Brani tratti da Decalogo contro l’apatia politica in Contro l’etica della verità, Laterza, Bari 2008
1. La fede in qualcosa che vale
2. La cura delle individualità personali
3. Lo spirito del dialogo
4. Lo spirito dell’uguaglianza
5. Il rispetto delle identità diverse
6. La diffidenza verso le decisioni irrimediabili
7. L’atteggiamento sperimentale
8. Coscienza di maggioranza e coscienza di minoranza
9. L’atteggiamento altruistico
10. La cura delle parole
1. La fede in qualcosa che vale
La democrazia è relativistica, non assolutistica: cioè fini e valori sono da considerare relativi a coloro che li propugnano e, nella loro varietà, ugualmente legittimi.
Dal punto di vista dei singoli, invece, relativismo significa che «tutto è relativo», che una cosa vale l’altra, cioè che nulla ha valore.
Mentre il relativismo dell’insieme è condizione della democrazia, nichilismo e scetticismo sociale sono una minaccia.
Se non si ha fede in nulla, perché difendere una forma di governo come la democrazia, che vale in quanto le proprie convinzioni possono essere fatte valere?
Impegniamoci per promuovere ideali, programmi, utopie.
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2. La cura delle individualità personali
La democrazia è fondata sugli individui, non sulla massa. La massificazione è un pericolo mortale.
Una democrazia senza qualità individuali si affida ai capipopolo e questi, a loro volta, hanno bisogno di uomini-massa.
Dobbiamo vedere con preoccupazione l’appiattimento di molti livelli dell’esistenza, consumi e cultura, divertimenti e comunicazione.
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3. Lo spirito del dialogo
La democrazia è discussione, ragionare insieme. Chi odia discutere, alla persuasione preferisce l’imposizione.
Per preservare l’onestà del ragionare, deve essere prima di tutto rispettata la verità dei fatti. Sono le dittature ideologiche quelle che li manipolano. Sono regimi corruttori «fino al midollo» quelli che trattano i fatti come opinioni e instaurano un «nichilismo della realtà», mettendo sullo stesso piano verità e menzogna.
Né intestardirsi, né lasciar correre, secondo l’insegnamento socratico. Il quale ci indica anche la virtù massima di chi ama il dialogo: sapersi rallegrare di scoprirsi in errore.
Se, invece, si considera una sconfitta, l’essere colti in errore, lo spirito del dialogo è remoto e dominano orgoglio e vanità, sentimenti ostili alla democrazia.
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4. Lo spirito dell’uguaglianza
La democrazia è basata sull’uguaglianza; è insidiata dal privilegio. L’uguaglianza è “isonomia”, uguaglianza delle leggi.
Senza leggi uguali per tutti, la società si divide in caste e la vita collettiva diventa dominio di oligarchie. Il privilegio crea arrivismo e rincorse perverse.
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5. Il rispetto delle identità diverse
In democrazia le identità particolari sono ininfluenti sul diritto di stare in società.
Oggi, il problema della coesistenza di identità plurime è di natura etnico-culturale e religiosa; storicamente, è stato religioso, derivando dal distacco della Riforma dalla Chiesa di Roma.
A metà Cinquecento si impone in Europa l’identità di religione agli abitanti le medesime terre. L’idea di tolleranza nacque per consentire di tenere insieme terra e fede, per non dover perdere l’una volendo conservare l’altra.
Ma non alla tolleranza si rivolge la democrazia. Il contesto è diverso. L’assolutismo può parlare di tolleranza, non la democrazia, cui si addice invece il linguaggio della cittadinanza uguale per tutti.
Onde il concetto di identità è irrilevante per la partecipazione alla vita pubblica. Il rischio viene da un nuovo richiamo all’unione tra potere civile e religione.
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6. La diffidenza verso le decisioni irrimediabili
La democrazia implica la reversibilità di ogni decisione. Le soluzioni definitive ai problemi, senza possibili ripensamenti e correzioni, sono dei regimi della giustizia e della verità assolute.
La strada per dire «ci siamo sbagliati» deve restare sempre aperta.
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7. L’atteggiamento sperimentale
La democrazia è orientata da principi, ma deve imparare quotidianamente dalle conseguenze dei propri atti. Ogni progetto realizzato apre problemi che rimettono in discussione il progetto; l’esperienza è il banco di prova della teoria.
Immergersi in questa tensione forma il carattere, rende accettabili le sconfitte e promuove nuove energie.
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8. Coscienza di maggioranza e coscienza di minoranza
In democrazia nessuna deliberazione si interpreta nel segno della ragione e del torto.
La prevalenza di una maggioranza su una minoranza non è la vittoria della prima e la sconfitta della seconda, ma l’assegnazione di un duplice onere: alla maggioranza, dimostrare nel tempo a venire la validità della decisione presa; alla minoranza, insistere su ragioni migliori.
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9. L’atteggiamento altruistico
La democrazia è forma di vita di essere umani solidali. (…) amore per la cosa pubblica e disponibilità a mettere in comune qualcosa, anzi il meglio di sé: tempo, capacità risorse materiali.
L’emarginazione sociale è contro la democrazia. L’alternativa è l’ideologia crudele che legittima la fortuna dei forti e abbandona i deboli alla propria sorte.
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10. La cura delle parole
Essendo la democrazia dialogo, gli strumenti del dialogo, le parole, devono essere oggetto di cura particolare (…) quanto al numero e alla qualità.
a) Il numero di parole conosciute e usate è proporzionale al grado di sviluppo della democrazia.
Comanda chi conosce più parole. Il dialogo, per essere tale, deve essere paritario.
Ecco perché una scuola ugualitaria è condizione di democrazia.
b) La qualità delle parole. Per l’onestà del dialogo, le parole non devono essere ingannatrici. Parole precise e dirette; lasciar parlar le cose attraverso le parole, non far crescere parole su parole.
Le parole, poi, devono rispettare, non corrompere il concetto.
Il mondo della politica è dove questo tradimento si consuma più che altrove.
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*G. Zagrebelsky (1943) – Già presidente della Corte costituzionale, è professore di Diritto costituzionale e Giustizia costituzionale nell’Università di Torino e docente nell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Tra le altre sue pubblicazioni: Imparare democrazia (2007); Principi e voti (2006); La domanda di giustizia (2003, con Carlo Maria Martini); Il “Crucifigge!” e la democrazia (1995).
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