il commento al vangelo della domenica

di fuoco o di cenere?

 il commento di E. Ronchi al vangelo della ventiseiesima domenica del tempo ordinario

In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi. Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue».

Mc 9,38-43.45.47-48

 

La vera distinzione non è tra chi va in chiesa e chi no, ma tra chi si ferma presso l’uomo bastonato e versa olio e vino, e chi invece tira dritto.

Maestro, quello là non è dei nostri!

Quel forestiero che fa miracoli ma che non è nel gruppo, che trasmette vita senza mandato ufficiale, dev’essere bloccato.

“Non ti è lecito guarire gente se non sei dei nostri!

Non puoi migliorare il mondo se non sei del nostro partito!”

La tessera prima del bene, la tristezza dell’ideologia prima della realtà.

La risposta di Gesù è molto articolata e molto “alla Mosè” della prima lettura: Lascialo fare! Magari fossero tutti profeti del Regno!

Chiunque fa del bene è dei nostri, chiunque regala un sorso di vita è di Dio. Tutti sono dei nostri e noi siamo di tutti.

Questo ci pone tutti serenamente sullo stesso piano con tanti diversamente credenti o anche non credenti, ma che lottano contro i démoni moderni di inquinamento, violenza, fake news, corruzione, economia che uccide.

Si può essere uomini secondo il cuore di Dio senza essere uomini di Chiesa, perché il Regno la scavalca e va oltre, molto oltre tutte le Chiese.

In un contesto come la provincia italiana, dove quasi tutto è ancora cattolico: segni, simboli, linguaggi, cerimonie, il rischio che corriamo è di essere cattolici senza essere cristiani, cioè di essere senza Gesù.

Cattolici non cristiani siamo noi quando obbediamo alle regoline ma non all’amore, quando esigiamo misericordia e poi non perdoniamo, quando andiamo a messa e non spezziamo il pane con i poveri. Non c’è più il fuoco, c’è solo tiepida cenere che si va spegnendo.

La vera distinzione non è tra chi va in chiesa e chi no, ma tra chi si ferma presso l’uomo bastonato e versa olio e vino, e chi invece tira dritto.

Chiunque avrà dato un bicchiere d’acqua.

Tutto il vangelo in un bicchiere d’acqua. Di fronte all’invasione del male, all’eccedenza del male cronaca, Gesù ci conforta: al male contrapponi il tuo bicchiere d’acqua.

Conclude il Vangelo: Se il tuo occhio, la tua mano, il tuo piede ti sono di scandalo, tagliali… Ma la mano non può scandalizzare, è simbolo dell’uomo che opera. Tu operi per la vita o per la morte? Allora taglia ciò che in te opera per la morte.

Il piede: Tu, uomo, per chi stai camminando?

Se il tuo occhio.. L’occhio porta con sé il cuore. E dove ti porta il cuore? Cavalo, gettalo via! Guarda altrimenti, con occhi nuovi, per non fallire la vita.

La geenna di cui parla Gesù era un burrone a sud del tempio, fatto discarica, dove il fuoco ardeva costante innalzando un fumo maleodorante.

Dice Gesù: non fare immondizia della tua vita; guarda che se dai scandalo a un piccolo, sei come la spazzatura del mondo. Non buttarti via come un rifiuto, come uno scarto. Immagini durissime…

Se il tuo occhio, se la tua mano ti scandalizzano, tagliali… metafore inquietanti per riproporre un sogno, quello di mani che sanno solo donare

e di piedi che vanno incontro,

un mondo dove gli occhi sono più luminosi del giorno,

dove tutti sono dei nostri, tutti amici della vita

e quindi tutti profeti, secondo il cuore di Dio.

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a proposito delle ‘apparizioni ‘ e dei ‘messaggi’ di Medjugorje

Lourdes, Fatima e Medjugorje: un cambio di paradigma teologico?

 dalle Dichiarazioni su Lourdes e Fatima a quelle su Medjugorje: sembra sia cambiato l’approccio e si sia più attenti a quello che di buono (o di cattivo) c’è nelle prassi religiose. Non più veggenti da seguire ma esperienze religiose da supportare (e su cui vigilare). E non attesa di sangue sciolto ma attenzione al sangue versato

di Umberto Rosario Del Giudice

oltre quarant’anni per una ‘Nota’

Con la Nota[1] di oggi, 19 settembre 2024, la Chiesa si è pronunciata sugli accadimenti di Medjugorje.

Il tono risulta subito diverso rispetto a DiscorsiDichiarazioniEnciclicheNote (a firma dei pontefici o delle Congregazioni varie) che hanno riguardato i fatti che coinvolgevano la piccola Bernardette e i pastorelli di Fatima (si noti che non si fanno nomi di “veggenti” nella Nota odierna).

Ma ciò che appare non è solo una diversa valutazione.

A ben vedere anche i primi approcci (cauti) ai fatti di Lourdes o di Fatima furono quanto meno misurati cui seguirono dichiarazioni graduali. Tuttavia, i fatti, sebbene nella loro complessità, furono “riconosciuti” in breve. Ci vollero dodici anni per una prima dichiarazione per i fatti riferiti da Bernardette che permetteva l’afflusso di fedeli e la venerazione a Lourdes.

Fatima ebbe una rilevanza quasi immediata: a soli due anni dagli eventi dichiarati dai pastorelli il vescovo locale, col beneplacito della Santa Sede, dichiarava «degne di credenza, le visioni dei bambini pastori della Cova da Iria, avvenute nella parrocchia di Fátima, in questa diocesi, dal 13 maggio al 13 ottobre 1917».

Ma erano anche altri tempi e altri contesti. In Francia, al tempo dei fatti di Lourdes, l’imperatore Luigi Napoleone bloccava ogni accordo con la Chiesa oltre il concordato del 1801. In Portogallo i pastorelli furono incarcerati per due giorni per ordine dell’allora sindaco di Vila Nova.

Al di là del contesto storico, potremo dire che le dichiarazioni della Santa Sede sui fatti di Lourdes e Fatima furono tempestive e riguardavano “fatti ritenuti straordinari”.

Per i fatti di Medjugorje ci sono voluti oltre quarant’anni per la pubblicazione di una Nota che ha valorizzato più l’esperienza religiosa che i dati dei messaggi (presunti).

 

ìl cambio del paradigma al di là dei pronunciamenti

Sulle motivazioni che hanno portato a un non “riconoscimento” dei fatti “presunti soprannaturali” di Medjugorje bisognerà riflettere in altra sede.

Ciò che qui però interessa non è solo il “dato della non-ufficialità” ovvero del “non-riconoscimento”, ma il cambio sostanziale di approccio e rispetto delle esperienze e del loro uso.

Da una parte, Lourdes e Fatima si mostravano alla Chiesa come “apparizioni mariane” utile alla fede vissuta nell’epoca tra XIX e XX secolo per diversi aspetti (l’ateismo, lo scontro tra Stati, le minacce belliche, le Guerre…); dall’altra Medjugorje, sebbene i fatti risalgano ai tempi dei comunismi ideologici precedenti alla sanguinosa guerra di scissione –indipendenza– dei paesi baltici, rimane un “luogo di culto” come tanti, in cui è possibile una “esperienza di fede”.

Vale la pena riprendere quanto è stato scritto nella Presentazione in occasione della pubblicazione del “segreto di Fatima”.

La Congregazione per la Dottrina della Fede, a firma dell’allora Tarcisio Bertone segretario, nel 2000 dichiarava:

«Apparizioni e segni soprannaturali punteggiano la storia, entrano nel vivo delle vicende umane e accompagnano il cammino del mondo, sorprendendo credenti e non credenti. Queste manifestazioni, che non possono contraddire il contenuto della fede, devono convergere verso l’oggetto centrale dell’annuncio di Cristo: l’amore del Padre che suscita negli uomini la conversione e dona la grazia per abbandonarsi a Lui con devozione filiale. Tale è anche il messaggio di Fatima che, con l’accorato appello alla conversione e alla penitenza, sospinge in realtà al cuore del Vangelo»[2].

L’approccio della Nota odierna non tiene conto tanto del dato dottrinale, sebbene vi sia un’analisi dei “messaggi”, ma evidenzia il “fenomeno Medjugorje” in quanto centro di esperienza religiosa, di penitenza, di unione in Cristo. È stata rilevata una «la spiritualità medjugoriana nella vita quotidiana» (Nota, 5b).

Per delineare questa spiritualità, la Nota riprende il “titolo” della “Regina della Pace” e rimanda a quella “pace che sgorga dalla carità” e a Cristo, “Re della Pace” (ci si sarebbe aspettato qui un rimando alla “pace” come “salvezza”. Ma sebbene non sia esplicitato, il dato appare sottinteso).

La spiritualità medjugoriana poi è declinata attraverso alcune categorie espresse secondo alcune locuzioni: “soltanto Dio”, “incontrare Dio che è sempre presente nella vita di ogni giorno”. E si sottolinea al tempo stesso il cristocentrismo e il rimando all’azione dello Spirito Santo che chiama alla conversione e al ricorso alla preghiera e alla centralità della “Messa”, apice della preghiera dei fedeli raccolti in comunione fraterna. Una spiritualità che richiede e rimanda alla dimensione ecclesiale e alla “gioia e gratitudine”, alla “testimonianza dei fedeli”, all’attenzione alla “vita eterna”.

A partire da queste evidenze della vita “quotidiana” cristiana promossa dalla spiritualità medjugoriana la Nota evidenzia i rischi: «Alcuni pochi messaggi si allontanano da questi contenuti così positivi ed edificanti e sembra persino che arrivino a contraddirli. È conveniente stare attenti perché questi pochi elementi confusi non mettano in ombra la bellezza dell’insieme» (Nota 27).

Da qui la Nota evidenzia ambiguità tra cui “rimproveri e minacce”, “messaggi alla parrocchia”, “autoesaltazione della Madonna” (in alcuni messaggi direbbe “il mio piano”, “il mio progetto”…, cfr. Nota 37).

 

dall’attenzione dottrinale alla valorizzazione attenta dell’esperienza religiosa

La valutazione della Nota non riconosce il carattere soprannaturale dei fenomeni di Medjugorje ma riconosce l’esperienza religiosa lì proposta utile per l’esperienza cristiana. La Nota assume l’onere di valutare la congruità di alcuni messaggi e dichiara soprattutto che la percezione dei sedicenti veggenti può interferire (se c’è) con l’esperienza del Dio di Gesù.

Esaminando poi i “messaggi” (tutti ritenuti presunti, come la Nota specifica fin dalla sua premessa, cfr. Nota 2) altro non fa che rimandare ai metodi e alla prassi delle sane tradizioni cristiane e, in continuità con quelle, non ostacola l’esperienza medjugorjana.

Cosa resta?

Il fenomeno Medjugorje non ha avuto un “riconoscimento ufficiale”; è chiaro anche che sono state date due indicazioni preziose che appaiono come un “cambio di paradigma teologico valutativo” dei “fatti soprannaturali”, della “pietà popolare”:

  1. la “percezione” dei singoli gioca sempre un ruolo determinante anche nella “percezione di Dio”;
  2. la “esperienza religiosa” può condurre a buoni frutti al di là di una “dottrina ambigua” presente in alcuni gruppi. La Nota chiede ai vari vescovi di vigilare sulle esperienze religiose dei singoli e dei gruppi; al tempo stesso, richiamando le norme, chiede di «apprezzare il valore pastorale e a promuovere pure la diffusione di questa proposta spirituale».

La Nota non è solo mossa a pronunciarsi sulla ambiguità del fenomeno ma è preoccupata che si possa utilizzare «inadeguatamente questo fenomeno spirituale».

Credo che sia questo un elemento essenziale di tutta la dichiarazione del Dicastero: attenzione al dato in sé (valutazione dottrinale) ma con la promozione dell’esperienza religiosa (tutela dell’esperienza spirituale).

Una preoccupazione che si potrebbe estendere ad ogni realtà ecclesialepercezione e utilizzo non adeguato sono gli elementi essenziali su cui, non solo a Medjugorje, bisogna vigilare.

“Falsa percezione” e “utilizzo non adeguato” si possono nascondere anche nelle assemblee domenicali, nelle prassi penitenziali, nelle parole omiletiche, nelle lezioni di teologia, nelle catechesi, durante le trasmissioni televisive o radiofoniche…

Le esperienze vanno guidate, non imposte e non bloccate. Anche per questo credo che sia giusto riprendere le parole di mons. Battaglia che oggi ha tenuto l’omelia in occasione della solennità di San Gennaro (patrono della diocesi di Napoli) e in riferimento al fenomeno della “liquefazione del sangue”. Credo che sia un bello esempio di come guidare la percezione e l’utilizzo adeguato delle devozioni che accompagnano le esperienze religiose.

Don Mimmo ha dichiarato:

«Vi prego: non dobbiamo preoccupiamoci se il sangue di questa reliquia si scioglie o no. Ma dobbiamo preoccuparci se a scorrere tra le nostre strade e nel nostro mondo è il sangue dei diseredati, degli emarginati, degli ultimi, degli innocenti» (Cfr min. 44,55: URL: https://www.youtube.com/watch?v=fE35gcv2I4c&feature=youtu.be ).

Non i “segni soprannaturali” ma “l’esperienza della e nella fede”.

Ai pastori dunque il dovere di vigilare.

Al magistero teologico, se corretto, il dovere di promuovere questa vigilanza.

[1] Dicastero per la Dottrina della Fede, “La Regina della Pace”. Nota circa l’esperienza spirituale legata a Medjugorje. URL: “La Regina della Pace”. Nota circa l’esperienza spirituale legata a Medjugorje (19 settembre 2024) (vatican.va)

[2] URL: https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20000626_message-fatima_it.html

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il commento al vangelo della domenica

IL TEPORE DI UN ABBRACCIO

 Mc 9, 30-37

il commento di E. Ronchi al vangelo della venticinquesima domenica del tempo ordinario

Il vangelo introduce tre nomi di Gesù totalmente sbagliati e impossibili: ultimo, servo, bambino.
E i dodici non capiscono, proprio come noi.
Gesù sta dicendo loro che tra poco sarà assassinato e quelli parlano d’altro, parlano di carriere: chi è più grande tra noi?
Il rabbi li stravolge con quel limpidissimo pensiero: chi vuol essere il primo sia l’ultimo e il servo di tutti.
Di cosa stavate parlando?
Di chi è il più grande.
Questione infinita, che inseguiamo da millenni. Questa fame di potere, questa furia di comandare è da sempre annuncio di distruzione.
Gesù si colloca a una distanza abissale da tutto questo: se uno vuol essere il primo sia il servo.
Ma non basta: Servo di tutti, senza limiti. E non basta ancora: prese un bambino, lo pose in mezzo e lo abbracciò.

Un bambino!

E’ il modo magistrale di Gesù, che s’inventa qualcosa di inedito come un abbraccio all’ultimo della fila, grande schiaffo in faccia ad ogni potere.

Tutto il vangelo in un abbraccio è rivelazione, è altissima teologia sulla verità di Dio.

In quella casa di Cafarnao c’è una parabola in azione: è Dio che si scioglie in un abbraccio al più piccolo perché nessuno sia perduto, non una briciola di pane, non un agnellino in fondo al gregge, non due spiccioli di un tesoro.

Proporre il bambino come modello del credente è l’impensato.
Cosa ne sa lui? Solo la tenerezza degli abbracci, l’emozione delle corse, il vento sul viso. Non sa niente di filosofia, di teologia, di morale, ma conosce come nessuno il senso della fiducia, da cui imparare.

Chi accoglie un bambino accoglie me! Gesù compie un enorme passo avanti, lo indica come sua immagine. Vertigine del pensiero. Il Re dei re, il Creatore, l’Eterno, l’infinito, l’assoluto, l’immenso, sta in un cucciolo d’uomo.
E questo vuol dire che come ogni bambino anche Dio va protetto, accudito, custodito, aiutato, accolto, perché “chi accoglie un bambino accoglie me, accoglie il Padre”.

Accogliere, verbo che plasma il mondo come Dio lo sogna.
Avremo un futuro buono solo quando l’accoglienza sarà il nome nuovo della civiltà; quando accogliere o respingere i disperati, i piccoli, sarà considerato accogliere o respingere Dio stesso. Se vogliamo un mondo che stia in piedi davvero non c’è altra strada che ripartire dal più bisognoso.
Questa è la fede, che poggia sulla giustizia.
Il bambino conosce la speranza perché sa aprire la bocca in un sorriso quando ancora non ha smesso di asciugarsi le lacrime.

I bambini danno ordini al futuro.
Loro sì, sanno vivere come i gigli del campo e gli uccelli del cielo.
Proviamoci anche noi: quando ci sentiamo senza appoggio e speranza, ricordiamo quel bambino abbracciato, e anche noi come lui sentiremo lo stupore tiepido delle braccia di Dio.

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il commento al vangelo della domenica

“voi chi dite che io sia?”

Mc 8,27-35

il commento di E. Ronchi al vangelo della ventiquattresima domenica del tempo ordinario


In quel tempo, Gesù interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». (…) 

 

Il miracolo è che la debolezza, la fatica, l’ambiguità, le notti senza frutto, i rinnegamenti, non sono un’obiezione, ma un’occasione per essere fatti nuovi e per ricominciare, attraverso inizi sempre nuovi: Tu seguimi!

Ambiguità, incoerenza.

Gesù preferisce le storie rotte a quelle perfette,

le vite incamminate a quelle stanziali.

Quando sono vero sono debole. Quando siamo veri siamo tutti feriti. Ma quando sono debole è allora che sono forte,

perché entra in me il vasaio che mi rimette sul tornio e

fa dei miei cocci un canale per altre seti.

E per la strada interrogava.

Gesù non è la risposta alle nostre domande, è lui la domanda; ogni sua parola porta scritto: più in là! La sua dimora è sempre oltre.

Ma la gente, chi dice che io sia? Gesù non vuole un sondaggio per misurare la sua popolarità, vuole capire cosa del suo messaggio ha raggiunto il cuore.

Infatti la risposta della gente rivela un’idea sbagliata di lui: per qualcuno è un moralizzatore di costumi, tipo Giovanni il Battista; per altri è forza che abbatte i falsi profeti, come Elia; altri ancora colgono solo l’eco di vecchi messaggi già ascoltati, lui è “uno dei profeti”.

Ma Gesù non è niente fra le cose di ieri. È novità in cammino.

E il domandare si fa più diretto: ma voi chi dite che io sia?

Innanzitutto mette in discussione se stesso. Sottoporsi alla valutazione altrui costa molta umiltà e libertà, e con questa domanda Gesù si comporta da innamorato: Quanto conto io per te?

Non ha bisogno di sapere se lo ritengono più bravo dei profeti di prima, lui vuole sapere se Pietro è innamorato, se l’ha accolto nel cuore, se gli da tempo e passione.

Tu sei il Cristo, Pietro è irruente, sei il senso di Israele e della mia vita.

A questo punto Gesù cominciò a insegnare che il Cristo doveva soffrire e venire ucciso, per poi risorgere il terzo giorno.

Ma come fa Pietro ad accettare un messia perdente? “Tu sei il messia, l’atteso, che senso ha un messia sconfitto?”

Allora Gesù lo prende in disparte. E qui la tensione si alza, fino a che il dialogo culmina in parole durissime: va dietro di me, satana. Il tuo posto è seguirmi.

Pietro è la voce di ogni ambiguità umana, e la soluzione è quella indicatagli: va dietro di me.

Gesù ha accarezzato le mie ferite e contraddizioni, e mi fa camminare proprio lì, lungo la “linea incerta che addividi la luci dallo scuru” (A. Camilleri).

Il miracolo è che la debolezza, la fatica, l’ambiguità incolpevole, grano e zizzania intrecciati, le notti senza frutto, i rinnegamenti, non sono un’obiezione, ma un’occasione per essere fatti nuovi, per stare bene con il Signore, per rinnovare la nostra passione per lui e per ricominciare, attraverso inizi sempre nuovi: Tu seguimi!

Ti seguirò, Signore. Con le parole più belle che ho per te: tu sei per me quello che è la primavera per i fiori, quello che il vento è per l’aquilone.

Sei venuto con il soffio di un bacio sulla fronte, e hai aperto la mia strada.

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il commento al vangelo della domenica

VANGELO DI SENSI IN ASCOLTO
Mc 7,31-37
il commento di E. Ronchi al vangelo della ventitreesima domenica del tempo ordinario
Ancora un miracolo. Uno dei tanti.
Portano da Gesù un uomo prigioniero del silenzio, mentre la parola era murata dentro di lui.
Una vita senza musica e senza voce, un sordomuto come noi che non ci si capisce, che non si sa ascoltare, sordi come lui.
Siamo invasi da social che ci fanno comunicare con tutti, anche quando nessuno ci ascolta; ci piace essere conosciuti da un mucchio di sconosciuti.
Quel sordomuto è fortunato e non per la guarigione, ma perché attorniato da amici che si prendono cura di lui: e lo condussero da Gesù.
La guarigione inizia quando nel volto di qualcuno vediamo spuntare un germoglio di amore compassionevole.
‘E lo pregarono di imporgli la mano’. Ma Gesù fa molto di più: lo prende in disparte, lontano dalla folla: Io e te soli, per questo tempo niente conta più di te.
Non importa se è santo o peccatore. Soffre e basta.
E noi? Quando invece di dire: sei malato, sei nevrotico, si dirà: vieni a cena da me, al riparo della mia amicizia?
Li immagino occhi negli occhi, con Gesù che prende quel volto fra le mani, con poche parole e gesti molto intimi.
Lo tocca, e pone le dita sugli orecchi del sordo. Come lo scultore sulla creta che sta plasmando, come in una carezza. A parlare è la tenerezza dei gesti.
Poi con la saliva toccò la sua lingua. Spirito e parola condensati, in un vangelo di contatti, di odori, di sapori.
Gesù opera la guarigione dei sensi, e per farlo li usa tutti; mani, occhi, orecchi, bocca, per ricondurci all’essenza della vita, perché è attraverso i sensi che percepiamo il mondo.
Guardando verso il cielo, emise un sospiro, e gli disse: Effatà! In aramaico, nel dialetto di casa, nella lingua della madre, ripartendo dalle radici.
Apriti e non “apritevi”, si rivolge così all’uomo intero, e non ai suoi orecchi. Apriti, come si apre una porta all’ospite, come le braccia all’amore.
Apriti agli altri e a Dio, anche con le tue ferite, attraverso le quali vita esce e vita entra.
Una vita guarita è quella che si apre sul mondo: e subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. In realtà non è l’organo fisico dell’orecchio, in realtà è scritto che si aprirono ‘gli ascolti’. Si aprì la comprensione, non gli orecchi.
Se non sai ascoltare, perdi la parola. E sa parlare solo chi sa ascoltare. Dono da chiedere instancabilmente, per il sordomuto che è in noi:
donaci, Signore, un cuore che ascolta (cfr 1Re 3,9).
Allora nasceranno pensieri e parole che ci faranno uscire dall’assurdo di parole non dette e non ascoltate, dall’assurdo che è l’uomo chiuso.
Che l’unica nostra parola sia: ‘apriti’.
Se apri la tua porta, vita viene (Jaki Petrovic).
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le beatitudini per un mondi nuovo

LE BEATITUDINI PER NOI …
la versione di E. Ronchi
Beati i poveri in spirito, sono loro i re di domani
Beati quelli che scelgono di stare con i piccoli e gli ultimi della fila
Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia
Beati quelli che hanno fame e sete di dignità e di diritti per tutti
Beati quelli che scelgono sempre l’umano contro il disumano
Beati quelli che salvano vite, dalla morte, da ogni forma di morte
Beati quelli che costruiscono ponti e non muri
Beati quelli che: avevo fame e mi avete dato da mangiare
ero straniero e mi avete accolto
ero senza terra e mi avete dato un paese buono
Beati quelli che hanno il cuore dolce, perché saranno i signori di domani
Beati quelli che sanno ancora piangere,
che provano dolore per il dolore di un bimbo, una donna, un figlio della terra…
Beati quelli che sanno provare stupore e rabbia di fronte agli orrori del mondo
Beati quelli che si prendono cura di una esistenza con la loro esistenza
Beati quelli che sentono il morso del più: più passione, più umanità, più diritti
Beati i coraggiosi: quelli che “meglio trasgressivi che complici”
Beati quelli che non sono muti e inerti
Beati gli oppositori, che si oppongono alla legge
quando la legge si oppone all’umanità
Beati quelli che sono in minoranza, controcorrente,
che non si accodano al pensiero dei più
Beati quelli che la vita non la vedono in funzione del loro io,
ma il loro io in funzione della vita.
Loro hanno in dono la vita indistruttibile
Ermes Ronchi
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