha richiamato l’attenzione su un tema decisivo: la nostra è una cultura dello scarto. È una società mediatica e ‘vetrinizzata’, sempre più simile a una riedizione tecnologica del Paese di Bengodi, e si fonda su una strategia dell’esclusione e della reificazione. Come uscire da questa situazione? Oggi, i grandi progetti utopici sembrano del tutto inadeguati. Pensare a una via salvifica deve far riferimento a qualcosa di diverso. Credo che sia proprio lo scarto a suggerire quest’alternativa: pensare fino in fondo al residuale, con un atteggiamento fatto di pietà e di contemplazione devota, ci conduce a far tesoro delle nostre più intime aspirazioni alla felicità, andando ben oltre il concetto di benessere invalso. I resti, in definitiva, testimoniano dell’inadempiuto: di tutto ciò in cui abbiamo sperato, e che ancora giace sepolto – come un seme prezioso e pronto a germogliare – sotto le scorie prodotte dai nostri reiterati fallimenti. Vi è come richiamo biblico in questo pensiero: ‘Gli ultimi saranno i primi’ (Mt 20,16). Occorre riaccendere il potenziale salvifico racchiuso negli scarti, prima che il mondo si trasformi
nel ‘cimitero delle occasioni sprecate’, come dice ancora Bauman».
Sulla scia di Löwith e tanti altri, lei critica l’ideologia del progresso, che del resto la lunga scia di orrori del ’900 ha messo fortemente in dubbio. Ma è una categoria proprio da dimenticare? Non c’è bisogno di riscoprire una filosofia della storia? «Sì, occorre impegnarsi a ideare una nuova filosofia della storia, senza di cui l’uomo è sprovvisto di ogni bussola per orientarsi tra i flutti dell’accadere storico. Solo che questa filosofia deve essere ben altra cosa dalla credenza nel progresso. Soprattutto, la nuova filosofia della storia deve essere al contempo una nuova filosofia della natura: una natura che oggi è piccola e brutta, ma che in fondo continua a essere il presupposto del nostro esistere. Va riscoperto il concetto di limite a ben vedere, una delle nozioni meno frequentate dalla nostra civiltà dei resti e dello spreco. Vi è un limite a tutto: all’economia, che produce ricchezza in un contesto di risorse finito; alla tecnica, che non può e non deve sostituirsi ad altre forme di sapere tradizionali (come la filosofia e la teologia); ai consumi, che si fondano su un principio di insoddisfazione cronica tale da ingenerare frustrazione; infine, alla fiction mediatica in cui siamo immersi. Il filosofo della storia dovrà iniziare la riflessione da questo ‘cafarnao’ degli scarti: questi dovrà raccattare, per citare Baudelaire, ‘come un avaro un tesoro, le immondizie […] rimasticate dalla divinità dell’Industria’, con la speranza che essi diventino il fondamento di una società più giusta ».
Lei compie un vasto excursus dalla letteratura al cinema sul tema apocalittico. Quali romanzi e quali film più incarnano la sua prospettiva? «I due romanzi di Auster e DeLillo, Nel paese delle ultime cose e Underworld. Nel primo due personaggi offrono degli spunti per una riflessione in controtendenza rispetto alla fede nel progresso: Bing Nathan e l’Uomo di Lattina. Bing Nathan è l’ideatore dell’Ospedale delle cose rotte, in cui ci si prende cura di quegli oggetti – vecchie radio a valvole, macchine per scrivere, grammofoni, giocattoli a molla che sono stati spazzati via dall’economia dell’usa e getta. Suo sogno è di forgiare una nuova realtà sulle rovine di un mondo andato a rotoli. L’Uomo di Lattina appare invece sul finire del romanzo: è un mendicante che vive di ciò che trova nei cassonetti, quasi a testimoniare che tra i rifiuti è ancora possibile intravedere quella terra promessa da sempre desiderata nei nostri consumi di merci e gadget alla moda».
E tra i film? «Dopo il già citato Wall-E , di cui il recente Elysium è solo una copia sbiadita, non vorrei dimenticare Blade Runner , che risente ancora di quell’afflato teologico che è tipico dei romanzi del grande narratore statunitense Philip K. Dick. Oltre al mondo dei replicanti, in esso è magistralmente descritta la nostra dipendenza allucinata dal grande spettacolo della finzione – una sorta di riedizione della caverna platonica trasformata in tv, radio e spot promozionali di ogni tipo».
Il libro si intitola ‘Filosofia delle cose ultime’ e non a caso lei inizialmente cita René Girard e le tre forme di apocalisse (distruzione atomica, catastrofe ecologica e manipolazioni genetiche) che lui delinea. Dal punto di vista teologico quali autori sente più affini? «Non citerò un teologo vero e proprio, bensì un filosofo a me molto caro: Walter Benjamin, per il quale non ci sarà futuro per l’umanità se non saremo in grado di riscoprire, sotto le rovine dei nostri fallimenti, un monito decisivo rispetto ai nostri progetti del presente e dell’immediato futuro. La salvezza, ecco il cuore teologico del pensiero benjaminiano, è l’oggetto di una ‘memoria profetica’: di fatto, la speranza balena nel momento preciso in cui ci rivolgiamo al passato pronti a cogliere, tra i rottami che la storia scaraventa ai nostri piedi, una chance del tutto nuova per la redenzione».

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papa Francesco? ‘un rivoluzionario radicale’

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in ‘evangelii gaudium’ papa Francesco esprime in modo ufficiale il suo pensiero come in un vero e proprio ‘documento programmatico’ o ‘dichiarazione di governo‘ e lo fa come un vero ‘rivoluzionario radicale’: così viene delineato nel bell’articolo di I. Bruggenjurgen:

Un rivoluzionario radicale

di Ingo Brüggenjürgen
in “www.domrardio.de” del 27 novembre 2013 

Accidenti! Quest’uomo mantiene quel che promette! Dice quello che pensa e pensa quel che dice. Già la lingua è rivoluzionaria, perché è chiara, semplice e comprensibile da tutti. Non si può dire lo stesso di tutti i documenti che sono stati scritti in Vaticano negli ultimi decenni… Il primo documento ufficiale di cui il papa ora porta interamente la responsabilità, può essere considerato a buon diritto come la sua “dichiarazione di governo”. Qui è Bergoglio in persona a parlare! Questa volta non è soltanto una piccola omelia mattutina a Sant’Anna, è il papa che parla in maniera convincente alla coscienza di un miliardo di cristiani, anzi a tutti gli uomini di buona volontà. Le sue parole esprimono una pretesa esagerata per ogni singolo cristiano! Per preti e religiosi, per vescovi e anche per cardinali.
Se un cardinale emerito dichiara che il conclave è stato positivo perché diretto dallo Spirito Santo, ma che ora però i cardinali dovrebbero urgentemente spiegare al nuovo papa in che direzione andare, diventa evidente quanto la pretesa sia esagerata. Ma al “cardinale dei poveri” arrivato da Buenos Aires, che ora si definisce in maniera collegiale “vescovo di Roma”, nessuno ha bisogno di spiegare il come e il dove. E neppure come essere all’altezza del suo magistero e della sua responsabilità. Perché Francesco si ispira totalmente, come già il santo di cui porta il nome, a Gesù Cristo e al Vangelo.
L’esortazione apostolica da lui ora emanata “Evangelii Gaudium” non farà contenti tutti, in quanto è rivoluzionaria e radicale: i cristiani devono abbandonare il loro autocompiacimento, la loro illusoria sicurezza. Devono sporcarsi le mani rivolgendosi senza se e senza ma al mondo, ai poveri, ai piccoli. E annunciando il vangelo con gioia. Agire attivamente nel mondo e anche sbagliare, piuttosto che sentirsi a posto con se stessi, restando con paura dietro le porte chiuse delle chiese o  le alte mura dei conventi in un’illusoria sicurezza.
Il settantaseienne del Vaticano mette in movimento i suoi fratelli e le sue sorelle, e non esclude se stesso dall’invito al cambiamento. No, anche le affermazioni del magistero papale non possono valere automaticamente, sempre illimitatamente e per ogni stagione (!). Quindi Francesco offre alla discussione anche le sue parole. Ritiene che i vescovi nelle varie parti del mondo dovrebbero, se appena è possibile, risolvere da soli i loro problemi e assumersi maggiore responsabilità per la Chiesa universale. Afferma che la Chiesa non deve più sopportare un sistema economico in cui il mercato viene idolatrato e il consumo è diventato da tempo l’unico criterio. Che nuove forme di schiavitù, come ad esempio la prostituzione, dovrebbero essere abolite, e che i profughi minacciati dovrebbero essere accolti. Che le donne dovrebbero poter partecipare alle decisioni importanti – anche se il presbiterato femminile rimane un tabù. Che la comunione “non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio ed un alimento per i deboli”. A questo punto, a chi si può ancora assolutamente rifiutare questo alimento?
Ma Francesco lo sa quale genio sta facendo uscire dalla bottiglia? Sicuramente, dato che dall’inizio del suo magistero è sempre stato coerente – nel suo modo di parlare e di agire. Chi fino ad oggi ancora presumeva che il papa fosse un bonaccione cordiale e affettuoso, un “papa orsacchiotto” un po’ impacciato, da toccare e abbracciare, un tipo da gesti simpatici che attirano i media, deve strofinarsi gli occhi meravigliato: quest’uomo prende davvero sul serio la sequela di Cristo e del suo messaggio. Aggiornamento molto concreto – cristiani, aprite porte e finestre e andate, andate fuori! Ora davvero ad ogni cristiano è lecito, anzi, ogni cristiano deve alzare le chiappe e mettersi in cammino. Comoda e semplice la sequela di Cristo non lo è stata mai. Ma quell’uomo che arriva
dall’altro capo del mondo non ci mette solo in cammino, ce ne dà anche il coraggio. Se lui, in età avanzata, in una Chiesa vecchia di più di 2000 anni, coraggiosamente si mette a percorrere nuove strade, perché noi non dovremmo almeno tentare? Pronti, in piedi, e via! Sappiamo che non c’è nulla di buono se non viene fatto. Il vecchio in Vaticano dice ciò che pensa e fa, e ciò che dice fa proprio bene alla sua Chiesa in questa stagione. Un rivoluzionario radicale al soglio petrino – che Dio sia ringraziato!

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una ‘app’ tutta dedicata a papa Francesco

Quant’è moderno Papa Francesco? Tanto da avere un’app tutta per lui!

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è l’Ansa a lanciare una nuova app dedicata interamente al Pontefice.

Si chiama “Papa Francesco News” e riporta notizie, speciali e approfondimenti sul nuovo corso in Vaticano, permettendo di restare sempre aggiornati sui principali eventi che coinvolgono il Santo Padre, la sua svolta riformatrice, il suo stile, la visione della ‘’chiesa povera’’.

  Non mancheranno inoltre le migliori foto che testimoniano non solo il suo operato ma anche i fuoriprogramma, i momenti solenni e le curiosità. Di facile consulatazione, la nuova app permette di non perdere nessuna novità su quanto riguarda documenti pontifici, discorsi del Papa, vita delle istituzioni vaticane e celebrazioni dei grandi appuntamenti. E ancora si trovano approfondimenti sulla sua biografia e non mancano le analisi della vaticanista Ansa Giovanna Chirri, la giornalista che per prima ha dato al mondo la notizia delle dimissioni di Papa Ratzinger. Ancora, sarà possibile avere sul cellulare la storia di Papa Francesco raccontata da Francesca Ambrogetti, autrice della biografia del Pontefice nella quale racconta 3 anni di conversazioni con Bergoglio sulla sua vita e su Dio. Per tutte le informazioni, basta dare uno sguardo a http://www.papafrancesconewsapp.com.

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il papa fa sul serio

Udienza Generale del mercoledì di Papa Francesco

 

M. Politi in questo bell’articolo evidenzia la determinazione e l’ufficialità della linea innovativa, ‘rivoluzionaria’, di papa Francesco espressa in modo inequivoco in un vero e proprio ‘atto di magistero’ quale è la quasi-enciclica ‘evangelii gaudium’:

il Papa fa sul serio

Ora è ufficiale

di Marco Politi
in “il Fatto Quotidiano” del 28 novembre 2013

Ora che la perestrojka di papa Francesco è messa nera su bianco con la pubblicazione dell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, credenti e mondo laico possono misurare l’ampiezza del progetto di riforma, che il nuovo pontefice ha in mente. Questa volta non si tratta di interviste o di riflessioni colloquiali, ma di ciò che in linguaggio ecclesiastico si chiama un “atto di magistero”. Cioè di un intervento che promana direttamente dall’autorità suprema della Chiesa cattolica. Su questo testo si potranno misurare nei mesi e negli anni a venire successi, resistenze, conflitti (come ne conobbero Giovanni XXIII e Paolo VI) e possibili sconfitte del pontificato argentino.
Francesco vuole rimodellare la Chiesa nella sua struttura, nel suo stile di cura delle anime e nel suo approccio verso la società contemporanea. Allo stesso tempo il nuovo papa sviluppa ancora più robustamente la dottrina sociale della Chiesa, portando a conseguenze più nette l’insoddisfazione di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI nei confronti delle politiche liberiste senza vincoli, che acuiscono la miseria, la precarietà e l’emarginazione sociale, arrivando al punto di lanciare un grido di allarme non retorico: “Fino a quando non si eliminano l’esclusione e l’inequità nella società e tra i diversi popoli sarà impossibile sradicare la violenza. Si accusano della violenza i poveri e le popolazioni più povere, ma, senza uguaglianza di opportunità, le diverse forme di aggressione e di guerra troveranno un terreno fertile che prima o poi provocherà l’esplosione”. Nettissima nelle sue argomentazioni, la parte sociale del documento sarà rapidamente archiviata dalle attuali élites governanti (a cominciare in Italia sia dai partiti di centro e centro-destra che si richiamano alla tradizione democristiana e del partito popolare europeo sia dall’attuale governo e dal rampante aspirante alla segreteria del Pd, Renzi) perché il papa chiede una rifondazione dell’economia sociale di mercato e nessuno dei politici in questione ha il coraggio di affrontare il tema. Sul piano interno – la fisionomia della comunità ecclesiale e il modo di rapportarsi dei “pastori” ai fedeli e ai loro problemi esistenziali – la Chiesa di Bergoglio torna a pensare in grande come ai tempi del concilio Vaticano II, a cui evidentemente si riallaccia. Non perché Giovanni Paolo II e papa Ratzinger non pensassero in grande. Ma il papa polacco si muoveva in grande nel suo dinamismo geopolitico, tenendo però immutata dottrina e struttura della Chiesa. Mentre Benedetto XVI pensava in grande sul piano filosofico, ma lasciava che la Chiesa si chiudesse in una trincea contraria ad ogni innovazione. Francesco intende lavorare per una ristrutturazione del potere nella Chiesa. Vuole chiudere con il centralismo esasperato, arrivare a un ragionevole decentramento, rivedere il modo di esercizio del primato papale riprendendo l’dea di un confronto con le altre Chiese cristiane come auspicato da Giovanni Paolo II nell’enciclica Ut Unum sint. Vuole archiviare il clericalismo esasperato e coinvolgere nei processi decisionali i laici e in particolare le donne, che – scandisce – devono essere presenti nei “luoghi dove vengono prese le decisioni importanti”. (Benché il sacerdozio resti maschile). Soprattutto il suo programma postula un ruolo attivo e proprio delle conferenze episcopali. Qui la rottura con la linea di Ratzinger è netta. Per Ratzinger le conferenze episcopali non avevano nessuna autorità ecclesiale né potevano impegnare il singolo vescovo. Francesco dice il contrario: le conferenze episcopali abbiano un loro statuto preciso, “attribuzioni concrete (e) anche qualche autorità dottrinale”. È la fine (almeno come progetto) dell’assolutismo ereditato dal Concilio di Trento e dell’ossessione di un potere papale quasi divino come l’aveva voluto Pio IX. Quanto alla pastorale il papa sferza i preti, che si abbandonano alla mondanità, l’impigrimento, l’egocentrismo, la rassegnazione, la mania di parlare dal pulpito in veste di “esperti di diagnosi
apocalittiche o giudici oscuri che si compiacciono di individuare ogni pericolo o deviazione”. Francesco vuole una Chiesa gioiosa nell’evangelizzare. L’aborto resta una male, il matrimonio resti unito, ma non è compito dei preti agire come alla barriera di una “dogana”, perché “l’eucaristia… non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli”. Anche qui l’inversione di rotta rispetto alla linea di Wojtyla e Ratzinger è palpabile.

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