ancora lo stereotipo dello ‘zingaro ruba bambini’
Se lo zingaro diventa un capro espiatorio
un bell’articolo di Chiara Saraceno comparso ieri su ‘la Repubblica’ in riferimento all’ennesimo episodio di colpevolizzazione del popolo rom ogni qualvolta ci si trova di fronte allo smarrimento (più o meno colpevole, come è successo in questi giorni) di un bambino:
Gli zingari che rubano i bambini. Uno stereotipo tanto radicato e diffuso quanto privo di ogni fondamento, di ogni evidenza empirica e persino di ogni plausibile spiegazione. Perché mai gli zingari dovrebbero rubare i bambini, infatti, come se non ne avessero abbastanza dei loro? Eppure, sembra essere la prima cosa che viene in mente, che viene ritenuta plausibile, non solo quando un bambino, effettivamente, sparisce, ma anche quando un bambino della comunità zingara è troppo biondo e chiaro di pelle “per essere davvero figlio loro”, scatenando ipotesi fantasiose di rapimento. E avvenuto tempo fa in Grecia quando una bambina, appunto, “troppo bionda per essere zingara”, venne individuata in un insediamento rom, scatenando accuse di rapimento e ricerche dei “genitori veri”, salvo scoprire che questi erano effettivamente diversi da quelli che avevano la custodia della piccola, ma, zingari anch’essi, la avevano ceduta in una sorta di affido famigliare informale, perché non erano in grado di provvedere per lei. Da segnalare che tutte le sollecite preoccupazioni per il benessere della bambina spari- rono quando si scoprì che, dopo tutto, era solo una rom. Un caso molto simile scoppiò nello stesso periodo in Irlanda, s alvo scoprire che gli zingari “rapitori” erano i genitori a tutti gli effetti, biologici e legali. Non stupisce allora che uno stereotipo tanto radicato possa essere utilizzato come una copertura plausibile da un adulto che cerca di coprire le proprie responsabilità. Come ha fatto il padre che qualche giorno fa, per nascondere di aver perso di vista il proprio figlioletto di tre anni e il suo amico ad una fiera di paese nel torinese, di- chiarò di averlo salvato dalle grinfie di uno zingaro che lo aveva rapito. Dimostrando la stessa incoscienza e irresponsabilità della quindicenne che, qualche anno prima, per nascondere di aver fatto l’amore con il proprio ragazzo, denunciò per stupro un giova- ne rom, scatenando una rappresaglia feroce e incivile contro il campo nomadi. Fortunatamente, questa volta la polizia ha provveduto a smascherare la bugia prima che le pulsioni antizingare si organizzassero.
La spiegazione della diffusione dello stereotipo dello zingaro come quintessenza del- la brutalità malvagia non va ricercata in qualche esperienza effettiva in un passato più o meno lont ano, e neppure, forse, nellaso- cietà contadina. Mito letterario costruito dai commediografi italiani e spagnoli tra cinque e seicento, nel periodo di prima formazione degli stati moderni, con le loro esigenze di controllo sia del territorio sia della popolazione, essoè assimilabile ad altristereotipidicui sono stateesono oggetto altre minoranze: gli ebrei che rubavano i bambini (cristiani) per nutrirsidellorosangue, imendicanticheliru- bavano per mandarli ad elemosinare. Gli zingari sembrano condensare in sé tutte le caratteristiche di una minoranza designabile insieme come altro da sé e come capro espiatorio: sono (o meglio erano) nomadi, di una etnia diversa da quella prevalente nei luoghi in cui transitano o abitano; sonopoverie chiedono l’elemosina; hanno abitudini e comportamenti spesso molto diversi da quelli prevalenti. Lo stereotipo è talmente forte, per altro, che mentre si accetta seni a b attere ciglio che vivano in condizioni spesso spaventose (tanto sono “come animali’, “sub-umani”), purché i loro insediamenti siano a debita di- stanza da quelli dei “civilizzati”, si considera una pretesa fuori luogo che chiedano invece di poter vivere in condizioni civili. Così come si ignora che molti rom e sinti, non solo non sono più nomadi, ma sono insediati accanto a noi, in abitazioni simili alle nostre, manda- no i figli a scuola, hanno, o vorrebbero avere, una occupazione regolare e non vorrebbero essere costretti avergognarsi, a nascondere, di essere rom. Gli stereotipi condannano i rom alla propria diversità, alla immagine ne- gativa che la accompagna e che li rende in- sieme vulnerabili e scarsamente legittimati a ricevere sostegno. Una diversità, per altro, oggi resa più complicata dalfatto che i campi rom sano sempre più affollati da migr anti dei paesi dell’Est, non sempre rom essi stessi, che solo in questi luoghi spesso di estremo de- grado trovano una qualche, per quanto fragile e rischiosa, accoglienza.