cosa c’entra Dio con i terremoti? ma allora che fa?

il Dio “onnidebole” dei terremotati

Vitaliano Della Sala

Tratto da: Adista Notizie n° 30 del 10/09/2016

Vitaliano

Il teologo Karl Rahner giustamente affermava che la più grande eresia del nostro tempo è quella di riconoscere Dio solo in quei casi in cui ci aiuta.

Perciò, non so voi, ma io provo sempre un senso di disagio quando ascolto certe prediche e certe frasi demagogiche e di circostanza che, vescovi e preti, pronunciano con leggerezza dopo catastrofi come il sisma che ultimamente ha colpito alcune zone dell’Italia centrale. Più che al Vangelo, assomigliano alle parole che potrebbe pronunciare qualsiasi antico stregone o moderno mago.

La frase peggiore che si sente dire in queste tragiche circostanze è “Dio lo ha permesso”. Come se Dio fosse un burattinaio che si diverte a vederci soffrire e, anzi, ci mette alla prova, con dolori atroci, per saggiare la nostra fede in lui: gioca a mandarci le disgrazie per vedere come reagiamo noi poveri esseri umani; un dio sadico, prigioniero della sua onnipotenza, impotente perché onnipotente; un dio vampiro che vuole ancora sacrifici umani per placare un’ira provocata da non si sa bene cosa, sempre arrabbiato per causa nostra e non sappiamo perché, visto che è stato lui ad averci creati così.Amatrice

Uno degli interpreti di questo dio disincarnato e lontano è stato mons. Giovanni D’Ercole, vescovo di Ascoli Piceno e personaggio noto al grande pubblico per aver calcato le scene di alcuni programmi televisivi, finito al centro di inchieste giornalistiche sulla gestione dei fondi per la ricostruzione in un altro terremoto, quello dell’Aquila, dove ha svolto il proprio ministero pastorale prima di essere trasferito. Nell’omelia ai funerali delle vittime marchigiane, il monsignore ci ha proposto la domanda antica quanto l’essere umano, con quel pizzico di demagogia che non guasta mai – come insegnano i peggiori politici – «Signore, c’è chi ha perso tutto…. Dove stai? Apparentemente nessuna risposta, ma se guardate oltre scorgerete qualcosa di più profondo. Potete testimoniare che il terremoto può togliere tutto, tranne il coraggio della fede». Insomma una grande “supercazzola”, se non fosse per la tragicità del contesto in cui l’ha posta.Vitaliano della Sala

In alcuni momenti è consigliabile il silenzio. Ma se non si può fare a meno di parlare, noi cristiani dovremmo avere il coraggio di testimoniare evangelicamente il Padre, il Dio di Gesù e quindi dei “perdenti”; il Dio dei crocifissi e delle vittime; un Dio che ci “scandalizza” perché mentre noi ci ostiniamo a volerlo vedere e invocare come l’Onnipotente, lui ci disobbedisce e si presenta come l’“onnidebole”. Il Padre che Gesù ci svela disobbedisce all’idea tutta umana di Dio e, caparbiamente, continua a immedesimarsi nella nostra vita, testardamente si incarna nella storia reale, nelle storie piccole, quotidiane e concrete, tra le pieghe, nei frammenti e negli scarti della Storia.

Invece noi abbiamo addolcito e smussato la provocazione, lo “scandalo” del nostro Dio. Abbiamo tentato una conciliazione impossibile tra il Padre e la nostra idea di un dio magico. Abbiamo nascosto la provocazione evangelica del Dio incarnato e crocifisso, sotto le prediche fervorose e le elemosine di circostanza che spacciamo per condivisione. Che Gesù, figlio di straccioni, sia anche il figlio di Dio urta contro la nostra sensibilità pelosa e contro la nostra troppo unilaterale idea di Dio. In fondo è più comodo considerarci a “immagine e somiglianza” di un dio potente che del Dio Straccione e Terremotato, e forse proprio per questo facciamo tanta fatica a vedere Dio nel povero, nell’emarginato, nel sofferente, nell’escluso.amatrice1

Senza ipocrisia dovremmo ammettere che ci manca il coraggio di restituire il Padre alla gente, a quella gente povera, vittima del terremoto e delle speculazioni, senza casa, senza futuro, senza speranza; dobbiamo restituire il Padre a quelle persone che non sanno più o non sanno ancora che Dio appartiene soprattutto a loro, che sta dalla loro parte, terremotato come loro, schiacciato dalle tIl Dio “onnidebole” dei terremotati

Vitaliano Della Sala 02/09/2016

Tratto da: Adista Notizie n° 30 del 10/09/2016

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spunti per il commento al vangelo della domenica

 

CHI NON RINUNCIA A TUTTI I SUOI AVERI
NON PUO’ ESSERE MIO DISCEPOLO

commento al vangelo della ventitreesima domenica del tempo ordinario (4 settembre 2016) di p. José María CASTILLO:

Castillo

 

Lc 14,25-33

[In quel tempo] una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

1. Come è logico, l’affermazione posta dai vangeli in bocca a Gesù – secondo la quale dobbiamo “odiare” il padre, la madre, la moglie ed i figli, i fratelli e le sorelle e persino noi stessi – così come risuona, è una barbarie di cui non ci si capacita umanamente. Soprattutto se abbiamo presente che il verbo greco utilizzato nel testo originale è il verbo miséo, che significa letteralmente “odiare”, “disprezzare”, “sottovalutare” (H. Giesen, J. B. Bauer, H. Seebass). Ma come si può accettare una simile atrocità?
2. Per incominciare a chiarirci le idee, sarà bene ricordare che questo verbo è utilizzato nei vangeli quando si parla di “essere odiato a causa di Gesù” (Mc 13,13 par; Mt 24,9 s [10,22]; Lc 21,17; 6,22). Si tratta quindi di un sentimento molto forte (l’odio) che è provocato da una causa molto nobile (la causa di Gesù). Il problema sta nell’armonizzare l’uno con l’altro. La “fedeltà” a Gesù ci può portare a “odiare”? Che “fedeltà” è questa e che “odio” è questo?
3. Se il dilemma è scegliere tra l’”amore” a Dio e l’”odio” ai nostri esseri più amati ed a noi stessi, non resta altra via d’uscita che questa: crediamo in un Dio (Gesù) che, per amarlo, non abbiamo altra soluzione che odiare quello che è più umano, ossia Dio e l’umano sono incompatibili. Ci si può capacitare di tale conclusione? Non resta altra soluzione che accettare queste due convinzioni: 1) Dio in Gesù si è incarnato nell’umano, cioè si è umanizzato pienamente. 2) Noi siamo umani. Ma portiamo iscritta nella nostra umanità la disumanizzazione. Per questo le nostre relazioni con gli altri, incluse le relazioni di parentela, molte volte sono così inumane. Per questo il dilemma posto da Gesù non è il dilemma “amore-odio”, ma la contrapposizione tra l’”umano” e l’”inumano”. Perché sappiamo bene che molte volte negli amori più umani c’è molta inumanità. Questo capita frequentemente nelle relazioni familiari. Padri autoritari, madri castranti, fratelli egoisti…Seguire Gesù è superare queste manifestazioni dell’inumano.

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