M. Barros commenta la ‘laudato sì’ alla vigilia della Conferenza Onu sui cambiamenti climatici a Parigi

 

un’alleanza per salvare la terra

di M. Barros

Barros

 

nella sua enciclica Laudato si’ sulla cura della Terra, la nostra casa comune, papa Francesco propone un’alleanza tra tutta l’umanità, credente e non credente, per salvare il pianeta. Una proposta che già era stata avanzata da intellettuali e scienziati, come il nordamericano Edward Wilson, considerato uno dei massimi biologi della nostra generazione, autore del libro La creazione. Un appello per salvare la vita sulla Terra (Adelphi, 2008, dall’originale inglese The Creation: An Appeal to Save Life on Earth, 2006)

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per raggiungere questo obiettivo, il papa propone concretamente un dialogo e una cooperazione tra le religioni. E in questi giorni, alla vigilia della Conferenza Onu sui cambiamenti climatici a Parigi (Cop21), possiamo interrogarci su come le religioni possano contribuire a questo sforzo dell’umanità per salvare la Terra e garantire il futuro della vita sul pianeta.

1. L’attuale relazione delle religioni con la natura

Tutte le religioni conosciute, in un modo o nell’altro, considerano la natura un luogo speciale della manifestazione del Mistero divino, con la differenza che alcune pongono maggiormente l’accento sulla sacralità della stessa natura, percepita come divina. Le più antiche religioni orientali riconoscono nell’universo un’Anima universale (Atma o Brahma) che abbraccia tutto. Altre conservano i loro miti sulla creazione, a cui guardano in modi piuttosto diversi tra loro. La maggior parte delle religioni è consapevole del fatto che la fede si esprime in termini poetici e simbolici e dunque non entra in competizione con le spiegazioni scientifiche. È possibile che queste religioni condividano quanto scrive papa Francesco: «Per la tradizione giudeo-cristiana, dire “creazione” è più che dire natura, perché ha a che vedere con un progetto dell’amore di Dio, dove ogni creatura ha un valore e un significato» (Laudato si’, n. 76).

Nelle tradizioni orientali e nelle religioni originarie dell’Africa e dei popoli indigeni americani, come pure nelle religioni abramitiche, esistono i fondamenti per una cultura del rispetto e della comunione con la natura, ma sembra che tale maniera di professare il culto e di dare senso alla vita non giunga a trasformare le relazioni economiche e sociali a un livello più ampio. La cultura d’amore che le religioni suscitano in relazione alla Terra, all’acqua e alla natura è ancora generalmente circoscritta ai culti e alle pratiche religiose. Contribuisce alla creazione di culture più rispettose nei confronti della natura, ma non si esprime ancora come indignazione etica in relazione all’attuale sistema che trasforma tutto in merce.

2. La Chiesa e l’ecologia

Non possiamo negare che l’ecologia sia sorta in ambienti estranei alla Chiesa e che, fino a mezzo secolo fa, le Chiese non solo non mostravano sensibilità per la questione ecologica, ma mantenevano anche una visione antropocentrica contraria alla cura della natura. Lo stesso sistema patriarcale e capitalista è sempre sembrato legittimarsi a partire da una visione del mondo che per convenzione è stata chiamata “cultura giudaico-cristiana”. Non a caso, diversi studiosi europei e americani hanno ricondotto a tale cultura giudaico-cristiana la mentalità dominante nella società occidentale, accusandola di aver preso troppo sul serio l’antropocentrismo esasperato della Bibbia, secondo cui Dio creò l’essere umano come “signore della creazione”, con l’ordine di soggiogare la natura e domarla a suo piacimento. Una concezione biblica che ha offerto all’essere umano il supporto per sfruttare la Terra e distruggerla, invece che per relazionarsi ad essa amorevolmente.

Tuttavia, è possibile rintracciare, partendo dalle Scritture, un profondo amore per la Terra e per la natura in cui siamo immersi, legando così fede biblica e impegno ecologico. La Bibbia mostra che tutto l’universo è sacro. Secondo il primo capitolo della Bibbia, la creazione non si completa con l’essere umano: il culmine è nell’istituzione del “settimo giorno”, lo shabat, il riposo divino, o in termini più precisi, la pienezza della relazione gratuita e amorosa del Divino con l’universo. Inoltre, la Bibbia insiste sul fatto che esiste una mutua appartenenza, una parentela cosmica, una fratellanza universale tra tutti gli esseri: nella Bibbia, infatti, all’infuori di Dio, tutto è creatura. Tutti gli esseri della Terra sono creature di Dio. Tutti hanno impresso nel proprio essere più profondo il segno del loro Creatore, una dignità specifica e meravigliosa.

3. Un richiamo alla conversione ecologica e all’alleanza eco-sociale 

Attualmente, nel cammino comune per salvare la Terra e la natura, le religioni sono chiamate a rendersi conto che non basta proclamare il fatto che la natura è sacramento del Mistero Divino o che la creazione è continua e che dietro ogni essere vivente c’è lo sguardo amorevole di Dio. È necessario organizzarsi e articolarsi per difendere questa visione contro un sistema sociale ed economico essenzialmente predatorio. All’interno di questo sistema, nessuna misura ecologica raggiungerà la profondità necessaria. In questo senso, è stata una conquista fondamentale che papa Francesco abbia posto al centro del suo pensiero sulla crisi ambientale la critica al sistema economico mondiale e mostrato come soltanto un’ecologia integrale possa rappresentare la soluzione per l’attuale crisi (Laudato si’, cap. IV, n. 137 ss).

Chi vive in America Latina, sa che la crisi ambientale non si risolverà mai senza affrontare lo scandalo delle immense disuguaglianze sociali. Per salvare l’integrità della vita sul pianeta, è urgente superare questo modello di sviluppo essenzialmente anti-ecologico e, allo stesso tempo, garantire a tutta la popolazione povera l’accesso “alla Terra, al lavoro e alla casa”, come il papa ha riconosciuto nel suo incontro con i movimenti sociali.

Senza dubbio, in questa presa di posizione salda e risoluta in difesa del pianeta, le comunità indigene e di origine afrodiscendente, secolarmente emarginate e strutturalmente povere, non avranno le stesse possibilità di far sentire la propria voce di altre comunità religiose ben più influenti nel mondo. Il papa, infatti, può parlare dinanzi all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il Consiglio Ecumenico delle Chiese, la United Religions Initiative (URI) e il Parlamento Mondiale delle Religioni per la Pace vengono consultati dagli organismi internazionali.

In ogni modo, i cambiamenti più profondi si realizzeranno a partire dal basso, in un processo culturale che non può che essere rivoluzionario, dovendo investire tutte le dimensioni della società.

4. L’agenda di Dio nell’agenda dell’umanità

Da quando le Nazioni Unite hanno iniziato a promuovere conferenze e riunioni mondiali sui cambiamenti climatici (Stoccolma, 1972) e la società internazionale ha assunto una coscienza maggiore della crisi che il mondo attraversa, alcuni passi avanti sono stati compiuti nel controllo delle emissioni di gas tossici e nei protocolli relativi a questioni concrete come la deforestazione, la crisi idrica e il riscaldamento globale. Tuttavia, i passi sono stati timidi e non sempre le decisioni corrette sono state adeguatamente messe in pratica dai governi. Tali contraddizioni rivelano come la crisi ecologica non si risolva con misure parziali e isolate. Già molti anni fa gli scienziati affermavano che “il virus che provoca la malattia non potrà fornire il rimedio per curarla”. Ed è quanto la società civile ha espresso nelle più recenti Conferenze Onu sui cambiamenti climatici, organizzando vertici dei popoli e conferenze parallele, come avverrà anche in occasione della Conferenza di Parigi.

In tale contesto, il primo impegno delle religioni rispetto all’agenda ecologica è, anziché promuovere iniziative isolate e parallele, associarsi a questo cammino della società civile e dei movimenti e organizzazioni sociali.

All’interno di questo quadro più ampio di azione comune, nella linea di un’alleanza a favore del pianeta, spettano alle religioni alcuni importanti compiti che sono loro propri. Ne elencherò alcuni.

a) Restaurare la dignità della politica. La maggior parte di noi concorda sul fatto che, come scrive Patrick Viveret, «l’egemonia dell’economia sulla politica, nel corso degli ultimi 30 anni, ha rappresentato una catastrofe. Quando, con la crisi del 2008, tale situazione è diventata incontrollabile e senza uscita, le imprese hanno fatto nuovamente ricorso alla politica. Ma che tipo di politica?». È necessario unire tutte le persone di buona volontà e i gruppi articolati della società civile per “democratizzare la democrazia”, ossia per rendere possibile una vera partecipazione delle basi nei processi sociali e politici. Monsignor Oscar Romero definiva la politica basata sul bene comune come la “grande politica”.

b) Sostenere e divulgare la “Dichiarazione Universale del Bene Comune della Terra e dell’Umanità”, elaborata da un gruppo di intellettuali e teologi coordinati da Leonardo Boff e da Miguel d’Escoto: 24 articoli in cui si chiede il rispetto di tutti gli esseri viventi. Chi accetta e assume tale dichiarazione riconosce la Terra, l’Acqua, l’Aria, gli alimenti di base di ogni cultura, la salute e l’educazione come beni comuni non riducibili a merce.

c) Superare l’arroganza antropocentrica. Sebbene abbia una vocazione unica di vita cosciente e pensante, l’essere umano è parte di una comunità più grande che, come la definisce la Carta della Terra, è “la comunità della vita”. Come sottolinea Hans Küng, «fino ad alcuni decenni fa, la posizione comune tra gli studiosi e gli scienziati era data da un antropocentrismo radicale. Negli ultimi anni, sempre di più, tra gli scienziati più consapevoli, si fa strada la concezione biocentrica proposta dalla Cosmologia, la quale afferma che ogni elemento dell’universo ha la propria ragione di essere e la propria autonomia e ricorda che, miliardi di anni fa, molto prima dell’apparizione degli esseri umani, il cosmo già esisteva e può perfettamente continuare a esistere per miliardi di anni dopo la loro eventuale scomparsa». Tutto ciò rappresenta per l’ebraismo e per il cristianesimo una sfida a sviluppare una nuova Teologia della Creazione. Come afferma il teologo Luis Carlos Susin, «oggi, di fronte alla minaccia dell’olocausto ecologico, la Teologia della Creazione è chiamata a essere un’apologia del mondo in quanto creazione divina (…). La creazione, ossia il mondo, la terra, è, in prima e ultima istanza, di Dio».

d) Suscitare una cultura ecologica di contemplazione e di cura della natura. «Scienziati come Ilya Prigogine, Fritjop Capra e Stengens – evidenzia Adolphe Gesché – propongono un nuovo modello di scienza che non si svilupperebbe più a partire dal dominio, dal calcolo e dalla conquista della natura, ma piuttosto dall’ascolto attento e dall’alleanza». Per collaborare con questo nuovo cammino metodologico, le religioni sono chiamate a promuovere una cultura di ascolto amorevole, di cura e di comunione con la natura.

Il teologo e docente di etica Antonio Moser affermava: «Uccidendo il senso del mistero, gli esseri umani perdono il senso di riverenza nei confronti degli altri esseri e di se stessi. Per quanto il dramma ecologico non possa essere risolto senza la tecnica, di certo non potrà trovare una soluzione solamente con la tecnica. Una vera soluzione presuppone un cambiamento di mentalità, guidato da un processo di riscoperta della complessità e della dimensione di mistero che abbraccia tutte le manifestazioni della vita in tutte le situazioni, anche le più dolorose e le più precarie».

e) Seguire una linea di prudenza metodologica in relazione al futuro. Malgrado la Conferenza di Parigi sia centrata specificamente sui cambiamenti climatici, è necessario partire da uno sguardo più ampio. La prudenza metodologica rispetto a ciò che non si conosce fa senza dubbio parte del rispetto per il mistero della natura e per la cura della Terra. Non è etico approvare l’uso di sementi transgeniche e di prodotti chimici le cui conseguenze per la salute della popolazione non siano state sufficientemente valutate.

f) Assumere il principio della sostenibilità della vita e della cura ecologica come un nuovo paradigma di civiltà. Ciò significa individuare la questione ecologica come chiave di comprensione per i più diversi campi del sapere umano e dell’attività umana sulla Terra. E questo implica ripensare tutto, dall’economia alla tecnica fino ai costumi sociali quotidiani, in direzione di una nuova educazione per il buen vivir.

g) Portare tutto questo percorso di cambiamento di visione all’interno delle espressioni della fede e del culto. È urgente rivitalizzare e anche sviluppare ulteriormente la dimensione ecologica vissuta da ogni religione nella sua attività interna ed esterna. All’inizio degli anni ’80, le Chiese ortodosse aderirono alla proposta del patriarca ecumenico Dimitrios di dedicare il 1° settembre o la domenica più vicina a questa data alla preghiera e alla cura della creazione. Questa giornata per la custodia del creato, attualmente rilanciata da papa Francesco, è diventata ufficiale anche per la Chiesa cattolica ed è un ulteriore strumento per unire celebrazione e vita.

Chi crede in Dio, sa che avventurarsi per questo cammino significa lasciarsi guidare dallo Spirito che «soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va» (Gv 3,8).

Marcelo Barros è monaco benedettino, biblista e teologo della liberazione brasiliano. Fa parte della Commissione Teologica Latinoamericana dell’Associazione Ecumenica di Teologi e Teologhe del Terzo Mondo (Asett). È autore di oltre 40 libri e tra i curatori del progetto editoriale in 5 volumi “Per i molti cammini di Dio” (pubblicato in italiano da Pazzini Editore).

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