Ascoltare significa letteralmente «stare a sentire attentamente, prestare l’orecchio» (da auris, orecchio)
un’oasi tra le chiacchiere
di Nunzio Galantino
in “Il Sole 24 Ore”
ascoltare significa letteralmente «stare a sentire attentamente, prestare l’orecchio» (da auris, orecchio). Proprio per questo, vuol dire anche «ubbidire, esaudire». L’ascolto è collegato al volgere attenzione all’animo, alla mente ma anche all’altro, al mondo o anche a se stesso. L’ascolto, svalutato sin dal vocabolario dantesco rispetto al “sentire” dei sensi, in realtà nasconde l’intima natura di chi si presta all’altro senza essere distratto dalla confusione, dentro e fuori di sé. Ascoltatore è chi riesce a far tacere le tante voci, chi fa silenzio. «Per ascoltare occorre tacere. Non soltanto attenersi a un silenzio fisico che non interrompa il discorso altrui (o se lo interrompe, lo faccia per rimettersi a un successivo ascolto), ma a un silenzio interiore, ossia un atteggiamento tutto rivolto ad accogliere la parola altrui. Bisogna far tacere il lavorio del proprio pensiero, sedare l’irrequietezza del cuore, il tumulto dei fastidi, ogni sorta di distrazioni» (G. Pozzi, Tacet, Adelphi, Milano 2013, pag. 20)
Nella mitologia greca “ascoltare” e “vedere” erano considerate facoltà noetiche che mettevano in comunicazione l’uomo con il volere divino. Nella tradizione biblica è Dio ad ascoltare il grido dell’uomo che soffre (Es 3,7), il grido del sangue di Caino che proviene dalla terra (Gen 4,10). A sua volta, l’uomo ascolta la Parola di Dio come un discepolo, come uno che ha sempre da imparare, per indirizzare allo sfiduciato, a chi è stanco, una parola (Is 50,4-5). Saper ascoltare è come apprendere un’arte, affermava Plutarco e per saper usare bene la parola bisogna prima imparare ad accoglierla. Richiamandosi a Spintaro che elogiava Epaminonda, Plutarco ricorda che egli diceva che se la natura ci ha dotato di due orecchie e di una lingua sola, è perché si è tenuti ad ascoltare più che a parlare. Si ascoltano tanti rumori e tante chiacchiere: «Il mondo è oppresso da una pesante cappa di parole, suoni e rumori. Credevano i babilonesi che gli dèi avessero inviato sulla terra il diluvio perché infastiditi dal chiacchiericcio degli uomini» (G. Pozzi, cit., pag. 22). L’ascolto non è mai fine a se stesso. Dopo aver accolto e aver bene inteso una parola, esso implica anche un’obbedienza, una realizzazione di quanto si è udito. Secondo Heidegger l’uomo è chiamato a scegliere tra un’esistenza autentica e una, invece, segnata dall’equivoco. Quest’ultima è caratterizzata dalla chiacchiera del “si dice”, dalla curiosità che va da una cosa all’altra, dalla ricerca sempre… di altro. L’esistenza autentica è quella del pieno Esser-ci, della coesistenza fondata sulla ricerca della verità della nostra esistenza, e ciò è possibile soprattutto attraverso un profondo ascolto di sé, dell’altro e della storia nella quale siamo inseriti.