la tristissima attualità impone, in Italia, ma non solo, una profonda riflessione su una radicale diversa impostazione della politica migratoria che superi il taglio negativo e difensivo nei loro confronti per una vera valorizzazione delle opportunità che le emigrazioni offrono: un bell’articolo dell’antropologo M. Agier su ‘le Monde’ ci aiuta in questo senso
Per una politica migratoria diversa
di Michel Agier
in “Le Monde” del 9 ottobre 2013
Commuoversi, certo. Più di 210 morti e circa 150 dispersi, è, per ora, il bilancio del naufragio in Mediterraneo di una imbarcazione su cui avevano osato salire dei migranti, somali ed eritrei in massima parte. Il tempo dell’emozione è ampiamente dovuto a coloro che sono già morti nel Mediterraneo in questi ultimi anni, così come è dovuto ai sopravvissuti che hanno affrontato l’orrore della traversata ma anche le condizioni deplorevoli della clandestinità in cui le amministrazioni europee hanno deciso di rinchiuderli. Perché la creazione di “clandestini” avviene per decisione di uno Stato (ed è sempre lo Stato che può decidere di “regolarizzarli”). Quanta emozione ci vorrà perché si smetta di commuoversi e che si cominci a riflettere sulle disposizioni mortifere che l’Europa ha messo in atto negli anni 90 contro i migranti per fare una selezione, escludendo gli indesiderabili (soprattutto quelli che vengono dai paesi detti “del Sud”), rigettandoli o mantenendoli in una clandestinità propizia al super-sfruttamento del loro lavoro, o in attesa nei campi di ritenzione? La caccia allo straniero è terribilmente assassina. Né “immigrati” (poiché senza arrivo), né “rifugiati” (perché non hanno potuto fare domanda d’asilo), né “clandestini” (il diritto non ha preso una decisione in merito alla loro condizione), sono morti durante la migrazione. Ed è proprio questa mobilità, che pure viene valorizzata come un segno di un mondo cosmopolita moderno e fluido quando parliamo delle nostre vite, il bersaglio delle polizie e dei governi nazionali quando parliamo delle vite degli “altri”. Le politiche pubbliche di dissuasione della migrazione sono state coordinate a livello europeo a partire dall’inizio degli anni 2000. La Francia, la Gran Bretagna, la Germania e l’Italia, con in quel momento la collaborazione dell’Alto Commissariato per i rifugiati (HCR), hanno cominciato ad immaginare i regolamenti che limitavano l’esercizio del diritto d’asilo (dichiarato nel 1948) ed un accresciuto controllo delle migrazioni e delle frontiere (creazione dell’agenzia di polizia europea Frontex nel 2005). Oltre ai provvedimenti amministrativi e la costruzione di muri e reticolati che impediscono il passaggio, lo sviluppo della propaganda contro lo straniero è stata la caratteristica della maggior parte dei governi dei paesi europei. La Francia non è da meno: l’invenzione di uno “staniero” astratto, fantomatico e repellente vi ha diffuso, a partire dall’alto, la xenofobia come ideologia di Stato, accettata e “governativamente corretta”. Le élite politiche si assumono una responsabilità considerevole quando designano quello straniero come il colpevole di una crisi economica o una minaccia per la nazione. Le morti di Lampedusa potevano essere evitate. Sono il prodotto diretto della propaganda dei governi europei contro lo straniero. Con l’effetto, da un lato, di una criminalizzazione della migrazione e dei migranti e, dall’altro, il ricorso pericoloso ai “passatori” e ad un’economia della proibizione per tutti coloro per i quali la mobilità continua ad essere, comunque, una soluzione vitale. Tuttavia, l’ostilità dei governi europei è solo una piccola parte dell’esperienza della mobilità internazionale di questi ultimi mesi. Vi sono, al massimo, poche decine di siriani che tentano di essere accolti in Francia, che trovano in risposta solo repressione poliziesca e manifestano per potersi spostare in Inghilterra: essi non rappresentano evidentemente una “invasione” di migranti. Invece, i paesi limitrofi della Siria esprimono una solidarietà incomparabile con i rifugiati siriani, come anche il Libano, che ne accoglie circa un milione (per quattro milioni di abitanti del Libano!), e la Giordania mezzo milione. Una solidarietà che fu esercitata dalla Tunisia nel 2011 nei confronti dei migranti provenienti dalla Libia. E ancora oggi i somali si dirigono principalmente verso i paesi limitrofi. Sono più di 450 000 nel campo di rifugiati di Dadaab nel nord-est del Kenya. Ciò che succede nella parte sud del Mediterraneo, in Libia, nel Medio Oriente, in Egitto, potrebbe essere l’occasione di manifestare una solidarietà internazionale. In Francia, per esempio, la questione degli stranieri, dei rifugiati e dei migranti è trattata come un affare di polizia, cosa che
viene confermata con la creazione il 2 ottobre al ministero degli interni di una Direzione generale degli stranieri in Francia. Trasferire questa Direzione generale al ministero degli affari esteri segnerebbe un impegno verso il punto di vista politico del riconoscimento. Attuare delle vie legali per l’immigrazione permetterebbe di indebolire il peso della clandestinità e i suoi rischi. Ciò si può fare partecipando attivamente al programma di reinstallazione dell’Alto Commissariato per i rifugiati siriani in Medio Oriente, per quelli subsahariani in Libia e nel Maghreb; o attivando dei regolamenti già esistenti su scala europea come lo statuto di “protezione temporanea” (2001) o di “protezione sussidiaria” (2004). Senza risolvere la questione centrale del diritto all’eguaglianza nella mobilità, questi provvedimenti sarebbero un segnale di umanità. Direbbero che non è indispensabile rischiare ancora la propria vita per sperare di salvarla. Sarebbero l’inizio di una politica migratoria diversa.
*Michel Agier, antropologo, ricercatore all’ Institut de recherche pour le développement, profesore alla Ecole des hautes études en sciences sociales.