L’INVASIONE CHE NON C’È
i dati ci dicono che tra i 5 milioni di stranieri residenti in Italia quasi il 54% è cristiano e il 32,2% islamico. Il 47% degli italiani vive comunque come una minaccia il pluralismo religioso e l’islamofobia resta la principale nemica all’apertura
«Occorre “biblizzare” il Corano e “coranizzare” la Bibbia in modo da percorrere un sentiero che ci porterà a riconoscere la nostra comune vocazione mediterranea in un Mare nostrum inteso come alveo di comunicazione e costruzione di una casa comune»
(prof. Zannini)
nella foto fedeli musulmani riuniti in preghiera a Palermo in occasione dei festeggiamenti per l’ultimo giorno del Ramadan
«Quante invasioni l’Europa ha conosciuto nel corso della sua storia! E ha saputo sempre superarsi e andare avanti per trovarsi, infine, come ingrandita dallo scambio tra le culture», ha detto papa Bergoglio, in un recente colloquio con il settimanale francese La Vie, riferendosi ai flussi migratori in corso verso l’Europa e alle opportunità di incontro e di dialogo che questi portano con sé.
In Italia, d’altra parte, la tanto paventata “invasione islamica” non trova nemmeno fondamento nella realtà, a dispetto di slogan politici propagandistici e titoli di giornale sensazionalistici: degli oltre 5 milioni di immigrati attualmente residenti nel nostro paese, infatti, 2 milioni e 700 mila (53,8% del totale) sono cristiani, mentre i musulmani ammontano a 1 milione e 600 mila (32,2%), con una incidenza di appena il 2,9% sulla popolazione totale in Italia, seguiti da 330 mila fedeli di religioni orientali, 221 mila atei e agnostici, 84 mila appartenenti a gruppi religiosi difficilmente identificabili, 55 mila immigrati provenienti da aree dove sono diffuse religioni tradizionali e, infine, 7 mila ebrei.
A dirlo sono i dati 2015 contenuti nel Dossier statistico immigrazione a cura del Centro studi e ricerche IDOS, che raccontano, anche, come l’insediamento dei musulmani in Italia sia più recente rispetto al resto d’Europa e che gli islamici provengono soprattutto da Marocco, Albania, Bangladesh, Egitto, Pakistan, Tunisia e Senegal.
Dal rapporto, del resto, si evince come l’immigrazione stessa sia il fattore principale che contribuisce ad allargare, in Italia, i confini della scena religiosa nell’ottica di un nuovo pluralismo, «per trovarsi infine come ingrandita dallo scambio tra le culture», per usare ancora le parole del papa.
Eppure, secondo dati riportati nel Dossier immigrazione, il pluralismo religioso viene ancora percepito come una minaccia dal 47% degli italiani. Soprattutto «nei confronti dell’islam, il sentimento più comune è quello di ridurre drasticamente l’apertura culturale, fino a vivere la sindrome del “fortino assediato”, quando il nuovo che avanza pare minacciare le proprie appartenenze di fondo e le conquiste acquisite», afferma il teologo e docente di Teologia del dialogo presso la Facoltà teologica dell’Emilia Romagna, Brunetto Salvarani.
L’islamofobia – la «forte avversione, dettata da ragioni pregiudiziali, verso la cultura e la religione islamica», come viene definita dall’enciclopedia Treccani – appare allo stato attuale, dunque, come il principale nemico all’apertura verso il pluralismo religioso, anche nel nostro paese. Intervenendo a un incontro di riflessione sull’appartenenza religiosa degli immigrati in Italia, tenutosi a marzo a Roma presso il Pontificio istituto di studi arabi e d’islamistica, il professor Francesco Zannini, docente di Storia dell’islam contemporaneo, ha messo in guardia dai rischi dell’islamofobia, che «si nutre di paure e di cliché, può arrecare danni irreparabili e sfociare nel rifiuto dell’incontro dell’altro». «Inoltre – ha proseguito – l’ostilità porta alla ghettizzazione e nella ghettizzazione può trovare terreno fertile la radicalizzazione».
Per vincere la battaglia contro l’islamofobia e a favore del dialogo interreligioso, oltre a dare maggiore spazio e a raccontare sui media il lato positivo del fenomeno migratorio, secondo il professor Zannini è quanto mai opportuno che cristianesimo e islam camminino insieme: «Occorre “biblizzare” il Corano e “coranizzare” la Bibbia in modo da percorrere un sentiero che ci porterà a riconoscere la nostra comune vocazione mediterranea in un Mare nostrum inteso come alveo di comunicazione e costruzione di una casa comune».