il fanatismo di certi animalisti

Animalisti contro Ricerca.In Rete è un derby senza fine

Contro la vivisezione

UN ARTICOLO DI 8 MESI FA SUL SITO DEL FATTO È DIVENTATO IL PIÙ CONDIVISO DI SEMPRE.

Cnr, blitz degli animalisti. “Distrutti anni di ricerca su Parkinson e autismo”. Non è cronaca di ieri, ma il titolo di un articolo de ilfattoquotidiano.it  di otto mesi fa. Da una settimana è il pezzo più letto del sito ed è diventato l’articolo più condiviso su Facebook. Un cortocircuito che mette insieme il potere della Rete con il dibattito sulla sperimentazione animale nato dopo il caso degli insulti a Caterina Simonsen, la giovane affetta da quattro malattie rare, diventata bersaglio o paladina a seconda che si legga la storia dal versante animalista o da quello di chi con gli animali cerca, attraverso la sperimentazione, di curare malattie oggi incurabili.

“ARGOMENTO VIRALE” si dice nel gergo 2.0. E chissà se la protagonista di questa storia poteva immaginare cosa sarebbe accaduto dopo il 21 dicembre, giorno in cui tutto è iniziato. Caterina, studentessa di Veterinaria nell’ateneo di Bologna, quattro giorni prima di Natale posta su Facebook una sua foto. Ha il respiratore artificiale, ma ride. E scrive, nero su bianco: “Io, Caterina S., ho 25 anni grazie alla vera ricerca, che include la sperimentazione animale. Senza la ricerca sarei morta a 9 anni. Mi avete regalato un, seppur breve, futuro. Sono stata adolescente”. La sua bacheca viene presa d’assalto dagli animalisti più intransigenti, che non le risparmiano insulti e ‘auguri a morire’. Il motivo? Aver difeso e sponsorizzato la sperimentazione animale “strumentalizzando” la sua esperienza personale. È la settimana di Telethon, sono i giorni del caso Stamina e delle polemiche sulla discussa cura di Davide Vannoni.

La vicenda di Caterina crea discussione. Al suo fianco si schierano in tanti, compreso il neo segretario del Pd Matteo Renzi. Tutti in Rete, sempre in Rete. Con fotomessaggi, con un hashtag su Twitter (#iostoconcaterina), con la campagna #denunciateancheme a cura della pagina Facebook “A favore della sperimentazione animale”.

DALL’ALTRA PARTE della barricata, invece, ci sono gli animalisti più convinti, tra questi anche l’onorevole berlusconiana Michela Vittoria Brambilla. Nasce #iostocongiovanna (dal nome di una ragazza, anch’essa malata gravemente, che un anno fa fece un video contro la sperimentazione) in risposta all’hashtag a favore di Caterina. La Brambilla lo promuove sulla sua pagina Facebook. E anche lei viene sommersa. Da applausi e insulti. E da un link sulla sua bacheca. Si tratta dell’articolo del Fatto . È stato pubblicato il 29 aprile scorso. Lo postano “anti-animalisti”, qualche biologo, alcuni ricercatori. Che lo condividono, lo ritwittano, lo fanno diventare virale. Risultato? L’articolo diventa il più letto de il  fattoquotidiano.it  . Più degli avvenimenti politici, più dei casi di cronaca, compreso il grave incidente di Michael Schumacher, breaking news in tutto il mondo. I numeri: 200 mila visualizzazioni (170 mila nell’ultima settimana), 102 mila condivisioni (numeri aggiornati alle 19:30 di ieri ), per un articolo mai più apparso nella home page del sito. Impossibile capire quali circuiti abbia intercettato né chi lo abbia fatto volare sui social network (il 90 per cento dei lettori arriva da Facebook). Inutile, perché non c’è una operazione pianificata e non c’è né inizio né governo. Solo l’attenzione trasversale che la storia di Caterina e il dibattito sulla sperimentazione animale sono riusciti a convogliare. Fenomeno virale.

SUL WEB lo è tutto ciò che riguarda gli amici a 4 zampe. Vale come paradosso al contrario il caso di Dudù, il cane di Silvio Berlusconi e della sua compagna Francesca Pascale, con tanto di pagina facebook, appelli contro i botti e persino attacchi hacker. L’ex premier, del resto, in occasione del lancio dei nuovi circoli di Forza Italia (8 dicembre) era stato chiaro, seppur tra il serio e il faceto: avrebbe lanciato un sito dedicato al suo cane. L’impresa non è andata a buon fine a causa dello sgambetto di Diego Volpe Pasini, imprenditore allontanato dal centrodestra, che ha subito comprato il dominio Forzadudù.

Resta però l’obiettivo: convogliare l’animalismo militante e provare a racimolare qualche voto in più in vista delle prossime elezioni

Pierluigi G. Cardone

da Il Fatto Quotidiano del 05/01/2014.

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l’Italia e la questione dei diritti civili

P. Zanca fa un utilissimo punto della situazione su ‘il Fatto quotidiano’ e C. Saraceno in una chiarissima riflessione da par suo, su ‘la Repubblica’, aiuta a capire che metter in contrasto politiche per la famiglia e diritti civili è semplicemente fuori di ogni logica e politicamente fuorviante; di seguito una significativa intervista al ministro M. Cecilia Guerro e, per finire, una riflessione su tutto questo di C. Sardo:

IL PAESE INCIVILE: SUI DIRITTI È TUTTO FERMO DA DIECI ANNI

 

Ceccato

CON GLI ANNI DUEMILA SEMBRAVA APRIRSI UNA NUOVA STAGIONE DI LIBERAZIONE MA SU DIVORZIO, FECONDAZIONE, UNIONI ED EUTANASIA NON SI MUOVE UNA FOGLIA.

L’unica volta che ci si era avvicinato, era riuscito perfino a portare a casa un risultato storico: con un decreto, addio per sempre alla distinzione tra figli nati dentro e fuori dal matrimonio. Ma per il governo Letta, sul tema dei diritti civili, doveva ancora arrivare la grana Renzi e i suoi “trattiamo con chi ci sta”. O meglio, dopo le toppe al bilancio, a Palazzo Chigi doveva ancora capitare la sventura di trovarsi di fronte ai buchi di civiltà. Non che fosse un imprevisto: dalle unioni civili al divorzio, dalla fecondazione assistita al testamento biologico, dall’omofobia allo ius soli, quando si è trattato di assicurare la possibilità di piena realizzazione delle libertà individuali, lo Stato italiano si è dimostrato sempre più ingombrante del solito. Ecco come siamo messi, nel Paese in cui non sembra mai il momento buono per cambiare registro.

Pacs, Dico, Cus e niente più

L’accidentato percorso dei contratti tra persone che vivono stabilmente insieme si avvicina a festeggiare il suo ottavo compleanno. E oggi, alcuni parlamentari sono ancora lì a tentare di rimediare al tentativo fallito dal governo Prodi di regolamentare il settore delle unioni di fatto. In Parlamento ci sono una serie di proposte depositate, da quella dei Pd Andrea Marcucci e Luigi Man-coni, a quella di Alessia Petra-glia (Sel) fino alle proposte del Nuovo centrodestra (Giovanardi) e di Forza Italia (Alberti Casellati). Non si tratta di un riconoscimento sociale e simbolico: il patto tra conviventi serve soprattutto in momenti difficili come la malattia o la morte. Sulle varie proposte (se ne contano 8) si sta valutando l’esame congiunto in commissione al Senato. Il presidente Nitto Palma ha chiesto al Pd di “conoscere l’orientamento definitivo del gruppo”. Ha risposto Giuseppe Lumia: “Da un lato va considerata l’opportunità di disciplinare la condizione delle coppie di fatto – si legge nel resoconto – dall’altro occorre valutare se vi siano le condizioni per l’estensione in favore delle coppie composte da persone dello stesso sesso”. Spiega che bisogna confrontarsi con l’esecutivo. Chiarisce Lucio Barani di Gal: sui matrimoni omosessuali esiste “una maggioranza numerica in Commissione che non corrisponde a quella che sostiene attualmente l’azione di governo”. Il centrodestra conferma. “La Commissione prende atto”. E rimanda a fine gennaio.

Se ti lascio non ti cancello

La legge è ferma al 1970. E anche qui sono dieci anni che si cerca di portare l’intervallo obbligatorio tra separazione e divorzio da 3 anni a 1. Ma niente da fare. Ora, a Montecitorio, ci riprovano il 5 Stelle Alfonso Bonafede e la Pd Alessandra Moretti. Se ne discuterà in commissione Giustizia, sperando sia la volta buona.

La fuga delle provette

Anche la legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, quest’anno ne compie dieci. In mezzo c’è un referendum (senza quorum) e una serie di sentenze della Corte Costituzionale. Adesso è la deputata Pd Michela Marzano a tentare di mettere fine al calvario di migliaia di coppie in cerca di un figlio. L’obiettivo – già sollecitato dalla Consulta – è quello di stabilire che “la regola di fondo” è “la autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali”. Sono loro, e non qualche centinaio di parlamentari , a dover stabilire il numero di impianti necessari, la tempistica, le diagnosi da fare se il problema non è l’infertilità ma una malattia genetica. Visto che in Italia non si può, solo nel 2011 sono 4 mila le coppie fuggite all’estero. Rosetta e Walter hanno scelto di restare qui a combattere contro una legge ingiusta. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato lo Stato italiano a risarcirli per danni morali.

Il testamento di Marino

Ci vorrà – ahinoi – un altro caso Englaro o un altro Welby per rimettersi a parlare di fine vita e di testamento biologico. Il documento del comitato nazionale di bioetica porta di nuovo la data di dieci anni fa, il 2003. Già allora di parlava di Dat, la dichiarazione anticipata di trattamento. Ma al Senato la proposta che porta la firma di Ignazio Marino (nel frattempo diventato sindaco di Roma) è ancora lì che si dimena tra i pareri delle commissioni.

La cicogna non parla straniero

Tutto fermo anche in materia di cittadinanza ai figli degli stranieri nati in Italia. Gli autorevolissimi appelli – da Napolitano in giù – sono rimasti nei cassetti. Ci sono una quindicina di proposte depositate in commissione, compresa quella del Cinque Stelle Giorgio Sorial: prevede uno ius soli temperato, dove la cittadinanza si acquista se si è nati da almeno un genitore straniero residente legalmente in Italia da non meno di tre anni. Per Grillo però una legge del genere non può non passare da un referendum popolare: “Una decisione che può cambiare nel tempo la geografia del Paese – ha detto a maggio – non può essere lasciata a un gruppetto di parlamentari e di politici in campagna elettorale permanente”.

Da Il Fatto Quotidiano del 05/01/2014.

 

FAMIGLIA E DIRITTI NON SONO NEMICI

 

Prima il sostegno alla famiglia e poi eventualmente, si può discutere dei diritti degli omosessuali a veder riconosciuti i propri legami di coppia e le proprie famiglie. È ormai un riflesso condizionato. Ogni volta che si parla del diritto al riconoscimento sociale e giuridico delle coppie omosessuali, chi è contrario evoca una gerarchia di priorità, quando non di mutua esclusione, tra i “diritti della famiglia” e quelli delle coppie omosessuali e delle loro famiglie, senza, peraltro, chiarire dove starebbe la contrapposizione tra l’una e l’altra cosa e perché riconoscere le coppie omosessuali indebolirebbe la possibilità di fornire sostegni alle famiglie. Questi, infatti, riguardano politiche abitative e di trasferimenti monetari e di servizi, principalmente, anche se non esclusivamente, a favore di chi ha famigliari a carico — figli minori, persone non autosufficienti e bisognose di cura. Proprio quelle politiche di cui sono stati molto avari tutti i governi italiani dal dopoguerra a oggi, nonostante siano stati per lo più retti da maggioranze in cui prevalevano i “difensori della famiglia” che si sono fin qui opposti a ogni riconoscimento delle coppie omosessuali e delle loro famiglie. Quelle politiche che negli ultimi anni sono state ulteriormente ridotte, proprio quando i bilanci delle famiglie erano in maggiore sofferenza, con i tagli drastici effettuati a carico della spesa sociale. Per non parlare delle politiche economiche, che hanno reso sempre più difficile ai giovani formare una famiglia — di qualsiasi tipo — se lo desiderano e a chi ne ha formata una di riuscire a mantenerla adeguatamente. L’evocazione della “priorità della famiglia”, sembra servire solo come paravento per nascondere quanto poco si faccia a favore delle famiglie concretamente esistenti, mostrandosi come campioni dei “valori”, purché a costo zero. O meglio, a costo dei diritti di libertà e del riconoscimento di un pluralismo etico e nel modo di definire e realizzare progetti di solidarietà, intimità, amore. Questi difensori a oltranza dei “valori” e della “famiglia” univocamente e monoliticamente intesi, tuttavia, rischiano di essere spiazzati proprio da chi riconoscono come guida in questo campo o, più prosaicamente, vogliono compiacere per un qualche calcolo politico. Le chiese cristiane, infatti, stanno mostrando un forte dinamismo riflessivo. Il fenomeno è più evidente, e più consolidato, nelle chiese protestanti, anche italiane, che hanno ormai riconosciuto che non esiste una “famiglia naturale”, bensì forme storico-culturali di intendere famiglia e matrimonio. Perciò parlano di concetto plurale di famiglia, ove tutte le varie forme, incluse quelle basate su una coppia omosessuale, sono ugualmente dotate di valore. La chiesa cattolica si addentra con maggiore lentezza e prudenza in questo terreno, almeno sul piano dei documenti ufficiali (anche se il dibattito teologico non è in realtà molto distante dalle posizioni protestanti richiamate sopra). Tuttavia sta manifestando crescenti aperture alla varietà delle forme famigliari, innanzitutto sul piano pastorale, soprattutto per merito di papa Francesco e della sua insistenza su una chiesa inclusiva piuttosto che giudicante ed esclusiva. Si è anche aperto un piccolo varco a chi, nella chiesa cattolica, sarebbe disponibile ad accettare una qualche forma di riconoscimento giuridico delle coppie di fatto, etero e omosessuali. Certo, siamo molto lontani dalla accettazione che il matrimonio sia consentito anche alle coppie omosessuali. E c’è spesso una insistenza quasi ossessiva nel sottolineare che la famiglia è una sola, quella fondata sul matrimonio tra uomo e donna, salvo dover fare i conti con il fatto che molti genitori divorziano e si risposano e altri convivono, senza che per questo sia loro che i figli siano “senza famiglia”. Tuttavia, a differenza degli Alfano e dei Lupi, non solo singoli parroci, o teologi più o meno marginali, ma anche parte della gerarchia cattolica, incluso il responsabile della Pastorale per la famiglia, non escludono che sia venuto il momento di dare un qualche riconoscimento a queste coppie, se non altro per cercare di frenare la richiesta di matrimonio. Questa, piccola, apertura, può non bastare alle persone omosessuali, che legittimamente chiedono pari opportunità anche nel fare famiglia. Ma segnala che anche nei piani alti della gerarchia della Chiesa cattolica italiana le posizioni non sono più così monolitiche come un tempo. E infatti le controversie e gli attacchi dei conservatori dell’ortodossia non sono mancati. Sarebbe tuttavia singolare che i difensori a oltranza nostrani della famiglia unica e della insanabile opposizione tra questa difesa e l’allargamento dei diritti sostenessero la propria posizione con argomentazioni che sono messe in dubbio anche nelle sedi che tradizionalmente le hanno elaborate e divulgate.

Da La Repubblica del 06/01/2014.

«Coppie etero o gay: stessi diritti»

intervista a Maria Cecilia Guerra

a cura di Alessandra Arlachi

in “Corriere della Sera” del 9 gennaio 2014

«L’intervento di Renzi sulle unioni civili anche omosessuali deve essere ascoltato. Questo non è un

problema che deve aspettare, non più».

Maria Cecilia Guerra, viceministro per il Lavoro, ha tra le mani la delicata delega per le Pari

opportunità. Non ha intenzione di lasciarla sulla carta.

Cosa intende fare per dar seguito alle parole del segretario Matteo Renzi sulle unioni civili

omosessuali, un decreto del governo?

«No, il governo è maggioranza. E questo non è un tema che deve essere affrontato da una

maggioranza o da una parte politica. Non deve essere un tema da campagna elettorale. Deve essere

un dibattito trasversale, sereno. Il Paese è maturo per questo. Ci sono leggi già in Parlamento sulle

unioni civili, bisogna dare seguito a quelle».

Quali? Ce ne sono tante…

«Lo deciderà il Parlamento».

Ma lei quale legge vorrebbe?

«Esprimo un parere personale. E dico che non ci sono motivi per trattare in modo diverso una

coppia omosessuale rispetto ad una coppia eterosessuale. Siamo sempre davanti a due persone che

hanno un rapporto d’amore e sono disponibili ad una relazione di reciprocità fatta di diritti e doveri,

di responsabilità rispetto alla società. Del resto in molti Paesi d’Europa i due tipi di coppie sono già

equiparate».

Intende quei Paesi dove sono leciti i matrimoni fra omosessuali?

«Già. Sono tanti. La Gran Bretagna, la Francia, l’Olanda, la Svezia, il Belgio, la Danimarca. Poi ci

sono anche la Germania e il Portogallo, lì però ci sono dei distinguo che riguardano le adozioni per

le coppie omosessuali».

Lei pensa che sarebbe giusto concedere anche la possibilità di adozione alle coppie

omosessuali?

«Personalmente penso di sì perché sono a favore di una piena equiparazione. Ma intanto penso si

debba convenire sul fatto che se all’interno della coppia omosessuale c’è un genitore naturale

single, credo che il partner debba avere la possibilità di adottare quel figlio. E non vedo che tipo di

obiezioni potrebbero esserci a una cosa simile».

Si rende conto che le prime obiezioni potrebbero arrivare proprio dall’interno del suo partito,

il Pd?

«Non è un problema di partito. Un tema di questo genere, l’ho già detto, non deve essere

appannaggio di un partito o di un altro. È un tema talmente sensibile che deve essere affidato alla

coscienza di ognuno. E io vorrei che con coscienza ognuno mi spiegasse qual è il problema a

trattare gli esseri umani alla stessa maniera. Del resto anche la Corte costituzionale ci ha sollecitato,

fin dal 2010, a legiferare in tema di diritti alle coppie omosessuali. E il Paese è maturo per questo.

Lo dicono i sondaggi».

Quali? E cosa dicono?

«L’Istat ha scoperto che il 62,8% degli italiani pensa che sia giusto che una coppia di omosessuali

che convive possa avere per legge gli stessi diritti di una coppia sposata. Il 43,9% pensa sia

addirittura giusto che si sposino. Non crede che il Paese sia maturo? Non pensa sia giusto smetterla

con gli alibi che dare i diritti alle coppie omosessuali costa?».

Se parliamo di concedere la pensione di reversibilità un costo in effetti c’è…

«Ma ci può essere anche un risparmio se parliamo di assegni familiari o di detrazioni fiscali: se non

si riconosce una famiglia omosessuale qui lo Stato ci va a rimettere. Questo per anticipare alcune

obiezioni che, comunque, in un momento così sembrano fuori luogo. Del resto anche il Papa ha

fatto grandi aperture in tal senso».

Allude alle frasi di papa Francesco di pochi giorni fa di bambine con due madri?

«È una grande apertura di ascolto, molto importante».

Ma lei si rende conto che siamo stati bocciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di

Strasburgo anche per una cosa semplice come il diritto della madre a dare il cognome in

esclusiva al proprio figlio?

«Questo è un problema relativamente semplice al quale il governo sta lavorando per trovare una

soluzione. E presto formalizzeremo una proposta. Anche su questo la Corte costituzionale aveva

invitato il legislatore ad occuparsi del tema. In questo caso possiamo essere veloci».

Nell’altro caso meno…

«Dobbiamo essere una società inclusiva. E capire che questo problema delle coppie omosessuali

non può davvero più aspettare. Non dico che devono essere tutti d’accordo con me, ma porsi il

problema del rispetto delle persone sì».

Famiglia e unioni gay

di Claudio Sardo

in “l’Unità” del 9 gennaio 2014

È insopportabile la continua contrapposizione tra le politiche a sostegno della famiglia e il

riconoscimento giuridico delle unioni gay. Anche perché i risultati di queste polemiche sono i tristi

primati italiani: ultimi nelle politiche familiari, ultimi nei diritti delle persone omosessuali. E si

parla ancora di rinvii, come esito inesorabile di una reciproca elisione.

Invece si potrebbe persino approfittare di un governo, eccezionalmente formato da antagonisti

politici, per cambiare direzione di marcia e togliere l’ipoteca dei pregiudizi ideologici.

A questo Paese servono politiche per la famiglia, perché il suo potenziale di solidarietà resta, al di là

delle trasformazioni economiche e culturali che ne hanno mutato la fisionomia, una risorsa

insostituibile per la coesione sociale e per la trasmissione di relazioni improntate alla gratuità. E a

questo Paese serve una disciplina di carattere pubblico, che dia stabilità alle unioni omosessuali e

che realizzi così la disposizione dell’articolo 2 della nostra Carta costituzionale, quello che

garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, non solo come singolo ma nelle formazioni sociali «ove si

svolge la sua personalità».

Scontiamo ritardi storici. Il riflesso delle politiche demografiche attuate dal fascismo ha frenato nel

tempo le misure legislative, fiscali, sociali a favore delle famiglie, e in special modo delle donne

che lavorano e dei nuclei più numerosi. Un deficit che ha prodotto diseguaglianza sostanziale, dal

momento che il carico familiare è diventato causa di povertà in misura assai maggiore che nel resto

dell’Europa. E ora paghiamo anche con gli interessi perché l’Italia è al tempo stesso la nazione con

la più bassa natalità e con la più alta inoccupazione femminile. Se non bastasse il buon senso, sono

proprio i dati reali a smentire clamorosamente i pregiudizi. Le famiglie sono oggi più forti dove è

maggiore l’occupazione delle donne e dove migliori sono gli asili-nido, i servizi per i non

autosufficienti e le politiche di conciliazione tra i tempi di lavoro e quelli di cura. Le famiglie sono

più forti – e i giovani più incoraggiati a costituirle – dove il fisco tiene in maggiore considerazione il

numero dei componenti della famiglia anagrafica. In Francia il sostegno economico alle famiglie

con bambini tra zero e tre anni è tra i più alti dell’Unione.

E sempre in Francia funziona un quoziente familiare corretto (nel senso della progressività fiscale)

che costituisce una significativa integrazione al reddito per i nuclei numerosi. Il risultato è che si

formano più famiglie, che le donne generano più figli e che l’occupazione femminile è ben

maggiore che in Italia. Ancora più evidenti sono in tal senso gli effetti del welfare dei Paesi nordici,

dove i giovani sono in grado di promuovere il loro progetto familiare molto prima che da noi. Oggi

migliori politiche familiari possono diventare anche vettori di ripresa economica dopo la crisi.

I cattolici italiani, in questo caso, devono fare autocritica. E la sinistra italiana deve porsi il

problema di migliorare quel welfare, che è nato dalle grandi lotte sindacali degli anni 70 ma che è

modellato sulla figura del lavoratore maschio e adulto. Le politiche per la famiglia, fuori da ogni

ideologia, sono le politiche redistributive più giuste e concrete. E possono favorire, oltre alla

solidarietà, un’alleanza generazionale che sconfigga la retorica liberista dei padri contro i figli.

Certo, non si cambiano le cose con un colpo di bacchetta magica. Ma si può avviare una nuova

strategia decennale. E non c’è motivo perché queste scelte vengano opposte al riconoscimento dei

diritti e dei doveri delle persone omosessuali. La società in carne e ossa non è un congresso, o un

concilio, in cui si disputa il modello ideale di famiglia. L’ordinamento non può non tener conto

della libertà, della molteplicità, del pluralismo culturale e religioso. Ed è bene che valorizzi ciò che

produce coesione, stabilità negli affetti, solidarietà umana: le derive individualiste riducono le

libertà più delle norme restrittive. La moratoria dovrebbe scattare sui pregiudizi anziché su una

nuova legge: ciò che le unioni civili tra omosessuali devono tutelare è anzitutto la centralità della

persona, la sua irriducibile dignità. E la persona, a differenza dell’individuo, si esprime attraverso

relazioni non esclusivamente economiche e attraverso i mondi vitali che riesce a costruire.

La Corte costituzionale nel 2010 ha invitato il Parlamento a dare pieno riconoscimento legislativo

alle coppie omosessuali: ci auguriamo che non si ripeta quanto è accaduto con la legge elettorale.

La stessa Corte ha sottolineato che non è necessario equiparare le unioni gay al matrimonio, definito

dall’art. 29 della Costituzione. Gli ostacoli possono e debbono essere superati. Come accadde nel

1975, quando personalità come Nilde Iotti, Maria Eletta Martini e Giglia Tedesco scrissero insieme

il nuovo diritto di famiglia. Era passato solo un anno dallo scontro epocale sul divorzio. Ma se la

politica si arrende quando sono in gioco valori costituzionali primari, allora si dà ragione a chi dice

che la politica non serve

 

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il giudizio pesantemente negativo dei vecovi portoghesi dell’ ‘ideologia del gender’

L’ideologia del gender spiegata dai vescovi portoghesi                                

la visione estremamente negativa e polemica dei vescovi portoghesi nei confronti della cultura del gender                                                                                                                                                                                                                                                                                                         lLa la conferenza episcopale del Portogallo spiega la nascita e la diffusione di  una cultura dalle «conseguenze drammatiche» 

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propongo  in una  traduzione  di ‘tempi.it’ampi stralci della Lettera pastorale divulgata a  novembre dalla Conferenza episcopale del Portogallo e dedicata  alla ”Visione cristiana della sessualità”. Il testo descrive la  nascita e lo sviluppo della “nuova ideologia di genere”, indicandone  anche i possibili effetti negativi a livello sociale e  culturale

La chiamata ideologica del genere (o gender) si diffonde sempre di più.  Tuttavia, non tutti se ne rendono conto e molti non ne riconoscono la portata  sociale e culturale, che è stata già qualificata come vera e propria rivoluzione  antropologica. Non si tratta semplicemente di una moda intellettuale, bensì  comporta un movimento culturale con riflessi sul modo di pensare alla famiglia,  la sfera politico-legislativa, l’insegnamento, la comunicazione e la propria  lingua corrente (…). Questo documento nasce con l’obiettivo di rendere più  chiare le differenze tra queste due visioni. Ci muove il desiderio di presentare  la visione più solida e più fondante della persona, tramandata e valorizzata da  millenni, per la quale l’umanesimo cristiano ha molto contribuito. Crediamo che  proprio quest’umanesimo, oggi, sia chiamato a contribuire alla riscoperta della  profondità e della bellezza di una sessualità umana intesa in modo corretto.

1. LA PERSONA UMANA, SPIRITO INCARNATO Più che mai,  vorremmo chiarificare che, per la visione cristiana dell’uomo, non c’è spazio  per il dualismo: il disprezzo del corpo in nome dello spirito o vice-versa (…).  La corporeità è una dimensione strutturale della persona, non un accessorio; la  persona è corpo, non ha un corpo.

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2. A  CONFRONTO CON UN FORTE CAMBIAMENTO CULTURALE Riconosciamo  senz’ombra di dubbio che nel corso della storia non si è sempre attribuito lo  stesso valore e lo stesso peso sociale all’uomo e alla donna. La donna in  particolare è stata vittima non raramente di una grande soggezione (…). Nel  desiderio di oltrepassare questa condizione di inferiorità sociale della donna,  alcuni hanno portato avanti una distinzione radicale tra sesso biologico e  titoli che la società le ha tradizionalmente attribuito. Hanno affermato che  l’essere maschio o femmina riguarda una costruzione mentale, più o meno  artificiale. Di conseguenza, rigettano tutto quanto abbia a che vedere con i  dati biologici (…). E, per associazione di idee, si è passati a rifiutare la  validità di tutto quanto riguardi le norme naturali sulla sessualità  (eterosessualità, unione monogama, rispetto per la vita dell’embrione,  eccetera). (…) [L’ideologia del gender] nega che la differenza sessuale  iscritta nel corpo possa identificare la persona; rifiuta la complementarietà  naturale dei due sessi; dissocia la sessualità dalla procreazione; sottomette la  possibilità naturale di avere figli al desiderio di avere figli; pretende di  distruggere la matrice eterosessuale della società.

3. I PRESUPPOSTI DELL’IDEOLOGIA DEL GENERE Se la  differenza sessuale tra uomo e donna è alla base dell’oppressione femminile,  allora qualunque forma di definizione di una specificità femminile è sempre una  discriminazione ingiusta. Per superare quest’oppressione, si rifiuta la  distinzione che vi è in natura tra i sessi, e il genere diventa una scelta  individuale. Il genere, dunque, non deve più corrispondere al sesso, ma è una  scelta soggettiva (…) allora è indifferente anche la scelta di legarsi a persone  dell’altro o dello stesso sesso. Da qui viene l’equiparazione tra le unioni  eterosessuali e omosessuali (…). Allo stesso modo, si smette di parlare di  maternità e di paternità e si inizia a parlare esclusivamente di genitorialità,  creando un concetto astratto, slegato da fattori biologici.

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4.  RIFLESSI DELL’AFFERMAZIONE E DELLA DIFFUSIONE DELL’IDEOLOGIA DI  GENERE L’affermazione e la diffusione dell’ideologia di genere si  può notare in vari ambiti. Uno di questi è l’attuale ambito linguistico. A  cominciare dai documenti ufficiali, si va generalizzando l’espressione “genere”  in sostituzione del “sesso” (…), l’espressione “famiglie” invece che “famiglia”,  o “genitorialità” invece di “paternità” e “maternità”. Molte persone adesso  adottano queste espressioni per abitudine (…). Ma la generalizzazione di queste  espressioni non è per nulla innocua. Fa parte di una strategia di affermazione  ideologica che compromette la capacità di distinguere delle persone, con  conseguenze drammatiche: non si è più in grado di darsi una collocazione e  definire quello che c’è di più elementare. Il livello politico e quello  legislativo (…) le leggi che permettano l’adozione da parte di genitori dello  stesso sesso (si sta discutendo in Portogallo, attraverso la modalità di  adozione congiunta), le leggi che permettano il cambiamento di sesso (…). Altro  ambito della diffusione dell’ideologia del genere è quello scolastico, visto  come mezzo efficace di indottrinamento e trasformazione della mentalità  corrente. Questa strategia ha dato origine in vari paesi a movimenti di  protesta.

5. LA PORTATA IDEOLOGICA DELL’IDEOLOGIA DI GENERE È  importante approfondire la portata di questa ideologia, poiché rappresenta  un’autentica rivoluzione ideologica. Riflette un soggettivismo relativista  portato agli estremi, negando il significato della realtà oggettiva (…). È  contraria ad una certa forma di ecologia umana, scioccante in un periodo in cui  si esalta così tanto la necessità di rispettare l’armonia prestabilita che  sottintende l’equilibrio ecologico ambientale. Su un piano strettamente  scientifico, ovviamente, la pretesa di prescindere dai dati biologici nella  identificazione delle differenze tra maschi e femmine è a dir poco illusoria.  Queste differenze partono dalla struttura genetica delle cellule del corpo  umano, per le quali non basta un intervento chirurgico degli organi sessuali  esterni per cambiare.

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6.  UOMO E DONNA CHIAMATI ALLA COMUNIONE Questa comunione si costruisce  a partire dalla differenza. Quella più basilare e fondamentale dei sessi non è  un ostacolo alla comunione, non è una fonte di opposizione e di conflitto, ma  un’occasione di arricchimento reciproco. L’uomo e la donna sono chiamati alla  comunione perché solo questa li completa e permette la continuazione della  specie, attraverso la crescita di nuove vite. Fa parte della meraviglia del  disegno della creazione. La società si costruisce a partire da questa  collaborazione tra la dimensione maschile e femminile. In primis nella sua  cellula fondamentale, la famiglia (…).

7. COMPLEMENTARIETÀ DELL’ESSERE MASCHIO E FEMMINA È un  fatto che un determinato tipo di visione dell’essere maschio e femmina è servito  nel corso della storia a consolidare divisioni di compiti rigide e stereotipate  che hanno limitato la realizzazione della donna, rilegata alle faccende  domestiche (…) è una conseguenza del peccato. Questo dominio indica un disturbo  ed una perdita di stabilità della fondamentale uguaglianza tra uomo e donna.  L’ideologia di genere non si limita a denunciare tali ingiustizie, ma pretende  di eliminarle negando la specificità femminile. Ciò impoverisce la donna, che  perde la sua identità e indebolisce la società, privata di un contributo  prezioso e insostituibile come la femminilità e la maternità (…).

8. IL “GENIO FEMMINILE” In questa  prospettiva, bisogna mettere in luce quello che Papa Giovanni Paolo II ha  chiamato “genio femminile”. Non si tratta di qualcosa che si esprime solamente  all’interno della relazione sponsale (…). Passa attraverso la vocazione alla  maternità, senza che questa si esaurisca nella maternità biologica. In questa,  tuttavia, si dimostra una speciale sensibilità della donna alla vita. La  maternità non è un peso di cui la donna ha bisogno di liberarsi. Quello che si  esige è che tutta l’organizzazione sociale appoggi e non ostacoli la  concretizzazione di questa vocazione (…).

Francia, celebrato primo matrimonio gay

9.  L’INSOSTITUIBILE COMPITO DEL PADRE (…) L’ambito in cui più si nota  l’assenza di questo contributo è l’educazione, da cui si parla del padre come il  “grande assente”. Questo può dar inizio ad una serie di conseguenze, come il  disorientamento esistenziale dei giovani, la tossicodipendenza o la delinquenza  giovanile. Se la relazione con la madre è essenziale nei primi anni di vita,  allo stesso modo è essenziale la relazione con il padre, affinché il bambino e  il giovane si distacchino dalla madre e così crescano come persone autonome. Non  basta l’affetto per crescere: sono necessari regole e autorità, che si  accentuano grazie al ruolo del padre (…).

10. LA RISPOSTA ALL’AFFERMAZIONE E ALLA DIFFUSIONE DELL’IDEOLOGIA DI  GENERE L’ideologia di genere non si contrasta solo con la visione  biblica e cristiana, ma anche con la verità della persona e della sua vocazione.  Quest’ideologia pregiudica la realizzazione personale e, a medio termine,  defrauda la società (…). I cambiamenti legislativi che riflettono la mentalità  dell’ideologia di genere – concretamente, la legge che ha ridefinito il  matrimonio – non sono irreversibili. E i cittadini e i legislatori (…) sono  chiamati a fare tutto quanto in loro potere per revocare questi cambiamenti.  Se dovremo assistere all’utilizzo del sistema di insegnamento per  affermare e diffondere questa ideologia, è bene tenere presente il primato dei  diritti di padri e madri sulla orientamento e sull’educazione dei proprio figli.  L’articolo 26 n.3 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo ha  stabilito che «ai genitori spetta la priorità del diritto di scelta sul tipo di  educazione dei propri figli». E l’articolo 43, n.2 della nostra Costituzione  stabilisce che «lo Stato non si può attribuire il diritto di programmare  l’educazione e la cultura secondo qualunque guida filosofica, estetica,  politica, ideologica o religiosa». Ad ogni modo, la risposta più efficace alle  affermazioni e alla diffusione dell’ideologia di genere deve riflettersi in una  nuova evangelizzazione. Si tratta di annunciare il Vangelo come questo è: una  buona novella di vita, dell’amore umano, del matrimonio e della famiglia, il che  corrisponde alle esigenze più profonde e autentiche di tutte le persone. A  questo annuncio sono chiamate, in particolare, le famiglie cristiane, prima di  tutto attraverso la propria testimonianza di vita.

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