la profezia forse a stento ritrova il suo spazio nlla chiesa

così torna a parlare la Chiesa dei poveri una profezia rinnegata

di Alberto Mellonimelloni

La profezia, nella tradizione biblica, non è applicare la vista al futuro, nel tentativo di indovinarne la cifra. La profezia è tutt’altro: è un gesto verbale o non verbale, che mostra il collocarsi di Dio nel dilemma della storia fra oppresso e oppressore. Era profetica in questo senso una frase pronunciata da papa Giovanni l’11 settembre 1962, a un mese dall’inizio del Vaticano II: diceva che la chiesa vuole essere «la chiesa di tutti, ma soprattutto la chiesa dei poveri». Non la chiesa povera, non la chiesa che si occupa di poveri: ma la chiesa «dei poveri», quella che viene adunata dal collocarsi di Dio nel mistero della storia

Quel gesto profetico appariva l’eco di una ricerca spirituale molto marginale: quella dei teologi francesi della “Chiesa serva e povera” o quella dell’immedesimazione con i “minimi” di don Milani. Non appariva come un programma ecclesiale. Tant’è che quando, in concilio, l’arcivescovo Giacomo Lercaro propose di dare come cardine ai lavori e alla riscrittura del Vaticano II il mistero del Cristo povero, la cosa cadde nel vuoto: quel discorso era un gesto profetico in una chiesa immatura. Poi il silenzio. L’episcopato latinoamericano e la teologia della liberazione posero la questione della chiesa nei poveri. Ma il tema sparì dal magistero, dalla teologia, dalla predicazione. Al posto della chiesa dei poveri ci fu una “mobilitazione” che, con una singolare torsione del linguaggio, anche la chiesa accettò di chiamare “volontariato”: come se l’immedesimazione della chiesa nel destino del povero non fosse il solo modo per collocarsi sull’asse teologico della storia, ma una cosa che si può fare o no; un irritante “civismo religioso” analogo a quello di raccoglie le cartacce. Poi papa Francesco. E il prepotente ritorno della chiesa dei poveri e della povertà della chiesa dopo mezzo secolo di rimozione. Ritorno lessicale fatto con una (gesuitica) circospezione. Ritorno di governo fatto con la scelta di vescovi capaci di interpretare questa dimensione nelle chiese locali, quelle nelle quali e dalle quali origina la chiesa universale. Una decisione che non solo ha irritato e spaventato alcuni ambienti ecclesiastici, che vedevano frantumarsi strategie per insediare sodali e debitori di cordate “nelle quali e dalle quali” nasce quel nulla in formato spray che trasforma la vita cristiana in una inconsapevole ostentazione superba della propria mediocrità. La scelta di vescovi capaci di esprimere la chiesa come “chiesa dei poveri” ha spiazzato anche osservatori distanti: dai quali è venuta l’espressione sui “preti di strada”. Dire che uno studioso provato come Corrado Lorefice a Palermo o che un uomo dell’esperienza internazionale di Matteo Zuppi a Bologna siano preti “di strada”, è paradossale. In questo tentativo di ridurre le scelte di Francesco ad un casting spicca la figura del cardinale Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila, definito anche lui come un “prete di strada”, ignorandone il profilo e lo spessore. Che adesso sono più accessibili grazie al libro-intervista Ho imparato dagli ultimi. La mia vita, le mie speranze curato da Lorenzo e Gerolamo Fazzini (Emi). Nel racconto della sua vita Tagle non fa particolari rivelazioni: l’esempio di un prete santo, un seminario reso fervoroso da un vescovo audace, che lo fa rettore a 25 anni; alcune esperienze impreviste come la partecipazione alla Storia del concilio Vaticano II diretta da Giuseppe Alberigo e poi soprattutto la chiamata nella Commissione teologica internazionale presieduta da Ratzinger che gli apre le porte di una carriera apparentemente senza ostacoli (e da ecclesiastico di razza, Tagle non racconta di essere stato chiamato all’ex sant’Ufficio a discolparsi dall’accusa di aver collaborato con Alberigo, che qualche sitarello conservatore agitava come fosse una colpa). Ma la “rivelazione” è l’intero racconto: quello di un uomo che in un lavoro di studio e con responsabilità importanti non smette di avere un rapporto immediato e costante con la povera gente. Nella diocesi dove cresce e anche adesso da cardinale arcivescovo, in una semplicità di relazione che lo porta ad essere non un “volontario” che “si occupa” di povericristi, ma un discepolo che nel poverocristo incontra il Cristo povero. La profezia della chiesa dei poveri era questa: la “forma” di santa romana chiesa tutto questo se lo rimangerà. Ma la profezia non cessa, perché l’asse della storia rimane quella e qualcuno che lo dice o c’è o tornerà.

* IL LIBRO Luis Antonio Tagle, Ho imparato dagli ultimi. La mia vita, le mie speranze ( a cura di Gerolamo e Lorenzo Fazzini, Emi, pagg. 160, euro 15)

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riflessioni amare su un voto dettato dall’insicurezza dell’intero occidente e dalla paura dei poveri

non piaceva a nessuno, è stato votato da tutti

 

 di Massimo Marnetto

 

Quando c’è paura, scegli chi ti toglie di meno e non chi ti dà di più. La domanda di giustizia sociale può attendere


donaltrump

E’ presto. Mi bevo un caffè amaro, vedendo il contatore dei voti di Trump scavalcare quello della Clinton. L’uomo che non piaceva a nessuno, è stato votato da tutti. Penso che  molto dipenda dall’insicurezza globale dell’Occidente e in particolar modo degli Usa. Quando c’è paura, scegli chi ti toglie di meno e non chi ti dà di più. La domanda di giustizia sociale può attendere. Quando le vacche torneranno grasse e i confini sicuri. Ora sono tempi incerti, la massa vede la globalizzazione unicamente come invasione. Di prodotti e di persone.

I poveri fanno più paura dei ricchi. Allora si votano i miliardari per fermarli, per riportare l’ordine. L’antidoto che si cerca quando c’è l’epidemia della paura. Non è necessario che la società sia giusta, dicono gli spaventati, purché ci sia ordine. E i poveri tornino al loro posto, in fondo alla società, senza pretendere diritti; le donne tornino dietro agli uomini, senza disturbare con la loro domanda di uguaglianza e di avere finalmente una presidente donna; gli stranieri stiano fuori, senza portarci anche i loro problemi. La zattera è piccola. Dobbiamo prendere a remate in testa chi ci si attacca per salire, perché può farla rovesciare.
 
La Clinton non ha rassicurato chi soffre le disuguaglianze, per una distanza di status abissale tra sé e la classe media, per non parlare di afro-americani e latinos. Non solo. Poco credibile per la sua appartenenza a una dinastia, non ha raccolto i voti dei sostenitori Bernie Sanders, l’unico che poteva sfidare Trump mobilitando i defraudati in una lotta di classe. Hilary è una minestra riscaldata, non l’elemento di rottura che attendevano i tanti che hanno sempre meno, per contrastare i pochi che hanno sempre di più.
 
Non so come andrà a finire. Se Trump vincerà, inaugurerà l’inizio del declino americano.
Ma avrà almeno il vantaggio di mostrare il volto violento e ingiusto del capitalismo, troppo a lungo camuffato.
In America e in Europa.

Fonte: www.articolo21.org

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