l’eredità spirituale lasciataci da p. Orternsio da Spinetoli

 

Oltre l'“inutile fardello” di dogmi e di miti. Lo straordinario insegnamento di Ortensio da Spinetoli

oltre l’“inutile fardello” di dogmi e di miti

lo straordinario insegnamento di Ortensio da Spinetoli

da: Adista Documenti n° 28 del 29/07/2017

Un’occasione da non perdere per rivisitare l’appassionata ricerca del frate cappuccino e biblista di fama internazionale Ortensio da Spinetoli, scomparso il 31 marzo 2015: è questo che offre il suo scritto, pubblicato postumo, dal titolo L’inutile fardello. L’insegnamento di uno straordinario teologo controcorrente (Chiarelettere, Milano, 217, pp. 85, euro 10), «una sorta di manifesto per il rinnovamento esegetico e teologico della Chiesa» in cui, come scrive nella Prefazione Alberto Maggi, biblista dell’Ordine dei Servi di Maria, «è racchiuso tutto il ricco pensiero di padre Ortensio».

Un pensiero che, «come un bisturi doloroso ma vitale, costringe a ripensare importanti concetti teologici che sono ancora un tabù» per la maggioranza dei credenti, dal peccato originale all’eucarestia, dalla verginità di Maria alla «mistica del patire». E per il quale Ortensio ha pagato un prezzo molto alto – l’isolamento, il processo da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede (alla maniera «in uso nell’Unione Sovietica, cioè senza alcuna possibilità né di conoscere le accuse né tantomeno di difendersi»), l’allontanamento dall’insegnamento -, ma senza mai abbandonarsi a «recriminazioni rancorose», nella consapevolezza, sottolinea Maggi, «di dover tenere in conto la beatitudine della persecuzione». E, d’altro canto, senza neppure mai arrendersi, ma riprendendo anzi con rinnovata energia «le sue spietate lucide analisi della realtà di una Chiesa alla deriva», una Chiesa che egli voleva «più vicina al modello indicato da Gesù Cristo».

Se Ortensio, studioso «coltissimo e meticoloso» – come lo descrive nell’Introduzione Franco Cortinovis, diventato, in seguito a un folgorante incontro nel 2005, suo discepolo, amico e stretto collaboratore nella stesura dei testi, fino a ricevere da lui l’incarico testamentario di “erede letterario” – ha dedicato gran parte della sua vita e della sua ricerca allo studio del Gesù storico, completamente oscurato dal Cristo della fede, questo libro postumo offre con forza, nuovamente, l’immagine di un Cristo divino perché profondamente umano, «demitizzando idee radicatissime» come quelle relative alla dottrina del peccato originale, sconosciuta ai profeti e «di cui Gesù stesso – scrive Ortensio – non ha fatto parola»,  o all’interpretazione sacrificale della morte di croce, che rende Gesù «la “vittima” di espiazione dei peccati dell’umanità che Dio non ha mai chiesto né aspetta», o alla trasformazione della Chiesa in un’istituzione gerarchico-monarchica, in un totale stravolgimento della proposta del suo fondatore.

Un testo inedito, quello appena pubblicato, che, come spiega Cortinovis, nasce dallo sviluppo di una lettera personale scritta nel 2014, un anno prima della sua morte, a un giovane confratello che aveva espresso interesse per i temi a lui cari e a cui Ortensio, abituato al trattamento tutt’altro che positivo che gli era spesso riservato da vari appartenenti al suo ordine, aveva fatto dono di una delle sue opere, l’Itinerario spirituale di Cristo. Accompagnando il dono con una lettera, Ortensio aveva voluto così offrire al suo confratello un’introduzione e una chiave di lettura per aiutarlo a entrare nel tema del libro, ma fornendo in tal modo, sottolinea Cortinovis, «una potente sintesi del suo pensiero», una «testimonianza troppo preziosa per non condividerla con i suoi lettori, presenti e futuri».

E se, come prevede Maggi, anche questo libro, come tutti quelli di padre Ortensio, «susciterà scandalo, scalpore, sarà fonte di polemiche e censure», aggiungendosi «ai tanti testi vivamente sconsigliati da chi ha paura di tutto quel che è nuovo e che può turbare le sicurezze che l’immutabile dottrina della chiesa offre», ci pensa Ortensio stesso a rassicurare il suo giovane confratello: «Le mie indicazioni – scrive – possono apparire troppo innovative, ma rispetto al progresso che ha fatto, sta facendo in questi ultimi anni e farà presto la scienza biblico-teologica, i competenti e gli informati non possono che definirle “conservatrici” (v. Hans Küng, Eugen Drewermann, Matthew Fox, John Dominic Crossan, John Shelby Spong, Roger Lenaers, José Arregui, da noi Augusto Cavadi, Vito Mancuso, Felice Scalia, per far solo qualche nome; tutta gente che purtroppo la gerarchia ignora quando non condanna ma che ormai fanno scuola dentro e fuori l’istituzione)». E agginge: «L’esortazione che facevo agli alunni al termine di “certe” lezioni e che ho continuato a ripetere al pubblico dopo le mie conferenze, è sempre stata la stessa: “Non si pensi che siano queste le ultime o le definitive risposte. Le più giuste, senz’altro migliori, sono quelle che devono venire. Sappiamo cercare e aspettare fiduciosi”». Perché, conclude, non ci sono dubbi sul fatto che «il relativismo, la precarietà, la provvisorietà non indicano indifferentismo religioso, nichilismo o ateismo, ma costituiscono l’unico atteggiamento spirituale e culturale legittimo in un mondo diventato pluridimensionale e multietnico, in cui la verità si è fatta più lontana perché la realtà si è fatta più vicina e si rivela agli scienziati, ai filosofi e quindi anche (e perché no?) ai teologi, più complessa e mobile (evolutiva) di quanto si fosse mai pensato fino a ora».

Di seguito ampi stralci del capitolo sull’eucarestia. 

 

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un bilancio positivo di quattro anni di pontificato di papa Francesco

dopo quattro anni e mezzo Francesco sta cambiando chiesa e mondo

di Filippo Trippanera
in “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri” – www.chiesadituttichiesadeipoveri.it – del 22 luglio 2017

Dopo circa quattro anni e mezzo di pontificato (il tempo che fu sufficiente a Giovanni XXIII per “terremotare” la Chiesa), penso che si possa abbozzare un primo tentativo di bilancio del pontificato di Francesco. Complessivamente, mi pare di poter dire che siamo in presenza di un Magistero forte, convinto, deciso e penetrante; un Magistero pastorale, ma anche pieno di dottrina ed incisivo nella Chiesa e nel mondo, ben al di là dei rilievi – per così dire – di “audience” e di “share”.

Le opposizioni e le critiche che emergono – soprattutto all’interno della Chiesa, dei vescovi e dei cardinali di Curia – non scalfiscono minimamente e non fanno oscillare il timone della barca di Pietro. Sono posizioni prevalentemente autoreferenziali, senza fondamenti – a me pare – teologici o dottrinali, pastorali o biblici o di tradizione cattolica. Tutte queste opposizioni – o “dubia” – prescindono del tutto dal Concilio Vaticano Secondo e dai grandi Magisteri di san Giovanni XXIII e del beato Paolo VI. Chiusa la parentesi apertasi con la tragica morte di Giovanni Paolo I e definita con le – in qualche modo – profetiche dimissioni di Benedetto XVI, è ripreso il cammino conciliare e possiamo ben dire che il 13 marzo 2013 equivale al 9 dicembre 1965. E, se erano già fuori del tempo le posizioni di Ottaviani, Siri e di buona parte della Curia pacelliana, ancor di più lo sono quelle degli oppositori di Francesco. La debolezza di queste opposizioni si ricava anche dai modi con cui vengono espresse, da far pensare che dietro ci sia un disegno più politico e di immagine che pastorale e di fede. Molto significativo è il modo con cui sono state lasciate filtrare alcune esternazioni del papa emerito, soprattutto in merito al ricordo del cardinale Meisner, di recente scomparso; esternazioni interpretate come un contrasto con il pontificato di Francesco, in plateale difformità dal silenzio assoluto e dalla preghiera, cui aveva dichiarato di uniformarsi il papa emerito. Non ho motivo di mettere in dubbio la correttezza e la lealtà di Benedetto XVI, il quale credo abbia voluto affermare principi autentici senza minimamente pensare di porre in discussione il magistero del suo successore. Il problema è di chi ha fatto filtrare questa notizia come se fosse una critica a Francesco. La stessa presenza costante di mons. George Gershwin – prefetto della Casa pontificia – in quasi tutte le apparizioni pubbliche di Francesco, che, a mio avviso, è stato un atto di delicatezza del nuovo papa verso il suo predecessore, può venire interpretata come un controllo, una sentinella, una interferenza pesante; ma non credo che ciò sia. Quanto, poi, ai vari Socci, Negri, Burcke, Caffarra e sodali, penso che lascino il tempo che trovano. Altre opposizioni e critiche sembrano – talora – emergere da altro versante dell’opinione pubblica della Chiesa o dal suo interno e riguardano una pretesa timidezza, indecisione o mancanza di coraggio e/o credibilità del papa verso problemi molto importanti, come il ruolo della donna, il suo sacerdozio, la gestione delle finanze della Santa Sede nonché l’atteggiamento sulla pedofilia e sul gender. Questo tipo di posizioni mi sembrano anch’esse autoreferenziali e dettate più da esigenze di immagine che di sostanza. Io penso che papa Francesco, invece, pur con i suoi modi e, forse, con i suoi limiti ovvii, sia pienamente nel solco profondo della Chiesa e del Concilio Vaticano Secondo, e sta operando un reale cambiamento in profondità, non solo della Chiesa, ma anche del mondo. Questa mia opinione si fonda su dati del tutto oggettivi, ormai storici. Innanzi tutto, il linguaggio che egli usa: dal “buonasera” del 13 marzo 2013, ai ripetuti e costanti “buon giorno, arrivederci, buon pranzo, buona notte” premessi alle sue allocuzioni invece delle formule classiche “Sia lodato Gesù Cristo; pace e bene; cari figlioli (terminologia usata da Giovanni XXIII); e simili … “; un linguaggio asciutto, essenziale, come il “ Cari fratelli e sorelle “, come la menzione frequente di “fratelli cardinali; fratelli patriarchi, pope, papi, vescovi (di altre Chiese cristiane)”. Un linguaggio che non lascia spazio ad interpretazioni e che incarna la Chiesa in mezzo agli uomini. Questo tipo di linguaggio, si trasforma in comportamenti specifici ed estremamente significativi, ben al di là dell’aneddotica … Ma il fatto emblematico di questo pontificato è la canonizzazione del beato Giovanni XXIII, senza miracoli, in contestualità con il “santo post-subito” di Giovanni Paolo II; canonizzazione preceduta dall’elevazione alla porpora di mons. Loris Capovilla, quasi centenario, e incentrata in quella straordinaria definizione di papa Giovanni come “guida guidata”. Giovanni XXIII era stato proclamato beato con tanto di miracolo nell’anno 2000, in contestualità con il papa Pio IX. Un’accoppiata di beati che fece molto discutere per l’avvicinamento del papa del Concilio Vaticano Secondo al papa del Sillabo e del Vaticano primo. Apparve a molti la relegazione di Giovanni XXIII ad una sorta di eccezione ad una regola ben incarnata da Pio IX. Alla canonizzazione il discorso si capovolge e, nella sostanza, si delinea la straordinaria figura di papa Giovanni come maestro di generazioni e tale da costituire la regola evangelica, che dà dignità ad eccezioni come Pio IX e Giovanni Paolo II, la cui santità miracolosa attinge e trova fondamento nella santità senza miracoli di Giovanni XXIII. Lo spessore e la portata di questo fatto, eminentemente teologici, dottrinali, pastorali, conciliari ed evangelici, sono qualificanti e profondi, e trovano puntuale conferma in altre costanti del pontificato di Francesco, ben al di là delle piccolezze, con cui si vorrebbe limitarlo e metterlo in difficoltà. In tal senso, estremamente significative sono la beatificazioni di papa Paolo VI e di Oscar Arnulfo Romero, come prodotto di una linea pastorale e teologica incentrata sulle continue e costanti citazioni (nei documenti e nei discorsi), su ogni argomento, del papa Paolo VI (il più citato da Francesco), per un verso; e nei continui e costanti riferimenti alla teologia della liberazione, massacrata dai due suoi predecessori, dall’altro. In questa linea vanno colti anche i continui, costanti ed argomentati riferimenti e citazioni anonime del Patto delle Catacombe, della Chiesa dei poveri, di Giorgio La Pira, di don Lorenzo Milani, di don Tonino Bello, di Ernesto Balducci, di Davide Turoldo e di don Mazzolari; personaggi che evidentemente Francesco conosce bene e profondamente fino a farli propri, tanto da citarli – spesso alla lettera – senza farne menzione. Sotto questo profilo, resta impressionante l’omelia pronunciata sulla piazza di L’Avana, accanto alla gigantografia del Che Guevara, tutta incentrata su un concetto chiave contenuto in “Lettera a una professoressa”: “fai strada ai poveri senza farti strada”, che il papa ha tradotto: “servire i poveri senza servirsene”, e conclusa con le testuali parole di don Tonino Bello: “chi non vive per servire non serve per vivere”. E sempre in questa linea vanno letti tutti i suoi documenti: dalla “Evangelii Gaudium” alla “Laudato sì”, e tutti gli atti canonici da lui emessi, nonché i provvedimenti assunti, ad iniziare dalla nomina dei vescovi (basti pensare, qui in Italia, a Galantino, a Bassetti, a Montenegro, a Zuppi, a Lorefice, ed ora a De Donatis ed a Delpini ed ai nuovi vescovi di Ferrara, Brescia ed Ancona), dei cardinali, alla continua internazionalizzazione del Sacro Collegio. Tutto un magistero che incide profondamente nella vita della Chiesa e del Popolo di Dio, e che mette costantemente ai margini gli oppositori ed i critici. In sostanza, possiamo concludere nel senso che Francesco continui in questa sua linea, che sta cambiando profondamente la Chiesa, dai vertici fino alle periferie, ed impegnarci – come sempre ci chiede e, in particolare, chiese a Barbiana – a pregare per lui “perché possa trarre ispirazione da questo bravo prete … Per portare avanti la sua fiaccola”.

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