la consolazione che ci viene dall’amico più caro che ci lascia

Peguyuna bella riflessione di Charles Peguy a proposito della persona più cara che ci lascia

L’amore non svanisce mai.
La morte non è
niente, io sono solo
andato nella stanza
accanto.
Io sono io.
Voi siete voi.
Ciò che ero per voi
lo sono sempre.
Datemi il nome che
mi avete sempre
dato.
Parlatemi come mi avete sempre parlato.
Non usate un tono diverso.
Non abbiate un’aria solenne o triste.
Continuate a ridere di ciò che ci faceva ridere insieme.
Sorridete, pensate a me, pregate per me.
Che il mio nome sia pronunciato in casa come lo è sempre stato,
senza alcuna enfasi, senza alcuna ombra di tristezza.
La vita ha il significato di sempre.
Il filo non si è spezzato.
Perchè dovrei essere fuori dai vostri pensieri?
Semplicemente perchè sono fuori dalla vostra vista?
Io non sono lontano,
sono solo dall’altro lato del cammino.


(Charles Péguy)

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il ‘sogno di Dio’ non si restringe alla sola ‘famiglia tradizionale’

i confini della misericordia

di Vito Mancuso
in “la Repubblica” del 23 gennaio 2016

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contrariamente a molte altre volte, il Papa non ha sorpreso nessuno con il discorso di ieri al Tribunale della Rota Romana, un testo del tutto secondo copione, il medesimo che non solo Benedetto XVI e Giovanni Paolo II ma anche tutti gli altri 263 Papi avrebbero potuto tenere. Francesco ha detto che «non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione », perché la famiglia tradizionale (cioè quella «fondata sul matrimonio indissolubile, unitivo e procreativo ») appartiene «al sogno di Dio e della sua Chiesa per la salvezza dell’umanità»

Vi è quindi un modello canonico di famiglia, rispetto al quale tutte le altre forme di unione affettiva e permanente sono livelli più o meno intensi di quanto il Papa ha definito «uno stato oggettivo di errore». È per questo che solo la famiglia della dottrina ecclesiastica merita il nome di famiglia, mentre a tutte le altre spetta il termine meno intenso di «unione». Ma è proprio vero che la famiglia della dottrina ecclesiastica corrisponde al disegno di Dio? Oppure è anch’essa una determinata espressione sociale, nata in un certo momento della storia e quindi in un altro momento destinata a tramontare, come sta avvenendo proprio ai nostri giorni all’interno delle società occidentali? Penso che il referendum della cattolicissima Irlanda con cui è stata mutata la costituzione per permettere a persone dello stesso sesso di contrarre matrimonio sia una lezione imprescindibile per il cattolicesimo, della quale però a Roma ancora si fatica a prendere atto. In realtà che la famiglia evolva e cambi lo mostra già il linguaggio. Il termine “famiglia” deriva dal latino familia e sembra quindi dotato di una stabilità più che millenaria, ma se si consulta il dizionario si vede che il termine latino, ben lungi dall’essere ristretto al modello di famiglia della dottrina cattolica, esprime una gamma di significati ben più ampia: «Complesso degli schiavi, servitù; truppa, masnada; compagnia di comici; l’intera casa che comprende membri liberi e schiavi; stirpe, schiatta, gente». Lo stesso vale per il greco del Nuovo Testamento, la lingua della rivelazione divina per il cristianesimo, che conosce un significato del tutto simile al latino in quanto usa al riguardo il termine oikia, che significa in primo luogo “casa” (da qui deriva anche il termine “parrocchia”, formato da oikia + la preposizione parà che significa “presso”). Anche nell’ebraico biblico casa e famiglia sono sinonimi, dire “casa di Davide” è lo stesso di “famiglia di Davide”: si rimanda cioè al casato, comprendendo mogli, figli, schiavi, concubine, beni mobili e immobili. Quindi le lingue della rivelazione di Dio non conoscono il termine famiglia nel senso usato dalla dottrina cattolica tradizionale e ribadito ieri dal Papa. Non è un po’ strano? La stranezza aumenta se si apre la Bibbia. È vero che in essa si legge che «l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno un’unica carne» (Genesi 2,24), ma se si analizzano le esistenze concrete degli uomini scelti da Dio quali veicoli della sua rivelazione si vede uno scenario molto diverso con altre forme di famiglia: Abramo ebbe 3 mogli (Sara, Agar e Keturà), Giacobbe 2, Esaù 3, Davide 8, Salomone 700. A parte Salomone, che in effetti eccedette, non c’è una sola parola di biasimo della Bibbia a loro riguardo. Che dire? La parola di Dio è contro il disegno di Dio? Oppure si tratta di testi che vanno interpretati storicamente? Ma se vanno interpretati storicamente i testi biblici, come non affermare che va interpretato storicamente anche il modello di famiglia della dottrina ecclesiastica? Ciò dovrebbe indurre, a mio avviso, a evitare affermazioni quali «stato oggettivo di errore». La vita quotidiana nella sua concretezza insegna che vi sono unioni ben poco tradizionali di esseri umani nelle quali l’armonia, il rispetto, l’amore sono visibili da tutti, e viceversa unioni con tanto di sacramento cattolico nelle quali la vita è un inferno. Siamo quindi davvero sicuri che la dottrina cattolica tradizionale sulla famiglia sia coerente con l’affermazione tanto cara a papa Francesco secondo cui «il nome di Dio è misericordia»? Io ovviamente mi posso sbagliare, ma mi sento di poter affermare che Dio non pensa la famiglia, meno che mai quella del Codice di diritto canonico. Pensa piuttosto la relazione armoniosa alla quale chiama tutti gli esseri umani, perché il senso dello stare al mondo è esattamente la relazione
armoniosa, che si esplicita in diversi modi e che trova il suo compimento nell’amore. Ogni singolo è chiamato all’amore: questo è il senso della vita umana secondo il nucleo della rivelazione cristiana. Sicché nessuno deve poter essere escluso dalla possibilità di un amore pieno, totale, anche pubblicamente riconosciuto. Ed è precisamente per questo che ci si sposa: perché il proprio amore, da fatto semplicemente privato, acquisti una dimensione pubblica, politica, in quanto riconosciuto dalla polis. Questo amore è definibile come integrale, in quanto integra la dimensione soggettiva con la dimensione pubblica e oggettiva dell’esistenza umana. La nascita di alcuni esseri umani con un’inestirpabile inclinazione sessuale verso persone del proprio sesso è un fatto, non piccolo peraltro: essi devono strutturalmente rimanere esclusi dalla possibilità dell’amore integrale? In realtà l’aspirazione all’amore integrale deve essere riconosciuto come diritto inalienabile di ogni essere umano acquisito alla nascita. L’amore integrale è un diritto nativo, primigenio, radicale, riguarda cioè la radice stessa dell’essere umano, e nessuno ne può essere privato. Spesso nel passato non pochi lo sono stati, e ancora oggi in molte parti del mondo non di rado continuano a esserlo. Oggi però il tempo è compiuto per sostenere nel modo più esplicito che tutti hanno il diritto di realizzarsi nell’amore integrale, eteroaffettivi e omoaffettivi senza distinzione. La maturità di una società si misura sulla possibilità data a ciascun cittadino di realizzare il diritto nativo all’amore integrale, ma io credo che anche la maturità della comunità cristiana si misuri sulla capacità di accoglienza di tutti i figli di Dio così come sono venuti al mondo, nessuno escluso. Che cosa vuol dire che «il nome di Dio è misericordia» per chi nasce omosessuale? È abbastanza facile dire che Dio è misericordia quando ci si trova al cospetto di casi elaborati da secoli di esperienza. Più difficile quando ci si trova al cospetto della richiesta di riconoscimento della piena dignità da parte di chi per secoli ha dovuto reprimere la propria identità. Qui la misericordia la si può esercitare solo modificando la propria visione del mondo, ovvero infrangendo il tabù della dottrina. Ma è qui che si misura la verità evangelica, qui si vede se vale di più il sabato o l’uomo. Qui papa Francesco si gioca buona parte del valore profetico del suo pontificato.

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le religioni di fronte all’omosessualità

cosa manca alle religioni per accettare l’omosessualità

l’intervento del prof. Vito Mancuso al convegno sull’omosessualità tenutosi martedì 19 maggio nella Sala Zuccari del Senato della Repubblica 

Schermata 2015-05-18 alle 23.46.06Anche se oggi il giudizio delle religioni sull’omosessualità è per lo più di condanna, qualcosa sta cambiando. È ormai citatissima la frase di papa Francesco del 28 luglio 2013: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla? ». Affermazione scioccante perché i Papi, compresi gli immediati predecessori di Francesco, hanno sempre formulato esplicite valutazioni sull’omosessualità, e sempre di condanna. Nel 2006 il Dalai Lama riaffermava la disapprovazione buddhista: «Una coppia gay è venuta a trovarmi cercando il mio appoggio e la mia benedizione: ho dovuto spiegare loro i nostri insegnamenti. Una donna mi ha presentato un’altra donna come sua moglie: sconcertante». Nel 2014 l’approccio è stato diverso: «Se due persone, una coppia, sentono veramente che quel modo è più pratico, più fonte di soddisfazione, e se entrambi sono pienamente d’accordo, allora va bene»…

Oggi tutte le religioni presentano tale oscillazione, in esse si nota l’evoluzione prodotta dallo “spirito del mondo”, per riprendere l’espressione con cui Hegel qualificava l’azione divina. È in atto nel mondo una complessiva riscrittura dei rapporti tra singolo e società: all’insegna del primato non più della società e delle sue tradizioni, ma del singolo e della sua realizzazione, un movimento che sta portando a valorizzare i soggetti tradizionalmente più emarginati, tra cui appunto gli omosessuali. Ne viene che oggi l’atteggiamento delle religioni sull’omosessualità presenta orientamenti molto diversi, dalla tradizionale e intransigente condanna alla più totale accoglienza. È vero tuttavia che le religioni abramitiche sono tradizionalmente più chiuse e che tra esse la posizione più rigida è quella dell’islam: ancora oggi nella gran parte del mondo musulmano l’omosessualità non è socialmente accettata e in alcuni paesi (Afghanistan, Arabia Saudita, Brunei, Iran, Mauritania, Nigeria, Sudan, Yemen) è persino punita con la pena di morte. Ciononostante in altri paesi a maggioranza musulmana non è più illegale, e in Albania, Libano e Turchia vi sono addirittura discussioni sulla legalizzazione dei matrimoni gay.
All’interno dell’ebraismo gli ebrei ortodossi considerano l’omosessualità un peccato e tendono a escludere le persone con tale orientamento, gli ebrei conservatori accettano le persone ma rifiutano la pratica omosessuale, gli ebrei riformisti ritengono l’omosessualità accettabile in tutti i suoi aspetti tanto quanto l’eterosessualità.
All’interno del cristianesimo si riproduce la medesima situazione, non solo a seconda delle diverse chiese, ma anche all’interno di una stessa chiesa. I luterani per esempio in Missouri dicono no all’ordinazione, alla benedizione delle coppie, ai matrimoni e persino all’accoglienza tra i fedeli dei gay, mentre in altri stati Usa e in Canada dicono sì su tutte e quattro le questioni. Si può comunque dire che il mondo protestante pentecostale (tra cui avventisti, assemblee di Dio, mormoni, testimoni di Geova) è generalmente contrario ai diritti gay, mentre il protestantesimo storico (tra cui luterani, riformati, anglicani, battisti, valdesi) è più favorevole.
La Chiesa cattolica riproduce la medesima dialettica, anche se sbilanciata a favore del no. La dottrina è giunta a dire sì all’accoglienza delle persone gay (cf. Catechismo, art. 2358) ma è ferma nel dire no alla benedizione della coppia e al matrimonio. Tale no si basa sul ritenere peccaminosa ogni forma di espressione omosessuale della sessualità: «Gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati» (art. 2357). Da qui una conseguenza implacabile: «Le persone omosessuali sono chiamate alla castità» (art. 2359). Più controversa è la posizione sull’ordinazione sacerdotale. In un documento del 2005 della Congregazione per l’Educazione cattolica sull’ammissione in seminario di omosessuali si legge: «La Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay. Le suddette persone si trovano, infatti, in una situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne». Ciò non impedisce tuttavia la presenza di omosessuali tra il clero cattolico e le comunità religiose maschili e femminili, con una percentuale difficilmente quantificabile ma certo non inferiore rispetto alla società, e da molti ritenuta doppia o ancora maggiore.
La maggioranza dei fedeli cattolici, soprattutto tra africani e asiatici, condivide l’intransigenza dottrinale, mentre a favore dei diritti gay vi sono specifici movimenti di fedeli omosessuali, non pochi teologi e religiosi, persino singoli vescovi, e qualche giorno fa la Conferenza episcopale tedesca e la Conferenza episcopale svizzera. Ha scritto quest’ultima: «La pretesa che le persone omosessuali vivano castamente viene respinta perché considerata ingiusta e inumana. La maggior parte dei fedeli considera legittimo il desiderio delle persone omosessuali di avere dei rapporti e delle relazioni di coppia e una grande maggioranza auspica che la Chiesa le riconosca, apprezzi e benedica”.
In ambito cristiano gli argomenti contro l’amore omosessuale sono due: la Bibbia e la natura. Il primo si basa su alcuni testi biblici che condannano esplicitamente l’omosessualità, in particolare Levitico 18,22-23 e 1Corinzi 6,9-10. Il secondo dice che c’è un imprescindibile dato naturale che si impone alla coscienza al punto da diventare legge, legge naturale, il quale mostra che il maschio cerca la femmina e la femmina cerca il maschio, sicché ogni altra ricerca di affettività è da considerarsi innaturale, espressione o di una patologia o di una vera e propria perversione, cioè o malattia o peccato.
Qual è la forza degli argomenti? L’argomento scritturistico è molto debole, non solo perché Gesù non ha detto una sola parola al riguardo, ma soprattutto perché nella Bibbia si trovano testi di ogni tipo, tra cui alcuni oggi avvertiti come eticamente insostenibili. I testi biblici che condannano le persone omosessuali io ritengo siano da collocare tra questi, accanto a quelli che incitano alla violenza o che sostengono la subordinazione della donna. E in quanto tali sono da superare.
Per quanto attiene all’argomento basato sulla natura, personalmente non ho dubbi sul fatto che la relazione fisiologicamente corretta sia la complementarità dei sessi maschile e femminile, vi è l’attestazione della natura al riguardo, tutti noi siamo venuti al mondo così. Neppure vi sono dubbi però che anche il fenomeno omosessualità in natura si dà e si è sempre dato. Occorre quindi tenere insieme i due dati: una fisiologia di fondo e una variante rispetto a essa. Come definire tale variante? Le interpretazioni tradizionali di malattia o peccato non sono più convincenti: l’omosessualità non è una malattia da cui si possa guarire, né è un peccato a cui si accondiscende deliberatamente. Come interpretare allora tale variante: è un handicap, una ricchezza, o semplicemente un’altra versione della normalità? Questo lo deve stabilire per se stesso ogni omosessuale. Quanto io posso affermare è che questo stato si impone al soggetto, non è oggetto di scelta, e quindi si tratta di un fenomeno naturale. E con ciò anche l’argomento contro l’amore omosessuale basato sulla natura viene a cadere.
Gli argomenti a favore si concentrano in uno solo: il diritto alla piena integrazione sociale di ogni essere umano a prescindere dagli orientamenti sessuali, così come si prescinde da età, ricchezza, istruzione, religione, colore della pelle. Accettare una persona significa accettarla anche nel suo orientamento omosessuale. Non si può dire, come fa la dottrina cattolica attuale, di voler accettare le persone ma non il loro orientamento affettivo e sessuale, perché una persona è anche la sua affettività e la sua sessualità.
La maturità di una società si misura sulla possibilità data a ciascuno di realizzarsi integralmente in tutte le dimensioni della sua personalità. Io credo che anche la maturità di una comunità cristiana si misura sulla capacità di accoglienza di tutti i figli di Dio, così come sono venuti al mondo, nessuna dimensione esclusa.

Vito Mancuso la Repubblica 19 maggio 2015

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il teologo Mancuso al forum dei cristiani omosessuali

 

Prospettive teologiche sull’amore omosessuale e il suo esercizio mediante l‘affettività (link)

Intervista a “Pride”, Maggio 2012 (pp.17-18) (PDF)

trascrizione dell’intervento di Vito tenuto al II Forum dei Cristiani Omosessuali Italiani (Albano Laziale 31 marzo 2012) effettuata da Lidia Borghi, trascrizione non rivista dall’autore

[…]  Io dirò delle cose e sono sicuro che la gran parte di queste cose, probabilmente tutte le cose che dirò, sono a tutti voi già note, tento però di dar ordine, di sistematizzarle; la forma in cui i contenuti si possiedono a volte è ancora più importante dei contenuti stessi.
Uno dei compiti del pensiero, diceva già Aristotele e ribadiva Tommaso D’aquino, è proprio mettere ordine e tento di farlo con questo.

il titolo che all’inizio mi è stato proposto era il seguente: “Prospettive teologiche per l’accoglienza e l’inclusione delle persone omosessuali e transessuali nella chiesa in cammino”.
Questo era il tema che mi è stato assegnato. Io ne ho scelto un altro… Ne ho scelto un altro non perché non intendo confrontarmi con questo argomento proposto, ma perché penso che la prima forma di accoglienza sia la comprensione, l’intelligenza
Il primo luogo… Il primo luogo nel quale avviene l’accoglienza è la mente, la mente… e poi il cuore
Se non si sciolgono le barriere della mente, anche le barriere del cuore fanno fatica a essere abbattute ed è per questo… ed è per questo che  la nostra chiesa per secoli e secoli e secoli e ancora oggi fa fatica ad accogliere l’amore omosessuale.

Non è per cattiveria, è proprio per queste… per alcuni blocchi mentali… per alcuni problemi mentali, per alcune cose, in particolare due, che tenterò di affrontare. Quindi, senza conoscenza, senza la luce della conoscenza, non si può accogliere.

L’ignoranza genera il contrario dell’accoglienza oppure è un’accoglienza di serie B, di serie C, un’accoglienza che sa tanto di tolleranza… Avete capito cosa intendo.

Quindi è per questo che io ho scelto questa mattina con voi di affrontare le due obiezioni più forti in ambito cristiano contro l’amore omosessuale. Sono due obiezioni e sono entrambe molto forti, molto radicate.

Quindi quali sono queste due obiezioni, che cosa dicono e perché a mio avviso si possono, si devono superare. Questo è quello che tenterò di fare. La prima è l’obiezione nel nome della natura, della na-tu-ra, la seconda è l’obiezione nel nome della Bibbia.

La prima è diciamo preminente in ambito cattolico. La seconda è preminente in ambito protestante, ma ambito cattolico e ambito protestante spesso si ritrovano uniti e quindi anche in ambito cattolico spesso vi sono obiezioni contro l’amore omosessuale esattamente a partire dalla Bibbia e immagino che anche in ambito protestante si possano fare obiezioni nel nome della natura.

Allora io procederò in questi termini… primo: l’obiezione che proviene dall’ambito della natura, della cosiddetta legge naturale; secondo: l’obiezione nel nome della Bibbia; terzo: conclusione.

Beh, l’obiezione contro l’amore omosessuale nel nome della natura è la grande obiezione del Magistero ecclesiastico ed è la teologia ufficiale che ne dipende. Dicono, cosa dicono?

Dicono quanto segue: “C’è un imprescindibile dato di fatto naturale che si impone nella coscienza di qualunque persona retta.” Un-imprescindibile-dato-di-fatto-naturale, che si impone, si impone al punto da diventare legge, una legge naturale.

E tale legge stabilisce che il maschio cerchi la femmina, la femmina cerchi il maschio e che ogni altra ricerca di affettività sia innaturale e quindi immorale. Ciò che è innaturale è necessariamente anche immorale. È un obiezione da poco?

No, non è un’obiezione da poco, non lo è, visto che la vita si diffonde così per quanto riguarda noi Homo sapiens sapiens da duecentomila di anni e si diffonde così da milioni di anni, se consideriamo gli altri… gli ominidi per esempio e da miliardi di anni, se consideriamo gli esseri viventi; escludendo qui i batteri, che si riproducono in modo asessuato, per il resto tutte le specie di esseri viventi si riproducono esattamente così, unione sessuale di maschio più femmina.

Ciascuno di noi, qui oggi presente, è venuto al mondo così, grazie all’incontro, quella notte, quella mattina… Io ogni tanto ci penso: chissà i miei quando l’hanno fatto, come l’hanno fatto? Ognuno di noi è venuto al mondo così.

Come rispondere a questa obiezione? Io ci ho pensato… Ho pensato che noi siamo in primavera, siamo anche fortunati adesso che è una bellissima giornata di primavera; io quindi vorrei partire dal significato profondo del termine primavera e dalla sua connessione con il termine verità: riflettere sulla primavera ci può aiutare a comprendere come l’identificazione della natura, con la necessità e con la legge – natura=necessità=legge che si impone – questa identificazione della natura con la necessità e con la legge è parziale e quindi è sbagliata. Come si dice primavera in latino?

Mentre venivamo… mentre venivamo in macchina mi è stato detto che Albano laziale contiene… me lo diceva Franco… Albano laziale compete con Roma per quanto riguarda i resti archeologici degli antichi Romani; è quanto mai appropriato porre qui, parlando in italiano, che è la continuazione naturale del latino… porre questa domanda: i nostri padri come dicevano quando volevano dire primavera?

Come si dice in latino primavera? In latino primavera – qualcuno l’ha già detto – si dice “ver”, genitivo “veris”, “ver/veris”; è la medesima radice da cui viene l’aggettivo “verus-vera-verum”, da cui viene l’avverbio “vere”, da cui viene il sostantivo “veritas/veritatis”.

Questa stretta connessione primordiale tra verità e primavera ci fa comprendere che verità è ciò che fa fiorire la vita, ciò che consente alla vita di passare dal gelo dell’inverno al tepore primaverile da cui sorge la vita. Verità=vita, verità=logica della vita, verità=primavera. Siamo sì in presenza di una legge naturale, certo; è la legge naturale, questa?

Sì, è la legge naturale ma non è una legge naturale nel senso di nomos/norma, ma è una legge nel senso di logos/logica.

Nomos/norma è una legge che ti imprigiona, che ti incatena alla necessità naturale, che ti dice “è così e non può essere che così, fai così”.

Logos/logica è una legge dinamica, che ti pone all’interno della processualità della vita e che ti fa fiorire, fa fiorire te in quanto pezzo di mondo che vivi dentro di te la primavera, la stagione della primavera, della fioritura, cioè dei legami e che, al di là per gli esseri umani della dimensione semplicemente stagionale e temporale, si dà come dimensione costitutiva.

Costitutiva di ogni nostra manifestazione. Poi, anche nel pieno dell’inverno, anche il quattro novembre o se volete il due che è ancora più… possiamo fiorire e fioriamo, abbiamo aspetti di primavera, diciamo (?) questa dimensione di una legge naturale che è logos/logica.

Perché, vedete, quando parliamo di vita, soprattutto quando parliamo di vita umana, noi sbaglieremmo, sbagliamo – togliamo pure il condizionale – noi sbagliamo se ci limitiamo a pensare che la vita sia “bios”; qui ci viene in aiuto l’altra grande lingua classica, il greco antico: gli antichi greci quando parlavano di vita sapevano bene che non avevano a che fare unicamente con la vita come “bios”, tant’è che in greco antico per dire vita ci sono tre termini, non uno solo: c’è la vita “bios”, la vita biologica, la vita di queste palme che vedo lì e degli ulivi, come “bios”, ma vita in greco si dice anche “zoé”, è la vita animale, la vita della zoologia e noi siamo vita biologica ma siamo anche vita animale; vita in greco antico si dice “psyché”, anche ed è la vita psichica, la vita del carattere, del temperamento, delle emozioni, dei sentimenti. Il fenomeno umano poi prosegue.

Non è semplicemente e solo “bios”, vita biologica, vita animale, vita psichica, giunge anche a essere “logos”, vita della mente, vita razionale, vita progettuale, calcolante e giunge a essere “noùs”, “nòesis”, “noùs”, che è intelletto e anche spirito, che è la dimensione della libertà, dimensione della libertà che significa che noi siamo sì determinati dalla nostra biologia, siamo sì determinati dalla nostra zoologia, siamo sì determinati dalla nostra psicologia, ma non al punto tale da essere necessitati da tutto ciò.

Noi possiamo talora oltrepassare tutto questo, produrre (?) qualcosa di nuovo, creare, essere capaci di creatività.

L’amore è il momento più alto della creatività. Quindi nel suo senso più radicale la verità è strettamente connaturata alla natura, scaturisce dalla natura, l’obiezione che viene fatta nel nome della legge naturale va presa sul serio: non ci può essere nessun pensiero adeguato che si contrapponga alla natura.

Noi siamo natura. Non c’è nessuna possibilità di pensarsi in contrapposizione, di pensarsi a prescindere dalla natura, ma quello che io ho sottolineato è che questa legge naturale non è una norma che congela il fenomeno umano unicamente sul “bios”, ma è una legge che favorisce la logica della relazione armoniosa, perché il fenomeno umano possa fiorire in tutti questi suoi cinque aspetti costitutivi, fino a giungere alla creatività, alla libertà della vita spirituale.

Questa secondo me è la vera legge naturale, questa armonia relazionale che fa fiorire la vita in tutti, in tutti i suoi aspetti.

Un approfondimento al riguardo: io dirò delle cose adesso, non so se voi siete d’accordo o no, poi ci sarà il dibattito, ma io dico le mie idee, come sono abituato a fare in qualunque ambito e in qualunque situazione, senza piegare il mio pensiero agli interlocutori, stando attento all’interlocutore ma senza piegarlo e non lo vorrei piegare neanche qui; vedete, io personalmente non ho dubbi sul fatto che la relazione fisiologicamente corretta sia quella della complementarietà dei sessi maschio+femmina, femmina+maschio, la-relazione-fisiologicamente-corretta…

Cioè, cosa vuol dire fisiologicamente corretta? Vuol dire che esiste appunto un “logos”, una “ratio”, una logica all’interno della “physis”, all’interno della natura e vi è una clamorosa innegabile attestazione della natura al riguardo…

Gli esempi li ho già fatti prima, insomma, a partire dal fatto del nostro essere qui… Poi tra l’altro per noi cristiani c’è anche l’esplicita attestazione biblica in Genesi 1, 27 e in tanti altri passi anche del Nuovo Testamento e così via, quindi primo polo del problema; secondo polo del problema, non ci sono neppure dubbi, però, che il fenomeno omosessualità avviene, si dà, si è sempre dato, sempre si darà, sia negli esseri umani, sia negli altri esseri viventi, quindi sono questi due poli che occorre tenere insieme: esiste una fisiologia di fondo ed esiste una variante rispetto a tale fisiologia.

La questione diventa: come definire tale variante? Come la definiamo? Difformità? Alterità? Alterazione? Trasgressione?

Normalmente la storia e non solo la storia, anche la cronaca, la cronaca dei giornali nei nostri giorni, presenta due interpretazioni, normalmente, superate dalla scienza, superate dalla… ma normalmente parlando, ancora oggi sono due: malattia e peccato. Questa variante o è una malattia o è un peccato o tutte e due.

A mio avviso nessuna delle due è convincente e occorre lavorare a livello del pensiero, il pensiero è importantissimo, lavorare sulla cultura, lavorare sulle idee, è decisivo, è importantissimo, perché una società – e non solo una società – insomma perché ci possa essere effettivo progresso. Decisivo.

Quindi bisogna lavorare per sconfiggere questa modalità che ancora oggi è largamente maggioritaria secondo cui appunto l’omosessualità sia o una malattia o un peccato. Non lo si dice magari, non lo si dice, magari perché si sa che non è più “politically correct”, però mi pare di poter affermare – non sono un esperto a riguardo – che nella… come si dice, nelle dimensioni profonde del nostro Paese, ancora questa sia la convinzione e occorre lavorare per superare questa convinzione, perché l’omosessualità non è una malattia da cui qualcuno possa guarire né tanto meno un peccato che uno volentieri commette.

C’è il documento della Congregazione per la Dottrina della fede del 1986 secondo cui l’omosessualità è una manifestazione del peccato originale. Potete leggere questo documento firmato dall’allora prefetto Joseph Ratzinger…

Il paragrafo 6 dice: “Il deterioramento dovuto al peccato continua a svilupparsi nella storia degli uomini di Sodoma. Non vi può essere dubbio sul giudizio morale ivi espresso contro le relazioni omosessuali”.

Ecco, io sono del tutto contrario a questa prospettiva. Combatto, combatterò, ma rimane il problema: che cos’è, allora? Come la definiamo? È importante…

Come la definiamo questa variante, questa altra manifestazione? Io penso che questo sia il compito che ciascuno di voi debba fare per se stesso. Io non ho nessun titolo per parlare al riguardo.

Dico solo: quelle… due modalità… quelle due modalità o peccato oppure malattia sono inaccettabili, vanno superate, poi è compito vostro, è compito di chi pensa queste cose in modo… e chi le vive e chi le pensa di giungere…

Io mi limito a dire due cose al riguardo. Primo: tale stato di fatto si impone al soggetto. Non c’è una scelta, poi voi mi direte se è vero o no quello che dico, ma non c’è scelta da parte sua, così come gli eterosessuali non scelgono di essere eterosessuali; è la natura che esibisce dentro di noi questa attrazione, di cui noi siamo a volte persino vittime.

Se penso alle prime manifestazioni della mia sessualità, della mia attrazione per il sesso femminile, beh, sono dolorose a volte queste situazioni di dipendenza.

Si è necessitati da questo punto di vista, c’è qualcosa che si impone, c’è qualcosa di più forte di noi che ci si impone.

Secondo: tale stato non deve in nessun modo essere negato, represso, messo a tacere. Io mi limito a dire queste cose e aggiungo: può essere sublimato questo stato?

Può essere sublimato? Lo avverto, ne sono consapevole, ma non lo esercito attivamente, lo sublimo. Può esserlo? Sì, io ritengo di sì.

La spiritualità cristiana presenta esempi molto luminosi di sublimazione della sessualità, ovviamente sia eterosessuale sia omosessuale.

Alcune delle persone migliori che conosco – non tutte le persone migliori che conosco – ma alcune delle persone migliori che conosco sono esattamente persone che hanno sublimato questa forza della sessualità che agisce dentro di loro in funzione di un amore più grande.

Ancora nell’ultimo libro che è adesso arrivato in libreria del cardinal Martini che è un dialogo con Ignazio Marino – “Credere e conoscere”, pubblicato da Einaudi – ancora adesso il cardinal Martini ribadisce questa sua profonda convinzione secondo cui la forza della sessualità può essere sublimata in funzione di un amore più grande.

E quindi la risposta è sì, certo e questo vale naturalmente tanto per gli omosessuali quanto per gli eterosessuali.

Vedete, a differenza di altre specie, proprio per il fatto che noi non siamo solamente “bios” e non siamo solamente “zoé”, per chi è solamente “bios” e “zoé”, cioè per – voglio dire – gli animali normalmente intesi, non c’è questa possibilità di sublimazione, perché la forza della sessualità diventa una costrizione.

Visto che noi possiamo giungere anche ad essere “noùs”, il momento più alto della vita umana, cioè libera creatività spirituale, esattamente per questo noi possiamo sublimare l’energia sessuale.

Però questo vale per tutti e soprattutto questo non significa che la condizione omosessuale debba essere necessariamente sublimata, come vuole il Magistero attuale.

Lo si può fare ma non deve essere necessariamente così, non deve essere necessariamente così. La sublimazione della sessualità non può essere imposta a nessuno, né agli eterosessuali, né agli omosessuali. Perché? Perché noi siamo passione.

Qual è il nostro nome… dal punto di vista emotivo qual è la caratteristica che ultimamente definisce noi stessi?

Secondo me – poi ciascuno può rispondere alla sua maniera – ma secondo me è esattamente la passione. Noi siamo passione. L’intelligenza, la volontà, l’istinto, tutto questo… ultimamente convergono, sono uniti, sono definiti dal nostro essere passione e il nostro essere passione naturalmente può essere distruttivo, può essere distruttivo, ma una sola cosa è sicura: se si spegne la passione si spegne la vita.

Allora, se la sublimazione è in funzione di una più alta passione, va bene. Se la sublimazione è in funzione dello spegnimento della passione, va male e va combattuta.

Ecco, questa è la modalità – non so se sono riuscito – questo è il succo del primo punto di questo mio intervento: c’è un’obiezione nel nome della natura, questa obiezione è seria, non è un’obiezione ridicola, ha un preciso fondamento, ma si supera nella misura in cui si comprende che la legge della natura non è una norma che si impone al soggetto come qualche cosa che lo schiaccia e che lo definisce unicamente in funzione del suo essere vita biologica e vita zoologica o di essere in funzione della riproduzione… non è, non è una legge che si impone in questi termini, ma questa legge naturale, per gli homo sapiens sapiens si dà anzitutto come fioritura di tutti i livelli della vita, tutti, il principale dei quali, il più alto dei quali, è la vita come “noùs”, come spiritualità e quindi è conforme alla vera legge naturale ciò che fa fiorire la vita del singolo, del singolo concreto, del singolo individuo concreto in tutti i suoi aspetti. Vengo adesso alla seconda obiezione, quella in nome della Bibbia: (…) ULTERIORE SPIEGAZIONE DEI 5 TERMINI GRECI PER “VITA”.

“Bios”: vita biologica, vita delle piante; “zoé”: vita animale, che è quella della riproduzione, dell’alimentazione; “psychè”: psiche, che è la vita psichica; carattere, emozioni, temperamento… ciascuno di noi ha il suo carattere: c’è chi di noi è un allegro, c’è chi di noi è un allegro assai, c’è chi è un andante, c’è chi un allegretto, c’è chi un largo, ciascuno di noi ha il suo temperamento; “logos”: la ragione calcolante, progettuante… la ragione, la vita della mente in quanto ragione: c’è un bellissimo libro di Hannah Harendt, “La vita della ragione”… “Nous”: che normalmente viene tradotto come intelletto e si distingue in intelletto attivo e intelletto passivo, ma che in questa prospettiva è ancora più giusto forse tradurre con “spirito”, la vita dello spirito, cioè la capacità di creatività, di porre qualcosa di nuovo, perché fino a quando noi ci fermiamo nel nostro essere viventi alla dimensione di “bios”, di “zoé”, di “psyché” e anche di “logos”, noi semplicemente ripetiamo la struttura, la struttura che ci ha generato, (?) possiamo solo trasgredire la struttura, innovarla, rivoluzionarla, infrangerla per porre strutture più grandi, migliori, più aperte, esattamente perché c’è questa quinta dimensione della mente e della vita umana che è la dimensione della creatività.

Le obiezioni in nome della Bibbia. Dicono: la parola di Dio condanna esplicitamente la pratica omosessuale, non condanna la tendenza, ma condanna senza appello ogni forma di pratica attiva, diciamo così, di amore omosessuale. È un’obiezione da poco? No, non è un’obiezione da poco, per chi è cristiano, per chi vuole, come dire, prendere sul serio la Bibbia, non è un’obiezione da poco.

Vi sono testi biblici molto espliciti al riguardo. Li conoscete, sicuramente, ma ne leggo alcuni, per esempio il Levitico. Levitico 18:22: “Non ti coricherai con un uomo come si fa con una donna, è cosa abominevole”. Tra l’altro questa prescrizione si trova tra due condizioni che sono, uno: l’infanticidio e, secondo: la bestialità. Capite che ci si muove su terreni come dire ad alta elettricità. E se uno lo faceva?

Levitico 20:13 dice: “Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio. Dovranno essere messi a morte. Il loro sangue ricadrà su di loro”. Si potrebbe pensare che trattandosi di brani del cosiddetto Antico Testamento, siano superati nel Nuovo. Ci pensa però il Vaticano, con un documento della Congregazione per la dottrina della fede, quello citato sopra, a fare chiarezza. Adesso farò una lunga citazione di questo documento: San Paolo vi propone la stessa dottrina, elencando tra coloro che non entreranno nel regno di Dio anche chi agisce da omosessuale.

Si cita prima Corinzi 6:9: “Non illudetevi – scrive San Paolo – né immorali, né idolatri, né adulteri, né depravati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio”.

Continua il documento vaticano: “In un altro passaggio del suo epistolario egli, fondandosi sulle tradizioni morali dei suoi antenati, presenta il comportamento omosessuale come un esempio della cecità nella quale è caduta l’umanità.”

E poi si fa riferimento a Romani 1:18-32; in particolare il versetto 27 dice: “Similmente anche i maschi, lasciando il rapporto naturale con la femmina, si sono accesi di desiderio gli uni per gli altri commettendo atti ignominiosi maschi con maschi, ricevendo così in se stessi la retribuzione dovuta al loro traviamento.”

E poi si cita anche – prima – Timoteo 1:10 dove anche qua c’è un elenco che in mezzo a sacrileghi, a profanatori, a parricidi, a matricidi, ad assassini, a fornicatori, a mercanti di uomini, a schiavisti, a bugiardi, ecc., in mezzo a tutti questi ci sono anche coloro che sono definiti sodomiti. Quindi che dire?

Il documento vaticano ha ragione e l’obiezione è un’obiezione pertinente e non c’è nessuna scappatoia esegetica, a mio avviso, nella misura in cui si sta in questi testi, che non potrà mai negare come questi testi siano esplicitamente contrari con una carica direi proprio quasi di aggressività, una grande carica di aggressività esplicitamente contraria all’amore omosessuale. E Gesù?

Gesù come si pone, che cosa dice? Gesù non dice nulla. Fanno notare gli esperti, gli studiosi, che Gesù sul discorso dell’amore omosessuale non ha detto una parola. E non disse neppure una parola… E quindi?

E quindi è molto curioso vedere come, a seconda della prospettiva che si vuole affermare, vi siano esegeti che dicono: “Vedete? Gesù non ha detto nulla. Quindi?
E quindi evidentemente accetta in questo l’impostazione tradizionale giudaica, quindi evidentemente accetta la condanna proprio perché non ha detto nulla.

Quando Gesù non era d’accordo lo diceva. Non avendo detto nulla, accetta. Chi tace acconsente.”

Infatti, se voi leggete il libro il cui titolo è “L’omosessualità nella Bibbia” edito dalla casa editrice San Paolo, trovate esattamente questa prospettiva.

Di contro, ci sono altri teologi, altri teologi che dicono che il silenzio di Gesù va inteso non come un consenso rispetto alla prospettiva tradizionale ma come una sospensione del giudizio.

Vi leggo le parole di Giannino Piana, che è un teologo morale che ha scritto un libro al riguardo, proprio al riguardo del problema di cui stiamo dibattendo: “Si tratta di un silenzio eloquente che non può non sorprendere e che deve essere seriamente tenuto in conto. Forse proprio da questo dovrebbe prendere spunto il Magistero della chiesa per riformulare la propria posizione sull’omosessualità e più in generale su tutte le tematiche connesse all’esercizio della sessualità”.

Cioè, Giannino Piana dice: “Prendete esempio, cari vescovi, cari cardinali, da Gesù, tacete su questa cosa, non dite nulla e fate che ciascuno determini…”

Allora, che cosa dobbiamo pensare? Che cosa pensare? Come rapportarsi da credenti con i testi dell’Antico Testamento, con quelli del Nuovo Testamento, con il silenzio di Gesù?

Certamente tutti voi conoscete, sono sicuro che tutti voi la conoscete, perché è così bella questa cosa, questa pagina che vi sto leggendo, che tutti voi la conoscete, l’avete letta, l’avete fatta leggere.

Tutti voi conoscete la pagina che ora vi leggerò. Risale a più di dieci anni fa, viene dagli Stati Uniti d’America, ma è intatta nella sua brillantezza, è una pagina piena d’ironia che aiuta a capire come uscire dal ginepraio dei precetti biblici.

La storia si svolge in America e inizia quando una nota conduttrice di un programma radiofonico che si chiamava – anzi si chiama, perché è una signora ancora… almeno, Wikipedia English la dà come ancora vivente e operante – dottoressa Laura Schlesinger, nata a New York nel 1947, nata da padre ebreo e da madre italiana e a quel tempo ebrea osservante – era aderente appunto all’ebraismo ortodosso – in una sua trasmissione, basandosi su Levitico 18:22, afferma che l’omosessualità è condannata come abominio dalla Bibbia e quindi non può essere tollerata in nessun caso.

Il passo è chiaro. Non c’è esegesi, non c’è possibilità di traduzione, quel passo lì è chiaro, basta leggere, si prende, si legge e fine della discussione.

Chi vuol essere un cristiano e anche un ebreo coerente non può che trarne una conclusione.

Ora, qualche tempo dopo, un ascoltatore le scrive la seguente lettera che ora vi leggo, che immagino molti di voi, penso tutti voi, conoscete:

“Cara Dottoressa Schlesinger, le scrivo per ringraziarla del suo lavoro educativo sulle leggi del Signore. Ho imparato davvero molto dal suo programma, ed ho cercato di dividere tale conoscenza con più persone possibile.

Adesso, quando qualcuno tenta di difendere lo stile di vita omosessuale, gli ricordo semplicemente che nel Levitico 18:22 si afferma che è un abominio. Fine della discussione. Però, avrei bisogno di alcun consigli da lei, a riguardo di altre leggi specifiche e su come applicarle.

Primo: Vorrei vendere mia figlia come schiava, come sancisce Esodo 21:7. Quale pensa sarebbe un buon prezzo di vendita?

Secondo: Quando sull’altare sacrificale accendo un fuoco e vi ardo un toro, so dalle scritture che ciò produce un piacevole profumo per il Signore (Lev.1.9). Il problema è con i miei vicini: loro, i blasfemi, sostengono che l’odore non è piacevole. Devo forse percuoterli?

Terzo: So che posso avere contatti con le donne solo quando non hanno le mestruazioni (Lev.15: 19-24). Il problema è come faccio a chiederle questa cosa? Molte donne s’offendono.

Quarto: Il Levitico ai versi 25:44 afferma che potrei possedere degli schiavi, sia maschi che femmine, a patto che essi siano acquistati in nazioni straniere. Un mio amico afferma che questo si può fare con i filippini, ma non con i francesi. Può farmi capire meglio? Perché non posso possedere schiavi francesi?

Quinto: Un mio vicino insiste per lavorare di Sabato. Esodo 35:2 dice chiaramente che dovrebbe essere messo a morte. Sono moralmente obbligato ad ucciderlo personalmente?

Sesto: Un mio amico ha la sensazione che anche se mangiare crostacei è considerato un abominio (Lev. 11:10), lo sia meno dell’omosessualità. Non sono affatto d’accordo. Può illuminarci sulla questione?

Settimo: Sempre il Levitico ai versi 21:20 afferma che non posso avvicinarmi all’altare di Dio se ho difetti di vista.
Devo effettivamente ammettere che uso gli occhiali per leggere… La mia vista deve per forza essere 10 decimi o c’è qualche scappatoia alla questione?

Ottavo: Molti dei miei amici maschi usano rasarsi i capelli, compresi quelli vicino alle tempie, anche se questo è espressamente vietato dalla Bibbia (Lev 19:27). In che modo devono esser messi a morte?

Nono: Ancora nel Levitico (11:6-8) viene detto che toccare la pelle di maiale morto rende impuri. Per giocare a pallone debbo quindi indossare dei guanti?

Decimo: Mio zio possiede una fattoria. È andato contro Lev. 19:19, poiché ha piantato due diversi tipi di ortaggi nello stesso campo; anche sua moglie ha violato lo stesso passo, perché usa indossare vesti di due tipi diversi di tessuto.
È proprio necessario che mi prenda la briga di radunare tutti gli abitanti della città per lapidarli come prescrivono le scritture?
Non potrei, più semplicemente, dargli fuoco mentre dormono, come simpaticamente consiglia Lev 20:14 per le persone che giacciono con consanguinei?

So che Lei ha studiato approfonditamente questi argomenti, per cui sono sicuro che potrà rispondere a queste semplici domande. Nell’occasione, la ringrazio ancora per essere così solerte nel ricordare a tutti noi che la parola di Dio è eterna ed immutabile. Sempre suo. Un ammiratore devoto.”

Credo che qualcuno potrebbe obiettare… ci fosse qui qualche teologo della Congregazione per la dottrina della fede potrebbe fare questa obiezione: “Mancuso, ma questi testi riguardano solo l’Antico Testamento.

Sono chiaramente superati dal Nuovo Testamento e i testi di San Paolo rimangono inequivocabili come condanna“.

Ora, però anche con i testi di San Paolo possono nascere problemi analoghi; qualcuno per esempio potrebbe scrivere alla nostra dottoressa chiedendo spiegazioni sulla politica a proposito di Romani 13:1.

Cosa dice Romani 13:1? “Non c’è autorità se non da Dio. Quelle che esistono sono stabilite da Dio” e riflettere un po’ su tutti i governi, i governi italiani… Insomma, siamo proprio sicuri? Sono proprio tutti stabiliti da Dio?

Si potrebbero chiedere spiegazioni sui rapporti con gli animali a proposito di Filippesi 3:2, quando San Palo dice “Guardatevi dai cani”. In che senso mi devo guardare dai cani? Devo mettere la museruola a tutti, portarli al canile?

Si potrebbero chiedere spiegazioni sulla dignità della donna a proposito prima in Corinzi 11:10, dove si legge “La donna deve avere sul capo un segno di autorità a motivo degli angeli”. E infatti io ero bambino e ricordo ancora nelle chiese le donne che usavano il velo… Quando si entrava in chiesa. Mia nonna… Mia mamma non me la ricordo, ma mia nonna sì, con il velo. E viene da qui.

Si potrebbe chiedere spiegazioni a proposito di Efesini 5:23-24: “Il marito è il capo della moglie e come la chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai mariti in tutto”.

Quindi sono molte le cose… tra l’altro… che si potrebbero chiedere come obiezioni a San Paolo e a questa ipotetica dottoressa… che… No, la dottoressa non era ipotetica per quanto riguarda l’intervento al Nuovo Testamento.

Adesso entra in gioco con un’ipotesi per le cose che riguardano il luogo (?). Il punto qual è? Il punto è che occorre superare la lettera della Scrittura.

È lo stesso San Paolo che dice: “la lettera uccide” – in 2 Corinzi 3:6 – lo spirito della vita… la lettera uccide e che questa lettera biblica abbia ucciso e purtroppo continui ad uccidere a volte non solo moralmente ma anche fisicamente è un dato di fatto.

La Bibbia non è la parola di Dio, la Bibbia contiene la parola di Dio. Dio non è un grande vecchio con la barba bianca che dice parole…

Come le direbbe? In arabo, in greco, in ebraico, in latino? Come le direbbe? In inglese, oggi?

Questa parola è questo logos/logica che fa fiorire la vita, questa è la-parola-di-Dio, questa primavera che fa fiorire la vita, l’energia che accompagna ogni fenomeno vitale perché fiorisca.

E allora, nella misura in cui tu ti poni di fronte alla scrittura, tu credente, prendi in mano le pagine dei Vangeli, le pagine dell’Antico e le pagine del Nuovo, ti poni di fronte a questa scrittura e trovi… e fai scaturire da questa Scrittura, da alcuni passi – non da tutti perché alcuni sono irrecuperabili – ma da alcuni passi fai fiorire questa logica/logos della vita che fiorisce e che vuole relazioni armoniose, che vuole l’amore, allora tu fai sì che dalla Scrittura scaturisca la parola di Dio, da intendersi come relazione, relazione armoniosa.

Se invece questo non avviene, la lettera diventa una grandissima gabbia entro cui la mente, il cuore e le vite delle persone sono rinchiuse.

Concludo… Ho risposto così alla seconda obiezione, facendo capire che uno: senza mistificare i testi… È vero, i testi dicono questo, ma ce ne sono altri che dicono delle cose che oggi sono impresentabili.

Vuoi degli esempi? Vatti a leggere la lettera della dottoressa Schlesinger. E quindi che cosa devo fare? Non è più la parola di Dio la Bibbia? No, la Bibbia la contiene, appunto ed ho spiegato in che senso.

Concludo, dicendo quanto segue: a mio avviso, sulla questione della condizione omosessuale e dell’amore omosessuale ci sono due estremi, che vanno entrambi evitati: da un lato negare la dignità della condizione omosessuale considerandola una malattia e una perversione, questo è un estremo e su questo mi sono soffermato.

Ce n’è un altro su cui non mi sono soffermato, perché il tempo è stato quello che è ed è quello di fare della condizione omosessuale il punto di vista privilegiato se non addirittura l’unico in base al quale considerare se stessi e le proprie relazioni con il mondo.

Questo è l’altro estremo che a mio avviso va evitato. Vedete, voi siete cristiani, siete qui perché siete cristiani ed è (?) come se ci sia un compito rispetto ad un cristiano, consista nel far capire che la propria vita, la vita umana non è riducibile alla sessualità, non è identificabile il mistero della persona con la sua tendenza sessuale, di qualunque orientamento sia, etero o omo, quindi se il primo estremo è mortificante nei confronti della condizione omosessuale e va superato, l’altro estremo è quello di fare della condizione omo/eterosessuale, insomma della sessualità, il punto di vista privilegiato in base al quale pensare e vedere il mondo; è sbagliato, secondo me.

Commette, questo secondo punto di vista, lo stesso errore del primo, quello di pensare che la vita sia solo “bios” e “zoé”, vita biologica e vita animale. Non è così. La vita biologica e la vita animale sono importantissime.

Senza la vita biologica e senza la vita animale non fiorisce l’anima, non fiorisce la vita spirituale. Ma la dignità ultima delle persone è più della vita biologica e della vita animale.

Io penso che lo specifico dell’essere cristiani in rapporto alla sessualità consista in una particolare visione antropologica che ritiene primo: che l’amore è la dimensione decisiva dell’essere uomo.

In che cosa ci compiamo noi come esseri umani? Nell’amore.

E, secondo: che tale amore riguarda anche lo spirito, anzi lo spirito ancora più del corpo, perché l’amore vive la sessualità, attiene a tutte le dimensioni dell’uomo, attiene al corpo, attiene alla psiche e attiene allo spirito.

Grazie per l’attenzione.

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i poveri al centro della chiesa di papa Francesco

“mettere i poveri al centro non significa assistenza sociale”

lo ha detto papa Francesco: “Evangelizzare gli emarginati, non vuol dire solo fare assistenza sociale, tanto meno attività politica, ma avere la gioia di servirli e di portare loro il lieto annuncio”

“Essere cristiano ed essere missionario è la stessa cosa”

La missione del cristiano? «Evangelizzare i poveri», cioè «avvicinarli», «avere la gioia di servirli, di liberarli dalla loro oppressione, e tutto questo nel nome e con lo spirito di Cristo». Lo ha detto Francesco prima dell’Angelus recitato dallo studio su piazza San Pietro davanti ad alcune decine di migliaia di fedeli. Chiedendo «quanto la Chiesa sia fedele a questo programma di Gesù», il Papa ha precisato che questa «priorità» per la Chiesa non significa «solo fare assistenza sociale, tanto meno attività politica».

Papa Francesco  ha svolto questa riflessione a partire dal brano del Vangelo in cui si narra di Gesù che nella sinagoga di Nazaret apre il rotolo del profeta Isaia e spiega la missione del «portare il lieto annuncio ai poveri». Quel Gesù, ha specificato il Pontefice, che «è diverso dai maestri del suo tempo: non ha aperto una scuola per lo studio della Legge,ma va in giro a predicare e insegna dappertutto: nelle sinagoghe, per le strade, nelle case. Gesù è diverso anche da Giovanni Battista, il quale proclama il giudizio imminente di Dio, mentre Gesù annuncia il suo perdono di Padre». 

Il Papa ha dunque chiarito il senso della venuta di Cristo: «Evangelizzare i poveri: questa – ha ribadito – è la missione di Gesù; questa è anche la missione della Chiesa, e di ogni battezzato nella Chiesa. Essere cristiano ed essere missionario è la stessa cosa. Annunciare il Vangelo, con la parola e, prima ancora, con la vita, è la finalità principale della comunità cristiana e di ogni suo membro». Quindi, a braccio, ha aggiunto: «Si nota qui che Gesù indirizza la Buona Novella a tutti, senza escludere nessuno, anzi privilegiando i più lontani, i sofferenti, gli ammalati, gli scartati della società». 

Ma, si è poi domandato il Papa, che cosa significa evangelizzare i poveri? «Significa avvicinarli, avere la gioia di servirli, liberarli dalla loro oppressione, e tutto questo nel nome e con lo Spirito di Cristo, perché è Lui il Vangelo di Dio, è Lui la Misericordia di Dio, è Lui la liberazione di Dio. E’ Lui che si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà». 

«Probabilmente – ha notato Bergoglio – al tempo di Gesù queste persone non erano al centro della comunità di fede. E ci domandiamo: oggi, nelle nostre comunità parrocchiali, nelle associazioni, nei movimenti, siamo fedeli al programma di Gesù? L’evangelizzazione dei poveri, portare loro il lieto annuncio, è la priorità?»  

Ed ecco la risposta di Francesco: «Attenzione: non si tratta solo di fare assistenza sociale, tanto meno attività politica. Si tratta di offrire la forza del Vangelo di Dio, che converte i cuori, risana le ferite, trasforma i rapporti umani e sociali secondo la logica dell’amore. I poveri, infatti, sono al centro del Vangelo». 

«La Vergine Maria, Madre degli evangelizzatori, – ha concluso il Pontefice -ci aiuti a sentire fortemente la fame e la sete del Vangelo che c’è nel mondo, specialmente nel cuore e nella carne dei poveri». 

Dopo la preghiera mariana e i saluti, il Papa si è congedato con l’ormai tradizionale: «A tutti auguro buona domenica e buon pranzo. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Arrivederci! »

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