“gli zingari prendono l’acqua alla fontana”: il Comune la chiude

 Fontana chiusa “perché ci vanno gli zingari”, le associazioni vogliono denunciare il Comune  

 

rom ruba bambini

 

 

dal sito ‘la pagina quotidiana’ di Pisa:

mentre da Palazzo Gambacorti non arrivano repliche alla denuncia di Una città in comune, Africa Insieme e Progetto Rebeldia preparano un’azione legale contro quello che considerano “un atto di palese discriminazione”

Africa Insieme e Progetto Rebeldia sono pronti a citare in giudizio l’amministrazione pisana per la vicenda della fontanella di Putignano, chiusa “perché ci andavano gli zingari”, secondo quanto denunciato dal gruppo consiliare Una città in comune – Prc.

“Riteniamo che questa piccola e vergognosa vicenda non debba passare sotto silenzio – scrivono le associazioni in una nota – per questo abbiamo mobilitato un pool di legali, guidato da Alessandra Ballerini, avvocatessa di Genova, autorevole voce del mondo antirazzista italiano”. I legali stanno valutando se intraprendere un’azione civile contro la discriminazione, in seguito alla quale il giudice potrebbe ordinare una riapertura della fontana o in alternativa limitarsi a multare il Comune, oppure se evitare la via giudiziaria e rivolgersi all’Unar, l’ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali, che non ha potere coercitivo ma che agisce per mettere in atto un meccanismo di conciliazione.

A chiedere conto della chiusura della fontana pubblica è stato Una città in comune-Prc, che l’11 marzo ha presentato un’interrogazione al sindaco Filippeschi. “Abbiamo chiesto informazioni agli uffici comunali – recita il comunicato del gruppo guidato da Ciccio Auletta – per sapere chi avesse la responsabilità della gestione e quali fossero le motivazioni per cui si privavano i cittadini di un servizio pubblico. Gli uffici hanno fornito una risposta celere e precisa alle domande poste. Riportiamo uno stralcio saliente della sbalorditiva mail che abbiamo ricevuto: …mentre per quanto riguarda la fontana di via Putignano 21 è stata richiesta la cessazione nel 2009 perché ci andavano a prendere l’acqua gli zingari”. 

“Apprendiamo da questa mail – scrive Ucic – che vi sono categorie di cittadini, i rom, che non devono utilizzare un servizio pubblico. Nessuno nega che in questo momento il quartiere di Putignano sia attraversato da conflitti, a volte strumentalizzati da alcuni gruppi politici: ma è opportuno ricordare che chi toglie diritti a una specifica categoria, finisce per toglierli a tutti. E questa piccola vicenda ne è una dimostrazione: l’acqua, risorsa vitale e irrinunciabile, il cui accesso deve essere equamente garantito in quanto estensione del diritto alla vita contenuto nella Dichiarazione Universale dei Diritti, è stata negata a tutti i cittadini per impedire che un particolare gruppo di abitanti del quartiere la utilizzasse”.

“È bene ricordare al Comune che la chiusura della fontanella costituisce un atto di palese discriminazione” conclude la nota di Una città in comune, “chiediamo al sindaco e alla giunta se la risposta fornita dagli uffici corrisponda alla posizione ufficiale del Comune. Se così non fosse, chiediamo che la fontanella sia immediatamente riaperta all’uso di tutta la cittadinanza”.

Contattato da paginaQ, il sindaco Filippeschi afferma di non essere a conoscenza della vicenda, a cinque giorni dalla denuncia del gruppo di opposizione Palazzo Gambacorti non si è ancora espresso sulla vicenda, un “silenzio”, quello della giunta, che Africa Insieme e Progetto Rebeldia considerano “emblematico e assordante”.

– See more at: http://www.paginaq.it/2015/03/16/fontana-chiusa-perche-ci-vanno-gli-zingari-le-associazioni-vogliono-denunciare-il-comune/#sthash.2XVXk3yA.dpuf

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“chi sono io per giudicare o condannare?”

   “quando un gay cerca il Signore”

di Enzo Bianchi

priore della Comunità di Bose

(Tuttolibri – La Stampa, 07/03/2015)

Bianchi
“Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarlo?”

Questa frase, pronunciata da papa Francesco in un’intervista estemporanea durante il volo di ritorno dalla Giornata mondiale della gioventù in Brasile, venne considerata eccessiva da alcuni, inopportuna ad altri, bisognosa di precisazioni e distinguo da altri ancora, o ancora avventata, fuorviante, dissacratoria… Altri, troppo pochi in verità, l’hanno subito colta non solo come un’affermazione puntuale rispetto a un preciso argomento di pastorale, ma come una chiave di lettura del modo stesso di porsi del nuovo papa, arrivato a sorpresa e sconosciuto ai più sul soglio di Pietro. Sì, perché – come ricorda Raniero La Valle nel volume uscito in occasione dei due anni di pontificato di papa Bergoglio (Chi sono io, Francesco?, Ponte alle Grazie, pp. 204, € 14,00) – una frase analoga risale addirittura all’apostolo Pietro, di cui papa Francesco è successore come vescovo di Roma: “ Chi ero io per porre impedimento a Dio? (At 11,17). Così Pietro aveva risposto agli uomini religiosi che lo criticavano per essere entrato in una casa di pagani, aver mangiato con loro e aver attestato che lo Spirito santo li aveva “battezzati”.
In questa domanda che non è retorica c’è tutta la consapevolezza di essere “servo dei servi di Dio”, sottomesso nell’obbedienza all’agire dell’unico Signore della chiesa che pensa, parla, agisce e ama con criteri che non sono i criteri umani e che non lasciano che la misericordia sia ostacolata dalla rigidità di una legge separata dall’amore del legislatore. E il libro di La Valle ripercorre così due anni di parole e gesti di papa Francesco.
Ma, parafrasando il titolo, «Chi è lui, Raniero La Valle per scrivere queste “cronache di cose mai viste”»? Un giornalista di grande professionalità, un cristiano segnato da papa Giovanni e dal concilio, un uomo politico nel senso alto del termine. Direttore dell’Avvenire d’Italia negli anni del Vaticano II, poi senatore e deputato per quattro legislature, co-fondatore di Bozze 78 (ebbi la gioia di far parte di quel gruppo di amici che vollero dar vita ad una rivista di riflessione sulla presenza dei cristiani nella società civile), sempre in prima fila nelle battaglie per la pace e la giustizia, a tempo e contro-tempo. Anche per questo la riflessione che attraversa le pagine fondandosi sulle parole di papa Francesco sa cogliere in profondità snodi decisivi per la testimonianza cristiana: la pace e il rifiuto della violenza, la ricerca di un’autentica sinodalità nella guida e nella vita della chiesa, l’attenzione ad ogni genere di povertà e di ferita umana, l’uso sovrabbondante della misericordia, la libertà di un pensiero e di un’azione che si rifanno costantemente al vangelo e che ad esso rimandano in radicale semplicità …
Sì, forse molte delle “cose” operate da papa Francesco, Raniero La Valle e molti di noi non le avevamo “mai viste”. Di certo le abbiamo a lungo sognate.

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il fast food fuori posto all’Expo, anzi insultante

 

 

Erode-fast food all’Expo

 
 

 

che ci fa MacDonald’s, simbolo della cattiva alimentazione globalizzata, alla manifestazione di Milano?
Se lo chiedono Agnoletto e Molinari, esponenti dei movimenti no-Expo. E criticano chi, nella società civile, ha scelto di confrontarsi con Expo

di Raffaello Zordan

Vittorio Agnoletto non ci sta. Attacca l’Expo 2015 e chiede un ravvedimento alle numerose associazioni della società civile che, pur contestando l’agrobusiness, hanno deciso di confrontarsi con il modello di produzione e di mercato proposto dall’esposizione universale che si terrà a Milano da maggio a ottobre.

Agnoletto, medico, docente universitario ed esponente fin dagli anni Novanta dei movimenti che criticano la globalizzazione ironizza sul fatto che McDonals’s sarà presente all’Expo con un ristorante da 300 posti.

«Sarebbe come far diventare Erode testimonial d’onore di Unicef», dice in un comunicato scritto con Emilio Molinari, entrambi del gruppo CostituzioneBeniComuni. «Basti ricordare, a proposito dell’industria del fast food, che gran parte del mangime di soia utilizzato per far ingrassare alla velocità della luce i polli è coltivato in Amazzonia attraverso la distruzione di rilevanti porzioni di quella foresta che resta il principale polmone del pianeta; e che 1kg di carne e frattaglie tritate produce diversi kg di anidride carbonica con un disastroso equilibrio fra rendimento alimentare e inquinamento. Inoltre non è certo un segreto il contributo che questo tipo di alimentazione fornisce all’obesità e all’ipertensione, patologie caratteristiche della nostra epoca».

E rincara: «I dirigenti di Expo affermano che la missione dell’evento è di “dare una risposta a all’esigenza vitale di garantire cibo sano, sicuro, che non produca obesità e sufficiente per tutti i popoli, nel rispetto del pianeta e dei suoi equilibri”. Ma ci vuole uno stomaco bello forte per rendere questa missione compatibile con la partecipazione di McDonald’s e Coca Cola».

Nell’augurarsi di poter coinvolgere anche altri nell’indignazione verso «le continue manifestazioni d’imbroglio culturale che caratterizzano Expo», Agnoletto e Molinari rivolgono «un appello alla riflessione a quanti, impegnati in prospettive alternative alla globalizzazione alimentare, hanno dato la loro adesione, seppure in forme diverse, al contenitore Expo, fornendole l’alibi di un impegno sociale per il bene comune del quale francamente si fatica a trovarne traccia».

L’appello è rivolto a settori importanti della società civile che hanno scelto una strategia diversa rispetto all’Expo, alla filiera agroalimentare e al diritto al cibo: non lasciare tutta la scena alle multinazionali, ma elaborare e comunicare proposte diverse. Innanzitutto Expo dei Popoli, che riunisce una quarantina di realtà, che agirà negli spazi della Fabbrica del vapore, quindi fuori dal territorio Expo, e che in maniera del tutto indipendente e in dialogo con reti internazionali di produttori di cibo (contadini, allevatori, pescatori…) proporrà soluzioni alternative all’insegna della sovranità alimentare e del diritto alla terra, acqua, alle sementi.

Destinatarie dell’appello sono anche quelle associazioni che hanno scelto di stare dentro gli spazi e le dinamiche dell’Expo e che condurranno le loro attività nell’area della Cascina Triulza, appositamente riservata dall’Expo alla società civile.

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il papa che ama le periferie

 

Il Papa e la Chiesa di popolo

«Vedo meglio dalle periferie» 

Francesco papa

di Franca Giansoldati

in “Il Messaggero” del 13 marzo 2015

è il Papa che sta insegnando alla Chiesa ad affrontare i confini. A misurare le periferie. Periferie fisiche, del cuore, esistenziali, geografiche. In questi due anni di pontificato Francesco non ha fatto altro, e il risultato raggiunto ha un segno positivo

Da quel saluto non convenzionale («fratelli e sorelle buonasera») dalla Loggia delle Benedizioni, il 13 marzo 2013, fino alla messa che programmata per il Giovedì Santo a Rebibbia. Si inginocchierà lavando i piedi a dodici ergastolani, uomini e donne. Le periferie appunto. I giorni che si sono succeduti dalla sua prima apparizione pubblica in poi, si sono riempiti via via di azioni dirompenti, di atti non convenzionali, di discorsi franchi e diretti, persino di sbagli fatti in buona fede, di frasi sopra le righe ma bonarie, battute divertenti, capaci di introdurre al centro il linguaggio della periferia, tanto da cambiare la percezione della Chiesa, del Vaticano, del Papa stesso.

«ALLONTARSI DAL CENTRO»

Rispetto a due anni fa l’immagine complessiva della Chiesa è differente. Più dialogante, più inclusiva, più di popolo. Come se qualcuno avesse spannato uno specchio da troppo tempo offuscato. Questione di confini. Il lievito di evangelica memoria che emerge. Il programma che sta realizzando il Papa argentino mette al centro la responsabilità dei cristiani e il loro modo di rapportarsi al mondo circostante, ampliando il raggio d’azione, includendo anche quegli spazi che, in un modo o nell’altro, solitamente non si controllavano. Dal centro si marcia verso la periferia. «Nella misura in cui usciamo dal centro e ci allontaniamo da esso scopriamo più cose, e quando guardiamo al centro da queste nuove cose che abbiamo scoperto, da nuovi posti, da queste periferie, vediamo che la realtà è diversa». Questa frase chiave per capire cosa ha in testa Bergoglio è stata affidata pochi giorni fa al giornale dei Villeros, i poveri delle favelas di Buenos Aires. Gli avevano mandato una serie di domande, sperando che trovasse il tempo di rispondere, e così è stato. «Una cosa è osservare la realtà dal centro e un’altra è guardarla dall’ultimo posto dove tu sei arrivato. Un esempio: l’Europa vista da Madrid nel XVI secolo era una cosa, però quando Magellano arriva alla fine del continente americano, guarda all’Europa dal nuovo punto raggiunto e capisce un’altra cosa. La realtà si vede meglio dalla periferia che dal centro. Compresa la realtà di una persona, la periferia esistenziale, o la realtà del suo pensiero; tu puoi avere un pensiero molto strutturato ma quando ti confronti con qualcuno che non la pensa come te, in qualche modo devi cercare ragioni per sostenere questo tuo pensiero; incomincia il dibattito, e la periferia del pensiero dell’altro ti arricchisce».

Da questa piattaforma si può declinare ogni azione di governo del Papa argentino. All’interno della curia dove sono iniziate le riforme, allo Ior che sta rinunciando al segreto bancario, tra i vescovi ai quali chiede di rivedere tanti criteri nell’esercizio delle loro funzioni pastorali.

DIALOGO E SVOLTE STORICHE

L’impatto di Francesco è stato vitale anche in diplomazia. Sotto di lui ha ripreso a volare la grande scuola di Paolo VI. Grazie alla fiducia che riesce a infondere gli Usa di Omaba e la Cuba di Castro si sono per la prima volta messi attorno ad un tavolo per avviare un negoziato dai contorni storici. Anche atri dossier attendono aperti nel frattempo: la Cina e i rapporti con Pechino, il Vietnam, la Turchia e l’Armenia, l’Ucraina. L’idea di fiducia nell’uomo si trasmette anche alle nazioni. «Tutte le persone possono cambiare».

«VORREI MANGIARE UNA PIZZA»

Francesco sostiene che non si tratta di ottimismo, ma di fede. «Fede nella persona che è figlia di Dio e non abbandona i suoi figli». Tenerezza e misericordia, capacità di rialzarsi dopo una caduta, sapendo che Dio è più grande di ogni dolore, di ogni sbaglio, di ogni perdita. Bergoglio ama ribadire durante le prediche del mattino a Santa Marta che la persona è immagine di Dio «e che Dio non disprezza la propria immagine, in qualche modo la riscatta, trova sempre il modo di recuperarla quando è offuscata; Noi figli di Dio ne combiniamo di tutti i colori, sbagliamo ad ogni piè sospinto, pecchiamo, ma quando chiediamo perdono Lui sempre ci perdona. Non si stanca di perdonare; siamo noi che, quando crediamo di saperla lunga, ci stanchiamo di chiedere perdono». Papa Bergoglio insegna ad ascoltare i rumori della foresta che cresce. «Ascoltare le persone, a me, non ha mai fatto male. Ogni volta che le ho ascoltate, mi è sempre andata bene. Le volte che non le ho ascoltate mi è andata male. Perché anche se non sei d’accordo con loro, sempre – sempre! – ti danno qualcosa o ti mettono in una situazione che ti spinge a ripensare le tue posizioni. E questo ti arricchisce». Due anni tempo di bilanci anche per Francesco: alla giornalista messicana Valentina Alazraki, star di Televisa, due giorni fa ha assicurato che fare il Papa gli sta piacendo, solo che vorrebbe avere la possibilità di uscire la sera in incognito per Roma «per andare a mangiare una pizza».

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