così cominciò il primo preteoperaio a Viareggio

il salto del muro

don Sirio Politi, preteoperaio a Viareggio

Armando Sestani 

luglio 1961: in una luccicante estate versiliese in pieno boom economico, un prete fuori dagli schemi decide di compiere un clamoroso gesto di solidarietà verso i lavoratori in sciopero di uno stabilimento della Darsena viareggina

Il vecchio muro della F.E.R.V.E.T. di Viareggio, che nel luglio 1961 don Sirio Politi, contravvenendo agli espliciti divieti aziendali in merito, osò scavalcare per andare a celebrare messa con gli operai in sciopero. Ai giorni nostri, il complesso ospita un cantiere navale.

Il vecchio muro della F.E.R.V.E.T. di Viareggio, che nel luglio 1961 don Sirio Politi osò scavalcare per andare a celebrare messa con gli operai in sciopero.

“Hanno affittato anche le barche”. Con questa constatazione inizia un articolo dello scrittore viareggino Silvio Micheli, pubblicato sulle pagine del quotidiano comunista l’Unità all’indomani del ferragosto del 1961. Viareggio è in quegli anni una delle mete preferite del neonato turismo di massa, frutto di una crescita economica che proprio in quell’anno raggiunge il suo apice, con un aumento del PIL dell’8,3%. Sono gli anni del cosiddetto “miracolo italiano”, quando la lira conquista nel 1960 il riconoscimento di moneta più salda fra quelle del mondo occidentale. Milioni di italiani possono permettersi l’acquisto del televisore e del frigorifero: tuttavia, diventa l’automobile il sogno di molti. La FIAT, che nel 1955 mette in produzione la 600, presenta due anni dopo la 500, al costo di 490.000 lire, pari a tredici stipendi di un operaio: nonostante il prezzo sia elevato, inizia proprio in quegli anni la motorizzazione di massa degli italiani. L’utilitaria, spesso acquistata dopo la firma di numerose cambiali, permette di raggiungere, soprattutto in estate, le località balneari. “Tutta Viareggio” scrive Micheli “ha dovuto far posto ai ferragostini, una volta completati alberghi e pensioni. Ma i ferragostini continuavano ad arrivare rigati di sudore dalle città e dalle campagne cotte dal sole”.

un’immagine del Lungomare viareggino in pieno boom economico: sullo sfondo, i cantieri della Darsena

 

Ma se esiste una Viareggio che fa del turismo, di élite e di massa, la sua risorsa principale e cerca di sistemare i villeggianti come può, c’è un’altra Viareggio che vive una situazione ben diversa. Da quando inizia la costruzione del porto-canale nel 1819, la città versiliese si sviluppa nei decenni successivi prendendo due direzioni: da una parte, la città turistica e commerciale con i suoi alberghi e i ritrovi per gli artisti, dall’altra, la Darsena con i cantieri navali, regno dei maestri d’ascia e calafati prima e della carpenteria metallica poi. A dividere queste due realtà, il porto-canale.

Tuttavia, nella Darsena viareggina non si costruiscono solo navi di ogni genere. In quella parte della città è situata anche una delle fabbriche più importanti: la F.E.R.V.E.T., acronimo che significa Fabbricazione E Riparazione Vagoni E Tramway, con sede principale a Bergamo e succursali in altre città. Le cronache e le testimonianze dell’epoca ci raccontano di un lavoro particolarmente duro, svolto in un ambiente malsano e con attrezzi inadeguati per il tipo di produzione richiesto. Per questo motivo gli operai, all’epoca circa 270, sono tra i più combattivi e politicizzati della città. Quando nel 1955 la FIOM subisce una pesante sconfitta nelle elezioni della commissione interna alla FIAT, passando dal 65% al 36%, nello stesso anno alla F.E.R.V.E.T. la FIOM aumenta i consensi, raggiungendo il 73% dei voti operai. Per tutti gli anni ’50 la conflittualità operaia si manifesta con scioperi e occupazioni dello stabilimento, come in quella estate del 1961. Dalla metà del mese di luglio, gli operai occupano lo stabilimento, contro la smobilitazione paventata dall’azienda, trascinando i lavoratori viareggini in più scioperi di solidarietà. Tuttavia, quella lotta passerà alla storia cittadina per un gesto di solidarietà e di disobbedienza di un prete, anzi di un preteoperaio.

Nativo di Capezzano Pianore (Camaiore, Lu), don Sirio Politi (1920-1988), assieme al fiorentino don Bruno Borghi (1922-2006), fu il primo preteoperaio italiano.

Dall’estate del 1956 don Sirio Politi, nato nel 1920 e fino all’anno prima parroco di Bargecchia, una piccola frazione collinare del comune di Massarosa, si è stabilito nella Darsena, in un piccolo edificio trasformato in una chiesina che si affaccia sul Canale Burlamacca, e lavora come scaricatore di porto. Fino al 1959 ha lavorato in un cantiere navale, poi si è dovuto licenziare: le autorità ecclesiastiche romane hanno infatti posto fine all’esperienza dei pretioperai, nata in Francia nei primi anni ’40. Insieme a don Bruno Borghi di Firenze, Politi è il primo preteoperaio italiano.

Don Sirio chiede più volte alla direzione di poter effettuare la messa all’interno della fabbrica occupata, ma il permesso viene ripetutamente negato. Finché una domenica, dopo l’ennesimo rifiuto, prende una valigia e la riempie con gli arredi sacri. Porta con sé anche una scala, per permettergli di scavalcare il muro di cinta della fabbrica, e, con l’aiuto degli operai, riesce ad entrare. “Ho scavalcato questo abisso di divisione”, scriverà don Sirio, “e mi sono sentito come in terra libera, fra uomini liberi”. Gli operai gli fanno visitare la fabbrica: “Una attrezzatura primitiva, un macchinario antiquato di quarant’anni fa, un’organizzazione di lavoro assurda e un disordine inconcepibile”. Intanto viene preparato l’altare “con attrezzi di lavoro e lamiere”. Ricordando quella esperienza, scrive don Sirio: “Può darsi che molti non siano credenti. Forse alcuni hanno voluto questa Messa per interesse di pubblicità: ma a me non importava nulla dei motivi e delle intenzioni – e nel caso ero felice che almeno quella Messa servisse a dei poveri, a degli operai… l’importante era che Dio fosse lì tra i poveri, che Gesù Cristo consumasse lì, fra gli operai, il Suo Sacrificio di Redenzione… a dare senso, significato, valore infinito ed eterno a questa povera vicenda umana, a queste situazioni di ingiustizia, a questa sofferenza per i diritti fondamentali alla vita”.

Darsena viareggina: la “Chiesina del Porto” (o “Chiesina dei Pescatori”) subito dopo la ristrutturazione del 1962, voluta e realizzata dallo stesso don Politi, che, poeta, uomo di lotta e di pace, era pure un abile artigiano.

La F.E.R.V.E.T. continuerà ancora per un trentennio l’attività, fino ad una ennesima occupazione e alla definitiva chiusura nel 1991. Don Sirio Politi proseguirà nel suo cammino, svolgendo l’attività di fabbro e continuando nelle battaglie nonviolente a difesa degli obiettori di coscienza, per la pace e contro l’opzione nucleare, attraverso una feconda attività editoriale. 

 

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anche per l’islam l’essenza di Dio è perdono e misericordia – un altro modo di guardare all’islam

perché l’essenza di Allah è nel perdono

di Pietro Citati
in “la Repubblica” del 10 luglio 2017

 

In nessuna religione, mai, l’unicità di Dio ha avuto un ruolo così intenso, violento ed esasperato come nell’Islam. “Non vi è divinità all’infuori di Dio”: vale a dire; “non vi è nulla che esiste all’infuori di Dio”. Come dice al-Ghazali (1058-1110), all’inizio del “Rinnovamento delle scienze religiose” (“Scritti scelti”, a cura di Laura Veccia Vaglieri e Roberto Rubinacci, Utet),

“nella sua essenza egli è Uno senza socio, Singolo senza simile, Signore senza oppositore, Solo senza rivali, Eterno senza un prima, Perpetuo senza un principio, Perenne senza un ultimo, Sempiterno senza fine, Sussistente senza cessazione, Continuo senza interruzione”. Allah è “il Primo e l’Ultimo, il Manifesto e l’Occulto”, dice il Corano. Non è un corpo con una forma, né una sostanza con limite e misura. Non è simile a cosa alcuna: misure non lo limitano, né lo contengono spazi. Egli è: non lo circoscrivono lati: non lo racchiudono terre né cieli; è seduto sul Trono senza contatto, assestamento, insediamento, dimora, spostamento. Egli non abita in cosa alcuna, né alcuna cosa abita in lui: è troppo elevato perché lo possano contenere luoghi, troppo puro perché lo possano limitare tempi; anzi Egli era prima di creare tempi e luoghi. Egli è l’Unico che non ha contrari, il Signore che non ha opposti, il Ricco che non ha bisogno, il Potente che fa ciò che vuole, il Sussistente, il Dominatore delle cose inerti, degli animali e delle piante, Colui che ha la grazia, la maestà, lo splendore e la perfezione. Se un uomo è rinchiuso nell’inferno, basta che egli conosca l’unicità di Dio perché lasci l’inferno. Come disse Maometto: “Chiunque dice: ‘non vi è Iddio se non Iddio, entrerà in Paradiso’”.

Nel suo bel libro L’esoterismo islamico (Adelphi), Alberto Ventura esplora Allah, senza cessare di paragonarlo alle figure divine nella Qabbalah, nel Tao, nella cultura indiana e in pseudo-Dionigi l’Areopagita.

Non possiamo che implorare Allah:

“O Dio, dice al-Ghazali, ti chiedo una grazia totale, una protezione continua, una misericordia completa, un’esistenza felice: ti chiedo beneficio perfetto e favore completo, generosità dolcissima, bontà affabile. O Dio sii con noi e non contro di noi. Attua largamente le nostre speranze, congiungi i nostri mattini e le nostre sere, versa in gran copia il tuo perdono sulle nostre colpe, accordaci il favore di correggere i nostri difetti, o Potente, o Perdonatore, o Generoso, o Sapiente, o Onnipotente. O Primo dei primi, o Ultimo degli ultimi, o più Misericordioso della misericordia”.

Al-Ghazali insegue tutti gli aspetti di Dio. Allah è oltre ogni nome e attributo, oltre ogni condizione e relazione, oltre tutte le apparenze e gli occultamenti, oltre ogni palesarsi e nascondersi, oltre ogni congiungimento e separazione, oltre tutte le contemplazioni e le intuizioni, oltre ogni cosa pensata e immaginata. Egli è oltre l’oltre, e poi oltre l’oltre, e poi ancora oltre l’oltre. Egli è il Principio infinito, incondizionato e immortale, che non può venire racchiuso entro i confini della ragione umana. È l’essere e il non-essere, il manifestato e il non manifestato, il suono e il silenzio. La sua immagine più adeguata è una notte tenebrosissima, nella quale non si può scorgere nulla di determinato e preciso. Allah non somiglia a niente: nessuna cosa gli somiglia; la sua mano non somiglia alle altre mani, né la sua penna alle altre penne, né la sua parola alle altre parole, né la sua scrittura alle altre scritture. Eppure somiglia al mondo e all’uomo e il mondo e l’uomo gli assomigliano: “se non ci fossero le somiglianze, l’uomo non potrebbe elevarsi dalla conoscenza di sé stesso alla conoscenza del creatore”. Allah determina tutte le cose. Non avviene, nel mondo inferiore e in quello superiore, batter di ciglio, balenar di pensiero, subitaneo volgere di sguardo, se non per decreto, potere e volontà di Dio. Da lui proviene il male e il bene, l’utilità e il danno, l’Islam e la miscredenza, la conoscenza e la sconoscenza, il successo e la perdita, il vero e il falso, l’obbedienza e la disobbedienza, il politeismo e la fede. Anche il male – insiste al-Ghazali – e gli atti di ribellione umana non accadono per volontà di Satana ma di Dio. A volte egli proibisce ciò che vuole, e ordina ciò che non vuole. Non ha scopi, mentre gli uomini hanno scopi precisi. Desidera ciò che desidera senza alcun timore; e decide e fa quello che vuole, senza timore. Se ti fa perire, egli ha già fatto perire un numero infinito di tuoi simili e non ha smesso di tormentarli. “Sorveglia i tuoi respiri e i tuoi sguardi – dice al-Ghazali – e sta bene attento a non distrarti da Dio un solo istante”. A volte egli ci protegge da ogni tribolazione e malattia: ma egli non ha mai, in nessun momento, obblighi verso di noi o verso il mondo, di cui non ha assolutamente bisogno. Come diceva Ali Bakr, la nostra assoluta incapacità di comprendere Dio è il nostro modo supremo di comprenderlo: sapere che noi siamo esclusi da lui è la nostra vera vicinanza. “Lode a colui che ha stabilito per le creature una via alla sua comprensione attraverso l’incapacità di comprenderlo”. Quando Dio entra nel cuore umano, la luce vi risplende, il petto si allarga, scopriamo il mistero del mondo, la grazia della misericordia cancella il velo dell’errore, e brilla in noi la realtà delle cose divine. Il cuore ripete il nome di Dio, fino a quando la lingua lo pronuncia incessantemente, senza essere comandata. Da principio è un rapido baleno che non permane, poi ritorna, si ritira, passa, ritorna. Tuttavia nemmeno in questo istante esiste in al-Ghazali quella identificazione con Dio, che altri mistici islamici (come al-Hal- laj) esperimentano e di cui parlano inebriati. Al-Ghazali preferisce parlare di annientamento dell’uomo: anzi di annientamento dell’annientamento, “perché il fedele si è annientato rispetto a sé stesso, e si è annientato rispetto al proprio annientamento: in quello stato egli è incosciente di sé stesso e incosciente della propria incoscienza”. Rispetto al Principio supremo, ogni elemento della realtà, se viene considerato in sé e per sé, è quasi insignificante, quasi illusorio, quasi un puro nulla. Ma al tempo stesso esso è significante perché è capace di riflettere l’Assoluto increato. Allora il molteplice manifesta l’essenza, e il passaggio dal molteplice all’uno e dall’uno al molteplice è istantaneo. Così il mare, dice Ibn Arabi, si moltiplica nella forma delle onde, pur rimanendo sé stesso. Dio è altro rispetto alle cose: ma non così altro da escludere ogni somiglianza; dunque è insieme altro e simile. Se qualcuno dicesse: “non conosco che Dio eccelso” direbbe la verità; ma se dicesse “non conosco Dio eccelso”, direbbe ugualmente il vero. Questa – sottolinea Alberto Ventura – è la profonda doppiezza, ambiguità e ricchezza della vita e della cultura islamica. Quando l’intelletto umano è libero dagli inganni della fantasia e dell’immaginazione, esso può vedere le cose come sono. È quella che al-Ghazali chiama la condizione profetica: nella quale rifulgono le tavole dell’invisibile, le leggi dell’Altra vita, le conoscenze su Dio che vanno oltre la portata dello spirito intellettivo. Dio dunque si può vedere. Ci sono persone che vedono le cose tramite lui, e altre che vedono le cose e tramite le cose vedono lui. I primi hanno una visione diretta di Dio: i secondi lo deducono dalle sue opere; i primi appartengono alla categoria dei giusti, i secondi a quella dei sapienti. Talvolta Dio si manifesta così intensamente e in modo così esorbitante, che viene occultato. Come dice il Corano, Dio è nascosto dietro settanta (o settecento o settemila) veli di luce e di tenebra: se egli li rimuovesse, il suo sublime splendore brucerebbe chiunque sia giunto vicino a lui con lo sguardo. Dio si nasconde dietro sé stesso. La sua luce è il suo velo. Secondo una tradizione raccontata dal Al-Ghazali, Dio ha detto: “Se il mio servo commette un peccato grande come la terra, io lo accolgo con un perdono grande come la terra”. Quando l’uomo pecca, l’angelo tiene sollevata la penna per sei ore: se l’uomo si pente e chiede perdono, l’angelo non registra il peccato a suo carico; se continua a peccare, registra il suo peccato soltanto come una cattiva azione. Dio non si stanca di perdonare finché il suo servo non si stanca di chieder perdono. Se il fedele si propone una buona azione, l’angelo la segna prima che egli l’abbia compiuta e, se la compie, gliene vengono registrate dieci. Quindi Dio la moltiplica fino a settecento volte. Allah perdona soprattutto i grandi peccatori. Come dice Maometto: “Io ho la facoltà di intercedere per i grandi peccatori. Credi forse che userei questa facoltà per gli uomini obbedienti e timorati? No, essa riguarda soltanto gli insozzati dalla mente confusa”. Ibrahim, figlio di un emiro della Battriana, racconta: “Mentre una volta giravo intorno alla Ka’ba, in una notte piovigginosa e scura, mi fermai presso la porta e dissi: ‘mio Signore preservami dal peccato, affinché mai io mi ribelli a Te’. Una voce proveniente dalla Ka’ba mi sussurrò: ‘O Ibrahim mi chiedi di preservarti dal peccato e tutti i miei servi mi chiedono questo. Se io preservassi te e loro dal peccato, su cosa riverserei la mia grazia e chi perdonerei?’”.

Il perdono di Dio: sia per gli islamici sia per i cristiani, questa è
l’essenza della rivelazione di Allah.

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