un altro sbaglio di papa Francesco? qualcuno lo consiglia male?

 

UN’OMBRA NEL PASSATO DEL NUOVO CAPO DEL SANT’UFFICIO?

coprì un pericoloso pedofilo?

promosso da papa Francesco ordinò di non denunciare abusi sessuali di un prete

così nella ricostruzione di Emiliano Fittipaldi e Giuliano Foschini:

Nel marzo del 2012 l’arcivescovo Luis Ladaria Ferrer, che sabato è stato promosso da Papa Francesco nuovo prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha coperto, senza denunciarlo, un prete pedofilo che era stato ridotto allo stato laicale per abusi sessuali. Di più. Ha ordinato, nero su bianco, che la condanna canonica passasse sotto silenzio. Don Gianni Trotta, grazie all’acquiescenza del Vaticano e della curia locale, ha così potuto continuare indisturbato a violentare minorenni: dopo essere stato costretto a lasciare la tonaca è infatti diventato allenatore di una squadra di calcio giovanile, e in due anni ha molestato una decina di bambini vicino a Foggia. La storia di Trotta è stata raccontata lo scorso febbraio da Repubblica che oggi, insieme a L’Espresso, è in grado di ricostruire le responsabilità dirette di Ladaria. È lui che il 16 marzo 2016 firma il decreto in latino, nel quale invitava i superiori del pedofilo a stare zitti e muti per non «generare scandalo tra i fedeli». Una nuova spina per Papa Francesco, che — dopo l’incriminazione formale del suo (ormai ex) braccio destro George Pell per presunti abusi su alcuni adolescenti australiani — ha deciso di nominare Ladaria come successore di Gerhard Ludwig Müller, il cardinale tedesco licenziato in tronco anche perché giudicato poco incisivo nella lotta alla pedofilia. Un paradosso. Andiamo con ordine. Sappiamo che don Trotta viene messo sotto processo in Vaticano nel 2009. Sappiamo anche che della vicenda non trapelò nulla e che Ladaria, segretario della Congregazione dal 2008 fino alla promozione di queste ore, e il suo superiore di allora, il prefetto William Levada, firmarono il decreto che condannò don Trotta alla pena massima, cioè la messa in stato laicale, per abusi sessuali su minori. Il documento venne inviato, presumibilmente, ai superiori dell’orco, che apparteneva alla congregazione della Piccola Opera della divina provvidenza, e risiedeva nel vescovato di Lucera, vicino a Foggia. Per il Vaticano Trotta è ufficialmente un pedofilo, ma nessuno si prende la briga di denunciarlo alle autorità italiane. Ladaria e Levada scelgono un’altra strada. Nel documento, dopo aver comunicato che «don Gianni Trotta è colpevole di delitti con minori contro il sesto comandamento » e che «il Sommo Pontefice Papa Benedetto XVI ha deciso con suprema e inappellabile sentenza che per il bene della Chiesa sia da irrogare la dimissione dallo stato clericale e dalla Piccola Opera della divina provvidenza», dispongono che «l’ordinario faccia in modo per quanto possa, che la nuova condizione del sacerdote dimesso non dia scandalo ai fedeli». Un invito, in pratica, all’omertà. Vero che nella missiva Ladaria e il suo capo di allora aggiungono che «l’ordinario», ossia coloro che avevano potestà diretta su don Trotta, avrebbe potuto rompere il patto dell’acquiescenza davanti a un nuovo «pericolo di abusi su minori», e che in quel caso si poteva «divulgare la notizia della dimissione, nonché il motivo canonico sotteso». Ma si tratta di una postilla pilatesca: invece di denunciare il pedofilo alla magistratura, il nuovo capo della Congregazione per la Dottrina della Fede spostava infatti ogni responsabilità di vigilanza sull’istituto di appartenenza del maniaco. Un controsenso, visto che il vescovo, il parroco e il superiore dell’Ordine non hanno più alcuna influenza su un sacerdote ormai spretato.

Trotta decide di restare nel paesino, riciclandosi come allenatore di piccoli calciatori. Nessuna delle famiglie sa della sentenza, perché la curia e l’istituto tacciono. Dal 2012 al 2014 oltraggia così (almeno secondo le accuse) una decina di ragazzini, tra pulcini delle giovanili e bimbe perseguitate in chat. Gianni distrugge in pratica la vita di un’intera generazione del borgo. Solo nell’aprile del 2015, grazie alla denuncia dei genitori di un bimbo di prima media che aveva trovato finalmente il coraggio di parlare, l’ex don viene arrestato per ordine di un pm di Bari, Simona Filoni. A luglio del 2016 Trotta è stato condannato in primo grado a otto anni di carcere per la violenza sul dodicenne, e tra qualche giorno inizierà un nuovo processo per gli abusi sugli altri bambini. «Se la Congregazione e la curia locale avessero denunciato alle autorità il sacerdote invece di scegliere la strada del silenzio, i piccoli sarebbero stati salvati dall’orrore: noi l’avremmo fermato», chiosa un investigatore che segue il caso. Una scelta, quella di Ladaria e Levada, che è discutibile sotto il profilo etico, ma che resta impeccabile sotto il profilo canonico. La decisione inoltre è permessa dalla legge: grazie ai Trattati lateranensi in Italia gli ecclesiastici non hanno l’obbligo di denunciare le condotte dei loro sottoposti, anche se queste hanno rilevanza penale. L’opzione del silenzio, infine, permette oggi il solito scaricabarile. «Io non sapevo nulla di Trotta» ha spiegato il vescovo dell’epoca Domenico Cornacchia. Di certo c’è il dolore dei sopravvissuti, e il fatto che il nuovo prefetto voluto da Francesco forse avrebbe potuto salvare qualche bimbo, se solo avesse anteposto gli interessi dei più deboli a quelli della Chiesa.

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se non è un miracolo ci si avvicina …

“miracolo” nella chiesa Usa

il cardinale Tobin accoglie i cattolici Lgbt in cattedrale

articolo di Ludovica Eugenio pubblicato sul settimanale Adista Notizie n° 23 del 24 giugno 2017,  pp.12-13

È davvero un passo nuovo l’accoglienza che l’arcivescovo di Newark (New Jersey) card. Joseph Tobin, religioso redentorista, ha riservato, il 21 maggio scorso, ad alcuni gruppi di cattolici Lgbt di parrocchie del New Jersey nella cattedrale della città. Con un gesto assolutamente inedito per la Chiesa statunitense (basti ricordare i divieti opposti nel passato ai partecipanti della New York Parade a entrare nella cattedrale di St. Patrick), il cardinale ha infatti dato vita, insieme a un altro religioso redentorista, p. Francis Gargani, che si occupa di pastorale Lgbt nell’arcidiocesi, all’ultimo atto di una collaborazione attuata con un gruppo omosessuale parrocchiale. L’evento è consistito nella celebrazione di una messa, di una visita della cattedrale, e di una cena comunitaria, aperte a tutte le persone Lgbt che volessero parteciparvi.

«Sono contento che tu e i fratelli e sorelle Lgbtq abbiate in programma di visitare la nostra splendida cattedrale», aveva detto il vescovo a Gargani, aggiungendo: «Sarete i benvenuti! Il volantino è bello, fatelo circolare». Si trattava di un volantino nel quale, per la prima volta, l’acronimo Lgbt veniva utilizzato in relazione ad una istituzione cattolica del New Jersey, con la benedizione del cardinale. P. Gargani, in una recente intervista al settimanale National Catholic Reporter, ha spiegato  il senso dell’iniziativa: «Ho avuto il privilegio di collaborare, di recente, con un gruppo di spessore  che ha organizzato un giorno di preghiera e riflessione per la comunità Lgbt del New Jersey e lo ripeterà in occasione di un prossimo ritiro a giugno».
Il tono con il quale Tobin ha parlato al gruppo Lgbt, durante la messa – concelebrata anche dal vescovo ausiliare e rettore della cattedrale mons. Manuel Cruz – è stato molto caloroso: «Sono Joseph, vostro fratello. Sono vostro fratello, in quanto discepolo di Gesù. Sono vostro fratello, un peccatore che trova misericordia presso Dio». Ma i gesti contano più delle parole e il fatto che i fedeli omosessuali presenti, alcuni dei quali sposati, abbiano potuto fare la comunione al centro della cattedrale, non ha prezzo.

La percezione della novità

«È stato come un miracolo», ha detto un responsabile cattolico gay di New York, Ed Poliandro. «È stato un miracolo sentir dire dai vertici della Chiesa: “Siete benvenuti, appartenete alla Chiesa”. E dopo un lungo tempo di lotte, mi sono sentito a casa».  «Ci ha portato papa Francesco – ha commentato Thomas M. Smith, diacono della cattedrale di Newark. «Erano 25 anni che aspettavo. Sono un diacono e ho dovuto essere cauto, ho avuto paura».

Commenti positivi anche dal direttore esecutivo di New Ways Ministry, l’organizzazione che da decenni si occupa di cattolici Lgbt: «Negli ultimi 40 anni – ha detto, secondo quanto si legge sul sito dell’organismo  – i vertici della Chiesa sono semplicemente stati in silenzio, non disponibili al dialogo e a pregare con i cattolici Lgbt e questo, benché non sia un passo definitivo, è un primo passo. L’accoglienza di un gruppo di persone apertamente gay alla messa da parte di un’autorità della statura del card. Tobin in questo Paese sarebbe stata impensabile cinque anni fa. Ma Tobin, nominato da papa Francesco a Newark l’anno scorso, fa parte di un piccolo ma sempre più consistente gruppo di vescovi che sta cambiando il modo di relazionarsi della Chiesa statunitense con i fedeli omosessuali. Stanno cercando di essere più inclusivi e di indicare ai preti loro sottoposti di fare lo stesso».
Alcuni esempi:  il recente permesso accordato agli studenti trans-gender di frequentare scuole cattoliche nella diocesi di Jefferson City; un sinodo diocesano, indetto dal vescovo di San Diego mons. Robert McElroy, nel quale si è parlato di iniziative a favore dell’accoglienza di cattolici omosessuali; le affermazioni di mons. John Stowe di Lexington, Kentucky, a un convegno di New Ways Ministry, durante il quale ha detto di ammirare i cattolici omosessuali, bisessuali e transgender per la loro fedeltà alla Chiesa nonostante la sua freddezza.

Qualcosa si muove davvero nella Chiesa Usa

Tobin, peraltro, è stato tra i primi a esprimere elogi ad un recente libro, molto avanzato, sull’accoglienza delle persone Lgbt nella Chiesa del noto gesuita p. James Martin, columnist del settimanale dei gesuiti America, dal titolo “Building a Bridge: How the Catholic Church and the LGBT Community Can Enter into a Relationship of Respect, Compassion, and Sensitivity”.
«Il nuovo libro di p. Martin, coraggioso, profetico e ispirante, segna un passo essenziale nell’invitare i responsabili della Chiesa ad amministrare con maggiore compassione e nel ricordare ai cattolici Lgbt che fanno parte della nostra Chiesa come qualsiasi altro cattolico», era stato il suo commento. Tobin è stato anche tra i prelati a criticare pubblicamente i quattro cardinali che hanno espresso dubbi sull’ortodossia del documento post-sinodale di papa Francesco Amoris Laetitia, definendo la loro opposizione «nella migliore delle ipotesi naif».
Lanciando il libro, Martin ha spiegato, in un articolo pubblicato il 31 maggio scorso sul Washington Post, il perché della decisione di scrivere un libro su questo tema: «Nell’estate 2016, un uomo armato ha fatto irruzione in un night club popolare nella comunità gay di Orlando e ha ucciso 49 persone, la più grave sparatoria della storia degli Stati Uniti», esordisce. «Milioni di persone nel Paese hanno manifestato il loro dolore e supporto alla comunità Lgbt. Ma mi sono inquietato per ciò che non ho sentito. Anche se molti rappresentanti della Chiesa hanno espresso il loro cordoglio e orrore, solo una manciata dei più di 250 vescovi cattolici hanno usato il termine gay o Lgbt»: il card. Blase Cupich di Chicago;  mons. Robert Lynch di St. Petersburg, Florida;  mons. David Zubik di Pittsburgh, oltre a McElroy e John Stowe. «Molti altri, poi, sono rimasti in silenzio», commenta Martin, spiegando come tutto ciò sia stata una rivelazione: «Il fatto che soltanto pochi vescovi abbiano riconosciuto la comunità Lgbt o abbiano usato il termine “gay” mostrava che la comunità Lgbt è ancora invisibile in molti settori della Chiesa. Persino nella tragedia». Di qui la sua conclusione, che è stato il punto di partenza per la scrittura del libro: «il lavoro del Vangelo non può essere compiuto se una parte della Chiesa è sostanzialmente separata dal resto. Tra i due gruppi, la comunità Lgbt e la Chiesa istituzionale, si è formata una frattura, una separazione, per superare la quale va costruito un ponte».
Ad aiutare Martin sono stati la sua lunga esperienza pastorale anche con cattolici Lgbt e i suoi contatti con i vertici della Chiesa. Il suo operato è stato riconosciuto da New Ways Ministry, che l’anno scorso gli ha tributato il “Bridge Building Award»: «Il nome di questo premio mi ha ispirato nell’abbozzare l’idea di un “ponte a due sensi” che potesse unire la Chiesa istituzionale e la comunità Lgbt». «In questi tempi – conclude – la Chiesa deve essere segno di unità. Anzi, in ogni tempo. Eppure per molti la chiesa contribuisce alla divisione, nel momento in cui alcuni responsabili mettono dei paletti tra un “noi” e un “loro”. Ma la Chiesa lavora al suo meglio quando incarna rispetto, compassione e sensibilità. Perché in definitiva, per Gesù non c’è un “noi” e un “loro”. Per Gesù c’è solo un “noi”».

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