a pochi giorni dalla marcia della pace Perugia-Assisi

la prima ‘Marcia per la pace Perugia-Assisi’ il 24 settembre 1961

 

era il 24 settembre 1961 quando il movimento pacifista italiano organizzò la prima Marcia per la pace Perugia-Assisi. A farsi promotore del corteo lungo circa 24 chilometri fu Aldo Capitini, un filosofo antifascista che interiorizzò da subito il pensiero di Gandhi sulla non violenza e che per l’occasione fece utilizzare prima la prima volta la bandiera della pace, il simbolo per eccellenza della lotta contro la violenza. 

Aver mostrato che il pacifismo, che la nonviolenza, non sono inerte e passiva accettazione dei mali esistenti, ma sono attivi e in lotta, con un proprio metodo che non lascia un momento di sosta nelle solidarietà che suscita e nelle noncollaborazioni, nelle proteste, nelle denunce aperte, è un grande risultato della Marcia, durante la quale abbiamo distribuito tremila copie di un pieghevole di quattro pagine sulle idee e il lavoro del Centro per la nonviolenza. Non dico che tutto sia chiaro e acquisito, ma è certo che ora ci sono larghi gruppi di italiani che sentono che la nonviolenza ha una sua parola da dire. Con l’aggiunta della nonviolenza all’opposizione abbiamo dato vita a un fermento interno, ad uno scrupolo, ad un’autocritica; il risultato sarà che metteremo sempre meglio in luce ed isoleremo i gruppi reazionari, i loro sforzi crudeli e vani nel mondo, la loro irreligiosa difesa di una società sbagliata. Tanto più dopo gravissime denunce del pericolo di una distruzione atomica, l’impostazione di un altro metodo di lotta, quello nonviolento che mantiene il dialogo, la libertà di informazione e di critica e non distrugge gli avversari, diventa urgente; ed io credo che anche nelle scuole bisognerà insegnare il valore e le tecniche del metodo nonviolento. La resistenza alla guerra diventa oggi tema dominante, perfino con riferimenti teorici, filosofici, religiosi”.

Ad oggi la Marcia viene ancora organizzata, ma si tiene a cadenza biennale/triennale.

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c’è anche chi dice sì ai migranti contro il sindaco che dice no

26 settembre 2016

succede a Chambon-sur-Lignon, i cui abitanti protestanti salvarono 5 mila ebrei nella II guerra mondiale

Il sindaco di un Comune francese lancia una petizione contro l’accoglienza dei migranti e i suoi concittadini si ribellano.

La storia arriva da Chambon-sur-Lignon, poco meno di tremila abitanti, nella regione Auvergne-Rhône-Alpes, che ha in Lione il proprio capoluogo. Si tratta di un paese con un passato ricchissimo di episodi di nobile accoglienza, tanto da esser stato riconosciuto come “Giusto fra le nazioni” dal governo israeliano nel 1990 per “il coraggio di fronte al pericolo e le azioni di alto valore umanitario delle sue genti”. Fu la prima volta di tale riconoscimento dato ad una intera comunità e ancora oggi uno dei rarissimi casi di attribuzione collettiva. Sebbene non sia semplice un censimento sarebbero addirittura 5 mila gli ebrei che avrebbero trovato rifugio in zona, accolti e nascosti soprattutto dalle famiglie di fede protestante. Famiglie che avevano trovato nel pastore André Trocmé e in sua moglie Magda, anch’essi designati “Giusti”, una guida spirituale ed un esempio di pratica quotidiana dell’amore per il prossimo, sprone costante ad operare per la salvezza dei perseguitati dal nazismo, la cui storia di dolore e fuga ricordava quella ugonotta di alcuni secoli prima.

Sempre a Chambon nel 1938 Trocmé e altri pastori avevano fondato il collegio Cévenol per fornire un educazione di scuola secondaria ai ragazzi della zona. Anche questo luogo diventerà rifugio di moltissimi bambini e professori di origine ebraica.

Storia di accoglienza che la sindaca Éliane Wauquiez pare voler rinnegare.

Éliane è la madre di Laurent Wauquiez, già ministro ai tempi di Sarkozy e ora presidente del consiglio regionale dell’ Auvergne-Rhône-Alpes. Nelle scorse settimane Laurent ha lanciato una petizione contro la ridistribuzione dei migranti di Calais così come previsto dal governo: appena 1784 persone dovrebbero venire ospitate nella regione, che con quasi 8 milioni di abitanti è una delle aree più popolose di Francia. Ma i repubblicani paiono in questa maniera accordarsi alle parole d’ordine del Lepenismo, in un anticipo poco nobile di campagna elettorale per l’Eliseo. E la madre si è accodata, dichiarando che anche a Chambon-sur-Lignon non sarebbe passato lo straniero, nonostante la maggioranza del consiglio comunale si sia espresso invece per l’accoglienza. Che nel Comune è pratica che si perpetua anni, con numerose famiglie e organizzazioni protestanti che da tempo ospitano migranti, mentre in paese opera dal 2000 un centro di accoglienza per richiedenti asilo intitolato a “Pietro Valdo”. Un braccio di ferro che non terminerà certo a breve. Da queste parti la resistenza spirituale ha forgiato generazioni e storie. Ed è una qualità che i cittadini desiderano perpetuare. A dispetto delle piccinerie e dei calcoli elettorali.

Immagine: By Pensées de Pascal – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=48507009
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un Gesù dolciastro che cancella il Gesù in collera è antievangelico

la censura sulla collera di Gesù

di Enzo Bianchi  Bianchi

in 'Jesus' settembre 2016

In questa stagione ecclesiale caratterizzata anche dall’interesse e della ricerca riguardo all’umanità di Gesù, permane tuttavia una certa timidezza nell’analizzare e mettere in rilievo i sentimenti di Gesù. In particolare si evita di leggere uno di questi modi di comportarsi da parte di Gesù: la collera, l’ira, lo sdegno. A volte si ha l’impressione che si voglia presentare un Gesù uomo come noi, ma dolciastro, oleografico, forse perché l’atteggiamento della collera contrasta con il dominante bisogno di dolcezza, mitezza, rimozione e negazione del conflitto.

Eppure, se prendiamo il vangelo più antico, quello secondo Marco, questo tratto di Gesù – mitigato dagli altri evangelisti e talvolta addirittura assente – emerge con chiarezza: l’ira, la collera, lo sdegno non sono solo sentimenti umani che non significano modi peccaminosi, ma sono anzi segno che in Gesù c’erano passione e forte convinzione. La collera è reazione all’indifferenza, al silenzio complice, alla tolleranza acquiescente, alla clemenza a basso prezzo, tutti atteggiamenti che accompagnano chi non conosce l’amore, la passione dell’amore.

gesu La collera è l’altra faccia della compassione! Per questo non è possibile dimenticare le parole dure di Gesù, le sue invettive, i suoi atteggiamenti verso alcune situazioni e a volte anche verso gli stessi discepoli. La minaccia, l’invettiva deve essere detta, se è pronunciata come avvertimento urgente e forte, non come giudizio di condanna! Nel vangelo secondo Marco troviamo innanzitutto il verbo orghízomai, andare in collera, che appare come sentimento di Gesù alla vista del lebbroso (cf. Mc 1,41). Perché Gesù è preso da collera di fronte al lebbroso? Perché sente in sé sdegno di fronte a quel malato emarginato. Nella compassione che sale dalle sue viscere c’è anche questo sentimento di sdegno, che grida: “Non è giusto! Perché?”. Questa è santa collera che protesta di fronte alla sofferenza degli uomini concreti incontrati da Gesù. Ma la collera di Gesù si manifesta anche verso i “giusti incalliti”, i pretesi osservanti della Legge. Quando, entrato di sabato nella sinagoga, guarisce un uomo con la mano paralizzata, i farisei lo osservano per poterlo accusare di trasgressione della Torah (cf. Mc 3,1-4). E Gesù “volgendo su di loro uno sguardo di collera (orghé), rattristato per la durezza dei loro cuori…” (Mc 3,5). Qui lo sdegno e l’ira si leggono nello sguardo di Gesù: uno sguardo che discerne e avverte severamente quei presunti sani, quei presunti giusti! Tutti ricordiamo inoltre come Gesù agì dopo l’ingresso trionfale in Gerusalemme. Salito a Gerusalemme, Gesù trova nel tempio ciò che non doveva esservi: vede la dimora di Dio trasformata in una casa di commercio. Allora “avendo fatto una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i tavoli” (Gv 2,15). Qui c’è sdegno, collera manifestata in azioni che non sono violente verso le persone ma provocano un danno economico, un impedimento al commercio praticato nel tempio. Solitamente se si ricorda questa azione di Gesù è solo per dire che egli era violento e non mite. No, Gesù non cede alla violenza, non fa violenza sulle persone, ma compie un gesto profetico carico di significato, e lo fa con sdegno e collera.

mercantiInfine, conosciamo bene le invettive, il “Guai a voi!” ripetuto sette volte nei confronti degli scribi e farisei ipocriti (cf. Mt 23,13-32), parole il cui sdegno è stato ben interpretato dal film di Pasolini, quando ci presenta Gesù che grida con forza, parole taglienti che spogliano le autorità religiose degli orpelli del loro potere per mostrarli quali sono veramente, nella loro qualità malefica! Dunque sdegno, collera, ira erano presenti in Gesù, a testimonianza della sua fede convinta, della sua passione per la giustizia, della sua urgente parola profetica che voleva tenere svegli, non lasciare che gli altri si addormentassero, ammonirli finché c’era tempo. Purtroppo questo Gesù oggi viene  censurato da generazioni di credenti che non amano il conflitto, che temono la voce alta, che rifuggono l’urgenza del sì o del no. Sono convinto che, se oggi Gesù tornasse, molti cristiani, soprattutto monaci e monache, non lo seguirebbero, perché lo riterrebbero troppo duro, troppo esigente, non sufficientemente mite e dolce: non hanno colpe, perché non conoscono l’amore e la sua passione forte come la morte, tenace come l’inferno (cf. Ct 8,6).

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