stipare violenza riporta alla clava
Ammassare violenza riporta alla clava come strumento di regolazione degli interessi confliggenti. Comporta l’estinzione della civiltà umana. L’apocalissi. Se è quello che si vuole, la via imboccata è quella giusta.
di Rosario Aitala
in “Avvenire” del 15 dicembre 2024
Scrive Carl von Clausewitz che «la guerra è un atto di forza all’impiego della quale non esistono
limiti: i belligeranti si impongono legge mutualmente; ne risulta un’azione reciproca che
logicamente deve condurre all’estremo». Il generale prussiano scopre la formula dell’apocalisse
nella «tendenza all’estremo» della violenza bellica che la politica è incapace di contenere. Intuisce
la spaventosa irrazionalità delle guerre, scontri parossistici reciprocamente incrementali che
segnano il corso della storia. Colto d’improvviso dalla morte, non completa il suo trattato Sulla
guerra, pubblicato postumo dal 1832 al 1837. Di recente, Lucio Caracciolo ne ha riportato alla luce
il pensiero per descrivere i conflitti attuali, senza scopo né termine.
Rileggiamo la formula «i belligeranti si impongono legge mutualmente». Già nell’antichità e in
maniera incrementale, con un acme alla metà del Novecento, gli Stati si sono imposti legge
reciprocamente in altro senso. Non per rilanciare all’infinito la violenza ma per regolare e per
contenere il ricorso alla guerra e le modalità e mezzi con cui possono condursi le ostilità.
Nel 1859 Jean Henri Dunant, banchiere ginevrino, si trova nei pressi di Solferino dove si sono
scontrate le truppe austriaco- venete e franco-sarde, con ventitremila vittime. Scosso dalle
sofferenze dei feriti lasciati a perire sul campo di battaglia si dedica a cercare «spazi di civiltà nei
contesti disumanizzanti della guerra», parole del presidente Mattarella. Scrive “Un ricordo di
Solferino” e avvia il progetto del Comitato internazionale della Croce Rossa che nasce cinque anni
più tardi con la Convenzione di Ginevra sul miglioramento delle condizioni dei feriti in battaglia.
Sarà l’osservazione della mostruosità dei conflitti mondiali a spronare la formazione del diritto
internazionale dei conflitti armati o diritto umanitario.
«Anche nella guerra c’è una moralità da custodire». Così papa Francesco ha spiegato il senso del
diritto umanitario.
Il “diritto dell’Aia” regola la condotta delle ostilità e proibisce mezzi e metodi di combattimento
particolarmente atroci, come gas velenosi e armi batteriologiche, tossiche e chimiche e l’impiego
dei bambini-soldato. Il “diritto di Ginevra” garantisce protezione umanitaria ai civili non
combattenti e ai beni non militari. Ruota intorno a quattro principi. Umanità: non si infliggano
sofferenze superflue. Distinzione: non si usi violenza contro persone e beni protetti. Proporzionalità:
non si attacchi sapendo che si causeranno danni incidentali, cioè morti innocenti e distruzioni
ingiustificate, smodati rispetto alle esigenze militari. Precauzione: si adotti qualsiasi accorgimento
per risparmiare gli incolpevoli.
Si sollevano due obiezioni. Il diritto internazionale non è rispettato. Dunque non esiste, è un teatro
di cartapesta. È vero che gli Stati tendono a servirsi della legge internazionale à la carte. Non di
rado il diritto soccombe alla brutale iniquità del potere, si dimostra impotente davanti all’arroganza
della forza arbitraria. Ma il diritto e le corti internazionali sono imprescindibili, come il codice
penale e i tribunali in Italia davanti alla constatazione che nonostante tutto si continua a uccidere e a
rubare. Le norme internazionali hanno reso la guerra meno disumana. Hanno permesso condanne
morali, politiche, giudiziali per le atrocità in Jugoslavia, Ruanda, Darfur, Mali, Uganda, Repubblica
centrafricana, Myanmar.
Fanno sentire la propria voce nei conflitti attuali. Il diritto internazionale è insufficiente ma
necessario perché la forza brutale non sia legittimata e giustificata come unico strumento per
comporre le controversie.
L’altro rilievo: «Truman e Churchill erano criminali di guerra?» Era un altro tempo, regole e corti
non esistevano. Ma non si può dubitare che mancassero di logica militare i bombardamenti delle
città tedesche che sterminarono seicentomila civili innocenti. «Coloro che hanno scatenato questi
orrori sull’umanità, sentiranno sulle proprie case e le proprie persone i colpi dirompenti di un giusto
castigo», disse Churchill. Negli Stati Uniti i giapponesi erano considerati una «razza inferiore e
incivile» e rinchiusi in campi di concentramento. Il capo di Stato maggiore dell’aviazione Curtis
LeMay, responsabile dei bombardamenti indiscriminati dei civili giapponesi, entusiasta sostenitore
degli ordigni nucleari, riconobbe: «Se avessimo perso il conflitto, saremmo stati tutti processati
come criminali di guerra». Gli ha dato ragione anche il segretario alla Difesa, Robert McNamara:
«Lui, e direi io, ci comportavamo da criminali di guerra». Alla fine della guerra, due milioni di
bambine e donne tedesche, da otto a ottant’anni, furono violentate.
Ne morirono duecentomila per violenze, ferite, malattie, suicidio. La logica degli Alleati era la
vendetta. I popoli dovevano pagare per i crimini dei propri governanti.
Oggi sono cinquantasei i conflitti armati in corso. Centinaia di migliaia le vite spezzate. Milioni di
sfollati, di bambini dall’infanzia negata. L’odio fermenta e alimenta il ciclo della violenza e della
vendetta. Si combatte anche un’altra guerra non meno pericolosa. Contro il diritto, i diritti
fondamentali, i tribunali internazionali, le Nazioni Unite. Ai giudici internazionali sono
somministrati insulti, mandati di cattura, sanzioni finanziarie e minacce di morte. Ci si scandalizza
per le loro decisioni, ma non per le atrocità che accertano. Gli stolti guardano il dito e ignorano la
luna. Il desiderio di fare tabula rasa della civiltà del diritto accomuna in un’irrazionalità furiosa
democrazie e dittature, Occidente e anti-Occidente. I conflitti armati sono processi politici,
rammentano Marcello Flores e Giovanni Gozzini in “Perché la guerra”. La politica deve comporre
le controversie senza spargimento di sangue e ,quando le guerre scoppiano, limitarne la disumanità,
evitare che si trascinino senza scopo, fermare il male incrementale, costruire vie di pace. Se la
politica smette di essere misura e limite della guerra, questa resta solo violenza selvaggia, fine a sé
stessa, inconclusiva, folle. La forza economica e militare e, nel migliore dei casi, la politica
governano il mondo, non la legge. Non ci sfugge. Ma diritto e politica stanno e cadono insieme. La
sconfitta del diritto decreta la morte della politica.
Ammassare violenza riporta alla clava come strumento di regolazione degli interessi confliggenti.
Comporta l’estinzione della civiltà umana. L’apocalissi. Se è quello che si vuole, la via imboccata è
quella giusta