ritratto di un vescovo fatto ‘buona notizia’

“una buona notizia di Dio per i poveri”

un ritratto di mons. Romero, pastore, profeta e martire

Romero

Se, di anno in anno, la memoria di mons. Oscar Romero, anziché sbiadire, è diventata sempre più viva, superando non solo i confini di El Salvador ma anche quelli della Chiesa cattolica, la sua attesissima e imminente beatificazione, il prossimo 23 maggio, ha acceso ancor di più i riflettori sul XXXV anniversario del suo martirio, celebrato in El Salvador con eventi culturali, incontri di riflessione, veglie e pellegrinaggi. E, in Italia, con le più diverse iniziative, a cominciare dalla tradizionale veglia ecumenica a Roma, il 24 marzo, nella basilica dei Santi Apostoli.

 

Ma il XXXV anniversario del martirio, oggi riconosciuto ufficialmente, di San Romero d’America è coinciso anche con l’uscita in Italia di un libro di Jon Sobrino – Romero, martire di Cristo e degli oppressi, edito dalla Emi (pp. 281, 17 euro) – che lo ricorda davvero nel migliore dei modi, raccogliendo sette dei testi più belli, vibranti e significativi scritti nel corso degli anni dal teologo gesuita, suddivisi in tre parti: “Il mio ricordo di monsignor Romero”; “Analisi teologica della persona e della vita di monsignor Romero” e “Monsignor Romero: testimone di Dio”. Un testo che, ricostruendo magnificamente la vita, il pensiero e la teologia di Romero pastore, profeta, martire e testimone della verità – quel Romero che è diventato, semplicemente, “Monsignore”, senza aggiunte, esattamente come, nel Nuovo Testamento, il “Signore” è solo Gesù, senza «bisogno di ulteriore specificazione» – , ne restituisce un ritratto purissimo nella sua straordinaria e unica capacità di «illuminare questo mistero di Dio, reso opaco dalla crocifissione dei poveri e tanto luminoso nella loro speranza e nel loro impegno per risorgere». Senza mancare di evidenziare, naturalmente, la sua dirompente radicalità evangelica, quella che lo portava, per esempio, a proclamare che «l’interlocutore naturale della Chiesa è il popolo, non il governo» o che «la Chiesa giudicherà l’uno o l’altro progetto politico a seconda del fatto che sia gradito al popolo», polverizzando, «con queste parole, e la prassi conseguente, secoli di cristianità e tentativi, sempre ricorrenti, di neo-cristianità».

 

Ma, nel definire Romero come «una buona notizia di Dio per i poveri di questo mondo» («e, a partire dai poveri, per tutti»), il libro di Sobrino fa anche giustizia di tutte quelle letture interessate portate avanti nel corso della sua vita e continuate poi dopo la sua morte (fino ai tentativi, ancora attuali, di diluirne la portata profetica). Di tutti quei giudizi tendenti a «diminuirne la figura», secondo cui, scriveva Sobrino, Romero sarebbe stato un uomo buono, «ma senza grande personalità, debole e facilmente impressionabile», di cui si sarebbero approfittati gruppi radicali, tra cui i gesuiti, manipolandolo e forzandolo «a seguire la strada che più conveniva loro». Insomma, il suo prestigio «sarebbe stato una frode» e ora «un mito alimentato artificialmente». O di quei tentativi di metterlo a tacere trasformandolo in una figura del passato, «come se oggi non avesse più nulla da dire e da offrire al Paese e alla Chiesa», e imponendo il silenzio – «la più triste delle manipolazioni» – in risposta alla presunta tendenza di gruppi di sinistra, sempre loro, di «manipolarlo da morto per i propri interessi». O, ancora, della tendenza dell’istituzione, accentuatasi nel corso del tempo, di appropriarsene al grido «monsignor Romero è nostro» (secondo le parole pronunciate da Giovanni Paolo II, in base a quanto ha recentemente assicurato mons. Vincenzo Paglia, il postulatore della causa di beatificazione): Romero, secondo Sobrino, «è stato un arcivescovo e appartiene alla Chiesa gerarchica; è stato un cristiano e appartiene a tutti i salvadoregni. Ma richiamarsi a monsignor Romero non significa considerarlo una proprietà privata», bensì «lasciarsene possedere e metterlo a frutto». Esattamente come Sobrino aveva ben sperimentato viaggiando in Asia: «A Tokyo, New Delhi e altrove ho visto che monsignor Romero ha qualcosa di importante da dire a cristiani, a marxisti, a buddhisti e a induisti». E come un europeo gli aveva ricordato un giorno: «Le comunico una brutta notizia. Monsignor Romero non è più vostro. È di tutti».

 

Al link di seguito, dalla seconda sezione del libro, riportiamo ampi stralci della parte relativa all’inizio del suo ministero alla guida dell’arcidiocesi, immediatamente dopo l’assassinio del gesuita Rutilio Grande – di cui ha preso recentemente il via a San Salvador la causa di beatificazione – e di due contadini. Un racconto profondamente coinvolgente che, tra l’altro, smentisce nella maniera più netta la tesi di quanti – a cominciare da mons. Vincenzo Paglia e dallo storico Roberto Morozzo della Rocca (v. Adista Notizie n. 6/2015) – sostengono che non si possa parlare di una vera discontinuità tra il Romero nominato arcivescovo con il sostegno dell’oligarchia e l’arcivescovo che l’oligarchia ha deciso di assassinare ((il libro può essere richiesto ad Adista, tel. 06/6868692, e-mail: abbonamenti@adista.it; oppure acquistato online sul sito www.adista.it). (claudia fanti)

 

Fonte: Adista n. 14/2015

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