la chiara e coraggiosa intervista di mons. Galantino

“No ai centri sulle navi

dobbiamo salvare i migranti e poi offrirgli un futuro”

intervista a Nunzio Galantino

Galantino

a cura di Paolo Rodari
in “la Repubblica” del 1 giugno 2016

Monsignor Nunzio Galantino, secondo l’Oim, sono state oltre mille le vittime dei naufragi nel Mediterraneo la scorsa settimana. Tre mesi dopo il viaggio di Papa Francesco a Lesbo le notizie sembrano essere sempre le stesse. Cosa dicono a tutti noi queste morti continue?

«La partenza di migranti in fuga da situazioni drammatiche avviene sempre più in situazione di insicurezza, attraverso trafficanti senza scrupoli, al punto tale da rendere difficile ogni soccorso soprattutto in acque libiche non presidiate dalle operazioni di salvataggio delle navi europee. Quelle morti sono uno schiaffo alla democrazia europea, incapace di salvaguardare e proteggere persone in fuga da situazioni create anche dalla politica estera e da scelte economiche europee. Purtroppo, non si è avuto il coraggio di creare “canali umanitari” — previsti dal diritto internazionale — verso i Paesi disponibili all’accoglienza, per favorire partenze in sicurezza ed evitare violenze, sfruttamento e morti».

Galantino

Il Viminale ha annunciato un hotspot in mare per identificare i migranti. La notizia ha riacceso lo scontro politico. Cosa dire?

«L’hotspot è una riedizione in brutta copia dei luoghi di trattenimento di persone. Le Organizzazioni internazionali a tutela dei diritti umani, come anche la Fondazione Migrantes e la Caritas Italiana, hanno già ricordato che i migranti salvati in mare hanno il diritto, sulla base di una storia personale e non di una lista di cosiddetti “paesi sicuri”, di presentare domanda d’asilo e al ricorso se una domanda non venisse accolta. Sulle navi questo percorso di protezione internazionale non è possibile. Come non è pensabile l’utilizzo di navi destinate al soccorso per far stazionare nel Mediterraneo migliaia di persone in attesa di una non precisata destinazione. A meno che le si voglia riportare nei porti della Libia e dell’Egitto, condannandole a nuove forme di sfruttamento».

A Ventimiglia l’ultimo sgombero è stato scongiurato dal vescovo locale che ha dato il benestare a che una parrocchia accogliesse i migranti. Lo stesso vescovo ha chiesto che tutte le parrocchie facciano la medesima cosa. La Lega, tuttavia, l’ha attaccato duramente. La Chiesa da che parte sta?

«Naturalmente dalla parte del vescovo, come delle diocesi, delle parrocchie, degli istituti religiosi che — aderendo all’appello del Papa del 6 settembre scorso — hanno messo a disposizione oltre 2mila strutture per ospitare più di 23mila richiedenti asilo e rifugiati, quasi 5mila dei quali solo grazie ai contributi dei fedeli. In collaborazione con i comuni italiani, cerchiamo inoltre di favorire sul territorio un’accoglienza diffusa, attraverso un accompagnamento personalizzato dei 120mila giovani che sono arrivati tra noi. Le iniziative avviate da Caritas e Migrantes vogliono diventare percorsi di inclusione e integrazione sociale, fino a valutare — ed è la proposta Cei di 1000 microrealizzazioni — anche un rientro assistito in patria. Un conto è riempirsi la bocca di aiutare le persone a casa loro e un conto è realizzare — grazie anche a una rete di centinaia di associazioni e ong cattoliche riunite nella Focsiv da 40 anni — concreti progetti di cooperazione internazionali nei Paesi d’origine dei migranti».

Tempo fa Francesco chiese ai conventi e alle parrocchie di aprire le porte ai migranti. Questa accoglienza è effettivamente avvenuta?

«L’accoglienza non solo era precedente all’appello, ma si è rafforzata, unitamente a un lavoro di informazione sulle storie di quanti sbarcano in Europa, sulle cause della loro fuga. Anche nelle nostre comunità ecclesiali sentiamo il bisogno di continuare a sensibilizzare i consigli pastorali, il mondo associativo, le famiglie per evitare che anch’essi siano incapaci di leggere correttamente un fenomeno globale di persone che — come ha detto l’altro giorno Papa Francesco — “non sono un pericolo, ma sono in pericolo”».

Chi e come, secondo lei, dovrebbe agire quantomeno per arginare il problema?

«L’accoglienza dei richiedenti asilo dev’essere strutturata in tutti i 28 Paesi europei. Non si  possono, infatti, salvare le persone e poi non offrirgli una possibilità di futuro. Una seconda azione concreta rimane quella di organizzare “corridoi umanitari”. In questo modo si eviterebbe anche la crescita di una tratta di esseri umani oggi gestita da mafie e da terrorismo. Una terza azione concreta riguarda la possibilità di offrire un permesso di protezione umanitaria a tutti i migranti ospitati in strutture da oltre un anno e che oggi costituiscono un popolo che si allarga sempre più. In questo modo si ripartirebbe dalla legalità per costruire successivamente percorsi di giustizia e di solidarietà”

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italiani creduloni

stellanoi italiani, popolo che crede alle bufale

(e così i politici se ne approfittano)

di Gian Antonio Stella

in “Corriere della Sera” del 13 maggio 2016

Povera Italia! Il 49% è disoccupato! Il 48% ha più di 65 anni! L’età media è di 59 anni! Gli immigrati sono ormai il 26% cioè 15 milioni e mezzo! Il 20% del Paese è islamico! Aiutooo! Vi chiederete: ma da dove saltano fuori queste bufale? Questo è il problema: sono le convinzioni degli italiani. Così assurde da strappare una risata. Se non fossero cavalcate dalla cattiva politica. Nella scia dei figuri teatrali di Antonio Albanese: il Ministro della Paura e il Sottosegretario all’Angoscia.

L’ultimo libro di Nando Pagnoncelli, Dare i numeri. Le percezioni sbagliate sulla realtà sociale , pubblicato dalle Edizioni Dehoniane di Bologna, fa sorridere e mette i brividi. Emerge infatti l’abisso che separa la realtà dalle convinzioni di tanta parte della popolazione che non sa, non legge, non ascolta con attenzione giornali radio o telegiornali, non si informa, orecchia qualcosa e si costruisce un mondo di opinioni granitiche sospese in una bolla di sapone. Il guaio è che, come spiega nella postfazione Ilvo Diamanti, troppe volte «la realtà percepita è quella che conta. Cioè: la realtà reale».

Un esempio? «Il 71% dei nostri connazionali», scrive Pagnoncelli, «ignora che l’Italia, grazie alla presenza di oltre quattro milioni di imprese, è il secondo Paese manifatturiero d’Europa dopo la Germania». Peggio: «Il 17% non ci crede». Tutto ciò, sospira l’Ad di Ipsos Italia, «investe il tema della sfiducia nel futuro, delle aspettative personali e del rapporto con chi ha responsabilità politiche, a cui i cittadini chiedono soluzioni». Ma quali soluzioni? Quelle orecchiate negli sfogatoi familiari, al bar, dal barbiere o dagli ospiti di certe trasmissioni, da gente tele-dopata che guarda mediamente la tivù 255 minuti al giorno: quattro ore e mezza. Che salgono a «circa sette ore per le persone di oltre 64 anni, per molte delle quali la televisione svolge il ruolo dell’animale da compagnia». Il debito pubblico è salito a 2.215 miliardi di euro? La soluzione, per questi «orecchianti», è tagliare le paghe dei parlamentari e i parlamentari stessi. Anche se la Camera e il Senato insieme, dal gingerino del bar alla paga dei barbieri, dai vitalizi alle bollette costano molto meno di un millesimo di quel debito e i tagli (fossero pure giusti) avrebbero effetti limitatissimi? «Eeeeh, signora mia, chissà come ce la raccontano…». Ci si mette, ovvio, anche internet. Un esempio? Una notizia diffusa on line alla vigilia delle elezioni del 2013: «Ieri il Senato della Repubblica ha approvato con 257 voti a favore e 165 astenuti il disegno di legge del Senatore Cirenga che prevede la nascita del fondo per i parlamentari in crisi, creato in vista della imminente fine della legislatura. Questo fondo prevede lo stanziamento di 134 miliardi di euro da destinarsi a tutti i deputati che non troveranno lavoro nell’anno successivo alla fine del mandato. Rifletti e fai girare». La notizia, ricorda Pagnoncelli, «era palesemente falsa: il senatore Cirenga non esiste, la somma dei votanti (257 favorevoli e 165 astenuti) era pari a 422 mentre il Senato è composto da 320 senatori e infine la cifra stanziata era enorme»: 130 milioni a parlamentare! Una balla spaziale. Eppure «la notizia si diffuse in modo virale, suscitando la più viva indignazione…». Dice lo studio Ipsos, condotto tra il 2014 e il 2015 prima in 14 e poi in 33 Paesi, che abbiamo un serio problema: l’ignoranza. E non solo perché, contando la sola popolazione adulta, il 57% degli italiani è appena alfabetizzato o in possesso della licenza elementare o al massimo media. È diffuso un «analfabetismo numerico»: «non hanno dimestichezza con i numeri e le percentuali, faticano ad orientarsi e a formulare stime corrette, finendo spesso col generalizzare, amplificando o attenuando significativamente la portata della realtà». Peggio: si formano nelle loro opinioni sul «sentito dire». Ed ecco i risultati che dicevamo: la disoccupazione, che pure è alta, è al 12%? Gli italiani sono convinti che sia addirittura al 49%: il quadruplo. L’Italia invecchia e quelli con più di 65 anni sono già il 21%? La percezione è che siano il 48%. L’età media degli abitanti, che negli anni Sessanta era intorno ai trent’anni, è salita a 44,4? L’idea diffusa è che sia schizzata a 59. Per non dire degli immigrati. «Demografia in cifre» dell’Istat certifica che gli stranieri residenti in Italia (dati 2015) sono 5.014.437 pari a circa l’8% della popolazione con intere aree geografiche (come le isole) in larga parte esenti dal fenomeno? Gli italiani «percepiscono» che siano oltre il triplo: il 26%. Vale a dire, come spiegavamo, 15 milioni e mezzo. E va già meglio che nel 2014 quando, prima di scoprire dalla tivù l’esistenza della rotta balcanica e degli sbarchi sulle isole greche, questa percezione era ancora più alta: 30%. Come se avessimo 18 milioni di stranieri! Per non dire dei musulmani. Dice un recente studio del Viminale, che costretto dal timore di attentati tiene un monitoraggio continuo della galassia, che gli islamici sono da noi un milione e 550 mila. Meno di un terzo degli immigrati. Meno del 3% della popolazione totale. Bene: quelli «percepiti» sono sei o sette volte di più: il 20% degli abitanti. Pari a dodici milioni! Bum! E potete star certi che, messi di fronte ai numeri reali, molti scuoteranno la testa: «Vai a sapere perché ci viene nascosta la realtà…». Scoraggiante. Tanto più che chi cavalca queste paure se ne infischia di correggerli coi numeri veri. Anzi, più la gente è convinta che il nostro sia ad esempio un Paese dove «se esci di casa ti tagliano la gola» (gli omicidi nel 2015 sono stati in realtà meno di un quinto dei 2.453 del 1981 e in genere degli anni Ottanta) più il raccolto di voti può essere abbondante. Il populismo, spiega Ilvo Diamanti, «si accende e si propaga, non per caso, quando la democrazia rappresentativa fatica a funzionare». E «la dilatazione delle percezioni e delle immagini, rispetto alla realtà» è un «amplificatore. Che rende l’Italia più esposta, soprattutto rispetto agli altri Paesi europei». Insomma, proprio perché sono spesso assurde e sballate, queste percezioni «vanno prese sul serio».

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papa Francesco incontra il vescovo mons. Gaillot esiliato da papa Giovanni Paolo secondo

mons. Jacques Gaillot:

“vi auguro di crescere in umanità”Gaillot2

colloquio con Jacques Gaillot,

a cura di Silvana Bassetti
appunti tratti da un intervento a Versoix del 25 marzo 2016 (traduzione: www.finesettimana.org)

C’è un’immagine di Cristo che papa Francesco ama molto: quella di Cristo che bussa alla porta della Chiesa. Si pensa sempre che Cristo venga dall’esterno, invece no, lui è all’interno e bussa alla porta della Chiesa per poter uscire e arrivare alle periferie del mondo. Questa immagine è stata affidata dal Santo Padre a Mons. Jacques Gaillot durante il loro incontro privato a Casa Santa Marta, in Vaticano, nel settembre scorso. Il vescovo francese Jacques Gaillot, invitato dall’Università pastorale del Giura durante il triduo pasquale, ha mostrata questa immagine all’inizio di un bell’incontro con una sessantina di persone venute ad ascoltarlo il 25 marzo, Venerdì santo, nella Chiesa di Saint-Loup a Versoix in occasione di un “café-croissant”: “Mi sono permesso di aggiungere alle parole del papa: «Non rinchiudiamo Colui che è venuto a liberarci». I presenti in sala ascoltano, affascinati.
Quando gli è stato tolto l’incarico di vescovo di Evreux, Mons. Jacques Gaillot è stato nominato vescovo della diocesi di Partenia (Algeria), scomparsa nel V secolo. Non ha perso nulla della sua verve, del suo umorismo e delle sue convinzioni. Riguardo ai suoi 80 anni, confida: “Quello che mi interessa, è aggiungere vita agli anni”. Afferma che le prove “ci aiutano a comprendere meglio coloro che sono provati. Ognuno di noi si rivela nelle difficoltà”, ha detto insistendo sulla scelta di Gesù di rivolgersi prima di tutto ai poveri. “Dio comincia dai poveri, per poi aprirsi a tutti, senza eccezione”, ha esclamato. Con serenità e generosità, ha risposta alle domande, numerose, delle persone presenti in sala, raccontando episodi, aneddoti e parabole.

Gaillot

Come ha fatto per restare in piedi, per non lasciarsi andare?

“Un giorno, nel metrò, a un’ora di punta, ero in piedi e non riuscivo a trovare dove appoggiarmi. A seconda delle scosse del metrò, mi appoggiavo agli uni o agli altri. Un viaggiatore mi aveva identificato e sorrideva della mia situazione precaria. Scendendo insieme alla stessa stazione, non ho potuto impedirmi di dirgli: “Quello che tiene in piedi un vescovo sono le persone!”. Ma c’è anche la preghiera “che è una respirazione, un ‘cuore a cuore’ con Dio. La preghiera ci rende solidali. Quando prendo il metrò di buon mattino, soprattutto il lunedì, guardo i volti di tutte quelle persone che vanno a ricominciare il loro lavoro. Volti stanchi, o addormentati, o preoccupati, o attenti alla musica… Comincio la preghiera del Padre Nostro. È padre di tutti noi, un padre che ama tutte quelle persone del metrò. Rimango su quelle parole, senza andare oltre nella preghiera. È l’amore che ci rende più umani, che ci permette di dare il meglio di noi stessi”. “Ci sono persone che sono capaci di fare gesti di generosità incredibile”, ha detto il vescovo raccontando l’episodio di un educatore ateo che non ha dormito per tutta la notte per poterlo accompagnare a Parigi, poi la straordinaria fiducia in Dio di un uomo accusato di omicidio e poi assolto. “Nel vangelo ci sono molti di questi gesti di sovrabbondanza fatti da Gesù, ma nessun uomo ne ha fatti, solo delle donne! Quella di Betania, o la povera vedova che dà tutto quello che possiede. Vi auguro di crescere in umanità”.

E che cosa pensa del posto dei laici nella nostra Chiesa?

“Ci sono molte risorse nel popolo cristiano: il dono dello Spirito Santo, la Parola di Dio, l’Eucaristia, la presenza di Dio in noi, la preghiera di Gesù, di Maria, dei santi… Siamo ricolmi di doni. Forse siamo noi che non accogliamo a sufficienza i doni di Dio (…). I doni sono tanti, diversi, bisognerà che questa ricchezza serva alla Chiesa”. Ma bisogna permettere ai laici di fare l’omelia?, insiste qualcuno. “So che in certe occasioni, dei laici fanno l’omelia. A mio avviso, non è solo una questione di permesso, ma prima di tutto di formazione e di attitudine a dire la fede in rapporto con la vita. Con parole semplici”.Gaillot3

I laici, le donne, hanno un loro ruolo da svolgere?

“L’avvenire è aperto”, ha detto Mons. Gaillot citando il titolo di un seminario. “Partiamo dalle risorse del popolo cristiano. Andiamo avanti insieme. Prendiamo iniziative (…) Non dimentichiamoci che il prete è un battezzato in mezzo a dei battezzati”. Un’altra domanda, un altro tema: la tradizione dell’accoglienza della Chiesa e la situazione dell’asilo in Occidente. Si tratta di una tradizione “viva e positiva che continua. Dopo l’appello del papa, molti si sono mostrati sensibili all’accoglienza. Nella nostra comunità (la Congregazione dello Spirito Santo a Parigi) abbiamo accolto diversi migranti. Due afghani e un curdo iracheno di Mossul. Tutti e tre musulmani. L’accoglienza degli stranieri è una benedizione per coloro che li ricevono. La comunità dove vivo è stata trasformata dalla presenza di questi migranti: la loro umanità, la loro disponibilità, il loro senso del servizio e anche il loro coraggio! Quello che mi rattrista è vedere che oggi nell’Unione Europea abbiamo più rispetto per le frontiere che per gli stranieri. Si innalzano muri, fili spinati, eppure non è vero che siamo invasi”, ha osservato esprimendo la sua ammirazione per la cancelliera tedesca Angela Merkel e per quello che fanno i greci. Interrogato sulla misericordia, ha risposto con un’immagine: “Se dovessi disegnare la misericordia, disegnerei qualcuno con le braccia spalancate che si avvicina all’altro per accoglierlo. La misericordia esprime un eccesso, la gratuità dell’amore, il perdono. È una provocazione, ci fa uscire dalla logica del do ut des. Il ‘dopo tutto quello che ho fatto per loro, vedi che scarsa ricompensa’, non ha nulla a che fare con la misericordia, che non conosce questa delusione, che precede la richiesta. Ma è una grazia da domandare. Oggi, allora, per rimanere nella speranza, seminiamo la solidarietà, la fraternità, la pace, la misericordia… ‘Non fatevi rubare la speranza’, dice papa Francesco”. Lo stesso messaggio lo ha rivolto ai genitori: “Ciò che è importante per i figli, è il modo di vivere dei genitori, la loro scelta di vita, il loro impegno nei confronti dei migranti. Nella sua vita, Gesù va fino in fondo. Fino in fondo nel servizio, fino in fondo nell’amore. Talvolta, ci si dice: ‘ho dato abbastanza, adesso basta’.” Racconta l’aneddoto di una donna che va regolarmente a messa e che un giorno, alla fine della celebrazione, va in sacrestia per fare una domanda al prete: “Padre – dice – alla fine della messa, lei dice sempre ‘Andate in pace’, ma non dice mai dove andare!’ Un po’ sorpreso, il prete riflette qualche istante e le dice in maniera in po’ solenne: ‘Signora, vada fino in fondo’. È una risposta su cui riflettere!”.

Parlando più tardi al Courrier pastoral, Mons. Gaillot ha detto di sé: “Sono un uomo in cammino e in ricerca. È un cammino che non avevo previsto. Anche oggi non so cosa mi aspetta. Rendo grazie per ciò che vivo e che mi è donato ogni giorno”.Gaillot1

Dopo la sua scelta di diventare prete, maturata in lui per il fascino che esercitava su di lui la bellezza della liturgia e il rispetto dell’Eucaristia, ha viaggiato molto e esercitato molti incarichi. In Algeria, prima di tutto, durante la guerra. “Dopo la guerra d’Algeria, sono diventato non-violento, e mi sono posto la domanda: perché i religiosi non fanno voto di non-violenza?”. Di fronte ai terrorismi che ritengono di agire in nome di Dio, il vescovo ritiene che, soprattutto, bisogna evitare di “rispondere con l’odio, la violenza, il razzismo. La violenza porta sempre con sé altra violenza”. Se dei giovani scelgono la via del terrorismo “lo fanno forse perché manca loro l’avventura, un senso, un ideale… Sono dei giovani che vorrebbero donarsi, fare qualcosa della loro vita, ma non hanno orizzonti, né avventura. La società appare loro piatta”.
Monsignor Gaillot continua ad essere molto attivo, soprattutto con le persone più emarginate. È presidente dell’associazione Droit devant! per le persone senza permesso di soggiorno, presidente onorario di Relais logement per i senzatetto e continua a visitare i detenuti: “per testimoniare il Vangelo, abbiamo bisogno che l’altro ci riconosca come un fratello per lui. La Chiesa è una speranza per i poveri?”. Nel passato, osserva, “la Chiesa in Francia ha avuto una posizione forte, vicina al potere.
Abitavamo in un castello ed ora viviamo in una casa popolare. Abbiamo perduto il piedistallo che avevamo e con la globalizzazione ci sono altre religioni presenti. Siamo diventati più umili accettando di essere aiutati dalle altre religioni, dai non credenti. Il ruolo della Chiesa non è di dominare, ma di essere umilmente a servizio dei più poveri”.

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