Violenza sulle donne: a Lucca denunce in aumento. Manca una casa rifugio per le emergenze: i medici costretti a ricoverare le vittime per non rimandarle a casa
Brunella Menchini su ‘lo Schermo’ fa un apprezzabile punto della situazione a Lucca dove si registrano denunce in aumento e difficoltà di dare un efficace aiuto nel sottrarre le vittime alla violenza il più delle volte intrafamiliare
“Le donne maltrattate a Lucca vengono ricoverate. Per una notte, o anche di più. Se ci sono figli ricoveriamo il bambino in pediatria così la madre può rimanere ad assisterlo ed evitiamo che torni a casa”. A parlare è Piera Banti, dottoressa referente per il codice rosa di Lucca la quale, durante un convegno che si è tenuto giovedì scorso all’Associazione Industriali, ha lanciato un allarme serio e concreto: “Servono case per la prima emergenza. Posti letto in cui collocare le donne dopo che sono state medicate in attesa che si attivino i servizi sociali”.
La vittima è italiana, ha un’età compresa tra i 30 e i 49 anni, spesso è diplomata. In 141 casi la violenza è psicologica mentre per 104 donne si è trattato di violenza fisica o addirittura sessuale (7 casi denunciati nel 2013). Autore della violenza è il coniuge (66 casi su 189) o il convivente (29 casi), ma non mancano gli ex mariti, che sono 14 o i compagni non conviventi (16 casi). Spesso i figli assistono a questi episodi (93 casi su 180) e per lo più sono minorenni (121 su 168). Questi sono i numeri in provincia di Lucca che conta in tutto 335 casi accertati.
Il 25 novembre è giornata internazionale dedicata alla violenza contro le donne: sulla stampa locale e non, si sono rincorsi negli ultimi giorni articoli che hanno snocciolato numeri in sensibile crescita, dati e medie nazionali. Ogni Ente ha organizzato incontri e tavole rotonde.
Ma i numeri restano numeri se non facciamo lo sforzo di guardare oltre. Non siamo di fronte a un aumento di violenza ma a un aumento di denunce. Il fenomeno comincia a poco a poco a venire a galla perché le donne hanno iniziato a parlare. Il tam tam mediatico resiste, il confronto continuo fra medici, operatori sociali e forze dell’ordine funziona: il codice rosa attivo nella nostra provincia ormai da quasi due anni ne è un esempio concreto. Nel 2011 furono 11 i casi rubricati come violenza domestica, 250 nel 2012, primo anno della sua entrata in vigore, mentre ad oggi solo nel 2013 sono 291. Lucca ha la fortuna rara di avere due codici rosa attivi, uno per la piana e l’altro per la Versilia, con due magistrati dedicati e un team di professionisti che operano 24 ore su 24 in caso di emergenza.
La rete c’è. Mancano le strutture.
“Sono donne che arrivano anche in piena notte – spiega la dottoressa Banti – spesso senza niente, solo con quello che hanno indosso. Succede che arrivino con i figli in braccio: bambini che hanno assistito alla violenza. A Lucca esistono alcune case ad indirizzo segreto ma i posti letto sono davvero pochi e poi non possiamo mischiare chi ha già intrapreso un percorso con chi è appena agli inizi”.
Donne che scappano da casa e trovano riparo tra le mura di un ospedale, spesso l’unico posto disponibile dove trascorrere l’anestesia delle botte. Sentirsi sicure con i bambini nel letto vicino senza dover respirare in punta di piedi. Domani è un altro giorno, domani arrivano i servizi sociali. La verità è che spesso domani si torna a casa perchè il baratro di incertezze che si para davanti smorza ogni decisione. E via da capo. Come un incubo da cui non si riesce ad uscire. Fino al prossimo ingresso in ospedale, ogni volta peggiore della prima.
Già nei mesi scorsi Giovanna Cagliostro, prefetto di Lucca, aveva lanciato la richiesta accorata della costruzione di una casa rifugio. Ma ancora nessuno sembra aver accolto il suo suggerimento.
“Dicono che mancano soldi – spiega la dottoressa Banti -. Ma è vitale investire in questo settore. Servono persone non improvvisate, medici, psicologi, gente che con la competenza e la professionalità si guadagna il rispetto e la fiducia di queste donne. Perché alla minima mossa sbagliata, si chiudono in se stesse e allora non possiamo più fare niente”.
Vite compromesse. Vite segnate dalla vergogna proprio perché non sbandate ma inserite in un contesto sociale che le vede attive. Perché gli uomini che usano violenza sono ‘uomini normali’ e spesso all’esterno sono affidabili e pronti allo scherzo.
Proprio per loro, per gli uomini che maltrattano, sarà attivato a breve, anche grazie ai fondi del Rotary, uno sportello dedicato. L’esperimento è in corso a Firenze ormai da quattro anni e sembra che funzioni. Di primo acchito la sensazione è che si guardi ai carnefici invece che alle vittime: “Gettateli in galera e buttate via la chiave” viene da dire. Ma non è così che funziona.
Perché è importante un centro di ascolto di questo tipo? “Perché un marito violento è spesso anche un padre e con i figli dovrà rapportarsi in qualche modo – conclude la Banti -. La violenza poi molte volte è intergenerazionale oltre che seriale. Un uomo maltrattante ha spesso subito a sua volta violenza. E’ poi assai probabile che il suo atteggiamento non si fermi a una sola vittima ma una volta che questa se n’è andata, si manifesti anche nei confronti di altre donne. In ultimo poi, molte donne non vogliono lasciare il compagno di una vita. Vogliono solo che smetta di essere violento. E rivolgersi a uno di questi centri può essere un inizio”.
Brunella Menchini