il vangelo fa paura

settimana santa

la paura del vangelo

di José María Castillo

in “Religiòn digital” – www.religiondigital.com – del 9 aprile 2017

Una delle cose che sono più chiare, nei racconti della passione del Signore che la Chiesa ci ricorda in questi giorni della Settimana Santa, è la paura che fa il Vangelo. Sì, la vita di Gesù ci fa paura. Perché, in fin dei conti, non vi è alcun dubbio che quel modo di vivere – se i vangeli sono il ricordo vero di quello che allora successe – ha portato Gesù a terminare i suoi giorni dovendo accettare il destino più ripugnante che una società possa attribuire: il destino di un delinquente giustiziato (G. Theissen).

  La morte di Gesù non è stata un “sacrificio religioso”. Anzi, si può affermare con certezza che la morte di Gesù, così come la raccontano i vangeli, è stata quanto di più opposto a quello che in quella cultura si poteva comprendere come un sacrificio sacro. Ogni sacrificio religioso, in quel tempo, doveva adempiere a due condizioni: doveva realizzarsi nel tempio (nel sacro) e doveva farsi compiendo le norme di un rituale religioso. Nessuna di queste due condizioni si è verificata nella morte di Gesù. Inoltre, Gesù fu crocifisso non tra due “ladroni”, ma tra due lestái, una parola greca della quale sappiamo che si utilizzava per designare non solo i “banditi” (Mc 11, 17 par; Gv 28, 40), ma anche i “ribelli politici” (Mc 15, 27 par), come segnala Flavio Giuseppe (H. W. Kuhn; X. Alegre). Per questo si comprende che nella sua ora finale e decisiva Gesù si è visto tradito e abbandonato da tutti: dal popolo, dai discepoli, dagli apostoli… Di religioso, l’essere crocifisso non ha nulla, se non i sentimenti dello stesso Gesù. E sappiamo che il suo sentimento più forte è stato la coscienza di vedersi abbandonato persino da Dio (Mt 27, 46; Mc 15, 34). La vita di Gesù si è svolta nella maniera nella quale è terminata: solo, derelitto, abbandonato. Cosa sta a significare tutto questo per noi? La Settimana Santa per noi sta a significare, nei testi biblici che leggiamo in questi giorni, che Gesù è venuto a mettere in discussione la realtà nella quale viviamo. La realtà violenta, crudele, nella quale si impone “la legge del più forte” rispetto alla “legge di tutti i deboli”. Sappiamo che Paolo di Tarso ha interpretato il racconto mitico del peccato di Adamo come origine e spiegazione della morte di Gesù per redimerci dai nostri peccati (Rm 5, 12-14; 2 Cor 12-14). È l’interpretazione cui ricorrono i predicatori, che puntano la nostra attenzione sulla salvezza del cielo. Questo è buono. Ma ha il pericolo di sviare questa nostra attenzione dalla tragica realtà che stiamo vivendo. La realtà della violenza che soffrono i “nessuno”, la corruzione di quelli che comandano e soprattutto il silenzio di coloro che sanno queste cose e le nascondono per non perdere il loro potere, le loro cariche ed i loro privilegi. La bellezza, il fervore, la devozione delle nostre liturgie sacre e delle nostre confraternite ci ricordano la passione del Signore. Ma mette in discussione per noi la durissima realtà che stanno vivendo tanti milioni di esseri umani? Ci ricorda la vita che ha portato Gesù al suo fallimento finale? O ci distrae con devozioni estetiche e tradizioni che utilizzano la “memoria passionis”, il “ricordo pericoloso” di Gesù, per viverlo bene con buona coscienza?  

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articolo pubblicato il 9.4.2017 nel Blog dell’Autore in Religión Digital (www.religiondigital.com ) Traduzione a cura di Lorenzo TOMMASELLI

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il Crocifisso e la maggior parte dell’umanità di oggi che vive crocifissa

i crocifissi di oggi e il Crocifisso di ieri

di Leonardo Boff

in “Confini” – http://confini.blog.rainews.it/ – del 12 aprile 2017

 

Oggi la maggior parte dell’umanità vive crocifissa dalla povertà, dalla fame, dalla scarsità d’acqua e dalla disoccupazione. Crocifissa è anche la natura lacerata dall’avidità industriale che si rifiuta di accettare limiti. Crocifissa è la Madre Terra, esausta fino al punto di perdere il suo equilibrio interiore, evidenziato dal riscaldamento globale. Uno sguardo religioso e cristiano vede Cristo stesso presente in tutti questi crocifissi. Per avere assunto pienamente la nostra realtà umana e cosmica, lui soffre con tutti i sofferenti.

La foresta abbattuta dalla motosega significa colpi sul suo corpo. Negli ecosistemi decimati e per l’acqua inquinata, lui continua a sanguinare. L’incarnazione del Figlio di Dio ha una misteriosa solidarietà di vita e di destino con tutto quello che lui ha assunto, con tutta la nostra umanità e tutto ciò che esso implica di ombre e di luci. Il Vangelo di Marco, narra con parole terribili la morte di Gesù. Abbandonato da tutti, in cima alla croce, si sente anche abbandonato dal Padre di misericordia e bontà. Gesù grida: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? E dando un forte grido, Gesù spirò” (Mc 15,34.37). Gesù non muore perché tutti moriamo. È stato assassinato nel modo più umiliante del tempo: inchiodato ad una croce. Sospeso tra cielo e terra, agonizzò per tre ore sulla croce. Il rifiuto umano può decretare la crocifissione di Gesù, ma non può definire il senso che lui ha dato alla crocifissione che gli fu imposta. Il Crocifisso ha definito il significato della sua crocifissione come solidarietà con tutti i crocifissi della storia che, come lui, erano e sono vittime di violenza, di relazioni sociali ingiuste, d’odio, d’umiliazione dei piccoli e di rifiuto della proposta di un Regno di giustizia, fratellanza, compassione e amore incondizionato. Nonostante il suo impegno solidale verso gli altri e il Padre, una terribile e ultima tentazione invade la sua mente. La grande lotta di Gesù, ora che sta per morire, è con il suo Padre. Il Padre di cui lui ha avuto esperienza con profonda intimità filiale, il Padre che lui aveva annunciato come misericordioso e pieno di bontà, Padre con tracce di madre amorevole, il Padre il cui regno ha proclamato e anticipato nelle sue prassi liberatorie, questo Padre ora sembra abbandonarlo. Gesù passa attraverso l’inferno dell’assenza di Dio. Verso le tre del pomeriggio, minuti prima della fine, Gesù gridò a grandi voce: “Eloì, Eloì, lamá sabacthani: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Gesù è sull’orlo della disperazione. Dal vuoto abissale del suo spirito, esplodono domande spaventose che modellano la tentazione più terribile subita dagli esseri umani e ormai da Gesù, la tentazione della disperazione. Si chiede: “Non era assurda la mia fedeltà? Senza senso la lotta sostenuta, per gli oppressi e per Dio? Non sono stati vani i rischi che ho corso, le persecuzioni che ho sopportato, il processo legale-religioso umiliante in cui sono stato sottoposto alla pena capitale: la crocifissione che sto soffrendo?” Gesù è nudo, indifeso, completamente vuoto davanti al Padre che è in silenzio e così rivela tutto il suo Mistero. Gesù non ha nessun altro a cui aggrapparsi. Per gli standard umani, ha fallito completamente. La stessa certezza interiore svanisce. Anche se il sole è tramontato al suo orizzonte, Gesù continua ad avere fiducia nel Padre. Così grida con voce potente. “Padre mio, Padre mio!” Al culmine della disperazione, Gesù si dona al Mistero veramente senza nome. Egli sarà l’unica speranza oltre qualsiasi speranza. Non ha più alcun sostegno in te
stesso, soltanto in Dio, che si nascondeva. La speranza assoluta di Gesù può essere compresa solo sul presupposto della sua disperazione. Dove è abbondata la disperazione, ha sovrabbondato la speranza. La grandezza di Gesù è quella di sopportare e superare questa tentazione scoraggiante. Questa tentazione lo porterà all’abbandono totale a Dio, una solidarietà senza restrizioni con i fratelli e le sorelle anch’essi disperati e crocifissi nel corso della storia, una spoliazione totale di se stesso, un dedicazione assoluta di se stesso in funzione degli altri. Solo allora la morte è morte e può anche essere completa: la rende perfetta a Dio e ai suoi figli e figlie che soffrono, ai suoi fratelli e sorelle più piccoli. Le ultime parole di Gesù indicano questa consegna, non dimessa e fatale, ma libera, “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46). “Tutto è compiuto” (Gv 19,30). Il Venerdì Santo continua, ma non ha l’ultima parola. La risurrezione, come irruzione dell’essere nuovo è la grande risposta del Padre e la promessa per tutti noi.

(per gentile concessione dell’autore pubblichiamo questa meditazione pasquale del teologo brasiliano Leonardo Boff, traduzione di S. Toppi e M. Gavito: tratto da finesettimana.it)

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