papa Francesco e la sua rivoluzione in dieci pillole … e poi in chissà quante altre

le 10 rivoluzioni di Bergoglio papa lesbo 2

a cura di Carlo Tecce
in “il Fatto Quotidiano”

Lotta agli eccessi del clero: a Santa Marta in 90mq

Un papa che ha scelto Francesco per nome ha indicato un’esistenza francescana per il Vaticano: niente berline di lusso, niente gioielli (Bergoglio indossa una croce di ferro), niente ricevimenti, niente sprechi negli appartamenti, e infatti abita in una stanza di novanta metri quadri a Santa Marta. Ci sono anche gli eccessi, che rendono ancora più ansioso il lavoro dei gendarmi: Bergoglio rifiuta le autoblindate durante visite all’estero.

Vacanze in Vaticano, chiuso Castel Gandolfo

A Castel Gandolfo, residenza per le vacanze dei papi, Bergoglio è andato per rendere omaggio al papa emerito Ratzinger. Trasportato in elicottero, lì s’era ritirato il teologo tedesco. Quella visita ha consegnato al mondo la prima immagine di un incontro fra due papi, quasi un’allucinazione. Poi Bergoglio ha ordinato la chiusura di quella reggia pontificia. Vacanze a Santa Marta. Al palazzo pontificio riceve gli ospiti istituzionali.

I cardinali vengono dalla fine del mondo

Ai tempi di Benedetto XVI, il concistoro era governato anche del potente segretario di Stato, Tarcisio Bertone. I nuovi cardinali erano italiani, meglio se salesiani, con un passato in Piemonte o in Liguria, le diocesi governate da Bertone. Al contrario, Francesco ha elevato a principi della Chiesa i vescovi delle terre più remote o delle città più piccole. E in questo modo, prepara il prossimo Conclave. La sua successione.papa

Quei faldoni eredità di Benedetto XVI

Il punto di contatto fra il papa in carica e il papa in pensione è sempre padre George Ganswein. S’è raccontato, in passato, che i due papi siano soliti vedersi a cena. Il più giovane, Bergoglio, va a trovare il più anziano nel convento dove ha deciso di vivere al “riparo degli occhi del mondo”. Ma il passaggio di consegne è stato reale e formale, un pacco di documenti – la famosa inchiesta dei cardinali – che Ratzinger donò a Bergoglio.

Il paciere tra Usa e Cuba le abilità diplomatiche

Un papa argentino non poteva ignorare le condizioni economiche, politiche e sociali dell’America più povera e più invisa agli Stati Uniti. Con un’abilità diplomatica con pochi precedenti, anche per la capacità di tessere in segreto le trattative, Jorge Mario Bergoglio è riuscito a debellare quelle poche miglia che dividono gli Stati Uniti a Cuba. E l’ha fatto coltivando un rapporto di reciproca fiducia con i fratelli Castro.

Gli omosessuali e il suo “Chi sono io per giudicare”

Chi sono io per giudicare. Questa affermazione, per quanto scontata in una società (in larga misura) scevra di vincoli ideologici-religiosi, ha avvicinato la Chiesa agli omosessuali. Il papa della misericordia, dell’apertura e del dialogo non può accettare comportamenti reazionari nel clero. Anche perché, per colpa di quel gruppo aggrappato ai dogmi e piegato solo alla dottrina, la Chiesa rischia di perdere fedeli. Quelli del futuro, ma anche del presente.

Le innovazioni al Sinodo sulla famiglia

La prima riforma di Bergoglio è l’approccio che la Chiesa deve tenere con la famiglia. Famiglia vuol dire coppie dello stesso sesso, famiglia vuol dire insieme di persone composto da una divorziata o da un divorziata, famiglia vuol dire una donna che ha scelto o dovuto scegliere l’aborto. La Chiesa è una famiglia e per non allontanarsi dalla famiglia, dunque, la Chiesa deve saper perdonare. Ma il Sinodo non ha convinto tutti.

L’attività internazionale e la cautela nazionale

Con la nomina di Pietro Parolin alla Segreteria di Stato, Bergoglio ha sottratto autonomia e rilevanza alla Curia per affidarli a un diplomatico, a un nunzio apostolico. Così il Vaticano è molto attivo negli scenari internazionali e molto cauto e spesso silente sugli argomenti nazionali. Neanche  la contestata legge sulle Unioni Civili ha mobilitato la robusta macchina vaticana. È rimasta una battaglia di una parte dei vescovi.papa8

Progetti in fieri: banca, Curia e comunicazione

Per la riforma della Curia e della comunicazione stessa del Vaticano, troppo spesso non in grado di seguire l’evoluzione tecnologica e culturale del mondo, Bergoglio ha istituto un gruppo di un lavoro, un gruppo ristretto di cardinali. Nel frattempo, ha tentato di smantellare quel coacervo di affari molto opachi che si chiama Ior, la banca del Vaticano, anche se è improprio definirla banca. Sulla Curia c’è ancora tanto da cambiare.

I rapporti con i governi: vietato intromettersi

Aspettando la fine dell’epoca di Angelo Bagnasco al vertice della Conferenza episcopale italiana, Bergoglio è intervenuto con le nomine – per fare un esempio – di Maurizio Zuppi a Bologna dopo Carlo Cafarra (oggi annoverato fra i contestatori della linea di Francesco) e Corrado Lorefice a Palermo. Il papa delega i rapporti con i governi nazionali alla Cei, ma giudica anacronistiche e dannose le ingerenze del passato.

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papa Francesco applaudito da molti ma lasciato solo da coloro che gli sono più vicino

come e perché il papa sta smontando la chiesa ‘romana’

intervista a Marco Politi

Come e perché il Papa sta smontando la Chiesa romana. Parla Marco Politi

a livello ecclesiale c’è più opposizione che consenso all’opera di Papa Francesco. Una maggioranza tradizionalista più forte e muscolare nell’episcopato mondiale che si scontra con una minoranza di innovatori “più timidi”, nelle lotte di una “guerra civile in corso dentro la Chiesa”. E’ l’analisi di Marco Politi, scrittore e giornalista. Per sei anni inviato a Mosca, una ventina come vaticanista a Repubblica, oggi editorialista con un blog sul Fatto Quotidiano

 

Politi, questa guerra civile di cui lei parla significa che il programma di riforme di Francesco si sta arenando?

Niente affatto. Gli ostacoli ci sono, ma procede con tenacia.

Qualche esempio?

La pulizia dello Ior; la determinazione a punire i colpevoli di pedofilia: è il primo Papa che ha fatto processare un nunzio e arcivescovo. Non solo con la dimissione dallo stato clericale, ma dando l’ok al rinvio a giudizio. Nel frattempo l’ex nunzio Wesolowski è morto, ma si stava aprendo un processo penale senza precedenti in Vaticano.

Riforme vaticane più che pastorali in senso stretto?

Non dobbiamo dimenticare che il Papa ha aperto una commissione di studio sul diaconato alle donne e ha tirato fuori la Chiesa dalle secche delle ossessioni sessuali. E ha riformato i dicasteri dei laici e della giustizia sociale, per dargli maggiore incisività.

Ed emergono divisioni nella Chiesa.

E’ un vero e proprio scontro. In crescendo. Mosso da una parte della gerarchia, maggioritaria, che ritiene una questione identitaria, ad esempio, il “no” alla comunione ai divorziati risposati o il riconoscimento del valore positivo delle unioni omosessuali.

Il classico bisticcio tra conservatori e innovatori. Qual è la novità?

Anche durante il Concilio le opposizioni ai progetti di riforma erano tante. Allora i due fronti si scontravano a viso aperto con libri e incontri, ognuno aveva i propri teologi di riferimento in campo, si tenevano iniziative nelle diocesi che coinvolgevano il popolo di Dio. Oggi i riformatori sono silenziosi, inerti. Tutte le iniziative intorno ai due Sinodi sulla famiglia sono state organizzate dai conservatori. Assistiamo ad un climax di aggressività alimentato dai blog e dai siti internet. Ma non mancano attacchi diretti di cardinali e vescovi con iniziative impensabili persino ai tempi pur burrascosi di Paolo VI e delle riforme conciliari.

Si riferisce alla recente lettera di richiesta di chiarimento dei quattro cardinali?

Quella è il guanto di sfida. Ma seguirà altro. Come molto è stato anticipato. Prima del Sinodo 2014 un libro di cinque cardinali in difesa della dottrina tradizionale del matrimonio. Poi un altro volume firmato da 11 porporati. Quindi una petizione firmata da 800mila cattolici fra cui 100 vescovi per frenare le innovazioni. Nel Sinodo del 2015, una lettera di 13 cardinali sulla regolarità dell’assemblea. Se uno legge i nomi dei contestatori vede che ci sono molte personalità di primo piano, che provengono da un’area geografica vasta e che spesso avevano avuto un ruolo rilevante durante i due pontificati precedenti.

Eppure, mai come in passato, i grandi giornali ammirano il Papa.

Massmediaticamente si rimane concentrati sulla personalità di Francesco. Ma la Chiesa è un grande impero, coi suoi alti gerarchi, i vescovi; i quadri, preti e religiosi; e le milizie scelte, i laici impegnati. La cosa che più colpisce l’opinione pubblica cattolica, o credente in altre religioni o non credente, è l’assoluta sincerità di Francesco di presentarsi. Lui non parla tanto come prete, come vescovo, come Papa, ma come discepolo di Cristo. Questo colpisce. Ma poi le resistenze ci sono. La gerarchia si sta posizionando per il Conclave futuro.

Intanto Francesco si sta muovendo con nomine di persone a lui vicine.

Certo, ma non fraintendiamo: uno può essere conservatore sui temi etici e riformista su quelli sociali o viceversa. Inoltre Francesco non è uomo da spoil system. Nel governo della Chiesa cerca di essere inclusivo, di coinvolgere anche chi non la pensa come lui. E’ questo un punto che i suoi uomini più vicini gli contestano. Vorrebbero che usasse una mano più ferma.

Il 17 dicembre Bergoglio compirà 80 anni. Crede che possa nel breve periodo rinunciare al pontificato?

Lo farà certamente se dovesse rendersi conto che per assoluta mancanza di energie fisiche non dovesse essere più in grado di governare. Qui sta il punto: quanti anni ancora al Soglio? Credo che gli servano almeno cinque anni per dare solidità al processo di riforma avviato. L’obiettivo della guerra civile in corso è proprio questo: impedire che arrivi al trono di Pietro un uomo che porti a sviluppo le riforme iniziate.

Riforme finite, come nel caso della comunione ai divorziati risposati, in una nota a pie’ di pagina, con un invito al discernimento che però tanto sta facendo discutere la Chiesa.

Nei due Sinodi la maggioranza era compatta contro la linea aperturista del cardinal Kasper. E’ l’esempio del prevalere tradizionalista. A questo proposito è istruttivo guardare le recenti elezioni nella Chiesa. In Europa, quando si è votato per i vertici del Consiglio delle conferenze episcopali europee, è stato eletto un cardinale moderatamente conservatore come Bagnasco. Uno dei suoi vice è il conservatore polacco Gadecki. Poi c’è uno più riformista, l’inglese Nichols. Ma, appunto, è in minoranza. E non dimentichiamoci degli Usa, con l’elezione dei due nuovi leader della Conferenza episcopale, entrambi scelti dal fronte pro-life, mentre i nuovi porporati americani creati dal Papa sono preoccupati delle divisioni nella Chiesa. E’ una dimostrazione che una serie di elettori di Bergoglio nel 2013 – e tra questi molti erano statunitensi – oggi non lo voterebbero più.

Due anni fa ha scritto un libro dal titolo evocativo: “Francesco tra i lupi”. Chi sono questi lupi?

Anche quelli che applaudono il Papa, ma poi non muovono un dito. Sono quelli del dissenso nella Chiesa: sacche di silenzio, passività e adulazione; di chi dice parole con le labbra che in realtà non pensa. Lo esprime bene monsignor Bregantini: tutti dicono che è buono e bravo, ma in realtà il Papa è un giocatore lasciato solo in campo quando tutti lo applaudono.

Politi, però gli osanna ci sono.

Spesso di facciata. Mi dicevano alcuni diplomatici presso la Santa Sede che in certi ambienti vaticani si respira un’aria di “slealtà”. Parole che dette da diplomatici ci fanno capire che clima difficile si respiri in Vaticano. Mi ricorda di quando ero a Mosca ai tempi della perestrojka. I giornali tributavano un consenso unanime a Gorbaciov. Sorrisi e cordialità dal Comitato centrale, che intanto gli remava contro.

Da arcivescovo di Buenos Aires, Bergoglio di interviste ne ha rilasciate pochissime. Ora ne concede a getto continuo. E ogni giorno possiamo leggere le sue omelie mattutine a Santa Marta. Viene in mente l’immagine del Pio XIII di Sorrentino, uno “young pope” che si nasconde ai fedeli, rifiuta persino di farsi fotografare. Tutto il contrario di Bergoglio.

Gli artisti anticipano sempre. Habemus Papam di Moretti nel 2011 mostrava un Papa eletto che poi rinuncia, e che aveva individuato come priorità la misericordia, l’umanità, la cura dei feriti. E’ arrivato Francesco e il suo “ospedale da campo”. Sorrentino con quel papa contraddittorio, conservatore ma anche umano, evidenzia l’interrogativo e le attese non ancora definite dell’opinione pubblica su quale Papa uscirà dal futuro Conclave.

Il vaticanista Aldo Maria Valli in una recente conversazione con Formiche.net riconosce che le argomentazioni di Francesco sono a volte ambigue.

Non c’è dubbio che Amoris laetitia sia un documento in cui il Papa – vincolato dalle votazioni del Sinodo – non si sia potuto esprimere in merito ai divorziati risposati con la chiarezza che gli è propria. Ma d’altronde tutta l’ideologia dei valori non negoziabili ha allontanato inesorabilmente masse di credenti dalla Chiesa istituzionale. Francesco non è buonista, è realista, conoscendo il formarsi e il disgregarsi dei progetti di vita proprio nelle megalopoli del Terzo Mondo dall’America latina, all’Africa, all’Asia e allora “cristianamente” vuole aiutare le persone anche ad un “nuovo inizio”. Il suo perdono è un incoraggiamento ad andare avanti.

Quindi dove sta andando Francesco?

E’ stato eletto per riformare. Bergoglio vuole smontare la Chiesa romana, imperiale e monarchica. Per questo insiste sulla collegialità, la sinodalità, la responsabilità dei singoli episcopati. Per questo ha creato il consiglio dei cardinali che deve assisterlo nel governo oltre che studiare la riforma della Curia. E’ stato eletto per riformare, ma per qualcuno sta esagerando, e allora gli tirano il freno.

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un altro cardinale contro la politica cinese di papa Francesco

il cardinal Joseph Zen contro il papa

parla addirittura di “tradimento di Cristo”

“la chiesa può negoziare con Hitler e con Stalin?”
“il sangue dei martiri è il seme da cui sbocciano i nuovi cristiani, ma se questo sangue è avvelenato, quanto dureranno i cristiani?”

 

Il cardinal Joseph Zen contro il Papa, nega possibile apertura: "Tradimento di Cristo"
L’anatema è stato lanciato nel corso di un incontro nella scuola salesiana di Hong Kong dove Zen continua ad insegnare a dispetto dei suoi 84 anni. “Forse il papa è un tantino ingenuo, non ha la conoscenza dei problemi per sapere bene chi sono i comunisti cinesi”

Da sempre perplesso sulla politica di apertura e dialogo con il regime comunista cinese perseguita dalla Chiesa di Papa Francesco, l’ex vescovo di Hong Kong cardinal Joseph Zen ha bollato la possibile distensione come un “tradimento di Gesu’ Cristo”.
L’anatema e’ stato lanciato nel corso di un incontro nella scuola salesiana di Hong Kong dove Zen continua ad insegnare a dispetto dei suoi 84 anni. “Forse il papa e’ un tantino ingenuo, non ha la conoscenza dei problemi per sapere bene chi sono i comunisti cinesi”, sono le sue parole riportate dalla stampa internazionale, “il papa ha conosciuto i comunisti che erano perseguitati in Sudamerica, ma potrebbe non conoscere i comunisti nella loro veste di persecutori: responsabili della morte di centinaia di migliaia di persone”. Quella che scaturirebbe da un eventuale accordo tra il Vaticano e Pechino sarebbe “una liberta’ fasulla” una “idea superficiale della liberta’ per cui il popolo di Cristo si renderebbe conto, prima o poi, che la gerarchia cinese altro non e’ se non una serie di marionette nelle mani del governo, non di autentici pastori”. I dieci milioni di cinesi legati alla chiesa cattolica, secondo il prelato, rischierebbero di restare chiusi in una morsa di ambiguita’. “I vescovi della chiesa ufficiale”, ha detto riferendosi alla gerarchia di nomina governativa, “non predicano il vangelo, ma l’obbedienza alle autorita’ comuniste”. Soprattutto “non si puo’ andare a trattare con l’atteggiamento di chi vuole ottenere un accordo a qualsiasi costo. Questo e’ un tradimento, una resa, un tradimento di Cristo”. Quel che il Vaticano dovrebbe fare e’ “ritirarsi dai negoziati, se il risultato non fosse soddisfacente, e attendere momenti migliori”. Ma il punto essenziale e’ un altro: “La Chiesa puo’ negoziare con Hitler,e con Stalin?”.
Conclusione del ragionamento: “il sangue dei martiri e’ il seme da cui sbocciano i nuovi cristiani, ma se questo sangue e’ avvelenato, quanto dureranno i cristiani?”.

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un muro contro i palestinrsi anche in un paese arabo

un altro muro per escludere chi già è escluso

l’esercito ha cominciato la costruzione, per presunte ragioni di sicurezza, di una barriera intorno al più grande dei campi profughi palestinesi nel Paese dei Cedri


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circondati da muri, nella loro terra e ora anche in un Paese arabo

è il destino dei palestinesi, in particolare dei profugh

L’esercito libanese ha iniziato a costruire un muro di cemento alto diversi metri e torri di guardia intorno ad Ain al Hilweh (Sidone) il più grande, con circa 80mila abitanti, dei campi profughi palestinesi nel Paese dei Cedri. Un muro che ufficialmente dovrà impedire che i ricercati, specialmente i jihadisti in fuga, trovino rifugio nel campo ma che ben rappresenta la condizione degli oltre 400mila rifugiati palestinesi in Libano, di fatto segregati nei loro campi, esclusi da decine di lavori, costretti a sopravvivere grazie agli aiuti umanitari internazionali e locali

L’avvio dei lavori della barriera intorno a Ain al Hilwe, progettata nei mesi scorsi e che sarà completata in 15 mesi, coincide con l’ascesa alla presidenza del Libano dell’ex generale Michel Aoun, che non ha mai nascosto la sua storica avversione per la presenza dei palestinesi. E non è insignificante che tutte le formazioni politiche libanesi, incluse quelle che si proclamano dalla parte dei diritti dei palestinesi, siano rimaste in silenzio rispetto a una costruzione che trasformerà in una enorme prigione Ain al Hilwe.

Sono deboli e isolati i palestinesi in Libano, non in grado di impedire la realizzazione di questo “muro della vergogna”. Anzi hanno dovuto fingere di aver coordinato il progetto con le autorità libanesi. «Il muro è stato costruito al di fuori del campo e lontano dalle aree abitate, queste costruzioni servono a risolvere problemi di sicurezza», si è affannato a spiegare il generale Mounir  al Maqdah, capo della sicurezza palestinese ad Ain al Hilwe. Anche al Maqdah però ha dovuto riconoscere che il muro avrà un effetto negativo sugli abitanti del campo. «Le implicazioni psicologiche di questo muro saranno negative e difficili da superare» ha ammesso, aggiungendo che l’esercito ha accettato alcune  modifiche al percorso della barriera e alle posizioni delle torri di guardia. In rete però le proteste sono aumentate con il passare delle ore. Sui social non pochi hanno paragonato il muro di Ain al Hilwe a quelli costruiti da Israele in Cisgiordania, al confine con l’Egitto e a quello che correrà lungo il confine orientale della Striscia di Gaza.

A distanza di nove anni dalla distruzione del campo profughi palestinese di Nahr al Bared (Tripoli), rimasto per mesi sotto il fuoco dell’artiglieria dell’esercito libanese intenzionato a stanare i jihadisti di Fatah al Islam che vi si erano rifugiati, anche Ain al Hilwe paga il conto della penetrazione di gruppi di islamisti radicali che approfittano del vuoto di sicurezza che regna nel campo profughi. Le formazioni palestinesi, a cominciare da Fatah, hanno provato senza successo ad impedire che i jihadisti creassero delle basi nel campo. E in questi ultimi tempi non sono mancati gli scontri a fuoco con morti e feriti. Nel giugno 2015 uno dei leader di Fatah, Talal Balawna, fu assassinato da “sconosciuti”, un’uccisione che ha anticipato gli scontri armati di due mesi tra Fatah e Jund al Sham, andati avanti per più di una settimana. Jund al Islam da allora ha fatto il bello e il cattivo tempo ad Ain al Hilwe, fino all’arresto due mesi fa da parte dell’intelligence libanese del suo fondatore, Imad Yasmin, che è anche un leader dello Stato islamico. Un clima di cui i profughi sono le vittime e che invece ha contribuito ad alimentare la propaganda dei tanti che in Libano considerano i campi palestinesi un “problema” da risolvere anche con le maniere forti.

Ad alcune centinaia di chilometri di distanza da Ain al Hilwe, nel Neghev,  gli abitanti del villaggio beduino palestinese di Um al-Hiran lottano contro la demolizione delle loro case, ordinata nel 2015 dalla Corte Suprema di Israele. Le ruspe ieri hanno preso posizione ai bordi del villaggio protette da ingenti forze di polizia mentre gli abitanti, sostenuti da volontari stranieri e attivisti della sinistra israeliana, si sono distesi sul terreno nell’estremo tentativo di salvare le loro case. Nel frattempo i loro avvocati hanno presentato un nuovo ricorso. Per le autorità israeliane Um al-Hiran sarebbe un villaggio illegale e al suo posto è prevista la costruzione di un centro abitato ebraico, Hiran. È una beffa amara per gli abitanti beduini che furono spostati di autorità in quella zona nel 1956, dopo essere stati sgomberati dalle loro terre di origine. I progetti nel Neghev (Piano Prawer) prevedono l’evacuazione di decine di migliaia di beduini che vivono in centri non riconosciuti dallo Stato.

In Cisgiordania INTANTO  si attende l’avvio di nuovi progetti per l’espansione delle colonie israeliane con la benedizione di fatto di Donald Trump. Il presidente eletto ha fatto sapere di non considerare gli insediamenti coloniali un ostacolo alla pace.

Fonte: il Manifesto

24 novembre 2016

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