M. Politi in questo bell’articolo evidenzia la determinazione e l’ufficialità della linea innovativa, ‘rivoluzionaria’, di papa Francesco espressa in modo inequivoco in un vero e proprio ‘atto di magistero’ quale è la quasi-enciclica ‘evangelii gaudium’:
il Papa fa sul serio
Ora è ufficiale
di Marco Politi
in “il Fatto Quotidiano” del 28 novembre 2013
Ora che la perestrojka di papa Francesco è messa nera su bianco con la pubblicazione dell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, credenti e mondo laico possono misurare l’ampiezza del progetto di riforma, che il nuovo pontefice ha in mente. Questa volta non si tratta di interviste o di riflessioni colloquiali, ma di ciò che in linguaggio ecclesiastico si chiama un “atto di magistero”. Cioè di un intervento che promana direttamente dall’autorità suprema della Chiesa cattolica. Su questo testo si potranno misurare nei mesi e negli anni a venire successi, resistenze, conflitti (come ne conobbero Giovanni XXIII e Paolo VI) e possibili sconfitte del pontificato argentino.
Francesco vuole rimodellare la Chiesa nella sua struttura, nel suo stile di cura delle anime e nel suo approccio verso la società contemporanea. Allo stesso tempo il nuovo papa sviluppa ancora più robustamente la dottrina sociale della Chiesa, portando a conseguenze più nette l’insoddisfazione di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI nei confronti delle politiche liberiste senza vincoli, che acuiscono la miseria, la precarietà e l’emarginazione sociale, arrivando al punto di lanciare un grido di allarme non retorico: “Fino a quando non si eliminano l’esclusione e l’inequità nella società e tra i diversi popoli sarà impossibile sradicare la violenza. Si accusano della violenza i poveri e le popolazioni più povere, ma, senza uguaglianza di opportunità, le diverse forme di aggressione e di guerra troveranno un terreno fertile che prima o poi provocherà l’esplosione”. Nettissima nelle sue argomentazioni, la parte sociale del documento sarà rapidamente archiviata dalle attuali élites governanti (a cominciare in Italia sia dai partiti di centro e centro-destra che si richiamano alla tradizione democristiana e del partito popolare europeo sia dall’attuale governo e dal rampante aspirante alla segreteria del Pd, Renzi) perché il papa chiede una rifondazione dell’economia sociale di mercato e nessuno dei politici in questione ha il coraggio di affrontare il tema. Sul piano interno – la fisionomia della comunità ecclesiale e il modo di rapportarsi dei “pastori” ai fedeli e ai loro problemi esistenziali – la Chiesa di Bergoglio torna a pensare in grande come ai tempi del concilio Vaticano II, a cui evidentemente si riallaccia. Non perché Giovanni Paolo II e papa Ratzinger non pensassero in grande. Ma il papa polacco si muoveva in grande nel suo dinamismo geopolitico, tenendo però immutata dottrina e struttura della Chiesa. Mentre Benedetto XVI pensava in grande sul piano filosofico, ma lasciava che la Chiesa si chiudesse in una trincea contraria ad ogni innovazione. Francesco intende lavorare per una ristrutturazione del potere nella Chiesa. Vuole chiudere con il centralismo esasperato, arrivare a un ragionevole decentramento, rivedere il modo di esercizio del primato papale riprendendo l’dea di un confronto con le altre Chiese cristiane come auspicato da Giovanni Paolo II nell’enciclica Ut Unum sint. Vuole archiviare il clericalismo esasperato e coinvolgere nei processi decisionali i laici e in particolare le donne, che – scandisce – devono essere presenti nei “luoghi dove vengono prese le decisioni importanti”. (Benché il sacerdozio resti maschile). Soprattutto il suo programma postula un ruolo attivo e proprio delle conferenze episcopali. Qui la rottura con la linea di Ratzinger è netta. Per Ratzinger le conferenze episcopali non avevano nessuna autorità ecclesiale né potevano impegnare il singolo vescovo. Francesco dice il contrario: le conferenze episcopali abbiano un loro statuto preciso, “attribuzioni concrete (e) anche qualche autorità dottrinale”. È la fine (almeno come progetto) dell’assolutismo ereditato dal Concilio di Trento e dell’ossessione di un potere papale quasi divino come l’aveva voluto Pio IX. Quanto alla pastorale il papa sferza i preti, che si abbandonano alla mondanità, l’impigrimento, l’egocentrismo, la rassegnazione, la mania di parlare dal pulpito in veste di “esperti di diagnosi
apocalittiche o giudici oscuri che si compiacciono di individuare ogni pericolo o deviazione”. Francesco vuole una Chiesa gioiosa nell’evangelizzare. L’aborto resta una male, il matrimonio resti unito, ma non è compito dei preti agire come alla barriera di una “dogana”, perché “l’eucaristia… non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli”. Anche qui l’inversione di rotta rispetto alla linea di Wojtyla e Ratzinger è palpabile.