il commento al vangelo della domenica

IL TEPORE DI UN ABBRACCIO

 Mc 9, 30-37

il commento di E. Ronchi al vangelo della venticinquesima domenica del tempo ordinario

Il vangelo introduce tre nomi di Gesù totalmente sbagliati e impossibili: ultimo, servo, bambino.
E i dodici non capiscono, proprio come noi.
Gesù sta dicendo loro che tra poco sarà assassinato e quelli parlano d’altro, parlano di carriere: chi è più grande tra noi?
Il rabbi li stravolge con quel limpidissimo pensiero: chi vuol essere il primo sia l’ultimo e il servo di tutti.
Di cosa stavate parlando?
Di chi è il più grande.
Questione infinita, che inseguiamo da millenni. Questa fame di potere, questa furia di comandare è da sempre annuncio di distruzione.
Gesù si colloca a una distanza abissale da tutto questo: se uno vuol essere il primo sia il servo.
Ma non basta: Servo di tutti, senza limiti. E non basta ancora: prese un bambino, lo pose in mezzo e lo abbracciò.

Un bambino!

E’ il modo magistrale di Gesù, che s’inventa qualcosa di inedito come un abbraccio all’ultimo della fila, grande schiaffo in faccia ad ogni potere.

Tutto il vangelo in un abbraccio è rivelazione, è altissima teologia sulla verità di Dio.

In quella casa di Cafarnao c’è una parabola in azione: è Dio che si scioglie in un abbraccio al più piccolo perché nessuno sia perduto, non una briciola di pane, non un agnellino in fondo al gregge, non due spiccioli di un tesoro.

Proporre il bambino come modello del credente è l’impensato.
Cosa ne sa lui? Solo la tenerezza degli abbracci, l’emozione delle corse, il vento sul viso. Non sa niente di filosofia, di teologia, di morale, ma conosce come nessuno il senso della fiducia, da cui imparare.

Chi accoglie un bambino accoglie me! Gesù compie un enorme passo avanti, lo indica come sua immagine. Vertigine del pensiero. Il Re dei re, il Creatore, l’Eterno, l’infinito, l’assoluto, l’immenso, sta in un cucciolo d’uomo.
E questo vuol dire che come ogni bambino anche Dio va protetto, accudito, custodito, aiutato, accolto, perché “chi accoglie un bambino accoglie me, accoglie il Padre”.

Accogliere, verbo che plasma il mondo come Dio lo sogna.
Avremo un futuro buono solo quando l’accoglienza sarà il nome nuovo della civiltà; quando accogliere o respingere i disperati, i piccoli, sarà considerato accogliere o respingere Dio stesso. Se vogliamo un mondo che stia in piedi davvero non c’è altra strada che ripartire dal più bisognoso.
Questa è la fede, che poggia sulla giustizia.
Il bambino conosce la speranza perché sa aprire la bocca in un sorriso quando ancora non ha smesso di asciugarsi le lacrime.

I bambini danno ordini al futuro.
Loro sì, sanno vivere come i gigli del campo e gli uccelli del cielo.
Proviamoci anche noi: quando ci sentiamo senza appoggio e speranza, ricordiamo quel bambino abbracciato, e anche noi come lui sentiremo lo stupore tiepido delle braccia di Dio.

image_pdfimage_print
image_pdfimage_print