considerazioni molto critiche, troppo, non senza qualche ragione, però, nei confronti dei social network, in particolare nei confronti di fecebook
Facebook è un diritto dell’uomo?
Tutti connessi ovunque: ci sono 5 miliardi di persone da raggiungere, convincere, profilare, sfruttare. È iniziata l’era del colonialismo digitale.
Colonialismo: espansione di una nazione su territori e popoli all’esterno dei suoi confini, spesso per facilitare il dominio economico sulle risorse, il lavoro e il commercio di questi ultimi.
In alcuni paesi Facebook è Internet! In Indonesia, ad esempio, i giovani comprano delle carte prepagate per potersi collegare ad Internet tramite cellulare, utilizzando per lo più Facebook. Lì è una questione culturale, ma anche di tecnologia, dato l’elevato numero di cellulari presenti nel paese. Anche in altri paesi l’uso di Facebook è pervasivo. Ad esempio in Italia la crescita appare inarrestabile. Si stimano circa 24 milioni di utenti attivi (l’86% degli internauti) con 17 milioni di accessi al giorno. Il dato più significativo è l’accesso dal mobile: 15 milioni al giorno. Del resto Mr. Facebook, al secolo Mark Zuckerberg, non ha mai fatto mistero di voler portare il suo social network ad ogni essere umano vivente sul pianeta. Trattandosi di un’azienda che guadagna grazie ai dati dei suoi utenti è facile comprendere che non può avere altro obiettivo che incrementare gli utenti e i dati da spillare loro. Facebook Home Poiché al giorno d’oggi l’accesso a Internet avviene sempre più tramite cellulari e smartphone, la mossa di introdurre una nuova App che mettesse Facebook in primo piano appariva del tutto appropriata: “Facebook Home mette gli amici in primo piano sul tuo telefono. Sostituisci la schermata iniziale standard con una sequenza continua dei post e delle foto dei tuoi amici. Accedi alle applicazioni con un semplice passaggio”. Di fatto Facebook Home sostituisce la pagina principale (Home) dello smartphone sovrapponendo le informazioni provenienti da Facebook. Un modo per reinventare l’accesso alla rete, per far sì che le persone entrino immediatamente in Facebook e non avvertano più la necessità di uscirne. La filosofia di Facebook la si comprende bene nel momento in cui si clicca su un link che porta fuori dal social di Menlo Park, oppure si prova a cancellarsi. L’utente viene “avvertito”: vuoi davvero uscire da Facebook? Facebook vuole accreditare l’idea che il suo ambiente, a differenza del resto del web, è sicuro, confortevole, familiare, utile. È lì che trovi le notizie, che parli con i tuoi amici, che mantieni i contatti con chi abita lontano, che incontri le persone, che esprimi la tua opinione, è lì che partecipi e condividi. Insomma hai Facebook, che altro puoi volere? Facebook Home è un’applicazione strettamente integrata nell’ambiente Android, praticamente si avvia e non si spegne più. Anzi è Facebook Home il pulsante di avvio per le altre applicazioni dello smartphone, che quindi ne diventa quasi il sistema operativo. Ciò consente a Facebook di ottenere informazioni su tutto ciò che l’utente fa, sul cellulare o con il cellulare. Anche le informazioni sulla posizione vengono recuperate costantemente (tramite gps o, se questo è spento, tramite i sistemi di posizionamento della rete cellulare). Se uno smartphone sta fermo dalle 23 alle 7 in un determinato luogo, quella è casa vostra. Da qui il passo è breve: i negozi nei dintorni, i luoghi di interesse… è facile correlare tutti i dati, e in questo modo Facebook sa tutto di te. Facebook Home è la migliore applicazione mai creata per realizzare un profilo personalizzato di ogni utente a fini di marketing diretto. Eppure la rivoluzionaria ed innovativa applicazione, lanciata nell’aprile 2013, è stata un fallimento. Anche se scaricata qualche milione di volte, in confronto alle altre app e soprattutto al numero di utenti di Facebook nel mondo, la disfatta è stata clamorosa, affondando anche le vendite dello smartphone HTC che la indossava di default. Probabilmente non è per motivi di privacy, del resto ben pochi realmente si preoccupano di queste cose, forse l’app semplicemente non è piaciuta, per i vari bug di cui era afflitta, perché riduce drasticamente le possibilità di personalizzazione dello smartphone (caratteristica principale di Android rispetto ad iOS), ma forse anche per come si presenta, pervasiva e soffocante. È la migliore app se vuoi usare il tuo telefono per fare “like”, ma se devi farne qualcos’altro? E poi, quelle meravigliose schermate con evocative immagini che si vedono nelle pubblicità, a meno che tutti i nostri amici non siano fotografi professionisti nella realtà si trasformano in un’orribile accozzaglia di banali fotografie. Forse i tempi non sono maturi, non ancora. L’espansione costante del social in blu è ormai un dato di fatto, ma se l’obiettivo è di portare ogni essere umano sulla Terra ad avere un account su Facebook e di creare un sistema chiuso intorno agli utenti in modo che sentano sempre meno la necessità di “uscire” in Internet, allora si scontra con delle difficoltà oggettive. Non è solo un problema di marketing, non basta convincere gli utenti. Occorre qualcos’altro. Internet.org Ad agosto del 2013 Mark Zuckerberg presenta Internet.org, un consorzio di aziende che mira ad eliminare il digital divide ed estendere a 5 nuovi miliardi di persone l’accesso ad Internet. Gli obiettivi sono semplici: rendere più conveniente l’accesso a Internet; utilizzare i dati in modo più efficiente; trovare nuovi modelli di business che favoriscano l’accesso. In breve: più accesso mobile per tutti e a prezzi più bassi, più soldi per chi gestisce i dati. Contrariamente a quanto possa sembrare per chi lo vive, Internet è ancora un fenomeno di nicchia. Circa 5 miliardi di persone sulla Terra non hanno mai mandato una mail né hanno mai visto un video su YouTube. Non stupisce, quindi, che i colossi del web abbiano iniziato a cercare soluzioni per espandere l’accesso alla rete. Google con Fiber o il Project Loon (Internet for everyone) che porta l’accesso alla rete tramite palloni aerostatici dotati di wifi. Twitter tramite accordi con 250 compagnie telefoniche in oltre 100 paesi con l’intenzione di offrire accesso gratuito ai suoi servizi con cellulari low cost. Nokia attraverso le sperimentazioni in Messico dell’accesso free a Facebook sui propri cellulari, per poi passare all’India e all’Africa. Garantire l’accesso alla rete vuol dire conquistare nuovi mercati e ampliare i soggetti dell’advertising online. Ci sono 5 miliardi di persone da raggiungere, da convincere, da profilare, da sfruttare. Internet è un diritto dell’uomo? In quest’ottica il progetto di Zuckerberg si pone quasi come filantropico. Nel documento “Is connectivity a human right?”, spiega: L’ingiusta realtà economica è che le persone che oggi sono su Facebook hanno molto più denaro del resto del mondo messo assieme, perciò raggiungere gli altri miliardi di potenziali utenti potrebbe non risultare profittevole per noi. Tuttavia, crediamo che chiunque meriti di essere connesso. Per circa 10 anni Facebook ha reso il mondo più aperto e connesso, continua il documento, questo per noi vuol dire tutto il mondo, non solo i più ricchi e i paesi più sviluppati. Adesso noi connettiamo circa 1,5 miliardi di persone, occorre pensare agli altri 5 miliardi. Appare quindi ovvio che non basta solo una nuova app ma occorre riprogettare le infrastrutture di accesso alla rete, ed è per questo che il “filantropico” progetto arruola aziende del calibro di Samsung e Nokia, Ericsson, Qualcomm, MediaTek e Opera Software. Samsung e Nokia sono storicamente i dominatori del mercato della telefonia, e i maggiori detentori di brevetti in questo settore. Sono loro che gestiscono gli standard. Ericsson domina il settore delle infrastrutture globali per la telefonia mobile, come le torri e il relativo software, ed è quindi essenziale per riprogettare un ecosistema wireless. Qualcomm costruisce i trasmettitori wireless e i processori per gli smartphone. Infine, MediaTek costruisce chip per i dispositivi wireless. Del consorzio fa parte anche Opera Software, produttore di software (il browser Opera) ottimizzato per gli smartphone. “Tutti connessi ovunque” è lo slogan della campagna di lancio del progetto di connessione dell’intero pianeta. “Nessuno dovrebbe essere messo in condizioni di scegliere tra accesso a Internet o cibo e medicine”, è l’ambizioso programma del progetto. L’estensione dell’accesso alla rete a miliardi di nuovi utenti comporterà indubbi benefici, considerato che da numerosi studi internet risulta un volano per le economie (attualmente pesa il 20% del PIL dei paesi più ricchi). Ma la storia del filantropo Zuckerberg secondo il quale “Internet è un diritto dell’uomo” non ci deve far dimenticare che Facebook, come tante aziende del web, vive dei dati degli utenti. “Se volessimo solo pensare ai soldi, sarebbe sufficiente il miliardo di persone che è già connesso a Facebook. Ha più disponibilità economica di tutti gli altri 5 miliardi di persone che non accedono al web nel mondo”, ha tenuto a ribadire Zuckerberg a scanso di equivoci. Ma la verità è che al momento Facebook non ha altri mercati nei quali espandersi, e le rigide regole di Wall Street impongono una crescita continua, da qui la necessità di trovare nuovi mercati, se è il caso di crearli da zero. Si tratta di un’esigenza puramente economica. Con Internet.org le grandi aziende si occuperanno di costruire le infrastrutture di internet, ed è ingenuo credere che lo faranno per il bene dell’umanità. Nel frattempo i governi nazionali sembrano sempre più aver abdicato al ruolo di “regolatori” della rete. È iniziata l’era del colonialismo digitale.
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