così grida un ragazzo gay che al momento della elezione di papa Francesco ha pianto come per un’intuizione di un “graduale percorso di apertura e avvicinamento alla questione omosessuale” del nuovo papa
vive da 29 anni “una serena e felice vita di coppia” e però sente di non essere accolto da una chiesa che lo fa sentire ‘fuori posto e fuori di casa’ e chiede perciò al papa “una nuova pastorale per le famiglie che includa tutti”
vede troppo spesso le persone omosessuali descritte come un obbrobrio, come una minaccia per la società, come un pericolo pubblico di “attentato alla famiglia”: “chi ci accoglierà? chi si prenderà cura di noi? … come la parrocchia potrà tornare casa per noi?”:
Caro papa Francesco,
ti confesso che dal momento della tua elezione ho sentito veramente lo Spirito soffiare. Non sapevo chi fossi, non avevo mai sentito prima il tuo nome, eppure ho pianto. Ho pianto perché inspiegabilmente mi sono sentito dopo tanto tempo a casa, pur non avendo alcun elemento razionale che giustificasse questo sentimento. Sono gay, e vivo da quasi 29 anni una felice e serena vita di coppia. E sto seguendo con grandissima speranza il tuo graduale percorso di apertura e avvicinamento alla questione omosessuale. Lo hai fatto sin da quella prima intervista, di ritorno da Rio, in cui quel “Chi sono io per giudicare un gay?” è risuonato sorprendente nella sua disarmante semplicità. Decenni di catechismo e magistero consolidati sulla questione omosessuale sono apparsi improvvisamente schiacciati sotto il peso dell’essere forse norme più scritte guardando a noi con gli occhi della legge che con gli occhi del cuore. Fino ad oggi io e Dario abbiamo dovuto camminare in solitudine, inventandoci dal nulla cosa potesse essere una vita di coppia, non avendo alcun riferimento a disposizione, noi che ci siamo innamorati a metà degli anni ’80. Abbiamo vissuto nascosti per oltre 15 anni, prima di capire ed accettare la bellezza e la fedeltà della nostra storia d’amore e smettere di temere tutto e tutti: la famiglia, gli amici, financo Dio di cui abbiamo finalmente riconquistato l’immagine di Padre spazzando via quella di Giudice. Finora, è vero, non si è ancora concretizzato un reale cambiamento. Le tue parole di accoglienza, apertura non hanno generato un nuovo catechismo, una nuova pastorale per le famiglie che includa tutti e non faccia sentire nessuno “fuori posto e fuori di casa”. Ma alcune cose, lette dall’interno e con il linguaggio e le modalità della chiesa cattolica, non possono che prefigurare l’inizio di un percorso: qualche mese fa è stato inviato a tutte le diocesi del mondo un questionario con l’obiettivo di raccogliere stimoli per il Sinodo straordinario sulla famiglia dell’ottobre 2014. Per la prima volta, credo nella storia della chiesa cattolica, su un suo documento ufficiale è presente, nero su bianco, la dicitura “unioni di persone dello stesso sesso”, e si chiede quale attenzione pastorale sia necessario avere per queste unioni e addirittura per i bambini eventualmente adottati. Ecco, nominare le cose significa per me inaugurare, superando i principi, una nuova stagione animata da un desiderio reale di confronto. Finora, infatti, negli ambiti comunitari, nelle parrocchie, nei cammini di fede, l’omosessualità è stata trattata solamente come categoria morale o come problematica sociale. I ragazzi e le ragazze omosessuali si sono trovati, quindi, a vivere nel silenzio più assoluto la loro condizione, ad impiegare moltissime risorse personali a nascondere una parte importantissima della loro esistenza, a controllare tutto ciò che avveniva dentro loro, fuori loro. Insomma a comprimere la loro vita invece che ad espanderla, privati di tutta quella “normalità” (innamorarsi, condividere con gli amici il proprio innamoramento, sognare una persona, immaginarsi insieme, …) che costituisce parte integrante del percorso di crescita di un essere umano, e che alimenta quello slancio progettuale che dovrebbe essere appannaggio di tutti.
Ho letto ieri che sembra tu ti stia accingendo a studiare le unioni gay. Ne sono contento. Finalmente sembra che siano stati presi in carico i nostri appelli, fatti a moltissime diocesi, e anche a te direttamente, dai vari gruppi di gay credenti italiani (tra cui anche quello di cui faccio parte, Nuova Proposta) di conoscere in prima persona le nostre vite, le nostre storie. Non ti nascondo che negli anni passati neanche io (che pure ho fatto un cammino lungo per arrivare ad una serena esistenza in coppia) sono stato immune da un certo scoramento, sorto nel constatare che posto per noi nelle comunità cristiane non c’era. Non ce n’era soprattutto nel momento in cui ci si sarebbe dovuti presentare in coppia o, in alcuni casi, anche come genitori. Perché è proprio l’unione tra due persone dello stesso sesso che non esiste per le comunità cattoliche, a causa, purtroppo, di una terribile battaglia ideologica che si sta consumando a scapito delle esistenze di tante persone. Vedo “sentinelle in piedi” protestare contro la proposta di legge contro l’omofobia (che dovrebbe proteggere le persone dal bullismo, dalla violenza e dal dileggio. Vedo gruppi definirsi cattolici ed armarsi per combattere il pericolo dell’attentato alla famiglia che proverrebbe da due persone dello stesso sesso che decidono di amarsi senza nascondersi e, pertanto, richiedere alla società di cui fanno parte di condividere diritti e doveri come qualunque altra coppia. Vedo le persone omosessuali descritte come un obbrobrio, come una minaccia per la società. Le nostre vite di coppia, le nostre famiglie, con e senza figli, esistono già oggi, adesso. Non sono una minaccia che viene da un ipotetico futuro. Mi chiedo, come un figlio farebbe con un padre e facendo riferimento alla cura pastorale che deve essere dedicata ad ogni essere umano e declinata per la sua specifica esistenza: chi ci accoglierà? Chi si prenderà cura di noi? Potremmo avere anche noi bisogno di sostegno fraterno e spirituale dalla parrocchia, quella che per tanti anni abbiamo considerato una seconda casa? E parlando dei tanti figli di coppie omosessuali: non devono anch’essi poter contare su un ambiente accogliente, in grado di sostenerli nel loro percorso di crescita spirituale e umana? Come la parrocchia potrà tornare ad essere casa per noi e per i nostri bambini? La speranza che soffia in me credo sia fortemente animata dallo Spirito. Spero in un cammino serio di confronto, di approfondimento senza pregiudizio. Spero in un sinodo che produca, nel 2015 una pastorale finalmente inclusiva e che porti “Tutti dentro!” come ci hai tu stesso ricordato in una delle tue omelie mattutine. Spero anche tu voglia, in questo percorso di conoscenza, incontrare alcuni di noi, omosessuali, transessuali, singoli o in coppia, con figli o senza figli, per contemplare insieme come il disegno di Dio possa essere creativo nel generare Bellezza nell’esistenza di ciascuno di noi e ’interno della propria specificità.