il commento al vangelo della domenica

 «benedetta fra le donne»

la tua libertà è decisione-adesione totale a Dio, al bene. Maria, essendo la piena di grazia, è la pienezza della libertà

 di Oreste Benzi

 

il commento al vangelo della IV domenica d’Avvento – Anno C:  grazie al commento di don Oreste Benzi

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». 

 Luca (Lc 1, 39-45)

«Beata colei che ha creduto all’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». Maria è beata perché è liberamente e consapevolmente nel progetto di Dio, infatti aveva detto all’angelo: «Ecco, sono la serva del Signore, si faccia di me secondo la tua parola».
Tu dici: «Io voglio essere me stesso; sono libero». Ma che cos’è questo «te stesso»? Nel profondo del tuo essere tu desideri essere verità, ma del tutto, tu vuoi essere amore del tutto. Potrei continuare a lungo, ma posso riassumere tutti i tuoi desideri in uno: vorresti essere tutto bene senza alcun male e vorresti vedere Dio. Hai la capacità di fare l’opposto di ciò che desideri, ma senti che non è la tua vita. Il tuo vero io è l’altro, il positivo. Allora quando fai il male sei volutamente schiavo! Non c’è scampo. La tua libertà è decisione-adesione totale a Dio, al bene. Maria, essendo la piena di grazia, è la pienezza della libertà.
Lavora interiormente per convertirti al tuo vero essere te stesso, che è quello che Dio ha pensato per te. L’obbedienza è la garanzia della tua libertà e ti toglie dalla solitudine.




la via della violenza comporta l’estinzione della civiltà umana

stipare violenza riporta alla clava

Ammassare violenza riporta alla clava come strumento di regolazione degli interessi confliggenti. Comporta l’estinzione della civiltà umana. L’apocalissi. Se è quello che si vuole, la via imboccata è quella giusta.

di Rosario Aitala
in “Avvenire” del 15 dicembre 2024

Scrive Carl von Clausewitz che «la guerra è un atto di forza all’impiego della quale non esistono
limiti: i belligeranti si impongono legge mutualmente; ne risulta un’azione reciproca che
logicamente deve condurre all’estremo». Il generale prussiano scopre la formula dell’apocalisse
nella «tendenza all’estremo» della violenza bellica che la politica è incapace di contenere. Intuisce
la spaventosa irrazionalità delle guerre, scontri parossistici reciprocamente incrementali che
segnano il corso della storia. Colto d’improvviso dalla morte, non completa il suo trattato Sulla
guerra, pubblicato postumo dal 1832 al 1837. Di recente, Lucio Caracciolo ne ha riportato alla luce
il pensiero per descrivere i conflitti attuali, senza scopo né termine.
Rileggiamo la formula «i belligeranti si impongono legge mutualmente». Già nell’antichità e in
maniera incrementale, con un acme alla metà del Novecento, gli Stati si sono imposti legge
reciprocamente in altro senso. Non per rilanciare all’infinito la violenza ma per regolare e per
contenere il ricorso alla guerra e le modalità e mezzi con cui possono condursi le ostilità.
Nel 1859 Jean Henri Dunant, banchiere ginevrino, si trova nei pressi di Solferino dove si sono
scontrate le truppe austriaco- venete e franco-sarde, con ventitremila vittime. Scosso dalle
sofferenze dei feriti lasciati a perire sul campo di battaglia si dedica a cercare «spazi di civiltà nei
contesti disumanizzanti della guerra», parole del presidente Mattarella. Scrive “Un ricordo di
Solferino” e avvia il progetto del Comitato internazionale della Croce Rossa che nasce cinque anni
più tardi con la Convenzione di Ginevra sul miglioramento delle condizioni dei feriti in battaglia.
Sarà l’osservazione della mostruosità dei conflitti mondiali a spronare la formazione del diritto
internazionale dei conflitti armati o diritto umanitario.
«Anche nella guerra c’è una moralità da custodire». Così papa Francesco ha spiegato il senso del
diritto umanitario.
Il “diritto dell’Aia” regola la condotta delle ostilità e proibisce mezzi e metodi di combattimento
particolarmente atroci, come gas velenosi e armi batteriologiche, tossiche e chimiche e l’impiego
dei bambini-soldato. Il “diritto di Ginevra” garantisce protezione umanitaria ai civili non
combattenti e ai beni non militari. Ruota intorno a quattro principi. Umanità: non si infliggano
sofferenze superflue. Distinzione: non si usi violenza contro persone e beni protetti. Proporzionalità:
non si attacchi sapendo che si causeranno danni incidentali, cioè morti innocenti e distruzioni
ingiustificate, smodati rispetto alle esigenze militari. Precauzione: si adotti qualsiasi accorgimento
per risparmiare gli incolpevoli.
Si sollevano due obiezioni. Il diritto internazionale non è rispettato. Dunque non esiste, è un teatro
di cartapesta. È vero che gli Stati tendono a servirsi della legge internazionale à la carte. Non di
rado il diritto soccombe alla brutale iniquità del potere, si dimostra impotente davanti all’arroganza
della forza arbitraria. Ma il diritto e le corti internazionali sono imprescindibili, come il codice
penale e i tribunali in Italia davanti alla constatazione che nonostante tutto si continua a uccidere e a
rubare. Le norme internazionali hanno reso la guerra meno disumana. Hanno permesso condanne
morali, politiche, giudiziali per le atrocità in Jugoslavia, Ruanda, Darfur, Mali, Uganda, Repubblica
centrafricana, Myanmar.
Fanno sentire la propria voce nei conflitti attuali. Il diritto internazionale è insufficiente ma
necessario perché la forza brutale non sia legittimata e giustificata come unico strumento per
comporre le controversie.
L’altro rilievo: «Truman e Churchill erano criminali di guerra?» Era un altro tempo, regole e corti
non esistevano. Ma non si può dubitare che mancassero di logica militare i bombardamenti delle
città tedesche che sterminarono seicentomila civili innocenti. «Coloro che hanno scatenato questi
orrori sull’umanità, sentiranno sulle proprie case e le proprie persone i colpi dirompenti di un giusto
castigo», disse Churchill. Negli Stati Uniti i giapponesi erano considerati una «razza inferiore e
incivile» e rinchiusi in campi di concentramento. Il capo di Stato maggiore dell’aviazione Curtis
LeMay, responsabile dei bombardamenti indiscriminati dei civili giapponesi, entusiasta sostenitore
degli ordigni nucleari, riconobbe: «Se avessimo perso il conflitto, saremmo stati tutti processati
come criminali di guerra». Gli ha dato ragione anche il segretario alla Difesa, Robert McNamara:
«Lui, e direi io, ci comportavamo da criminali di guerra». Alla fine della guerra, due milioni di
bambine e donne tedesche, da otto a ottant’anni, furono violentate.
Ne morirono duecentomila per violenze, ferite, malattie, suicidio. La logica degli Alleati era la
vendetta. I popoli dovevano pagare per i crimini dei propri governanti.
Oggi sono cinquantasei i conflitti armati in corso. Centinaia di migliaia le vite spezzate. Milioni di
sfollati, di bambini dall’infanzia negata. L’odio fermenta e alimenta il ciclo della violenza e della
vendetta. Si combatte anche un’altra guerra non meno pericolosa. Contro il diritto, i diritti
fondamentali, i tribunali internazionali, le Nazioni Unite. Ai giudici internazionali sono
somministrati insulti, mandati di cattura, sanzioni finanziarie e minacce di morte. Ci si scandalizza
per le loro decisioni, ma non per le atrocità che accertano. Gli stolti guardano il dito e ignorano la
luna. Il desiderio di fare tabula rasa della civiltà del diritto accomuna in un’irrazionalità furiosa
democrazie e dittature, Occidente e anti-Occidente. I conflitti armati sono processi politici,
rammentano Marcello Flores e Giovanni Gozzini in “Perché la guerra”. La politica deve comporre
le controversie senza spargimento di sangue e ,quando le guerre scoppiano, limitarne la disumanità,
evitare che si trascinino senza scopo, fermare il male incrementale, costruire vie di pace. Se la
politica smette di essere misura e limite della guerra, questa resta solo violenza selvaggia, fine a sé
stessa, inconclusiva, folle. La forza economica e militare e, nel migliore dei casi, la politica
governano il mondo, non la legge. Non ci sfugge. Ma diritto e politica stanno e cadono insieme. La
sconfitta del diritto decreta la morte della politica.
Ammassare violenza riporta alla clava come strumento di regolazione degli interessi confliggenti.
Comporta l’estinzione della civiltà umana. L’apocalissi. Se è quello che si vuole, la via imboccata è
quella giusta




la criminalizzazione delle ONG

L’orrore e la speranza: la bambina sopravvissuta al naufragio e ai muri
dell’Ue
di Marika Ikonomu
in “Domani” del 12 dicembre 2024

Sono proprio le ong le uniche realtà in grado di testimoniare questi naufragi. Politiche nazionali ed europee mirano però a ostacolare e criminalizzare il loro lavoro. Ne è un esempio, il recente decreto flussi approvato dal parlamento, che ha inasprito i fermi amministrativi e le sanzioni

Partita dalla Tunisia con il fratello, ha undici anni ed è viva dopo 3 giorni in mare. Mem.Med: «Non
vedere è scelta politica». Le ong criminalizzate sono le uniche testimoni
Aggrappata a due salvagenti improvvisati, creati con vecchie camere d’aria, e a un giubbotto di
salvataggio in mezzo al mare, in condizioni meteo avverse, è riuscita a salvarsi. L’unica superstite
di un naufragio in cui hanno perso la vita 44 persone è una bambina di undici anni, originaria della
Sierra Leone. «È stata una coincidenza incredibile aver sentito la sua voce nonostante il motore
fosse acceso. Stavamo cercando altri naufraghi, ma dopo una tempesta durata giorni, con il vento a
oltre 23 nodi e onde alte 2,5 metri, non c’era alcuna speranza», ha raccontato Matthias
Wiedenlübbert, il capitano del veliero che ha l’ha portata in salvo.
Erano le 3.20 del mattino, tra martedì e mercoledì, quando l’equipaggio della Trotamar III –
l’imbarcazione di CompassCollective, organizzazione tedesca della flotta civile impegnata in
missioni a sud di Lampedusa – si stava dirigendo verso un’altra barca in difficoltà e ha sentito delle
urla provenire dal mare. «La bambina ha lottato per non annegare», raccontano gli attivisti della
Trotamar, che si dicono «profondamente scioccati da questo fatto».
L’unica sopravvissuta al naufragio della barca, che si è rovesciata tre giorni prima, non aveva con sé
né acqua potabile né cibo ed «era ipotermica, ma reattiva e orientata», fa sapere l’equipaggio, che
l’ha portata in salvo a Lampedusa.
Lampedusa, Italia
La bambina ha raccontato di essere partita da Sfax, in Tunisia, con il fratello che è però disperso,
insieme alle altre 44 persone. «Siamo finiti tutti in mare, per la pioggia e il vento che hanno fatto
affondare la barca», ha spiegato ai medici e ai mediatori culturali incontrati sull’isola, «vicino a me
sono rimasti due ragazzi, poi dopo due giorni non li ho più visti, il mare li ha allontanati».
La Guardia costiera e la Guardia di finanza hanno avviato le operazioni di perlustrazione dell’area
in cerca delle persone, mentre la procura di Agrigento ha fatto sapere che aprirà un’indagine per
naufragio colposo. La superstite è invece stata portata nell’hotspot di Lampedusa, dopo essere stata
visitata nel poliambulatorio dell’isola, ed «è in buone condizioni di salute», ha detto all’Ansa il
responsabile della struttura, Francesco D’Arca. Arrivata all’hotspot, dove «verrà seguita da
un’equipe di psicologi», ha dormito per ore. A raccontarlo il sindaco di Lampedusa e Linosa,
Filippo Mannino, precisando che rimarrà sull’isola fino al trasferimento «verosimilmente venerdì»
in un’altra struttura sulla terraferma.
«Chi darà conto a questa bambina del perché quella barca partita da Sfax è stata lasciata naufragare?
Chi le risponderà se domani chiederà di suo fratello e cercherà di rintracciarlo?». Sono queste le
domande da porsi di fronte alle politiche che l’Europa stringe con i paesi terzi, dice Silvia Di Meo,
che le definisce «necropolitiche di frontiera».
Di Meo è antropologa e fa parte della rete “Mem.Med – Memoria Mediterranea”, che si occupa di
ricerca e identificazione delle persone disperse nel Mar Mediterraneo e che ha raccolto la sua
attività in un recente rapporto “Violenze, resistenze e memorie. Tra le due rive del Mediterraneo”.
«Nel caso specifico, ci sembra ci sia un’effimera ed estemporanea reazione dell’opinione pubblica e
mediatica che si solleva solo nel caso di grandi numeri, come il naufragio di Cutro, o di bambini, o
ancora quando si vedono i corpi», prosegue Di Meo. È accaduto con il corpo del piccolo Anas.
I naufragi fantasma
Se la bambina superstite non fosse stata trovata e salvata da un’ong, questo caso si sarebbe aggiunto
alle decine di naufragi fantasma che spariscono nel Mediterraneo. Se non avesse raccontato di
essere partita con altre 44 persone, quei corpi sarebbero stati inglobati dal mare, senza memoria.
«Quando non c’è la materialità di un corpo, il lutto pubblico in qualche modo si ritrae», sottolinea
Di Meo, perché «quando la violenza non si può vedere, non viene raccontata». Per l’antropologa
però questo non vedere è una scelta politica e un’altra forma di violenza che ricade sulle persone
migranti.
Il rapporto della Fondazione Migrantes “Il diritto d’asilo” dedicato alle migrazioni forzate,
presentato mercoledì, riporta una stima (minima) – alla fine di agosto 2024 – dei rifugiati e migranti
morti o dispersi nel Mediterraneo di 1.342 unità, 1.053 le vittime nel Mediterraneo centrale. Dopo
un triennio in diminuzione, il rapporto tra morti e dispersi in mare e arrivi in Italia o Malta,
sottolinea il report, è in crescita per il secondo anno consecutivo. Una persona su 40 rischia di
perdere la vita sulla rotta.
Sono però stime al ribasso perché «non esiste un dato ufficiale delle persone scomparse», spiega
Yasmine Accardo, attivista di Mem.Med, realtà che aiuta le famiglie di origine a ritrovare i loro cari
che hanno attraversato il Mediterraneo centrale. Accade però che anche i familiari perdono le tracce
«e non hanno più i recapiti», soprattutto per chi passa dalla Libia. Per Accardo «la dispersione è
impressionante. Le persone che riusciamo a trovare noi sono una goccia».
Sono proprio le ong le uniche realtà in grado di testimoniare questi naufragi. Politiche nazionali ed
europee mirano però a ostacolare e criminalizzare il loro lavoro. Ne è un esempio, il recente decreto
flussi approvato dal parlamento, che ha inasprito i fermi amministrativi e le sanzioni: per Sea
Watch, l’ennesimo tentativo «di limitare e ostacolare la presenza delle navi umanitarie» e arrivare a
un definitivo abbandono del Mediterraneo.
L’ong Mediterranea, dopo la notizia del salvataggio della bambina, ha lanciato l’allarme di altri tre
possibili naufragi. Intanto però, su un altro fronte, la Commissione europea ha autorizzato i
respingimenti di migranti alla frontiera con la Bielorussia. Una decisione persa appena dopo la
pubblicazione del report di Human Rights Watch, che rileva gravi abusi da parte delle forze
dell’ordine polacche e deportazioni illegali.
L’invisibilizzazione dei naufraghi e dei dispersi è frutto anche della normalizzazione dei morti di
frontiera, conclude Di Meo: «Normalizzazione che dipende da un discorso politico che tende a
vedere come conseguenza naturale queste morti e che porta a far sì che questo massacro senza fine
non scuota più le coscienze, ed è questo il vero ostacolo poi al contrasto di queste politiche»




il commento al vangelo della domenica

E TANTO BASTA
il commento di E. Ronchi al vangelo della terza domenica di Avvento di Avvento
Sof 3, 14-18 – Fil 4, 4-7 – Lc 3, 10-18
​Solo ogni tre anni, purtroppo, ritornano le parole straordinarie del piccolo e sconosciuto profeta Sofonia: Dio è felice. Felice per te.
Ogni volta la stessa emozione: esulterà di gioia per te! Esultare è il verbo della danza. Il profeta intuisce la danza dei cieli, come quella di Davide davanti all’Arca, come Miram col tamburello al mar Rosso; come Giovanni nel grembo di Elisabetta, come Maria nel Magnificat. Tutt’intorno a te, la danza di Dio. Che crea.
Ma subito dopo, il vangelo ci mette i piedi ben piantati per terra e ci riporta diritto dentro il quotidiano, con Giovanni, il ruvido profeta, prosciugato dal sole.
Va da lui tanta gente: da Gerusalemme ci volevano giorni di cammino. Cosa cercano? Le loro domande sono precise, serie: che cosa dobbiamo fare? A quale gancio concreto appendere la vita?
E le risposte sono chiare e serene; indicano piccole scelte possibili a tutti.
La prima: chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha, e chi ha da mangiare ne dia a chi ne è privo.
L’economia dell’accumulo sostituita dall’economia del dono, lo shopping convertito in condivisione. “La conversione passa per le tasche” (Papa Francesco).
Ed entrano in scena i più amati da Luca, i poveri, quelli “che non hanno”.
Il vero problema del mondo non sono i poveri, ma i ricchi. Da loro viene il disordine: c’è abbastanza pane per tutti sulla terra, e manca per l’avidità di pochi.
A tutti il profeta ripete: hai un capitale, sono i poveri! Hai un tesoro, non sono BOT o Fondi, ma “quelli che non hanno”. Investi in relazioni, sono il tuo patrimonio.
La seconda: Non esigete nulla più di quanto vi è stato fissato.
Allora, applicherò semplicemente l’onestà. Non quella degli altri, ma la mia, l’unica in mio potere.
E a chi ha ruoli di autorità: non maltrattate e non estorcete niente a nessuno. Non approfittate della posizione per umiliare; non abusate della vostra forza per maltrattare o per far piangere.
Giovanni, mangiatore di insetti, di una ascesi quasi feroce, non chiede niente di straordinario agli altri, non dice “lascia tutto e seguimi nel deserto”, ma indica cose fattibili, a chiunque:
non tenere tutto per te; non stringere le mani ad artiglio su ciò che hai;
non rubare, non passare nel mondo da predatore e abusatore.
La conclusione è potente: Viene uno più forte di me e vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco.
Lui “voce come rombo che grida nel deserto” fa un passo di lato, indica un Gesù più forte, e non perché si impone, ma perché parla al cuore. Sussurra, e tu lo segui.
E’ il più forte perché è l’unico che “battezza nel fuoco”, uno che ha acceso milioni di vite e le ha rese felici. Questo fa di lui il più forte. E il più amato.
In questi pochi giorni che mancano al Natale, alziamo lo sguardo!
A testa alta, per vedete il sorriso e la danza di Dio.
Per saperci amati, da quel fuoco, e tanto ci basta.



campi di concentramento in Albania

il lupo è arrivato – e  noi che facciamo?

di Marco Ronconi
in “Jesus” del dicembre 2024

 

«Il problema dei campi di concentramento in Albania non è che sono uno spreco di denaro, ma che sono campi di concentramento»

È vero che a forza di gridare «al lupo, al lupo», alla fine ci si stanca e si finisce per abbassare la guardia. Temo tuttavia che oramai sia inutile, perché il lupo è arrivato. L’ho pensato assistendo a un battito al bar sulla vicenda dei migranti fatti «ospitare» dall’Italia in strutture appositamente costruite in Albania. Entrambi gli interlocutori erano contrari, ma la motivazione su cui si sono più soffermati è stata lo spreco di soldi pubblici che, alla fine, per migliorare la sicurezza della nostra nazione ossia per imprigionare un migliaio di persone in attesa di giudizio – quindi di per sé innocenti fino a prova contraria – al di fuori dei confini (e quindi anche delle tutele giuridiche fondamentali), si spenderà oltre mezzo miliardo di euro in 5 anni.
Il primo ha fatto un paragone con la capienza di un carcere come Rebibbia, a Roma: con quella cifra forse si sarebbero potuti costruire altri istituti detentivi in grado di contenere un numero ben maggiore di persone. L’altro ha fatto un rapido conto del costo per ogni migrante detenuto chiedendosi cosa si sarebbe potuto produrre in alternativa, ma a quel punto avevo già finito di  ascoltare. Sia nel film La vita è bella di Benigni che nello spettacolo Ausmerzen di Marco  Paolini si racconta che al tempo del fascismo e del nazismo, per spiegare la matematica ai
bambini, si chiedeva loro di calcolare quante famiglie tedesche o italiane sarebbero state
aiutate se si fosse dirottato su di loro il denaro speso per curare gli etilisti o per occuparsi dei
malati di mente. Ricordo i brividi quando vidi quelle due scene e li ho riconosciuti identici
quando ho ascoltato poche settimane fa quella discussione.
I campi di concentramento, di lavoro e di sterminio non nacquero improvvisamente sotto i
governi nazifascisti. Furono preparati con pazienza, facendo fare all’opinione pubblica un
passo alla volta, iniettandogli dosi progressive di veleno. Quando alla fine apparvero, nessuno
più ne discuteva la legittimità, semmai il meccanismo di funzionamento. Per Adolf Eichman,
ancora decenni dopo la loro fine, la questione non era quanti vi morivano e le condizioni in cui vi erano costretti, ma l’uso più efficiente possibile delle risorse. Da più di dieci anni non solo tolleriamo, come Stato Italiano, ma addirittura sovvenzioniamo campi di tortura in Libia,
trafficanti di esseri umani mascherati da poliziotti in giro per il Mediterraneo, governi più o
meno autoritari che imprigionano e abusano di persone che vorrebbero fuggire da situazioni
altrettanto tremende. Lo facciamo tacidando la coscienza sotto una dose crescente di parole e
ragionamenti venefici. All’inizio queste pratiche erano incredibili e infatti per un certo tempo
le si è semplicemente negate, poi si è distrutta l’autorevolezza di chi ne denunciava l’esistenza,
ci si è inventato un sacco di nomi falsi per nascondere il male che si perpetrava (in Libia si
chiamano «Centri per l’accoglienza», ad esempio), ad esempio) e infine ci si è convinti della
loro ineluttabilità difendendola con una violenza senza pudore. Oggi si discute della loro
efficienza. Come però ha scritto Stefano Feltri riprendendo la portavoce di Sea Watch, Giorgia
Linardi: «Il problema dei campi di concentramento in Albania non è che sono uno spreco di
denaro, ma che sono campi di concentramento»




il commento al vangelo della domenica

NOSTRA SORELLA DELL’ARCOBALENO

solennità dell’Immacolata Concezione

Lc 1,26-38

Anche il nostro “sì” può cambiare il mondo; tutti noi possiamo segnare nascite sul libro della vita, e tracciare arcobaleni sul calendario della storia.

Maria è la prima della lunga carovana dell’umanità. E noi che immacolati non siamo, camminiamo dietro a lei, nostra prima sorella.

Porrò inimicizia tra il serpente e la donna. Che potenza! Ostilità tra la donna che ama la vita e il serpente che ama il suo contrario.

Adamo ed Eva la vita l’hanno appena fallita, e Dio, contro ogni evidenza, li chiama solennemente nemici del male.

Stupendo: io sarò ferito e sporcato dal male, ma non sarò mai amico suo!

E sento ancora: Tu le insidierai il calcagno, ma lei ti schiaccerà la testa. Il serpente, il male ti raggiunge da dietro, è un passato che talvolta ritorna e fa molto male, ma è in basso, non arriva al cuore dell’uomo, non è davanti a te, non è il tuo orizzonte.

Adamo ed Eva escono dal paradiso portando con sé un germe di vittoria: schiaccerai la testa del serpente. Puoi vincere.

In noi c’è un pezzettino di Dio luminoso, c’è in noi una stella sufficientemente lontana perché i nostri errori non possano mai offuscarla (Ch. Bobin).

L’angelo Gabriele se ne vola via da Zaccaria, sbattendo le ali sulla sua incredulità, e atterra in un paesino assolato e sconosciuto, in una casa qualunque, fra pentole e telai.

È il vangelo delle prime volte: è la prima volta che Dio si rivolge ad una donna. Che la creatura ha l’ultima parola nel dialogo con il cielo. È la prima volta di una parola mai udita: sei piena di grazia! Il tuo nome è: amata-per-sempre.

L’angelo aggiunge: Dio è con te. Parola che avrebbe dovuto mettere in guardia la ragazza, perché con quelle parole nella Bibbia Dio convoca ad una avventura ardua come una sfida.

Maria, avrai un figlio, tuo e di Dio. Gli darai nome Gesù.

Da ragazza matura e intelligente, Maria obbietta e argomenta, vuole capire: dimmi come avverrà! E l’angelo: viene l’infinito nel tuo sangue, la luce che ha generato gli universi si aggrappa al tuo seno. Cosa importa il come!

E tuttavia Gabriele resta lì, a spiegare:

evoca lo Spirito come era sulle acque dell’origine,

come era la sua nube che scendeva nel deserto,

e la invita a pensare in grande, più in grande che può.

Fidati, sarà Dio a trovare il come.

E se noi siamo qui oggi, se possiamo dirci cristiani è per la fede, la libertà e il coraggio di questa ragazzina che ha detto: sono qui,

Tu sei il Dio dell’alleanza, e io sarò l’alleata del Dio delle alleanze.

Dove tu andrai anch’io andrò, il tuo sogno sarà il mio sogno.

Forse a Maria torna in mente il legame forte tra Ruth e Noemi, o forse è la voce dell’umanità, che invece di dare sempre la colpa a qualcuno, prova a dire: sì, io credo al futuro perché tu sei con me.

Tu hai inventato l’arcobaleno come segno d’alleanza con le creature, e io sarò un piccolo arcobaleno, di pace e di abbracci.

Anche il nostro “sì” può cambiare il mondo; tutti noi possiamo segnare nascite sul libro della vita, e tracciare arcobaleni sul calendario della storia.