Tre domande sulle donne a Bergoglio
sette donne giovani e meno giovani, credenti e laiche scrivono al Papa sull’ultimo numero della rivista Leggendaria, in “pagina99” del 12 febbraio 2014
a nome loro Giovanna così scrive, con simpatia ma anche con franchezza:
Caro Francesco,
non si preoccupi, se mai vedrà queste righe, né si preoccupino le lettrici: non si tratta di una vera missiva. È difficile rivolgere delle domande in astratto. Dunque la lettera è la forma retorica che meglio si attaglia alle mie impertinenze. Si, perché sarò impertinente. Dunque, per farmi perdonare, premetto una captatio benevolentiae. Sincera, però. Lei mi è molto simpatico. Dirò di più, la sua vicinanza (la sua casa dista dalla mia una sola fermata di trenino urbano) mi ispira un senso di protezione e di quiete. Mi capita talvolta di percepirlo. Sarà la mia senescenza, sarà la totale assenza di autorevolezza maschile in questo nostro povero Paese, fatto sta che lei mi piace molto. Lei penserà che sono una credente o una convertita. In realtà non sono niente. E il niente è un luogo dove molti spiriti religiosi sostengono che non è troppo scomodo stare. Penso, come il Cardinal Martini, che «il mondo, più che tra credenti e non credenti, si divida fra pensanti e non pensanti» e credo anche, come i miei amici del monastero di Bose, che tutti a tratti siamo credenti e a tratti non lo siamo. I miei tratti da credente sono molto brevi, ma mi portano intuire qualcosa, forse, di elementare: che gli atei portano in sé un’ingenua invidia per i redenti, l’invidia per l’illusione dell’immortalità, e che questa invidia li rende aggressivi o sufficienti.
1. Perché non capisce che il concetto di parità e quello di differenza non sono in conflitto l’uno con l’altro? Non mi è piaciuta per nulla la sua risposta a un giornalista della Stampa: «Nominare una donna Cardinale sarebbe una forma di clericalizzazione; non dobbiamo clericalizzare le donne». Guardi, questa è un trappola infernale. L’unica sua attenuante è che persino il femminismo le offre un alibi: troppo spesso ha usato il pensiero della differenza per sottrarsi alle durissime sfide dell’uguaglianza. Nomini le donne cardinali, le metta a capo delle congregazioni, si decida all’ordinazione sacerdotale in tempi storici, visto che nulla osta in termini di dogma e di dottrina. Poi, se le consacrate o le principesse della chiesa sapranno esprimere una differenza, saranno in grado di rendere la Chiesa più democratica e inclusiva, più comunità dei credenti e meno Curia, tanto meglio così. Io, a dirle la verità, sarei pronta a scommetterci, se praticherete la giustizia e l’uguaglianza come conviene a una comunità che aspira alla virtù. Del resto, il trucco della diversa vocazione femminile lo conoscono anche i laici e benissimo: hanno dovuto rinunciarci obtorto collo perché nel contratto sociale la tradizione non è un valore. Ma deve sbrigarsi.
2. Il suo linguaggio è molto bello. Misericordia, custodia, dialogo, discernimento, frontiera. Non so quale di queste parole mi piace di più e mi incanta il suo modo di dipanarle come una gomitolo nell’intervista con Antonio Spadaro. Lei di sicuro non è un pretino ingenuo: ha anche studiato di psicoanalisi sui testi di Michel De Certeau, allievo di Lacan. Ma allora come le viene in mente di dire, sempre nell’intervista a Spadaro: «Credo in Maria […] quel volto meraviglioso […] che voglio conoscere e amare»? Mi ha fatto venire le bolle. Ma insomma, proprio lei che dice magnificamente che «la verità è relazione» non ha nessuna relazione con il suo inconscio? Non le viene il dubbio che in un mondo e in una vita fatta tutta di uomini e fra uomini quella «vergine bella più che creatura» sia una sua proiezione irrisolta del femminile, una parte di Anima, direbbe uno junghiano, che lei non ha integrato? Meister Eckhart, un grande mistico diceva: «Prego Dio che mi liberi da Dio». Penso intendesse dalle incrostazioni antropologiche dell’immagine del divino. Lo si potrebbe pregare anche per essere liberati dalla Madonna? O è blasfemo?
3. Ancora non mi rassegno al fatto che, nel congedarsi da Eugenio Scalfari, lei abbia detto «rivediamoci per parlare del ruolo delle donne nella Chiesa». Ma cosa vuole che ne capisca Scalfari delle donne e delle donne nella Chiesa? Un anziano patriarca burbanzoso. Ascolti Francesco, parli con noi. Non ha che l’imbarazzo della scelta. Dal Vaticano II in poi la scienza teologica e la competenza delle donne si è moltiplicata e ormai esiste una tradizione di parole femminili sul divino. Per non dire delle cosiddette non credenti, schiere di creature colte e intelligenti. Si faccia vivo, non ci sottrarremo. Se vuole possiamo portare un’anfora come la Samaritana e darle da bere se ha sete.