a proposito del tentativo di golp contro papa Francesco

 

ecco i fatti e gli omissis del dossier Viganò contro Francesco

lettura ragionata del report dell’ex nunzio che chiede le dimissioni del Pontefice e delle sue contraddittorie conclusioni
di ANDREA TORNIELLI
“non si tratta semplicemente dello sfogo di un uomo di Chiesa stanco del marcio che ha visto attorno a lui, ma di un’operazione organizzata da tempo e con cura, nel tentativo di far dimettere il Pontefice e lo dimostrano il timing e il coinvolgimento della stessa rete mediatica internazionale che da anni propaga – spesso servendosi di anonimi – le istanze di coloro che vorrebbero rovesciare il risultato del conclave 2013″

2 maggio 2012, regnante Benedetto XVI, il nunzio Viganò partecipa all’assegnazione di un premio al cardinale al “sanzionato” cardinale McCarrick (foto tratta dal blog del cardinale Sean O’Malley)

 

«Credo che il comunicato di Viganò parli da sé, e voi avete la maturità professionale per trarre le conclusioni». Con queste parole, rivolte ai giornalisti sul volo di ritorno da Dublino, Francesco ha invitato a leggere il dossier di 11 pagine divulgato dall’ex nunzio negli Stati Uniti, Carlo Maria Viganò, che chiede le dimissioni del Papa accusandolo di aver coperto l’83enne cardinale emerito di Washington Theodore McCarrick, che aveva avuto relazioni omosessuali con seminaristi maggiorenni e sacerdoti. Bisogna dunque partire dalla lettura attenta testo, analizzarlo, separare i fatti riportati dalle opinioni e dalle interpretazioni. E soprattutto dalle omissioni.

La clamorosa decisione del diplomatico vaticano di violare il giuramento di fedeltà al Papa e il segreto d’ufficio rappresenta l’ennesima bordata contro Francesco portata avanti in modo organizzato dagli stessi ambienti che un anno fa avevano cercato di arrivare a una sorta di impeachment dottrinale, dopo la pubblicazione dell’esortazione “Amoris laetitiaˮ. Tentativo non riuscito. Viganò è infatti tra i firmatari della “Professioneˮ nella quale si afferma che il magistero di Papa Bergoglio diffonde il divorzio, ed è ben collegato agli ambienti più conservatori Oltreoceano e in Vaticano. Che non si tratti semplicemente dello sfogo di un uomo di Chiesa stanco del marcio che ha visto attorno a lui, ma di un’operazione organizzata da tempo e con cura, nel tentativo di far dimettere il Pontefice lo dimostrano il timing e il coinvolgimento della stessa rete mediatica internazionale che da anni propaga – spesso servendosi di anonimi – le istanze di coloro che vorrebbero rovesciare il risultato del conclave 2013. E lo attestano le stesse testimonianze scritte nei vari blog dai giornalisti che hanno pubblicato il dossier di Viganò: sempre in prima fila nella difesa della famiglia tradizionale, ma noncuranti di sganciare la “bombaˮ proprio nel giorno in cui Francesco concludeva con una grande messa l’incontro internazionale delle famiglie.

La denuncia del 2000

Innanzitutto, i fatti, presumendo che quanto affermato da Viganò sia vero. Il 22 novembre 2000 il frate domenicano Boniface Ramsey, scrive al nunzio apostolico negli Usa Gabriel Montalvo e lo informa di aver sentito voci secondo le quali McCarrick aveva «condiviso il letto con seminaristi». Un giorno prima, il 21 novembre, Giovani Paolo II nominava McCarrick arcivescovo di Washington. Viganò annota che questa segnalazione trasmessa dal nunzio alla Segreteria di Stato, guidata allora dal cardinale Angelo Sodano, non ebbe alcun seguito. Va notato: la prima denuncia che arriva in nunziatura e da qui in Vaticano è immediatamente successiva alla nomina a Washington. Ci si può comunque chiedere perché, se queste voci su MacCarrick erano così diffuse e insistenti, ciò non gli abbia precluso: la nomina ad ausiliare di New York (nel 1977, alla fine del pontificato di Paolo VI), quindi la nomina a vescovo di Metuchen (nel 1981, all’inizio del pontificato di Giovanni Paolo II), quindi il trasferimento all’arcidiocesi di Newark (nel 1986, sempre con Papa Wojtyla) e infine la promozione a Washington (2000) e la creazione cardinalizia (2001)

Tutta colpa di Sodano

L’anno successivo alla promozione a Washington dunque Wojtyla includeva McCarrick nel collegio cardinalizio. Nel suo dossier Viganò scarica – senza alcun indizio – la “colpaˮ della nomina su Sodano spiegando che il Papa all’epoca era già ammalato e quasi incapace di intendere e di governare la Chiesa. Chiunque abbia conoscenza di cose vaticane sa che ciò non è vero, almeno non era vero nell’anno 2000: Giovanni Paolo II vivrà per altri cinque anni. E sa anche che allora, nello stretto entourage wojtyliano che controllava le nomine, c’erano il segretario particolare del Papa Stanislaw Dziwisz (un nome che Viganò omette) e il Sostituto della Segreteria di Stato poi Prefetto dei vescovi Giovanni Battista Re (che Viganò nomina però scagionandolo). Quella prima segnalazione, senza denuncianti che se ne assumessero responsabilità in prima persona, forse non era ritenuta attendibile? O il potere – anche finanziario – di McCarrick è stato in grado di aprire porte vaticane che dovevano rimanere chiuse? Un dubbio può essere sollevato sulla nomina a Washington, ma perché nessuno ritiene di indagare prima dell’elevazione cardinalizia dell’anno successivo? Sodano non ha trasmesso la denuncia al Papa? Ma perché il nunzio, se era così certo degli abusi commessi sui seminaristi e preti (sempre maggiorenni), non ha insistito chiedendo udienza a Giovanni Paolo II?

Le “sanzioniˮ di Benedetto XVI

Nuove denunce arrivano nel 2006, quando il Papa è Benedetto, il Segretario di Stato è Tarcisio Bertone. Questa volta entra in scena un ex prete e abusatore di bambini Gregory Littleton, il quale fa avere al nunzio negli Usa (in quel momento monsignor Pietro Sambi) una memoria nella quale racconta di essere stato anch’egli molestato sessualmente da McCarrick (sempre da maggiorenne). Viganò prepara un appunto per i superiori, che non rispondono. Vale la pena di ricordare che in quel momento McCarrick è però già in pensione: il nuovo Papa Benedetto XVI il 16 maggio 2006 ha accolto le dimissioni doverosamente presentate l’anno precedente, il 7 luglio 2005, allo scoccare dei canonici 75 anni. Se le voci e le denunce erano così diffuse e note, perché McCarrick non è stato dimissionato subito, al compimento dei 75 anni? Nel 2008 circolano nuove accuse di comportamenti impropri McCarrick e di nuovo Viganò scrive di aver mandato ai superiori un ulteriore appunto. Questa volta qualcosa sembra essersi mosso, seppure con i tempi non celerissimi della burocrazia vaticana. Sarebbe infatti intervenuto un ordine sanzionatorio di Benedetto XVI contro il cardinale ormai emerito e pensionato. Sulla data di questa sanzione Viganò non può essere preciso: in quel momento ha infatti lasciato il posto in Segreteria di Stato, dove coordinava il lavoro del personale delle nunziature, ed è stato nominato segretario del Governatorato. Dunque, se Viganò afferma il vero – e dobbiamo presumere che lo faccia – «nel 2009 o nel 2010», Benedetto XVI sarebbe intervenuto ordinando a McCarrick di fare vita ritirata, di preghiera e di non abitare più nel seminario neocatecumenale Redemptoris Mater da lui aperto a Washington.

Restrizioni misteriose

Questo ordine di Benedetto non diventa pubblico e viene trasmesso dalla Santa Sede al nunzio a Washington (Sambi) perché lo comunichi all’interessato. Indulgenza per un cardinale ormai vecchio e in pensione al quale si vuole risparmiare l’onta della sanzione pubblica? Oppure le prove non sono state considerate sufficienti da Benedetto XVI, il quale, se è all’origine della sanzione, doveva ovviamente essere stato adeguatamente avvertito di quanto McCarrick aveva commesso? Papa Ratzinger dunque sapeva ma ritenne sufficiente raccomandare al cardinale già pensionato di starsene tranquillo in disparte. Vale la pena di ricordare: nessuno ha mai parlato, men che meno denunciato, abusi su minori. Stiamo parlando di molestie a persone maggiorenni, ma che si profilano come veri e propri abusi, dato che è il vescovo a invitare a letto i propri seminaristi o i propri preti: non esiste una situazione di parità, prima che sessuale, è un abuso di potere clericale. Anche se nessuno ha mai detto che per invitare a dormire con lui seminaristi ormai prossimi al sacerdozio e giovani preti, lo “zio Tedˮ (come McCarrick si faceva chiamare) abbia usato forme di violenza o minacce. Ci si può domandare: ma se questi fatti gravi erano così acclarati ed evidenti, perché non comminare al cardinale una sanzione esemplare e pubblica, chiedendogli di vivere ritirato in penitenza?

Perché nessuno vigila?

Qualche dubbio sul reale contenuto delle sanzioni è più che lecito, soprattutto alla luce di ciò che accade dopo. Il dossier di Viganò lascia intendere che negli ultimi tre o quattro anni del pontificato ratzingeriano McCarrick sia vissuto come un eremita o come un monaco di clausura e che soltanto dopo l’elezione di Francesco gli sia stata aperta la gabbia. Ancora una volta bisogna attenersi ai fatti documentati, e non è affatto così. La realtà è diversa e documentabile. A portata di tutti, basta cliccare sul web. Durante gli ultimi anni del pontificato di Raztinger McCarrick non cambia il suo modo di vivere: è vero che lascia il seminario dove risiedeva, ma celebra ordinazioni diaconali e sacerdotali a fianco di importanti porporati della Curia romana stretti collaboratori di Papa Ratzinger, tiene conferenze. Il 16 gennaio 2012 partecipa insieme ad altri vescovi statunitensi a un’udienza con Benedetto XVI in Vaticano e il suo nome tra i partecipanti viene segnalato nel bollettino della Sala Stampa della Santa Sede. Il 16 aprile 2012 incontra di nuovo Benedetto all’udienza della Papal Foundation e festeggia insieme a tutti i presenti il compleanno del Pontefice. Viaggia e torna a Roma nel febbraio del 2013 per accomiatarsi dal Papa dimissionario che gli stringe la mano sorridente (tutto immortalato dalle telecamere della TV vaticana). È evidente che la sua posizione non era ritenuta così grave, che gli indizi di colpevolezza non erano giudicati così evidenti e che le sanzioni non dovevano essere così restrittive.

Anche Viganò a fianco di McCarrick

E anche lo stesso Viganò, nel frattempo allontanato dal Vaticano per decisione di Benedetto XVI che lo “promuoveˮ nunzio a Washington, non appare affatto preoccupato della situazione. Sono documentate sue partecipazioni ad eventi pubblici con il porporato molestatore, come concelebrazioni negli Stati Uniti o come l’attribuzione di un premio a McCarrick (il 2 maggio 2012, Pierre Hotel in Manhattan), cerimonia durante la quale Viganò appare tutt’altro che indignato o imbarazzato di farsi fotografare a fianco del vecchio cardinale molestatore. Perché ora che aveva il potere di arrivare direttamente a Benedetto XVI, in qualità di suo rappresentante in una delle sedi diplomatiche più importanti del mondo, il nunzio Viganò non si ribella, non agisce, non chiede udienza, non fa rispettare le disposizioni restrittive?

Il coinvolgimento di Francesco

Il Papa attuale, vero e unico bersaglio dell’intera operazione, entra in scena nel giugno 2013, pochi mesi dopo la sua elezione. Ricordiamolo: McCarrick, ultraottantenne, non ha partecipato al conclave, è un cardinale pensionato ma iperattivo. Continua a viaggiare per il mondo, a tenere conferenze, a presiedere celebrazioni. Viganò va in udienza da Francesco. È il Papa a fargli una domanda su McCarrick e Viganò gli fa presente che il cardinale «ha corrotto generazioni di seminaristi e di sacerdoti» e che in Vaticano c’è un dossier che lo attesta. Attenzione: non è Viganò a parlare in modo preoccupato del cardinale. È il Papa che chiede un giudizio. Il nunzio non dice di aver consegnato a Bergoglio un appunto sulla vicenda né di avergli chiesto di intervenire. Oggi, indignato, Viganò scrive delle sanzioni di Benedetto XVI che nessuno conosce, ma – sempre ammesso che esistano – lui come nunzio non sembra aver agito per farle rispettare. Quella risposta è tutto ciò che dice al Papa.

McCarrick consigliere?

Viganò scrive ancora che il vecchio cardinale sarebbe diventato, nei primi anni del pontificato di Francesco, un suo consigliere, in particolare per le nomine americane. Non adduce, almeno fino a questo momento, alcuna prova. Sostiene invece – e anche qui non c’è ragione di non credergli – che in quel primo incontro del giugno 2013 il nuovo Papa gli avrebbe raccomandato: «I vescovi negli Stati Uniti non devono essere ideologizzati, devono essere dei pastori». Siccome nei mesi successivi anche McCarrick farà un’affermazione simile parlando con un monsignore della nunziatura (che lo riferisce poi a Viganò), l’ex nunzio che chiede le dimissioni del Pontefice ne deduce che vi sia proprio McCarrick dietro l’atteggiamento di Bergoglio nei confronti della Chiesa Usa. Una debolissima deduzione. È infatti molto più semplice e plausibile ipotizzare che di sua iniziativa Francesco – il quale conosceva la Chiesa americana – avesse ripetuto a varie persone che incontrava quella frase sui vescovi che «non devono essere ideologizzati» ma devono essere «pastori». Peraltro, per comprendere che proprio questo è uno dei punti insistenti del suo magistero sull’episcopato basta leggere i discorsi del Papa, che la pensava così ben prima del conclave del 2013.

La smentita dell’ex ambasciatore

Un’interessante confutazione della teoria di Viganò è arrivata ieri dall’ex ambasciatore statunitense presso la Santa Sede, Miguel Diaz, nominato nel maggio 2009, i quale si è detto sorpreso per aver letto le affermazioni di Viganò a proposito delle parole di Francesco sui vescovi americani, «perché mi hanno subito fatto venire in mente che durante il mio primo incontro con il nunzio Sambi nella sua residenza aWashington (siamo ancora nel pontificato di Benedetto XVI, ndr)» egli disse che «abbiamo bisogno di vescovi americani che siano meno politici e più pastorali, non cultural warriors (guerrieri culturali, ndr)». Dunque già sotto Papa Ratzinger l’indicazione che arrivava al nunzio apostolico negli Usa era quella di nominare vescovi pastori e non “guerrieri culturaliˮ. Evidentemente la questione dell’eccessivo collateralismo dell’episcopato Usa con certe posizioni politiche e un certo interesse unilaterale soltanto per alcune questioni etiche era sentita come problematica già alla fine del pontificato ratzingeriano.

La nuova denuncia 

Passano quattro anni e mezzo e nel 2018 Oltretevere arriva, per la prima volta, la notizia di un abuso su un minore commesso cinquant’anni prima da McCarrick, giovane prete. La denuncia non era mai stata presentata prima, né mai nessuno – stando al report di Viganò – aveva prima parlato di possibili abusi su minori che coinvolgessero McCarrick. Viene aperto celermente un regolare procedimento canonico da parte della diocesi di New York, con la trasmissione degli atti alla Congregazione per la dottrina della fede. Emergono anche nuove notizie, rese note dalla diocesi di Newark, riguardanti due patteggiamenti con risarcimento danni che McCarrick ha pagato, relative a denunce di molestie presentate da seminaristi maggiorenni all’epoca dei fatti. Con una decisione che non ha precedenti nella storia recente della Chiesa, Francesco non soltanto impone il silenzio e la vita ritirata a McCarrick (quel silenzio e quella vita ritirata che prima non gli era stato imposto o se gli era stato imposto nessuno aveva fatto sì che egli si attenesse agli ordini) ma gli toglie pure la berretta cardinalizia. Il cardinale emerito di Washington non è più cardinale, è stato “s-porporatoˮ.

I fatti e logica stravolta

Non c’è dunque soltanto da chiedersi se ciò che racconta Viganò sia vero (come ripetono a mo’ di mantra i media che chiedono a gran voce le dimissioni di Francesco). C’è da chiedersi se la sequenza descritta da Viganò, le sue considerazioni, le sue omissioni, le sue interpretazioni sono ragionevoli e portano davvero ad attribuire una qualche responsabilità al Pontefice oggi regnante. In ogni caso, per rimanere ai fatti puri e crudi, e presumendo che ogni dettaglio raccontato dell’ex nunzio sia vero, ecco che cosa è accaduto. C’è un Papa santo il cui entourage (molto meno santo) ha promosso e fatto cardinale un vescovo omosessuale che abusava del suo potere portandosi a letto i seminaristi, anche se non è chiaro quante infomazioni dirette fossero pervenute su questo all’orecchio di Giovanni Paolo II, allora perfettamente in grado di intendere e di volere, al quale certamente non poteva passare inosservata l’importanza della nomina dell’arcivescovo di Washington. C’è un altro Papa oggi emerito, Benedetto, che (forse) avrebbe ordinato a questo cardinale di vivere ritirato ma senza essere poi in grado di far rispettare i suoi ordini, senza battere ciglio vedendoselo arrivare in Vaticano in più occasioni, e senza che il suo nunzio negli Usa (Viganò) avesse alcun problema a farsi ritrarre insieme a lui, a concelebrare con lui, a cenare con lui, a pronunciare discorsi in sua presenza. E c’è infine un Papa, Francesco, che a quel cardinale – nonostante fosse anziano e pensionato da tempo – ha tolto d’imperio la porpora dopo averlo ridotto al silenzio proibendogli di celebrare in pubblico. Eppure è di quest’ultimo che l’ex nunzio oggi indignato chiede la testa, probabilmente soltanto perché Francesco ha “osatoˮ nominare negli Stati Uniti qualche vescovo meno conservatore rispetto a quelli nominati in precedenza, quando a consigliare sulle nomine americane erano cardinali come Bernard Law. La strumentalità dell’operazione è evidente a chiunque rifletta sulla successione dei fatti, senza il bisogno rivangare informazioni tendenti a screditare la figura di Viganò.

 

 

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