Prima il sostegno alla famiglia e poi eventualmente, si può discutere dei diritti degli omosessuali a veder riconosciuti i propri legami di coppia e le proprie famiglie. È ormai un riflesso condizionato. Ogni volta che si parla del diritto al riconoscimento sociale e giuridico delle coppie omosessuali, chi è contrario evoca una gerarchia di priorità, quando non di mutua esclusione, tra i “diritti della famiglia” e quelli delle coppie omosessuali e delle loro famiglie, senza, peraltro, chiarire dove starebbe la contrapposizione tra l’una e l’altra cosa e perché riconoscere le coppie omosessuali indebolirebbe la possibilità di fornire sostegni alle famiglie. Questi, infatti, riguardano politiche abitative e di trasferimenti monetari e di servizi, principalmente, anche se non esclusivamente, a favore di chi ha famigliari a carico — figli minori, persone non autosufficienti e bisognose di cura. Proprio quelle politiche di cui sono stati molto avari tutti i governi italiani dal dopoguerra a oggi, nonostante siano stati per lo più retti da maggioranze in cui prevalevano i “difensori della famiglia” che si sono fin qui opposti a ogni riconoscimento delle coppie omosessuali e delle loro famiglie. Quelle politiche che negli ultimi anni sono state ulteriormente ridotte, proprio quando i bilanci delle famiglie erano in maggiore sofferenza, con i tagli drastici effettuati a carico della spesa sociale. Per non parlare delle politiche economiche, che hanno reso sempre più difficile ai giovani formare una famiglia — di qualsiasi tipo — se lo desiderano e a chi ne ha formata una di riuscire a mantenerla adeguatamente. L’evocazione della “priorità della famiglia”, sembra servire solo come paravento per nascondere quanto poco si faccia a favore delle famiglie concretamente esistenti, mostrandosi come campioni dei “valori”, purché a costo zero. O meglio, a costo dei diritti di libertà e del riconoscimento di un pluralismo etico e nel modo di definire e realizzare progetti di solidarietà, intimità, amore. Questi difensori a oltranza dei “valori” e della “famiglia” univocamente e monoliticamente intesi, tuttavia, rischiano di essere spiazzati proprio da chi riconoscono come guida in questo campo o, più prosaicamente, vogliono compiacere per un qualche calcolo politico. Le chiese cristiane, infatti, stanno mostrando un forte dinamismo riflessivo. Il fenomeno è più evidente, e più consolidato, nelle chiese protestanti, anche italiane, che hanno ormai riconosciuto che non esiste una “famiglia naturale”, bensì forme storico-culturali di intendere famiglia e matrimonio. Perciò parlano di concetto plurale di famiglia, ove tutte le varie forme, incluse quelle basate su una coppia omosessuale, sono ugualmente dotate di valore. La chiesa cattolica si addentra con maggiore lentezza e prudenza in questo terreno, almeno sul piano dei documenti ufficiali (anche se il dibattito teologico non è in realtà molto distante dalle posizioni protestanti richiamate sopra). Tuttavia sta manifestando crescenti aperture alla varietà delle forme famigliari, innanzitutto sul piano pastorale, soprattutto per merito di papa Francesco e della sua insistenza su una chiesa inclusiva piuttosto che giudicante ed esclusiva. Si è anche aperto un piccolo varco a chi, nella chiesa cattolica, sarebbe disponibile ad accettare una qualche forma di riconoscimento giuridico delle coppie di fatto, etero e omosessuali. Certo, siamo molto lontani dalla accettazione che il matrimonio sia consentito anche alle coppie omosessuali. E c’è spesso una insistenza quasi ossessiva nel sottolineare che la famiglia è una sola, quella fondata sul matrimonio tra uomo e donna, salvo dover fare i conti con il fatto che molti genitori divorziano e si risposano e altri convivono, senza che per questo sia loro che i figli siano “senza famiglia”. Tuttavia, a differenza degli Alfano e dei Lupi, non solo singoli parroci, o teologi più o meno marginali, ma anche parte della gerarchia cattolica, incluso il responsabile della Pastorale per la famiglia, non escludono che sia venuto il momento di dare un qualche riconoscimento a queste coppie, se non altro per cercare di frenare la richiesta di matrimonio. Questa, piccola, apertura, può non bastare alle persone omosessuali, che legittimamente chiedono pari opportunità anche nel fare famiglia. Ma segnala che anche nei piani alti della gerarchia della Chiesa cattolica italiana le posizioni non sono più così monolitiche come un tempo. E infatti le controversie e gli attacchi dei conservatori dell’ortodossia non sono mancati. Sarebbe tuttavia singolare che i difensori a oltranza nostrani della famiglia unica e della insanabile opposizione tra questa difesa e l’allargamento dei diritti sostenessero la propria posizione con argomentazioni che sono messe in dubbio anche nelle sedi che tradizionalmente le hanno elaborate e divulgate.
Da La Repubblica del 06/01/2014.
«Coppie etero o gay: stessi diritti»
intervista a Maria Cecilia Guerra
a cura di Alessandra Arlachi
in “Corriere della Sera” del 9 gennaio 2014
«L’intervento di Renzi sulle unioni civili anche omosessuali deve essere ascoltato. Questo non è un
problema che deve aspettare, non più».
Maria Cecilia Guerra, viceministro per il Lavoro, ha tra le mani la delicata delega per le Pari
opportunità. Non ha intenzione di lasciarla sulla carta.
Cosa intende fare per dar seguito alle parole del segretario Matteo Renzi sulle unioni civili
omosessuali, un decreto del governo?
«No, il governo è maggioranza. E questo non è un tema che deve essere affrontato da una
maggioranza o da una parte politica. Non deve essere un tema da campagna elettorale. Deve essere
un dibattito trasversale, sereno. Il Paese è maturo per questo. Ci sono leggi già in Parlamento sulle
unioni civili, bisogna dare seguito a quelle».
Quali? Ce ne sono tante…
«Lo deciderà il Parlamento».
Ma lei quale legge vorrebbe?
«Esprimo un parere personale. E dico che non ci sono motivi per trattare in modo diverso una
coppia omosessuale rispetto ad una coppia eterosessuale. Siamo sempre davanti a due persone che
hanno un rapporto d’amore e sono disponibili ad una relazione di reciprocità fatta di diritti e doveri,
di responsabilità rispetto alla società. Del resto in molti Paesi d’Europa i due tipi di coppie sono già
equiparate».
Intende quei Paesi dove sono leciti i matrimoni fra omosessuali?
«Già. Sono tanti. La Gran Bretagna, la Francia, l’Olanda, la Svezia, il Belgio, la Danimarca. Poi ci
sono anche la Germania e il Portogallo, lì però ci sono dei distinguo che riguardano le adozioni per
le coppie omosessuali».
Lei pensa che sarebbe giusto concedere anche la possibilità di adozione alle coppie
omosessuali?
«Personalmente penso di sì perché sono a favore di una piena equiparazione. Ma intanto penso si
debba convenire sul fatto che se all’interno della coppia omosessuale c’è un genitore naturale
single, credo che il partner debba avere la possibilità di adottare quel figlio. E non vedo che tipo di
obiezioni potrebbero esserci a una cosa simile».
Si rende conto che le prime obiezioni potrebbero arrivare proprio dall’interno del suo partito,
il Pd?
«Non è un problema di partito. Un tema di questo genere, l’ho già detto, non deve essere
appannaggio di un partito o di un altro. È un tema talmente sensibile che deve essere affidato alla
coscienza di ognuno. E io vorrei che con coscienza ognuno mi spiegasse qual è il problema a
trattare gli esseri umani alla stessa maniera. Del resto anche la Corte costituzionale ci ha sollecitato,
fin dal 2010, a legiferare in tema di diritti alle coppie omosessuali. E il Paese è maturo per questo.
Lo dicono i sondaggi».
Quali? E cosa dicono?
«L’Istat ha scoperto che il 62,8% degli italiani pensa che sia giusto che una coppia di omosessuali
che convive possa avere per legge gli stessi diritti di una coppia sposata. Il 43,9% pensa sia
addirittura giusto che si sposino. Non crede che il Paese sia maturo? Non pensa sia giusto smetterla
con gli alibi che dare i diritti alle coppie omosessuali costa?».
Se parliamo di concedere la pensione di reversibilità un costo in effetti c’è…
«Ma ci può essere anche un risparmio se parliamo di assegni familiari o di detrazioni fiscali: se non
si riconosce una famiglia omosessuale qui lo Stato ci va a rimettere. Questo per anticipare alcune
obiezioni che, comunque, in un momento così sembrano fuori luogo. Del resto anche il Papa ha
fatto grandi aperture in tal senso».
Allude alle frasi di papa Francesco di pochi giorni fa di bambine con due madri?
«È una grande apertura di ascolto, molto importante».
Ma lei si rende conto che siamo stati bocciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di
Strasburgo anche per una cosa semplice come il diritto della madre a dare il cognome in
esclusiva al proprio figlio?
«Questo è un problema relativamente semplice al quale il governo sta lavorando per trovare una
soluzione. E presto formalizzeremo una proposta. Anche su questo la Corte costituzionale aveva
invitato il legislatore ad occuparsi del tema. In questo caso possiamo essere veloci».
Nell’altro caso meno…
«Dobbiamo essere una società inclusiva. E capire che questo problema delle coppie omosessuali
non può davvero più aspettare. Non dico che devono essere tutti d’accordo con me, ma porsi il
problema del rispetto delle persone sì».
Famiglia e unioni gay
di Claudio Sardo
in “l’Unità” del 9 gennaio 2014
È insopportabile la continua contrapposizione tra le politiche a sostegno della famiglia e il
riconoscimento giuridico delle unioni gay. Anche perché i risultati di queste polemiche sono i tristi
primati italiani: ultimi nelle politiche familiari, ultimi nei diritti delle persone omosessuali. E si
parla ancora di rinvii, come esito inesorabile di una reciproca elisione.
Invece si potrebbe persino approfittare di un governo, eccezionalmente formato da antagonisti
politici, per cambiare direzione di marcia e togliere l’ipoteca dei pregiudizi ideologici.
A questo Paese servono politiche per la famiglia, perché il suo potenziale di solidarietà resta, al di là
delle trasformazioni economiche e culturali che ne hanno mutato la fisionomia, una risorsa
insostituibile per la coesione sociale e per la trasmissione di relazioni improntate alla gratuità. E a
questo Paese serve una disciplina di carattere pubblico, che dia stabilità alle unioni omosessuali e
che realizzi così la disposizione dell’articolo 2 della nostra Carta costituzionale, quello che
garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, non solo come singolo ma nelle formazioni sociali «ove si
svolge la sua personalità».
Scontiamo ritardi storici. Il riflesso delle politiche demografiche attuate dal fascismo ha frenato nel
tempo le misure legislative, fiscali, sociali a favore delle famiglie, e in special modo delle donne
che lavorano e dei nuclei più numerosi. Un deficit che ha prodotto diseguaglianza sostanziale, dal
momento che il carico familiare è diventato causa di povertà in misura assai maggiore che nel resto
dell’Europa. E ora paghiamo anche con gli interessi perché l’Italia è al tempo stesso la nazione con
la più bassa natalità e con la più alta inoccupazione femminile. Se non bastasse il buon senso, sono
proprio i dati reali a smentire clamorosamente i pregiudizi. Le famiglie sono oggi più forti dove è
maggiore l’occupazione delle donne e dove migliori sono gli asili-nido, i servizi per i non
autosufficienti e le politiche di conciliazione tra i tempi di lavoro e quelli di cura. Le famiglie sono
più forti – e i giovani più incoraggiati a costituirle – dove il fisco tiene in maggiore considerazione il
numero dei componenti della famiglia anagrafica. In Francia il sostegno economico alle famiglie
con bambini tra zero e tre anni è tra i più alti dell’Unione.
E sempre in Francia funziona un quoziente familiare corretto (nel senso della progressività fiscale)
che costituisce una significativa integrazione al reddito per i nuclei numerosi. Il risultato è che si
formano più famiglie, che le donne generano più figli e che l’occupazione femminile è ben
maggiore che in Italia. Ancora più evidenti sono in tal senso gli effetti del welfare dei Paesi nordici,
dove i giovani sono in grado di promuovere il loro progetto familiare molto prima che da noi. Oggi
migliori politiche familiari possono diventare anche vettori di ripresa economica dopo la crisi.
I cattolici italiani, in questo caso, devono fare autocritica. E la sinistra italiana deve porsi il
problema di migliorare quel welfare, che è nato dalle grandi lotte sindacali degli anni 70 ma che è
modellato sulla figura del lavoratore maschio e adulto. Le politiche per la famiglia, fuori da ogni
ideologia, sono le politiche redistributive più giuste e concrete. E possono favorire, oltre alla
solidarietà, un’alleanza generazionale che sconfigga la retorica liberista dei padri contro i figli.
Certo, non si cambiano le cose con un colpo di bacchetta magica. Ma si può avviare una nuova
strategia decennale. E non c’è motivo perché queste scelte vengano opposte al riconoscimento dei
diritti e dei doveri delle persone omosessuali. La società in carne e ossa non è un congresso, o un
concilio, in cui si disputa il modello ideale di famiglia. L’ordinamento non può non tener conto
della libertà, della molteplicità, del pluralismo culturale e religioso. Ed è bene che valorizzi ciò che
produce coesione, stabilità negli affetti, solidarietà umana: le derive individualiste riducono le
libertà più delle norme restrittive. La moratoria dovrebbe scattare sui pregiudizi anziché su una
nuova legge: ciò che le unioni civili tra omosessuali devono tutelare è anzitutto la centralità della
persona, la sua irriducibile dignità. E la persona, a differenza dell’individuo, si esprime attraverso
relazioni non esclusivamente economiche e attraverso i mondi vitali che riesce a costruire.
La Corte costituzionale nel 2010 ha invitato il Parlamento a dare pieno riconoscimento legislativo
alle coppie omosessuali: ci auguriamo che non si ripeta quanto è accaduto con la legge elettorale.
La stessa Corte ha sottolineato che non è necessario equiparare le unioni gay al matrimonio, definito
dall’art. 29 della Costituzione. Gli ostacoli possono e debbono essere superati. Come accadde nel
1975, quando personalità come Nilde Iotti, Maria Eletta Martini e Giglia Tedesco scrissero insieme
il nuovo diritto di famiglia. Era passato solo un anno dallo scontro epocale sul divorzio. Ma se la
politica si arrende quando sono in gioco valori costituzionali primari, allora si dà ragione a chi dice
che la politica non serve