nei confronti dei rom la povertà è una colpa, e neanche piccola: merita spesso una punizione proporzionata, anche la sottrazione dei figli
talvolta la storia fiinisce bene, quando per esempio spunta il buon cuore di qualche privato benestante, altrimenti! è questo il caso di un nucleo familiare di sei persone rom fuggite un anno fa dalla Romania documentata dal free lance Marco Reis e raccontata, qui sotto, da Remo Bassini de ‘il Fatto quotidiano’:
Così vivono le bambine rom, senza acqua e luce
di Remo Bassini
in “il Fatto Quotidiano” del 18 dicembre 2013
Tre bimbe rom, di 6, 8, 11 anni. È la sera di venerdì 30. Ed è tutto documentato da un video. Si
vedono i piumini colorati delle bimbe, e i volti dispiaciuti di giornalisti e vigili urbani di Vercelli.
Cercano di rassicurarle. “Questa notte dormirete al caldo, con la mamma. Salite in macchina,
venite, le previsioni dicono che nevicherà”. Non si muovono, loro. Le piccole mani artigliano il
giubbotto del papà, vogliono che resti con loro. Non si può.
Le porta a scuola tutte le mattine, in bicicletta. Lui magari ha le scarpe rotte, ma le bimbe sono
pulite, vestite bene, e hanno sempre un tramezzino, una mela” dicono le mamme e le maestre delle
piccole. È stato un giornalista free lance, Marco Reis, a scoprire che all’interno di un vecchio
casermone cadente, vivono tredici nuclei familiari di cui nulla si sa. O forse si sa, fingendo di non
vedere: in fondo è gente invisibile , quella che sta dentro. Tra questi nuclei c’è una famiglia di sei
persone. Sei rom, fuggiti, un anno fa, dalla Romania. Le tre bimbe, la madre Helena di 28 anni, il
padre Stephan, 32, la nonna della mamma, 72 anni, un bastone e una busta con le medicine per il
cuore sempre dietro. Non hanno trovato né casa né lavoro. Forse in Italia, lo hanno scoperto sulla
loro pelle, si sta come in Romania. Per mangiare o prendono dai cassonetti gli avanzi dei
supermercati, oppure chiedono l’elemosina. Per l’abitazione, trovano il grande casermone in un
rione periferico. Ci sono altri disperati, lì. Il padre, costruisce una baracca. Si sistemano, anche se
mancano acqua e luce, finché non arriva il freddo. Per lavarsi usano dei grandi recipienti. A
settembre provano a mandare le figlie a scuola: vengono accettate. Non potranno mangiare in
mensa con gli altri perché non hanno l’euro a pasto previsto, ma almeno possono imparare
l’italiano, integrarsi. Per illuminare i loro quaderni quando è buio, si usano le candele. Come i
poveri di una volta. Sta di fatto, però, che vivono in un tugurio. Il free lance Marco Reis entra nella
baracca, filma tutto e si stupisce, perché ogni cosa è a suo posto: l’angolo per il cibo, l’angolo della
nonna, quello delle bimbe con un paio di bamboline e delle lattine vuote, di coca, che d’estate
servivano da recipienti per i fiorellini. Ma non c’è il bagno, e per scaldarsi c’è solo una stufa
rudimentale, a legna. E di notte, raccontano le bambine, a volte arrivano i topi. C’è dell’altro però.
Il padre infatti deve sempre vigilare. Qualche vicino ubriaco la sera potrebbe avere intenzioni non
belle. Un anno fa, alcune baracche sono state incendiate, non si sa da chi. Delle bambine non
possono vivere in una situazione così precaria. E così intervengono vigili, assistenti sociali e
giornalisti. E viene trovata una soluzione: tre giorni in una struttura, si chiama Piccola Opera
Charitas, che ospita anziani e donne con problemi. Le tre bimbe non vorrebbero, meglio il gelo e i
topi che staccarsi dal padre. La popolazione si mobilita affinché il nucleo familiare non venga
diviso e così lunedì 2 dicembre viene trovata una seconda soluzione: i Salesiani sono disposti a
ospitare l’intero nucleo familiare. Alle bimbe brillano gli occhi, sono felici. Arriva però la doccia
fredda: non si può. Non si può perché la famiglia risulta in carico ai Servizi sociali del Comune e
quindi non c’è tempo perché la burocrazia, si sa, ha ritmi lenti. Non solo. Il caso è stato segnalato al
Tribunale dei Minori, a Torino. Gli amici italiani e rom della famiglia si preoccupano, temono il
peggio. “Non è che le bimbe verranno tolte a una famiglia colpevole d’essere povera ma che, a
queste bimbe, ha sempre badato nel migliore dei modi?”. “Sarebbe folle, e non può accadere, questa
è gente povera che ci ha insegnato qualcosa” dice il consigliere comunale Mariapia Massa, già
assessore all’assistenza. La voce di una possibile separazione è nata (lunedì e martedì) dal fatto che,
per alcune ore, alla mamma e alle bimbe non sono stati (lentezze burocratiche) restituiti i
documenti. Immediata, l’ipotesi di un comitato a sostegno della famiglia.
NESSUN RIGURGITO razzista, in città, anzi. “Se non si trovano soluzioni, ospito io tutta la
famiglia”, dice un imprenditore. Alla fine i documenti sono tornati nelle mani dei legittimi
proprietari. Che per un mese potranno vivere in tre stanze messe a disposizione dai Salesiani. E poi si vedrà.
“Se ci dividono, ci ammazzano” ha detto la mamma. Sembra una pellerossa, parla poco e
parla male l’italiano. Ma è stata chiara.