capire papa Francesco a partire dalla ‘terra di nessuno’ che frequentava

Papa Francesco: A piedi nelle viscere di Buenos Aires

Cattura

 

 un bell’articolo di Marco Politi (su ‘il Fatto quotidiano’) descrive l’apostolato del card. Bergoglio prima dell’elezione a papa: Bergoglio non usava né l’auto né l’autista, così come rifiutò sin dall’inizio il palazzo arcivescovile, scegliendo per sé due stanze al terzo piano della curia diocesana. Sapeva guidare, ma da primate d’Argentina ha scelto di immergersi nel flusso quotidiano della gente sui mezzi pubblici“La povertà s’impara toccandola” Spostarsi così non è una prova di ascesi, è uno stile di vita a contatto con l’umanità affannata di megalopoli

Buenos Aires Nel ventre di Buenos Aires sulla metro di Jorge Mario Bergoglio. Stazione Bolivar, a due passi dalla cattedrale. Linea “E”, destinazione piazza Virrey. Si va verso una delle Villas Miseria, le borgate di baracche e case abusive che il futuro pontefice visitava regolarmente nel corso dei mesi. Il convoglio arriva lentamente con rumore di ferraglia, i vagoni ricoperti di graffiti. Fa caldo tra i pendolari assiepati. Intorno a Jorge c’è chi rimugina i suoi pensieri, fissa le pareti del tunnel scandite dalla luce al neon, ciondola la testa assonnato, guarda nel vuoto con lo sguardo rassegnato. Qualcuno – anche se giovane – porta negli occhi uno sguardo duro, feroce. A ogni fermata una scossa e uno stridio assordante di freni. Quaranta minuti di metro nel rimescolamento di razze, origini, storie che è Buenos Aires. Discendenti di spagnoli, italiani, giapponesi, cinesi, africani, tedeschi, francesi, autoctoni dell’America centrale, immigrati sudamericani di ogni specie. Impiegati attenti al bilancio familiare, giovani aggrappati a un’occupazione qualsiasi, masse sul filo della sopravvivenza. Bergoglio non usava né l’auto né l’autista, così come rifiutò sin dall’inizio il palazzo arcivescovile, scegliendo per sé due stanze al terzo piano della curia diocesana. Sapeva guidare, ma da primate d’Argentina ha scelto di immergersi nel flusso quotidiano della gente sui mezzi pubblici. Metro e autobus. A piazza Virrey risalgo i 35 gradini che l’ultrasettantenne si faceva con le sue scarpe ortopediche e l’anca indolenzita. Arrivo sotto una grande tettoia – aria afosa d’estate, fredda e umida d’inverno – in attesa della pre-metro, uno scalcinato trenino urbano che si inoltra verso le periferie. Ci vuole un’ora in tutto per arrivare a destinazione. Un’altra ora per tornare. E infinite ore durante l’anno per raggiungere i più vari luoghi dove era richiesta la sua presenza. Non c’è prelato di curia in Vaticano o cardinale o vescovo di piccola città di provincia disposto a sottoporsi a questa snervante routine. “La povertà s’impara toccandola” Spostarsi così non è una prova di ascesi, è uno stile di vita a contatto con l’umanità affannata di megalopoli. Nel ventre di Buenos Aires si sperimenta il groviglio di esistenze di una città, che oltre ai tre milioni di abitanti del suo nucleo ne ha altri dieci, che gravitano sul centro. Anzi, sui “centri” così variegati di una metropoli, in cui si passa dai palazzi, che riecheggiano la Parigi di fine Ottocento, ad eleganti edifici anni Trenta, modernissimi grattacieli in vetrocemento per finire nelle giungle di case popolari senz’anima e precipitare nella galassia delle baraccopoli. “Villa Ramon Carrillo” è l’ultima borgata abusiva in cui l’ar – civescovo Bergoglio ha voluto impiantare una parrocchia. Case abusive lasciate a metà o cresciute per successive superfetazioni. A pochi metri dalla fermata del trenino urbano si interrompe la strada asfaltata, si entra in terra di nessuno, terra battuta e rigagnoli perpetui che odorano di fogna. Qui finisce la legge. Nella maggior parte di queste baraccopoli i taxi si rifiutano di entrare. Padre Bergoglio arrivava a piedi in queste borgate, tra gli sguardi degli abitanti ora affettuosi e festosi ora diffidenti. Strade in terra battuta piene di buche o dall’asfalto frantumato. Dove stazionano macchine fuori corso rappezzate mille volte, i bambini giocano accanto ai rigagnoli che odorano di fogna, una madre spulcia la figlia, i cani randagi girano da un crocicchio all’altro. Un labirinto di case malfatte, in cui sul primo piano intonacato se ne è costruito un secondo fatto di mattoni e poi un terzo. Balconi improvvisati, stanze non finite e senza tetto. Bidoni, scheletri di tavoli e letti buttati per strada. Al di là di un cavalcavia si raggruma una borgata ancora più precaria, si chiama Villa Esperanza. Vicoli stretti dove passa appena una persona. Su una cella di cemento spicca un cartello “Si vende”. Dappertutto le inferriate che costellano ossessivamente porte e finestre, verande e l’atrio minuscolo del verduraio. Anche l’edicola di san Gaetano, patrono del pane e del lavoro, è coperta da un reticolato di metallo così fitto che non si vede nemmeno l’immagine. “La povertà teorica non interessa, la povertà si impara toccando la carne di Cristo povero”, ha sempre sostenuto Bergoglio e lo ha ripetuto da papa ancora recentemente. Qui, spiega padre Pedro Baya Casal, 43 anni, che regge insieme ad un altro prete la parrocchia dell’Immacolata, Bergoglio veniva ogni anno per la festa della Vergine e poi in occasione di riunioni dei preti di borgata. E questo in ognuna delle varie baraccopoli di Buenos Aires. Veniva a piedi con la sua cartella, chiacchierava con la gente, partecipava alla processione, vedeva crescere i figli della donne che aveva cresimato anni prima. Una chiesa “ospedale da campo” Non aveva paura di entrare in strade dove droga e violenza scandiscono la giornata. “A volte ho sentito letteralmente le pallottole intorno a me”, spiega padre Baya. Ai funerali di un ragazzo ucciso in uno scontro tra bande, il prete – abbrac – ciato dai coetanei piangenti della vittima – av – vertiva il calcio duro della pistola sotto le loro giacche. “A tratti mi dico esasperato: ma cosa si può fare? Poi riprendo a lavorare…”. A un centinaio di metri dalla parrocchia la casa annerita del presunto responsabile della pallottola mortale testimonia la vendetta dei parenti dell’ucciso. Qui e nelle altre baraccopoli circolano armi che anche i giovanissimi si procurano facilmente e circola la droga pazza, il paco, estremamente a buon mercato e rapidissima nel provocare dipendenza. “Brucia il cervello”, dicono a Buenos Aires. Allucinato, il tossico deruba prima i parenti del poco che hanno, poi va per le strade e uccide per un nonnulla. Mentre sono in Argentina, leggo di una giovane madre, che spingeva la carrozzella del pupo, sgozzata in provincia perché difendeva il suo borsellino. Qui, al contatto con la miseria quotidiana – e non davanti alla televisione o ai convegni di sociologia – Bergoglio ha maturato la sua idea di Chiesa “ospedale da campo”. Padre Baya mi racconta che seguiva da vicino l’opera dei preti delle baracche. Convogliava in queste zone parecchi sacerdoti. Durante il suo periodo di guida delle diocesi ha raddoppiato da undici a ventidue la presenza di preti nelle Villas miseria. “I poveri meritano il meglio, era solito dire”, racconta Baya. Concreto e determinato aiutava sistematicamente questi avamposti di umanità a realizzare doposcuola, centri per anziani, laboratori di formazione professionale, scuole di recupero, centri di riabilitazione per tossicodipendenti. In queste zone perdute Bergoglio ha forgiato la sua pastorale della misericordia. “Non dire mai domani, ci esortava, se qualche fedele viene a chiedere di confessarsi o un’estrema unzione”. E non dire “domani” se si tratta di ascoltare un genitore in difficoltà, aiutare economicamente una famiglia, portare qualcuno all’ospedale o facilitare un’operazione”. “Bergoglio – dice un altro celebre prete di borgata, padre Pepe Di Paola, nominato da lui primo vicario episcopale per le baraccopoli – non ha mai guardato alla realtà dalla prospettiva di Plaza de Mayo (la piazza della cattedrale e del palazzo presidenziale), ma dai luoghi del dolore, della miseria, della povertà: dal basso di una borgata o di un ospedale”. C’è un grande equivoco in Vaticano: Francesco non viene dalla “fine del mondo”. È il primo papa che viene dalle viscere pulsanti di una metropoli. Nessuno, da Pio XII a Benedetto XVI, ha mai fatto un’esperienza così drammatica e moderna.

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p.Maggi commenta il vangelo della domenica

 

 

p. Maggi

SANTA FAMIGLIA 

29 dicembre 2013

PRENDI CON TE IL BAMBINO E SUA MADRE E FUGGI IN EGITTO 

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi

 

Mt 2,13-15.19-23

I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli

disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti

avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».

Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino

alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del

profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio».

Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse:

«Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti

quelli che cercavano di uccidere il bambino».

Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a

sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi.

Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città

chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Saràchiamato Nazareno».

La terra promessa si è trasformata in una terra di schiavitù e di morte, dalla quale bisogna scappare.

L’evangelista anticipa, negli episodi dell’infanzia di Gesù, quei tragici avvenimenti che poi si

svilupperanno durante tutta l’esistenza del Cristo. Ma vediamo il testo.

“Essi erano appena partiti”,

sta parlando dei magi, “quando l’angelo del Signore”, ecco tornare questa

formula, cioè Dio. Dio, quando interviene presso gli uomini, non viene mai presentato come realtà

divina, come se stesso, come il Signore, ma sempre con questa formula ‘angelo del Signore’, ma è

sempre il Signore quando entra in contatto con l’umanità.

Questo angelo del Signore interviene tre volte in questo vangelo per annunziare la vita di Gesù a

Giuseppe, per proteggerla, come in questo caso, dalle mire omicide di Erode, e poi per confermarlo al

momento della risurrezione.

“Apparve in sogno”,

il Signore appare in sogno ai profeti, quindi Giuseppe viene in qualche modo

qualificato come un profeta,

“E gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi inEgitto»”.

Ecco la terra promessa si è trasformata in una terra di schiavitù. Il popolo era scappato

dall’Egitto per entrare nella terra promessa, ma adesso deve scappare dalla terra promessa per andare a

trovare rifugio proprio in Egitto.

«E resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per uccide»rl”o.

La notizia è

verosimile. Sappiamo che Erode, il re legittimo, sospettoso di chiunque potesse togliergli in qualche

maniera la corona, non esitò ad eliminare una decina di suoi familiari, addirittura ammazzò tre figli,

l’ultimo appena qualche giorno prima di morire. Quindi la notizia è verosimile.

Ma è la risposta del potere al dono di Dio, come il faraone tentò di uccidere Mosè, così Erode tenta di

uccidere Gesù. E l’evangelista descrive la fuga di Giuseppe come la fuga del popolo ebraico dall’Egitto

nella notte di Pasqua. Infatti

“Egli si alzò nella notte”, come la notte della liberazione, “prese il bambino

e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse quello che era

stato detto dal Signore per mezzo del profeta

«Dall’Egitto ho chiamato mio figlio ”.

Quindi l’evangelista adopera questa profezia di Osea per vedere come l’azione del Signore protegge

sempre il suo popolo quando si trova in situazioni di pericolo.

“Morto Erode …”, ecco di nuovo l’angelo

del Signore che torna di nuovo in azione,

“…. Un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse:

« Alzati, prendi con te il bambino e sua madre» …”,

e ci saremmo aspettati che l’angelo dicesse a

Giuseppe “Torna nella terra di Israele”.

E invece gli dice

«Va nella terra d’Israele»”, e vedremo il perché. «Sono morti infatti quelli checercavano di uccidere il bambino

L’evangelista prende questa ultima espressione dal libro dell’Esodo

dove si legge che

“il Signore disse a Mos«èA: lzati e torna in Egitto: sono morti quelli che attentavano

alla tua vita»”.

Quindi l’evangelista presenta Gesù come il nuovo Mosè, il nuovo liberatore del suo popolo. Ma perché

l’evangelista qui, oltre alla citazione del libro dell’Esodo, dice che sono morti quelli che cercavano di

uccidere il bambino quando in realtà è uno, Erode, quello che cerca di uccidere il bambino? Perché

l’evangelista vuole anticipare quella che sarà l’azione dell’istituzione religiosa contro Gesù. Quindi nei

‘quelli’ vengono compresi i farisei, i sommi sacerdoti, gli anziani, tutta l’élite religiosa che si scatenerà

contro Gesù “Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra di Israele”.

Ecco anche qui di nuovo ci saremmo aspettati ‘tornò nella terra di Israele’, invece l’evangelista scrive che Giuseppe, con il bambino e la moglie, non torna nella terra di Israele, ma entra. Fa l’ingresso come il popolo quando entrò nellaterra promessa. Quindi c’è già l’anticipo di quello che sarà il processo di liberazione, il nuovo esodo che

Gesù compirà.

Ma quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao, al posto di suo padre Erode”. Alla morte

di Erode il regno venne diviso fra i tre figli. Ad Archelao andò la Giudea con la Samaria, e l’Idumea, a

Erode Antipa la Galilea con la Perea, e a Filippo tutto il nord a oriente del lago di Tiberiade. Bene questo

Archelao era sanguinario. Iniziò con un massacro di ben tremila cittadini,

“Ebbe paura di andarvi.

Avvertito poi in sogno”,

ecco di nuovo l’azione del Signore come sempre guida Giuseppe, “si ritirò nellaGalilea”,

la regione più malfamata di Israele, una regione talmente malfamata che non ha nome.

Mentre la Giudea prende il nome da Giuda, uno dei patriarchi delle dodici tribù che hanno composto

Israele, l’espressione Galilea viene dal disprezzo con il quale Isaia, nel capitolo 8 indica la regione dei

pagani. In ebraico Isaia scrive Gelil, che significa ‘distretto, territorio’ dei pagani. Da Gelil viene il nome

Galilea, quindi indica una zona semi-pagana, una zona lontana dal centro religioso.

E non solo,

“E andò ad abitare in una città chiamata Nazaret”, una città malfamata. Sappiamo nel

vangelo di Giovanni, la meraviglia di Natanaele quando gli dicono che Gesù viene da Nazaret, e lui

sorpreso dice “Da Nazaret può uscire qualcosa di buono?“Perché si compisse ciò che era stato detto

per mezzo dei pro feta e l’evangelista non scrive ‘Nazareno’, quindi abitante di Nazaret,

ma scrive ‘Nazoreo’, ed è importante questo termine,

perché in questo termine l’evangelista racchiude tre significati:

– Nezer, che significa virgulto, dalla profezia di Isaia al cap. 11 “Un virgulto spunterà dalle sue

radici, dalla casa di Davide”, Iesse è il padre di Davide

– Nazir, che significa consacrato

– E naturalmente Nazaret, la provenienza di Gesù.

 

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la chiesa tedesca si interroga

 

 

“a cosa diciamo sì, a cosa diciamo no”

di Ludovica Eugenio (*)
In un durissimo documento pubblicato il 1° dicembre scorso sul sito (initiative-muenchner-kreis.de), intitolato «A cosa diciamo sì, a cosa diciamo no» e approvato all’unanimità da 18 parroci e diaconi (ma che gode del supporto di oltre 900 tra singoli e gruppi) i firmatari – capitanati dai diaconi Stephan Schöri e Willi Kuper, e dai parroci Hans-Jörg Steichele e Otto Wiegele – spiegano i loro obiettivi in quattro punti, allo scopo di «prendere una posizione chiara»
In primo luogo, «vogliamo esprimere la nostra solidarietà come sacerdoti e diaconi della nostra diocesi e della nostra Chiesa, nel suo complesso», uscendo dall’isolamento e dando voce al popolo di Dio, lavorando in rete con le altre iniziative simili in Germania e in Austria e Svizzera, ma anche con il resto del mondo; questa solidarietà critica deve essere rivolta anche all’esterno, tramite «il contatto con la stampa e la televisione, come espressione della nostra fiducia nel potere del discorso pubblico». Il gruppo reclama la necessità di un dialogo tra la base della Chiesa e la gerarchia («un dialogo che sia degno di questo nome»), a fronte di una grave mancanza di comunicazione, che sia sinonimo di trasparenza e tolleranza, ma anche strutture decisionali sinodali che prevedano il diritto di voto per tutti i partecipanti con la maggioranza dei due terzi, come nel Concilio Vaticano II. «Non vogliamo soltanto reagire, ma anche agire come “soggetti” della Chiesa, in modo creativo e adulto», afferma il Münchner Kreis, che è appoggiato dalla Gemeinde Initiative, iniziativa di laici cattolici critici della diocesi che finora ha raccolto circa 400 adesioni. Ognuno porta con sé «i propri carismi e le proprie risorse». Questi obiettivi fondamentali, sottolineano, vanno concretizzati nello spirito del Vangelo di Gesù Cristo e nel senso di una “Chiesa samaritana”, come affermato da papa Francesco.
Di qui, i “sì”e i “no” che il gruppo esprime: un “sì” alla riforma della Chiesa, per la quale occorre pregare; alla comunione a tutti i credenti, compresi divorziati risposati e membri di altre Chiese cristiane; alla predicazione di laici competenti durante la messa, alla conduzione della parrocchia da parte di «un uomo o una donna, sposata o non sposata, a tempo pieno o part-time, a partire non dalla fusione di parrocchie, ma dalla creazione di una molteplicità di servizi o di figure». «Meglio una celebrazione della Parola preparata direttamente dalle comunità – spiega il documento – che celebrazioni eucaristiche con preti estranei che cambiano in continuazione e che devono essere chiamati per telefono». In questa prospettiva un sì deciso viene pronunciato anche a favore del diaconato e del sacerdozio femminile, nonché degli uomini sposati.
Il gruppo auspica anche una Chiesa impegnata al fianco dei poveri e degli oppressi: «Speriamo – si legge – che affrontando i propri problemi strutturali la Chiesa possa guardare anche a quelli molto più grandi del nostro mondo di oggi: la povertà e la fame, il dramma dei rifugiati e i problemi dei richiedenti asilo, la questione del rapporto con la sessualità e la violenza, con le famiglie allargate e le questioni di genere, la minaccia costituita dal riscaldamento climatico, la convivenza delle religioni, l’ecumenismo dei cristiani e soprattutto la questione fondamentale, come parlare oggi di e con Dio e Gesù Cristo in modo che le tradizioni antiche ritrovino forza e che “la brace sotto la cenere” si faccia sentire di nuovo».
Il gruppo passa quindi ai “no”: al superlavoro, all’assunzione dell’incarico di ulteriori parrocchie (poiché «ciò ci trasforma in celebranti e dispensatori di sacramenti continuamente in viaggio e ci impedisce una pastorale basata su una vicinanza umana») alla fusione e allo scioglimento delle parrocchie, a troppe eucaristie durante il fine settimana, ai privilegi del clero, al giudizio sui divorziati risposati, sulle coppie omosessuali, sui preti che vivono una relazione violando la legge del celibato e in generale su coloro che seguono la loro coscienza prima della legge della Chiesa. I preti contestano qui la politica ecclesiale promossa dall’arcivescovo di Monaco cardinal Reinhard Marx, che sta procedendo alla fusione delle parrocchie in unità pastorali più grandi, per ovviare alla carenza di personale ecclesiastico. Dal cardinale nessuna reazione ufficiale, solo un breve comunicato dell’arcidiocesi che afferma che il documento del Münchner Kreis sarà studiato con calma, in quanto importante contributo alle discussioni su emergenze pastorali.
Chi invece è intervenuto subito nella vicenda è il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede monsignor Gerhard Ludwig Müller che, probabilmente, non si è lasciato sfuggire l’occasione di censurare le rivendicazioni della diocesi del suo antagonista cardinal Marx. Müller, infatti, in un’intervista al quotidiano Passauer Neue Presse di cui dà notizia l’agenzia germanofona kath.net, ha ribadito che «il credo religioso non deve essere confuso con un programma di partito, che può essere sviluppato e interpretato a seconda dei desideri dei membri o degli elettori di quella stessa formazione politica». «La responsabilità pastorale – ha aggiunto Müller – deve sempre fondarsi sulla sana dottrina». Qualche settimana fa, Marx aveva contestato la chiusura della discussione sui divorziati risposati da parte di Müller affermando che il dibattito non poteva essere arrestato. D’accordo con Müller è il prefetto della Segnatura apostolica, cardinal Raymond Burke: «Müller non ha espresso la sua opinione personale, ma ha ricordato l’insegnamento della Chiesa, che non può essere modificato. Diffondere l’idea che ci sarà un drastico cambiamento e che la Chiesa non rispetterà più l’indissolubilità del matrimonio, è sbagliato e dannoso». Di segno diverso, invece, le parole che il cardinal Walter Kasper ha pronunciato in un’intervista al settimanale die Zeit: «Ciò che è possibile a Dio, cioè il perdono, deve valere anche per la Chiesa».
(*) Pubblicato da ADISTA
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il no del sindaco alle ‘casette in legno’ per i sinti

 

Tambellini blocca la riqualificazione del Campo nomadi

 

«Ritengo che sia il momento di sgombrare il campo da tutte le ipotesi più o meno fantasiose che ho letto sugli organi di stampa a proposito del campo di accoglienza, erroneamente definito ‘Campo nomadi’»

«Non ci sono le condizioni tecniche, urbanistiche e finanziarie per proseguire con questo progetto»

 

A parlare in una nota diffusa alla stampa è il sindaco di Lucca Alessandro Tambellini. «L’ipotesi di intercettare un finanziamento regionale ad hoc per riqualificare l’area attualmente utilizzata come campo di transito e per dotarla di strutture destinate all’accoglienza provvisoria è stata attentamente vagliata dall’Amministrazione.

Dopo aver appreso tramite gli uffici comunali dell’esistenza di una linea di finanziamento regionale a ciò specificatamente destinata ho dato mandato agli uffici competenti, che ringrazio per l’ottimo lavoro fatto, di esplorare la fattibilità e gli eventuali costi dell’operazione. Questo perché ritengo che la decennale vergogna del grave livello di degrado raggiunto dalle aree sulle quali oggi insistono i campi nomadi del nostro territorio andasse risolta una volta per tutte in modo strutturale. Fino ad oggi, infatti, tutte le Amministrazioni che si sono succedute hanno accuratamente fatto finta di non vedere la situazione presente a due passi dalle mura urbane e nel bel mezzo del parco fluviale.

Per questo motivo, ho ritenuto fosse doveroso studiare la questione per valutare se l’opportunità del finanziamento potesse rappresentare l’occasione giusta per riqualificare l’area. Tuttavia, dalle analisi fatte è emerso che, allo stato, non ci sono le condizioni tecniche, urbanistiche e finanziarie per proseguire con questo progetto.

Ciò detto, non intendo nascondere che resta irrisolto un problema che, comunque non può più continuare ad essere ignorato. Purtroppo, spesso la discussione su questo tema trascende e compaiono toni forti e polemici che raggiungono talvolta il livello della discriminazione, facendo perdere di vista la vera criticità. Tutte le città che hanno affrontato scelte innovative su questi temi hanno impegnato energie e lunghi periodi di sperimentazione, ma è su questo che si qualificano le politiche di inclusione e coesione sociale. Manterremo quindi un confronto aperto su questi temi econclude il primo cittadino – invitiamo la città, in tutte le sue articolazioni, a passare ad un livello propositivo e a collaborare con l’amministrazione per risolvere quello che è un problema di tutti».

@loschermo

ma l’assessore cerca una soluzione

Il sindaco cancella il progetto casette, ma la Vietina convoca per oggi la maggioranza con un consulente esterno

Lucca, 30 dicembre 2013

RETROMARCIA innestata. Almeno per ora. Anche perché il rischio di trovarsi nell’ennesimo vicolo cieco politico era davvero alto. Il sindaco Tambellini, sulla contestatissima vicenda delle casette in legno per i nomadi di via delle Tagliate, stretto dalle polemiche di queste settimane, ha preferito dare l’alt, affermando che per il progetto non ci sono le condizioni tecniche, urbanistiche e finanziarie, per quanto la Regione si fosse dichiarata disponibile a stanziare circa 7-800mila euro. Segno che sarebbe costato molto di più.

E sarebbero stati soldi di palazzo Orsetti. In realtà su questa ipotesi si erano addensate anche le riserve di tanti esponenti della maggioranza, pronti a mettere in discussione la scelta nel Consiglio del 7 gennaio prossimo. Il sindaco ha però aggiunto che il problema resta irrisolto. Come a dire che la questione non finisce qui, lasciando spazio a nuove soluzioni.
«TUTTE le città – ha spiegato Tambellini – che hanno affrontato scelte innovative su questi temi hanno impegnato energie e lunghi periodi di sperimentazione, ma è su questo che si qualificano le politiche di inclusione e coesione sociale. Manterremo quindi un confronto aperto su questi temi e invitiamo la città, in tutte le sue articolazioni, a passare ad un livello propositivo e a collaborare con l’amministrazione per risolvere quello che è un problema di tutti».
PER ORA è sicuramente un problema della sua maggioranza, che sul tema appare molto divisa. Nonostante il vice sindaco Ilaria Vietina si sia spesa e si stia spendendo in prima persona. Vietina, però, non si dà per vinta. Per oggi pomeriggio ha infatti convocato in tutta fretta un tavolo aperto a tutti i consiglieri comunali di maggioranza e agli assessori.

Non nasconde che le posizioni sul tema sono molto differenziate, arrivando a parlare di «orizzonti culturali» molto diversi nella stessa maggioranza che sostiene il sindaco. Ecco allora un incontro di approfondimento per creare un gruppo di lavoro in grado di arrivare a una nuova proposta sul tema. E per farlo l’assessore chiama un esperto sulla tematica nomadi. Sergio Bontempelli, ex Democrazia Proletaria, poi in Rifondazione Comunista e Collettivo Studentesco, ora impegnato sui temi dell’immigrazione e particolare attenzione per Rom e Sinti.

A Pisa, Bontempelli si è impegnato in alcune vertenze proprio per il diritto alla casa per i Rom. Vietina, dunque, prova a rilanciare, dopo aver ottenuto una sorta di via libera da Tambellini a ripartire da zero su un tema che ha scatenato una raffica di posizioni contrarie in città.  

Fabrizio Vincenti

l’assessore Vietina ormai l’ha presa di petto, meglio a cuore, e va avanti costi quello che costi, anche la contrapposizione al Sindaco, realizzando immediatamente una riunione di tutti i consiglieri comunali della maggioranza e degli assessori competenti, anche se la fretta nel convocarla durante queste feste ha permesso la presenza di pochissimi all’incontro col Bontempelli:

Nomadi, l’assessore Vietina va avanti. Martinelli attacca: «Aiutate i lucchesi»

Pochi alla riunione per studiare soluzioni alle Tagliate

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