i gesuiti dalla parte dei poveri

la 36esima Congregazione dei gesuiti

«Guardate il mondo con gli occhi del povero»


 

l’invito di padre Sosa ai gesuiti: «guardate il mondo con gli occhi del povero

La visita di papa Francesco alla curia dei gesuiti il 24 ottobre 2016 con accanto il preposito Arturo Sosa

la visita di papa Francesco alla curia dei gesuiti il 24 ottobre 2016 con accanto il preposito Arturo Sosa

un discernimento per andare nelle periferie del mondo

«Vedere il mondo con gli occhi del povero». E’ uno dei passaggi più significativi dell’omelia pronunciata nella con cui il neo preposito dei gesuiti il venezuelano Arturo Sosa Abascal sabato 12 novembre ha chiuso la 36esima Congregazione generale. La celebrazione eucaristica si è svolta nella chiesa di Sant’Ignazio in campo Marzio (dove tra l’altro riposano le spoglie dei santi Luigi Gonzaga e Roberto Bellarmino e dell’unico papa sepolto in un luogo di culto della Compagnia di Gesù a Roma Gregorio XV). Padre Sosa (succeduto alla guida dei gesuiti allo spagnolo Adolfo Nicolás Pachón dal 14 ottobre scorso) nella sua omelia ha ricordato come gli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio si fondino sulla contemplazione come strumento attraverso il quale raggiungere Dio. «L’amore si deve dimostrare più nelle opere che nelle parole – ha detto il superiore dei gesuiti – ed è uno scambio dove ciascuno dona tutto ciò che ha e tutto ciò che è». Di qui l’invito rivolto ai suoi confratelli: «Il nostro discernimento ci porta a vedere questo mondo con gli occhi dei poveri e a collaborare con loro per far crescere la vita vera. Ci invita ad andare alle periferie e a cercare di capire come affrontare globalmente l’integralità della crisi che impedisce le minime condizioni di vita alla maggioranza dell’umanità e mette a rischio la vita sul pianeta terra per aprire spazio alla lieta notizia».

un’immagine di Arturo Sosa Abascal durante la sua “prima” Messa da generale al Gesù di Roma

la centralità dell’apostolato intellettuale

Il preposito della Compagnia di Gesù ha rinnovato l’impegno dell’istituto a puntare sul discernimento come strumento efficace per combattere la superficialità e l’ideologia. «Il nostro apostolato — ha continuato — è, perciò, necessariamente intellettuale. Gli occhi misericordiosi, che abbiamo acquistato nell’identificarci col Cristo in croce, ci permettono di approfondire la comprensione di tutto ciò che opprime uomini e donne nel nostro mondo».

«sconvolti dalle testimonianze dei fratelli nelle zone di guerra»

Di grande impatto – nella omelia e nella celebrazione eucaristica a cui hanno partecipato i 212 religiosi delegati della 36 Congregazione generale – sono state le parole pronunciate da padre Sosa per ricordare a tutti i gesuiti le «testimonianze dei nostri fratelli in condizioni di guerra». Le ferite dei conflitti infatti fanno crescere i flussi dei rifugiati e aumentano le sofferenze dei migranti.«Le disuguaglianze tra i popoli e all’interno delle nazioni son il segno del mondo che disprezza l’umanità», ha detto, precisando che la politica intesa come arte della negoziazione per il bene comune «continua a indebolirsi».

un momento della sessione finale a Roma della 36esima Congregazione generale dei gesuiti a Roma

«compagni nella missione di riconciliazione e giustizia»

Nella sede della Curia generale dei gesuiti a Roma durante la sessione finale nei giorni scorsi di novembre sono stati approvati i documenti finali della 36esima Congregazione generale . I testi saranno la bussola di orientamento nei prossimi anni per l’apostolato e l’azione di tutti i gesuiti sparsi nel mondo (16.740 religiosi, divisi in 12mila presbiteri, 1.300 fratelli, 2.700 scolastici e 753 novizi). I documenti riprendono idealmente i decreti della precedente Congregazione generale la 35esima (celebratasi nel 2008). In questo decreti vengono riconfermati i tratti salienti dello stile di annuncio che spetta ai gesuiti nel mondo di oggi mettendo al centro parole chiave come discernimento, missione come passione (dove tutti i sacerdoti e fratelli della Compagnia sono chiamati ad “essere uomini che bruciano per il Vangelo”) e ribadendo l’essenzialità di una pratica fondamentale per la spiritualità ignaziana: gli Esercizi Spirituali. Tra i dati originali di questi decreti finali vi è stata la riaffermazione di concetti – (già presenti in altre Congregazioni come la 32esima, quella guidata da Pedro Arrupe nel 1974) come riconciliazione, giustizia e lotta alle disuguaglianze sociali. Negli atti finali infatti della Congregazione è stata ribadita la centralità della riconciliazione con Dio, con l’umanità – in modo speciale attraverso il ministero di pace e giustizia che lotta contro le disuguaglianze – e con il Creato, avendo come modello di riferimento e di ispirazione l’enciclica di papa Francesco la Laudato si’. L’invito e la sollecitazione dei 212 gesuiti al loro neoeletto generale Arturo Sosa Abascal è stata inoltre quella di indicare loro le linea guida della vita apostolica nel difficile contesto odierno per l’Ordine aiutandoli a continuare ad essere «persone di buona volontà che affrontano l’oscurità del mondo consolati dal fuoco dell’amore di Cristo».

un’immagine che ritrae il logo della 36esima

Filippo Rizzi




il cardinale più agguerrito contro papa Francesco: lo vuole ‘correggere’

Burke pronto a un “atto formale” per “correggere” il Papa

in un’intervista con il “National Catholic Register” il porporato americano preannuncia la sfida in caso di mancata risposta ai cinque “dubbi” su “Amoris laetitia”

Raymond Leo Burke

 Se il Papa non risponderà alla richiesta di chiarimenti dei quattro cardinali che gli hanno scritto sull’esortazione Amoris Laetitia, «allora dovremmo affrontare questa situazione: c’è infatti, nella Tradizione della Chiesa, la possibilità di correggere il Romano Pontefice. È invero sicuramente molto raro. Ma se non vi fosse risposta alle domande sui punti controversi, allora direi che si porrebbe la questione di assumere un atto formale di correzione di un errore grave».

 

È il guanto di sfida che, alla vigilia del Concistoro, il cardinale americano Raymond Leo Burke, patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta, lancia a papa Francesco, cui insieme ad altri tre porporati – Walter Brandmueller, Carlo Caffarra e Joachim Meisner – ha sottoposto recentemente in una lettera cinque «dubbi» sull’interpretazione e l’applicazione della Amoris Laetitia, riguardanti sia la tanto discussa questione della comunione ai divorziati risposati, sia il valore delle norme morali in rapporto alla vita cristiana.

«Ovunque io vada sento confusione. I sacerdoti sono divisi gli uni dagli altri, i sacerdoti contro vescovi, i vescovi divisi tra di loro. C’è una tremenda divisione nella Chiesa, che non è la via della Chiesa. Ecco perché dobbiamo ristabilizzare queste questioni morali fondamentali, che ci uniscono», dice il cardinale Burke in un’intervista al National Catholic Register.




il vescovo che ha fatto il clochard per tre giorni

 


Giorgio Bernardelli

il vescovo canadese che ha vissuto da homeless per tre giorni, facendo la fila alle mense, chiedendo l’elemosina, dormendo in alloggi di fortuna

Bolen, il vescovo che è stato un clochard

trentasei ore sulla strada, condividendo in tutto e per tutto la vita di un senza fissa dimora. Con tutte le sue fatiche – chiedere l’elemosina, trovare un posto dove lavarsi, dormire su una branda in un dormitorio pubblico…. È l’esperienza del tutto particolare vissuta da un vescovo in Canada, nella regione dello Saskatchewan

Nel mese di giugno monsignor Donald Bolen – dal 2009 alla guida della diocesi di Saskatoon che ha guidato fino a un mese fa quando per volontà di papa Francesco è entrato come nuovo pastore nell’arcidiocesi di Regina – ha vissuto per un giorno e mezzo in incognito per strada come un homeless. Gesto decisamente significativo nell’Anno Santo della misericordia. E compiuto da un pastore che – come motto episcopale – già sette anni fa aveva scelto una frase di Thomas Merton che in italiano suona “Misericordia nella misericordia nella misericordia”, quasi a dilatare nella ripetizione l’apertura del cuore. Quella di Bolen non è stata un’iniziativa solo personale: il presule ha infatti aderito a una campagna di solidarietà promossa dal Sanctum Care Group, un ente assistenziale che si prende cura dei malati di Aids (e di cui il presule è membro del Cda).

Per raccogliere i fondi necessari per aprire una nuova casa per la cura pre-natale dei figli di madri sieropositive il Sanctum Care Group ha pensato a un’iniziativa che fosse l’occasione per far aprire gli occhi sulla realtà degli homeless a Saskatoon. Così dieci personalità in vista della comunità – dal vescovo al cantante folk, dal luminare della medicina al leader dei nativi – sono stati tutti coinvolti in questa specie di realityshow: rivestiti di abiti di seconda mano e rigorosamente senza soldi, sono finiti sulla strada con in tasca solo un cellulare per poter essere geolocalizzati costantemente. Poi, in una cena di gala, ciascuno ha raccontato che cosa gli ha lasciato in eredità quella giornata e mezza vissuta da senza fissa dimora.

«La sensazione più forte – ha detto Bolen – è stata sperimentare la vulnerabilità delle situazioni in cui ci trovavamo. Nel quartiere in cui vivo ci sono tante realtà di cui sapevo l’esistenza, ne avevo sentito parlare; ma lì ho avuto modo di toccarle con mano, di sperimentare la durezza e il dolore che ci sono a pochi passi da casa mia, come pure la gioia delle relazioni semplici tra le persone». Il vescovo ha sottolineato in particolare due aspetti: innanzitutto la profondità dello sguardo che si ottiene rallentando il proprio passo. «Quando vai piano, quando diventi vulnerabile, quando la realtà ti porta ad affrontare ogni situazione e a metterti in relazione per cercare un dialogo, ci sono tante cose che poi ti porti a casa», ha spiegato. Ma stare sulla strada non è poesia; si avverte anche tutto il dolore dell’indifferenza di chi ti sta intorno.

Bolen racconta di averla sperimentata mentre chiedeva l’elemosina in un angolo della Ventesima Strada, nel cuore della sua città. «Quasi nessuno ci guardava – ha ricordato –. È stata l’esperienza dell’invisibilità degli homeless e di chiunque sia povero o debole». Intervistato da RadioVaticana, Bolen ha detto di trovare grande ispirazione nel suo ministero dalla capacità di papa Francesco di tenere insieme la promozione della giustizia dal punto di vista delle strutture sociali, con la disponibilità a non perdere di vista la persona povera concreta che si incontra lungo la strada. «Far dialogare questi due aspetti oggi – ha concluso – è incarnare in modo credibile la Dottrina sociale della Chiesa».