questa volta papa Francesco fa autogol

VatiLeaks

papa Francesco fa autogol

mettere sotto accusa i due cronisti Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi contraddice la volontà di trasparenza sempre sbandierata da papa Francesco

di Riccardo Bocca

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Gelo. Imbarazzo. Buio formale e sostanziale. Reticenza implicita in ogni frase e gesto, anche se maldestramente celata sotto l’oltranzismo con cui 
il Vaticano in queste settimane sta insistendo nel trasformare il processo sul cosiddetto caso VatiLeaks 2 nella bara della trasparenza e della condivisione pubblica di ciò che sta accadendo Oltretevere. Lontano ore di volo e pensieri, papa Francesco ha aperto nella Repubblica centrafricana la Porta Santa dando il via al Giubileo.

Ma al tempo stesso, nel corso di questa trasferta, ha ricordato al mondo le ragioni dell’amore 
e fascino che fin dal giorno della sua elezione ha suscitato in laici e fedeli. Ossia ha scandito, davanti a telecamere e giornalisti, parole forti a favore delle madri delle bidonville, quelle che «lottano eroicamente per proteggere figli e figlie dai pericoli nel contesto di indifferenza 
e ostilità». Si è anche soffermato, con paterna cura, sull’identità dell’uomo e 
del senso della sua esistenza, suggellato 
dal «sacro diritto alla terra, alla casa e al lavoro». Fino a toccare, in questo flusso 
di empatia trans-nazionale e trans-confessionale, il tema cardine tra le mura vaticane: cioè la necessità di arginare 
i «casi di corruzione», che penetrano 
nelle segrete stanze come «lo zucchero» 
che «è dolce, ci piace, è facile».

Impossibile dissentire da questa interpretazione delle distrazioni molto umane e curiali. Ma anche impossibile sfuggire al confronto, in queste settimane, con la grammatica giudiziaria del processo, dove il rinascimento post moderno della comunicazione voluto da Francesco, e del consenso cercato dal Santo Padre nella società civile, sbatte contro l’estromissione di taccuini e telecamere dall’aula di giustizia. Il più infernale dei cortocircuiti, dal momento 
in cui alla sbarra – oltre a monsignor Lucio Vallejo Balda, Nicola Maio e Francesca Chaouqui – siedono due esponenti della stampa libera come Emiliano Fittipaldi 
e Gianluigi Nuzzi; e la situazione diventa ancora più contorta, sotto il profilo della linearità tra parole e fatti, dato che l’accusa in campo (la diffusione di notizie e documenti riservati) esiste sì Oltretevere con l’articolo fresco d’inchiostro 116 bis, ma non nel codice penale italiano. Il che avrebbe dovuto suggerire alla Santa Sede, nel dialogo emotivo tra differenti Stati e coscienze, 
la costruzione di una liturgia giudiziaria che sposasse i diktat vaticani – comunque leciti in quel perimetro – a una costante documentazione mediatica dei passaggi processuali.

L’esatto opposto, nei fatti, di quello che 
è già diventato il caso VatiLeaks 2. Cioè una drastica conferma di come l’azione contro Fittipaldi e Nuzzi, in particolare, odori di censura e paura (di spalancare tutte le altre porte, oltre a quella Santa).

Niente a che vedere con la postura che papa Francesco ha assunto in pubblico verso i più tormentati snodi sociali (basti ricordare il suo rivoluzionario «Chi sono io, per giudicare?» in tema di omosessualità) e niente di compatibile con il dicembre 2014, quando rivolto alla Curia romana nominò una dopo l’altra le malattie da sanare con urgenza: partendo da quella della «rivalità e vanagloria» per arrivare 
a quella «del profitto mondano».

Qual è la Chiesa, è a questo punto lecito chiedere, che il Santo Padre lotta per affermare? È quella scandita da esternazioni costanti sui grandi mali dell’uomo e del mondo contemporaneo (tra i quali appunto il «profitto mondano» al centro dei libri-inchiesta di Fittipaldi 
e Nuzzi) ma pronta subito a rinculare quando la disinvoltura etica e morale 
si sposta dalla teoria alla pratica (dentro le mura del Vaticano, s’intende, e tra le persone di fiducia del papa), oppure il sommo pastore e la sua nuova chiesa vogliono davvero cancellare anni e anzi secoli di opacità e collusioni con figure 
e pensieri impuri? Non sposta affatto l’approccio, l’esternazione di Francesco sul volo di ritorno dall’Africa riguardo alla «libertà di difesa» che spetta agli imputati di VatiLeaks 2. Lo stop medievale alla stampa e al suo lavoro di testimonianza al processo, non soltanto fa temere per la prima opzione, ma spinge pure a invocare da parte del Santo Padre – con tutto il rispetto possibile – il suo impegno sulla strada che più fa proseliti: quella della coerenza. Ideale, tra parentesi, per evitare il valzer dei veleni figlio dei regimi censori.

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