il commento al vangelo della domenica

ANCHE NEL POCO, ANCHE IMPERFETTO
Mc 10,35-45
il commento di E. Ronchi al vangelo della ventinovesima domenica del tempo ordinario
Ma chi sono questi uomini che si sono alzati e si sono messi in cammino dietro a Gesù? Non sono eroi, sono uomini complicati, alcuni perfino imbarazzanti, proprio come me.
Due di loro sono così irruenti e rumorosi che Gesù ha confezionato per loro un soprannome forte e bello: “figli del tuono”. Un complimento. Gesù era grande nel lodare!
I due fratelli si avvicinano: Cosa volete che io faccia per voi? Lo chiederà anche al cieco di Gerico, lui non cerca potere, vuole la luce: che io veda! Siamo tutti un po’ come Bartimeo, mendicanti di luce appesi a qualcuno che ci guardi e ci paghi una piccola moneta.
I due fratelli invece non chiedono luce, ma potere: facci sedere una a destra e uno a sinistra del tuo trono.
In questa richiesta riconosco la più diffusa di tutte le nostre umane preghiere, quando invochiamo di essere esauditi in ciò che paure, fragilità o passioni generano nell’intimo: volontà di prendere, salire, comandare. Tre verbi che fanno male. Perciò tre verbi maledetti.
Ci sono anche domande benedette, che nascono da fame di luce e di gioia, da amore che manca come il pane, da verbi benedetti, come dare, scendere, servire.
Ma neppure questo basta, perché non si prega per ottenere, ma per essere trasformati. Come suggerisce David Maria Turoldo: Io non sono ancora e mai il Cristo, ma sono questa infinita possibilità.
Non si prega per aggrapparci, ma per stupirci.
Dopo tre anni di strade, di malati guariti, di pane che traboccava dalle mani e dalle ceste, dopo tre annunci di morte in croce, è come se i discepoli non avessero ancora capito niente.
E Gesù, l’incredibile Gesù, invece di scoraggiarsi, riprende a spiegare ancora una volta il suo sogno di cieli nuovi e terra nuova.
Va bene, a patto che sappiate fare quello che io farò:
– potete bere il mio stesso calice?
– Come no, certo che possiamo!
E infatti, sotto la croce non c’era né l’uno né l’altro dei due fratelli.
E Gesù li chiama a sé di nuovo, consegna loro la chiave di volta del mondo in pace, in una espressione bellissima, ribadita con forza per tre volte: tra voi non sia così. Non così tra voi!
Nel mondo vincono i più forti, i più furbi, i più ricchi; tra voi non è così;
nel mondo hanno ragione i potenti, gli intelligenti, i più numerosi, tra voi non è così. Voi siete nel mondo ma non del mondo, non omologatevi al pensiero dominante.
“I grandi del mondo si costruiscono imperi con il dominio e la forza. Non così in Dio”. Lui non ha troni, si cinge un asciugamano, s’inginocchia davanti a ciascuno, il suo impero è quel poco di spazio che basta a lavare i tuoi piedi.
Da lì, dal basso cerca gli occhi d’ogni figlio, cerca le mie ferite per fasciarle con bende di luce.
Essere sopra l’altro è la massima distanza possibile dall’altro.
Dio invece si pone alla massima vicinanza: ai tuoi piedi.
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il commento al vangelo della domenica

uguale a fiorire

il commento di E. Ronchi al vangelo della ventottesima domenica del tempo ordinario

Mc 10, 17-30

In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni. (…)

Seguire Cristo non è un discorso di sacrifici, ma di moltiplicazione: lasciare tutto ma per avere tutto. Avrai cento fratelli e un cuore moltiplicato.

Il vangelo si apre con una corsa verso Gesù: un tale gli corse incontro. Come chi ha fretta, chi è in ritardo e ha fame. E non sa che sta per affrontare un grande rischio: interroga Gesù per sapere la verità su se stesso, e non sarà capace di sopportarla.

Grande rischio, ma anche grande fortuna, se qualcuno scoperchia il pozzo della nostra vita e ci mostra chi siamo davvero.

Maestro buono, è vita o no, la mia? Domanda grandiosa. Tutta la bibbia ruota attorno a questo: sapere cosa è vita e cosa no.

È un appassionato, questo giovane, è uno convinto, ci crede. E incanta Gesù, quando risponde: ‘tutto questo che dici l’ho sempre osservato. Ma non mi ha riempito la vita’. Vive quella beatitudine che conosciamo tutti, dolce e amara, ma generativa: “Beati gli insoddisfatti, gli inquieti, perché diventeranno cercatori di tesori”.

Ora il giovane fa un’esperienza da brivido, sente su di sé lo sguardo di Gesù, incrocia i suoi occhi amanti, può naufragarvi dentro: Gesù fissò lo sguardo su di lui e lo amò. Per Gesù guardare e amare sono la stessa cosa. E se io dovessi continuare il racconto direi: adesso gli va dietro, adesso subisce l’incantamento del Signore, non resiste a quegli occhi.

Invece la conclusione del racconto va nella direzione che non ti aspetti: “Una cosa ti manca, va’, vendi, dona ai poveri…”

Come i veri maestri Gesù risponde alzando l’asticella, creando visioni nuove, donando ali perché quel ragazzo possa volare più alto e più lontano. Vuoi vivere davvero? Sappi che la tua vita non è garantita dal tuo patrimonio economico, ma dal tuo patrimonio relazionale.

E poi vieni con me: mettiamo in tavola la vita. E lo facciamo per amore dei poveri, non della povertà. L’ideale del maestro di Nazaret non è un pauperismo che basta a se stesso, ma riempire di volti e di nomi il cuore di ognuno. Prima le persone, dopo le cose.

Nel vangelo offre due sole regole circa i beni materiali, semplicissime e rivoluzionarie. Primo, non accumulare. Secondo, quello che hai è per condividere. Quanto basta a capovolgere la direzione della vita.

Le bilance della felicità pesano sui loro piatti la valuta più pregiata dell’esistenza: dare e ricevere segni d’amore.

Seguire Cristo non è un discorso di sacrifici, ma di moltiplicazione: lasciare tutto ma per avere tutto. Infatti il vangelo continua: Pietro allora prese a dirgli: Signore, ecco noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, cosa avremo in cambio?

Avrai in cambio cento volte tanto, avrai cento fratelli e un cuore moltiplicato. Il vangelo non è rinuncia, se non della zavorra che impedisce il volo, la bella notizia è una addizione di vita.

Chi prova a farlo, solo per frammenti certo, può dire:

“con gli occhi nel sole/

a ogni alba io so/

che rinunciare per te/

è uguale a fiorire” (M. Marcolini).

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il commento al vangelo della domenica

“in principio non era così”

 

il commento di E. Ronchi al vangelo della ventisettesima domenica del tempo ordinario

Mc 10,2-16

In quel tempo, alcuni farisei domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; (…) Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».(…) Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.

Il sogno di Dio è che i due si cerchino, si trovino, si amino; che diventino e rimangano uno. Questo è il suo nome: ‘Dio congiunge’. Il nome del nemico dell’amore è esattamente l’opposto: colui che separa, il divisore, il diavolo. Allora uno più uno uguale a uno.

Alcuni farisei vanno da Gesù per metterlo alla prova. Quello che gli chiedono è risaputo: “E’ lecito a un marito ripudiare la moglie?”. Chiaro che sì, la tradizione, avallata dalla Parola di Dio, lo permetteva.

Gesù prende subito le distanze e dice: “cosa vi ha ordinato Mosè?” Da buon ebreo, avrebbe invece dovuto dire “che cosa ci ha comandato Mosè?”.

‘Mosè ha permesso l’atto di ripudio’. Ebbene, Gesù prende le distanze anche da Mosè e sottolinea: “per la durezza del vostro cuore egli scrisse questa norma.

Afferma così qualcosa di enorme: La legge che noi diciamo di Dio non sempre riflette la sua volontà. E per questo non ha valore assoluto. Gesù non si ferma a redigere altre norme, non gli interessa regolamentare la vita, ma rinnovarla; custodire il fuoco, non venerare la cenere.

Come bambini che non comprendono, ci prende per mano e ci accompagna nei territori di Dio e del suo sogno iniziale: all’inizio Dio li fece maschio e femmina, per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e i due diventeranno una carne sola.

Il sogno di Dio è che i due si cerchino, si trovino, si amino; che diventino e rimangano uno. Allora uno più uno uguale a uno.

L’uomo non separi quello che Dio ha congiunto. Questo è il suo nome: ‘Dio congiunge’. Il nome biblico del nemico dell’amore è esattamente l’opposto: colui che separa, il divisore, il diavolo.

Allora il problema non è ripudio o non ripudio, separarsi o meno, ma è alla radice: si tratta della manutenzione, tenace, del sogno, perché l’amore è fragile e affamato di cure.

Se non ti impegni a fondo per le tue relazioni, se non dai loro tempo, se non le custodisci con fedeltà, con timore e tremore, le hai già ripudiate nel tuo cuore.

‘Portavano dei bambini a Gesù perché li toccasse. Ma i discepoli li rimproverarono. Al vedere questo, Gesù si indignò’. L’indignazione è un sentimento proprio dei profeti davanti all’ingiustizia o all’idolatria; è la reazione di Gesù per la profanazione del tempio (Gv 2,14).

Qui reagisce allo stesso modo, perché i bambini sono cosa sacra: a chi è come loro appartiene il regno di Dio.

Chi è come loro? I bambini non sono più buoni degli adulti, ma sono maestri nell’arte della fiducia e dello stupore. Loro sì sanno vivere come i gigli del campo e gli uccelli del cielo, sanno giocare tutto il giorno come i delfini, incuriositi da ciò che porterà loro, facili al sorriso e all’abbraccio. Il bambino fino ai 12 anni non ha obblighi verso la Legge, è ai margini, non ha riti da osservare, e Gesù lo addita a modello! Prima la persona e poi la legge!

Nessuno ama la vita più appassionatamente di un bambino che si rialza da terra.

Prendendoli fra le braccia li benediceva: perché nei loro occhi il sogno di Dio brilla non contaminato ancora.

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la visione limitata di papa Francesco sulla donna

Francesco e le donne: parole infelici

di Andrea Grillo

lovanio

Poiché ormai da molto tempo si è aperto uno spazio di discussione sul ruolo della donna nella Chiesa, di recente soprattutto a partire dalla decisione di papa Francesco di istituire una prima commissione di studio sulla storia del diaconato femminile, nel discorso agli studenti tenuto sabato 28 settembre a Lovanio  sono emersi in modo chiaro alcuni limiti profondi della visione cattolica di Francesco sulla donna, lettura che si pensa di poter proporre come “dottrina”, quando è costituita solo da pregiudizi culturali verniciati da una patina di Vangelo.

Un esame più accurato di alcuni passi del discorso di ieri permette di identificare bene la radice teorica, diremmo dottrinale, di queste parole infelici. Prima cito il testo pronunciato e poi faccio seguire alcuni miei chiarimenti.

Ecologia umana ed essenzialismo

Pensare all’ecologia umana ci porta a toccare una tematica che sta a cuore a voi e prima ancora a me e ai miei Predecessori: il ruolo della donna nella Chiesa. Mi piace quello che tu hai detto. Pesano qui violenze e ingiustizie, insieme a pregiudizi ideologici. Perciò bisogna ritrovare il punto di partenza: chi è la donna e chi è la Chiesa. La Chiesa è donna, non è “il” Chiesa, è “la” Chiesa, è la sposa. La Chiesa è il popolo di Dio, non un’azienda multinazionale. La donna, nel popolo di Dio, è figlia, sorella, madre. Come io sono figlio, fratello, padre. Queste sono le relazioni, che esprimono il nostro essere a immagine di Dio, uomo e donna, insieme, non separatamente! Infatti le donne e gli uomini sono persone, non individui; sono chiamati fin dal “principio” ad amare ed essere amati. Una vocazione che è missione. E da qui viene il loro ruolo nella società e nella Chiesa (cfr S. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Mulieris dignitatem, 1).

Una “ecologia umana” non si lascia definire soltanto sul piano di “funzioni naturali”. Qui vi è una sorta di cattura del femminile nel naturale. La donna appare, inevitabilmente, come corrispondenza: figlia, sorella, madre, sposa. Si deve notare, come da almeno 200 anni si contesta con autorevolezza, che la definizione della donna accade in un rimando all’uomo. Ha senso solo se ha accanto un uomo.

Da figlia, a sposa, a madre. Proprio questo modo di pensare la cultura tardo-moderna ha saputo rielaborare con finezza, senza negare la differenza, ma non proiettandola anzitutto sul piano della autorità. La donna, come l’uomo, è definita da queste relazioni, ma anche da mille altre dimensioni, che fanno parte anch’esse della sua essenza: la donna, come l’uomo, ha una essenza aperta, storica, libera, non predefinita.

Qui sta la fragilità di questa prima proposizione. D’altra parte, il “genere femminile” della parola Chiesa, su cui insiste Francesco, non serve molto a capire la identità femminile. Ignazio di Loyola diceva che la Chiesa gerarchica, se avesse affermato che una cosa era nera, lui l’avrebbe creduto nera anche se la vedeva bianca.

Questa famosa affermazione era comprovata da un ragionamento che dovrebbe sorprendere un “figlio di Ignazio” come il papa. Egli diceva che la Chiesa gerarchica era “sposa di Cristo” e come tale non poteva sbagliare. Essendo la Chiesa gerarchica composta solo da uomini (tanto più ai tempi di Ignazio), era evidente che il genere femminile della Chiesa poteva bene adattarsi al genere maschile dei vescovi. Non si vede perché non dovrebbe adattarsi, anche meglio, al genere femminile di futuri ministri ecclesiali.

L’oblio dei “segno dei tempi”

Ciò che è caratteristico della donna, ciò che è femminile, non viene sancito dal consenso o dalle ideologie. E la dignità è assicurata da una legge originaria, non scritta sulla carta, ma nella carne. La dignità è un bene inestimabile, una qualità originaria, che nessuna legge umana può dare o togliere. A partire da questa dignità, comune e condivisa, la cultura cristiana elabora sempre nuovamente, nei diversi contesti, la missione e la vita dell’uomo e della donna e il loro reciproco essere per l’altro, nella comunione. Non l’uno contro l’altro, questo sarebbe femminismo o maschilismo, e non in opposte rivendicazioni, ma l’uomo per la donna e la donna per l’uomo, insieme.

Questo secondo passaggio costituisce un rafforzamento teorico del precedente e mostra alcuni problemi piuttosto macroscopici. Da un lato esordisce affidando al “femminile” una essenza indipendente dal consenso e dalle ideologie. Una legge originaria assicura la dignità anche della donna, al di qua e al di là di ogni legge umana.

Ma dove sta qui la ideologia? Non è forse proprio questo modo astorico di pensare il femminile ad aver nutrito, lungo i secoli, una sostanziale discriminazione ed esclusione della donna da ogni sfera di esercizio pubblico della autorità? Perché mai sarebbe ideologico scoprire che la donna può fare sport, può esercitare il diritto di voto, può concorrere a concorsi pubblici, può accedere come violinista, o oboista, alle più grandi orchestre del mondo e anche alla autorità ecclesiale?

Il riconoscimento della autonomia della donna, della sua emancipazione, non è contro la legge naturale, ma è il risultato di una nuova lettura del soggetto, del mondo e dell’ambiente. Siamo esseri storici, sia come uomini, sia come donne: il vangelo non elabora la propria cultura a partire dal pregiudizio essenzialista che blocca la donna in privato, ma contribuisce, con tutte le altre culture, alla scoperta di una dignità in cui comunità e individuo stanno in relazione.

La pretesa del maschile di essere il “punto comune” per giudicare su maschi e femmine, distorce la storia: una legittima autonomia del femminile (come del maschile) è il principio di definizione dell’umano. Perciò “la donna in generale” è un concetto vuoto, utile solo per bloccarne la identità. Come ha detto bene Rahner, che era gesuita, “la donna in generale non esiste”.

Riduzione privata del femminile

Ricordiamo che la donna si trova al cuore dell’evento salvifico. È dal “sì” di Maria che Dio in persona viene nel mondo. Donna è accoglienza feconda, cura, dedizione vitale. Per questo è più importante la donna dell’uomo, ma è brutto quando la donna vuol fare l’uomo: no, è donna, e questo è “pesante”, è importante. Apriamo gli occhi sui tanti esempi quotidiani di amore, dall’amicizia al lavoro, dallo studio alla responsabilità sociale ed ecclesiale, dalla sponsalità alla maternità, alla verginità per il Regno di Dio e per il servizio. Non dimentichiamo, lo ripeto: la Chiesa è donna, non è maschio, è donna.

Anche la terza parte del discorso che consideriamo appare segnata pesantemente da pregiudizi culturali, che la tradizione teologica ha assunto acriticamente e che vengono ripetuti come se fossero parte del “depositum fidei”.

Maria non è “principio mariano”. Maria non è “una donna per tutte”. Maria è esclusa dalla pubblica autorità, esattamente come tutte le altre donne, prima e dopo di lei. La sua esemplarità e santità non parla del sesso, ma della fede. Una parte di quello che proiettiamo su Maria, come se fosse santo, è solo il pregiudizio di un mondo maschile, che vuole tenere la donna chiusa nella sfera privata. Così abbiamo riflettuto per secoli.

Abbiamo anche riconosciuto una autorità alle donne in materia sacramentale, purché fosse delimitata dalla camera da letto, dalla sala da parto, dalla casa. Fuori le donne non potevano né agire sacramentalmente, né fare catechesi. L’essenzialismo che domina molti discorsi ecclesiali proietta sulle donne questo modello limitato a tal punto, da arrivare, come fa Francesco, a pensare che la donna che si sente chiamata all’esercizio di autorità in pubblico “vuole fare l’uomo”.

Questa è forse la frase più infelice di tutte. Perché confonde un modello culturale tradizionale e borghese con la verità del vangelo. La donna non è solo “accoglienza feconda, cura, dedizione vitale”: se non usciamo da questo modello naturalistico ed essenzialistico, e lo confondiamo con la rivelazione, non parliamo più del vangelo, ma solo dei nostri pregiudizi. Soprattutto agli studenti questo dovrebbe essere risparmiato, da parte di tutti i cristiani, e a maggior ragione dai papi.

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una preghiera nella disperazione

lettera-preghiera

 il parroco libanese: “che colpa abbiamo per meritarci tanto odio?”


padre Toufic Bou Mehri, che nel suo convento di Tiro ospita famiglie in fuga dalla devastazione e dalla morte, in questa toccante invocazione si rivolge direttamente alla “carissima bomba”

Una famiglia in fuga

una famiglia in fuga

La sua è una testimonianza di solidarietà e accoglienza. Nel convento di Tiro, città libanese di cui è parroco, padre Toufic Bou Mehri, ospita le famiglie in fuga dall’orrore e dalla devastazione. Però non si rassegna alla logica dell’odio e della violenza ma anzi crede ancora nella forza della preghiera. Come dimostra questa invocazione, in cui si rivolge direttamente alle armi, ai macabri strumenti della morte e della distruzione. Il testo della preghiera è stato raccolto da Nello Scavo.  

«Carissima bomba, ti prego, lasciaci in pace. Carissimo razzo, non esplodere. Non obbedite alla mano dell’odio. Vi esorto perché le altre orecchie si sono tappate, e i cuori dei responsabili si sono induriti, e la brutalità nel trattare tra le persone si è diffusa, quindi, ascoltatemi voi vi supplico Vi chiamano bombe intelligenti, siate più intelligenti di quelli che vi stanno usando. Non è rimasto chi ammazzare. Famiglie sterminate. Sila, bambina di sei ani, non le è rimasto nessuno: né il babbo, né la mamma, né la sorellina di un anno e mezzo, né il nonno, né la nonna, né lo zio con la sua famiglia. L’hanno lasciata in questo mondo così crudele. Così abbiamo terminato la giornata ieri. Un razzo ha distrutto nove case nel povero quartiere di Tiro, a 50 metri dal convento. Le pietre sono cadute nel cortile dove si trovano gli sfollati. Terrore, grida, pianti, paura si sono mescolati con il sangue dei feriti. Così abbiamo accolto chi è rimasto della famiglia massacrata. Basta, basta! Ma a chi grido? Al Signore? Lui non c’entra con l’odio, Lui ha creato l’amore, ma l’uomo l’ha rifiutato per il suo simile. Quale sia il nostro peccato, che meriti una punizione così grave? Forse l’unico nostro peccato è questa terra benedetta dal Signore e profanata dall’uomo. La nostra colpa è essere nati in questo Paese che soffre da oltre 50 anni, pagando il prezzo per gli altri. Cosa rispondo agli sfollati che mi chiedono della buona colazione promessa da Abbas? La mia bocca è rimasta paralizzata e le mie parole vuote. Una lacrima è venuta in mio soccorso per dir loro che Abbas, dal cuore grande e generoso, è partito…».

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