lettera aperta al papa
quello che i rom possono insegnare alla Chiesa
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 13 del 02/04/2016
Caro papa Francesco, siamo un gruppetto di laici, religiosi e sacerdoti che si è formato attraverso l’amicizia con rom e sinti: una lunga amicizia fatta di frequentazioni e di vita vissuta dentro i campi.
A vario titolo siamo stati un’espressione dell’UNPReS (Ufficio Nazionale Pastorale Rom e Sinti) della Migrantes, fino a quando, per una riforma infelice, non solo si è demandato alle diocesi la responsabilità pastorale, il che è più che giusto, ma si è abolito l’Ufficio nazionale che sensibilizzava e richiamava l’attenzione su questo ambito e che aveva il compito di preparare specificamente gli operatori pastorali e far sorgere una pastorale specifica e coordinata a livello nazionale.
Ci siamo interrogati varie volte sull’utilità di scrivere queste nostre impressioni. A distanza di qualche mese abbiamo deciso di farlo e di diffondere questo nostro scritto, nella speranza che possa essere compreso e accolto.
Quello che ci spinge a scriverti, con spirito fraterno, è il discorso che hai tenuto all’udienza con i rom e sinti, al quale eravamo presenti, in occasione dell’anniversario del pellegrinaggio a Pomezia di cinquant’anni fa.
Sostanzialmente, nelle parole che hai rivolto ai sinti e rom non abbiamo ritrovato lo Spirito di quel cammino pluridecennale di una Chiesa (sia pur piccola e fragile) che vive a contatto con questo popolo. Una Chiesa che con uno sguardo di Fede, cerca e trova anche in questo popolo, il riflesso del Volto Misericordioso di Dio. Siamo convinti che la loro vita continua ad essere per noi un “luogo teologico”, nel quale veniamo anche noi “evangelizzati” da loro. È possibile «vivere il Vangelo con i piedi dentro queste periferie», che in genere sono i campi rom-sinti. Lo stupore nello scoprire che c’è anche un “magistero” che fiorisce dalle periferie, da chi vive al margine della società. Non a distanza, ma da dentro: condividendo, accompagnando e custodendo amicizie, percorsi anche difficili, ma vissuti insieme. La nostra “missione” non è tanto quella di organizzare progetti, nemmeno quella di volerli integrare nei nostri schemi o di porci come risolutori del “problema rom”, anche per il fatto che per noi questo popolo non è affatto un “problema”, come lo è per i più, ma un’opportunità umana e spirituale. Desideriamo semplicemente essere una “presenza ponte” capace di accogliere, di bene-dire, di comprendere punti di vista diversi dai nostri e di raccogliere con cura e attenzione la voce dello Spirito che sussurra, attraverso le vite dei sinti e rom, il Suo Magistero.
Tra di noi c’è chi ha speso la sua vita all’interno dei campi rom, imparando a conoscere e ad amare i suoi abitanti per come sono, con i loro difetti e le loro ricchezze, e alcuni vivono ancora in questi “mondi di mondi”.
Condividere la loro vita ha significato per ognuno di noi dei cambiamenti, graduali ma arricchenti, non sempre facili o scontati. Siamo loro riconoscenti perché ci hanno permesso di entrare nelle loro vite, ci siamo lasciati accompagnare da loro e questa fiducia ci ha permesso di vedere e leggere la realtà con occhi diversi, fino a scoprire, quasi con stupore e meraviglia, che anche “il punto di vista” di chi vive nelle carovane, nelle baracche dei campi merita attenzione, rispetto e ascolto.
Siamo testimoni di perle di Vangelo, nascoste nelle loro esistenze, che nonostante il disprezzo e il pregiudizio di cui sono spesso vittime brillano e illuminano dando senso anche alle nostre vite. Ma per notare questa loro ricchezza, è importante spogliarsi dei pregiudizi presenti e radicati nella maggioranza, e che purtroppo non mancano neanche in chi li avvicina a fin di bene. Un processo che può avvenire a condizione di saper perdere le nostre rigidità mentali, sociali e religiose. La condizione, almeno per noi è “stare dentro” questo mondo. Non può certo avvenire a distanza. A distanza le cose si vedono sfocate, notiamo solo quello che a noi disturba, difficile percepire le sfumature, si rischia di non comprendere in profondità la realtà, le sue dinamiche.
Scusaci se te lo diciamo con franchezza, ma il tuo discorso ai sinti e ai rom ci è sembrato un po’ distante, perché abbiamo sentito riproporre più o meno gli stessi schemi della maggioranza che osserva le cose a distanza e che spesso si limita fare discorsi moralistici: dovete cambiare, scuola, minori, legalità, integrazione… ma senza accompagnamento. In altre occasioni e contesti, invece, sei riuscito a immergerti, capire le situazioni e fare una lettura diversa, coraggiosa e per niente scontata. Ecco questa lettura “altra” ci è sembrata assente nel tuo intervento, eppure il cammino della Chiesa che vive in carovana, da Pomezia ad oggi, ci ha reso sensibili a questa lettura altra e alta.
I campi rom e sinti sono quelle “periferie” di cui ci parli e a cui solleciti la Chiesa a prestare attenzione e ascolto. È un’immagine che ci piace tanto, stimolante ed arricchente: per noi i campi rom sono un “luogo teologico” da contemplare innanzitutto, perché sovente «lo Spirito Santo precede l’arrivo e l’azione dei missionari» (Evangelii nuntiandi).
Sì certo, siamo ben consapevoli delle difficoltà, delle ferite che ci sono all’interno e che ci sono, in modi diversi, in ogni gruppo sociale; alcune sono ben visibili, altre più nascoste e spesso passano inosservate, inascoltate. Contempliamo e celebriamo la vita, fatta di resistenze, di attenzione, di lotta, di fatiche, di paure, di violenza, di prevaricazioni, di riconciliazioni, di gioie, di attaccamento alla vita, nonostante tutto, di sogni e di delusioni. Come tutte le periferie, sono spazi dove il bello e il brutto convivono insieme, si attraversano, si contagiano, ma per noi rimangono spazi di Vita, perché riconosciamo che anche nei loro campi, ci sono manifestazioni di vita buona. Quasi mai questo emerge, si fa risaltare invece solo ciò che è brutto, si sottolinea esclusivamente la devianza o il maltrattamento di pochissimi. Eppure, questa periferia, la vita dei rom, ha qualcosa da insegnare nella Chiesa e con essa alla società. Così è successo a noi.
Tempo fa hai usato l’immagine (bellissima!) del pastore con l’odore delle pecore. L’abbiamo sentita adatta alla nostra esperienza, calzante con la nostra vita a fianco dei rom e sinti. Il loro “odore” è anche un po’ il nostro e il nostro si è trasmesso un po’ a loro e questo disturba non pochi, sia dentro la Chiesa che nella società.
Sono molti oggi ad avvicinarsi a queste periferie con in mano “deodoranti” per coprire il loro odore e renderlo simile al nostro presunto profumo, più presentabile ai nostri nasi, sentendosi incaricati, inviati a decidere cosa devono fare, cosa devono cambiare, decretando anche i tempi e le modalità. Quasi sempre ciò avviene sulle loro teste, senza coinvolgimento e partecipazione dei diretti interessati. La nostra esperienza invece, proprio perché cerchiamo di contemplare la vita che pulsa nei campi, ci dice che sinti e rom sanno cosa è meglio per il loro futuro, quali strade intraprendere e cosa cambiare.
Molti si avvicinano, entrano anche nei campi, ma fanno fatica ad accompagnare e a sedersi a mani vuote nelle loro esistenze per comprenderle meglio. È triste questo: non trovare la strada per saper riconoscere i valori che l’altro ci può comunicare.
Un’ultima nota riguarda il silenzio di una triste realtà che coinvolge migliaia di rom in Italia e non solo, e che senz’altro toccava la maggioranza di quelli che erano presenti all’udienza: la questione degli sgomberi e il suo uso politico. Ci saremmo aspettati almeno un accenno di condanna per il fatto che, sull’altare della sicurezza e del consenso elettorale, vengono scartati interi nuclei familiari, buttati per strada e abbandonati a se stessi, privati dei loro diritti riconosciuti anche dalla Legge: tanto sono “zingari”!
Caro papa Francesco ti abbracciamo forte, sappi che la nostra fiducia in te non è per nulla scalfita, ma ci preme farti conoscere anche questo lungo e arricchente cammino pastorale che stiamo portando avanti, anche grazie ai sinti e rom che ci accolgono e sostengono con la loro fiduciosa amicizia.
Ti auguriamo ogni bene e mentre ti chiediamo la benedizione del Signore, sappi che preghiamo per te, insieme a tanti sinti e rom che ti ammirano e ti guardano con amicizia,
suor Carla e suor Rita Viberti (campo Rom Torino), p. Luciano Meli (Lucca), don Piero Gabella (Brescia), don Agostino Rota Martir (campo Rom Pisa), Marcello Palagi e Franca Felici (Carrara – Avenza)
*Immagine di Nestor Galina, tratta dal sito Flickr, immagine originale e licenza. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza