il vescovo Bettazzi e le nuove sfide che la chiesa deve affrontare

«comunione ai divorziati e gay, la chiesa affronti le nuove sfide»

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Mons. Bettazzi

mons. Bettazzi

intervista con mons. Bettazzi: «Con Francesco torna lo spirito del Concilio»

Bruno Quaranta

 

il peccato per cui la Chiesa deve chiedere specialmente misericordia? Non aver attuato pienamente il Concilio Vaticano II, scegliendo di essere Chiesa dei poveri e Chiesa comunione a tutti i livelli. Il peccato che “segna” in particolare l’uomo d’oggi? L’indifferenza di fronte ai grandi valori (a cominciare da quello religioso)».

 

meditando sull’Anno Santo prossimo venturo con Luigi Bettazzi nel verde Canavese. Dal 1966 al 1999 vescovo di Ivrea, il novantunenne monsignore, fra i pastori che non sdegnano, anzi, l’odore delle pecore (dagli operai olivettiani agli obiettori di coscienza), già frettolosamente, mediaticamente, soprannominato «il vescovo rosso», ha infine trovato conforto – se mai abbisognasse di conforto -nelle parole di Francesco: «Privilegiare i poveri non vuol dire  essere comunisti».

Papa Francesco ha già creato diversi cardinali ultraottantenni. Potrebbe ricevere anche lei la porpora.

«Non sono una figura così di rilievo. E comunque: Loris Capovilla, il segretario di Roncalli, è diventato cardinale a novantasette anni, sono ancora giovane…».

 

Torino è fra le sorprese dell’ultimo Concistoro…

«La mancata berretta cardinalizia è motivo di riflessione, certo. Ma non dimentichiamo che il Papa mira a segnalare situazioni peculiari, come nel caso di Francesco Montenegro, vescovo di Agrigento, che accolse Francesco a Lampedusa».

 

È pur vero che Torino è la città della Sindone.

«Sì, forse la prossima ostensione autorizzava l’attesa della porpora».

 

Per lei la Sindone è un’icona o una reliquia?

«E’ anche reliquia. Secondo Odifreddi è falsa perché non si è riusciti finora a spiegarla scientificamente. Per me è l’esatto contrario: ciò che non è spiegabile, implica un intervento al di là della scienza».

 

La Sindone icona e reliquia del Dolore. La carneficina tunisina come quella parigina (Charlie Ebdo) sollecita un quesito: l’Occidente decristianizzato potrà arginare il fondamentalismo islamico?

«La secolarizzazione del cristianesimo ha un sicuro risvolto positivo: ci ha consentito di arrivare alla democrazia. Vi è chi ha definito la Carta dei diritti dell’uomo il vangelo secondo l’Onu, un ventaglio di principi evangelici laicamente espressi. L’auspicio è che il mondo musulmano compia il medesimo cammino».

 

Papa Francesco: ha avuto occasione di incontrarlo?

«Un paio di volte, a Santa Marta. Una volta concelebrando con lui. Mi sono presentato: “Sono un superstite del Concilio”. Mi ha iniettato fiducia: “Un testimone”».

 

Quale Papa sente più affine?

«Giovanni XXIII, tale la sua umanità. Luciani mi invitò a non turbare la fede della gente. Giovanni Paolo II mi bacchettò: “Si fa presto a scrivere una lettera a Berlinguer, quando non si è vissuto sotto i comunisti”».

 

Lei testimone del Concilio, accanto a Lercaro di cui fu ausiliare.

«L’11 ottobre 1963 pronunciai l’intervento in favore della collegialità. In idem sentire, di lì a poco, Joseph Ratzinger, teologo del cardinal Frings».

 

Ma il dopo Vaticano non si caratterizza per la collegialità mancata?

«Purtroppo. Francesco vi sta rimediando grazie ai cardinali che ha voluto al suo fianco. Le remore non sono poche, né lievi: il Vaticano è il governo, il Concilio è il parlamento, i governi, notoriamente, soffrono i parlamenti».

 

Sarebbe favorevole a un Vaticano III?

«Come lo intendeva il cardinal Martini. Una serie di sessioni tematiche, che durino un mese: la bioetica, il sesso, la collegialità…Francesco, con il Sinodo in due tempi, si avvicina a Martini».

 

Il Sinodo che si esprimerà, fra l’altro, sulla comunione ai divorziati risposati e sulla condizione omosessuale.

«La comunione: vi sono cristiani ortodossi che, appellandosi al Concilio di Nicea, ammettono persino un secondo matrimonio, nel segno beninteso della sobrietà. L’omosessualità: la questione del sesso va studiata, emancipandosi dai neoplatonici che facevano coincidere sesso e decadenza dello spirito. Perché non espressione dello spirito umano? È noto che mi pronunciai in favore dei Dico, il riconoscimento delle unioni civili».

 

Torniamo al Concilio, al gruppo bolognese: Lercaro, Dossetti, lei. E Giuseppe Alberigo, storico del Vaticano II. Quando morì, sette anni fa, la curia felsinea (cardinal Caffarra) non le permise di presiedere la celebrazione eucaristica. Poté solo concelebrare. Quali le colpe di Alberigo?

«La sua lettura del Concilio: non l’umanità per la Chiesa, ma la Chiesa per l’umanità; non il laicato per la gerarchia, ma la gerarchia per il laicato».

 

Dossetti, un padre costituente. Jemolo rimproverò a Montini di non averlo nominato arcivescovo.

«Montini era un diplomatico, di respiro moroteo. Dossetti lo allarmava».

 

Jemolo avrebbe voluto vedere vescovo un’anima irrequieta come don Milani, magari a capo della pastorale per gli immigrati.

«Distinguerei tra i pastori e i profeti».

 

Francesco ha scandalizzato i cattolici «medi» sostenendo che «il proselitismo è una solenne sciocchezza».

«Francesco è latino-americano. Nel suo bagaglio storico ci sono i nostri antenati che, traversato l’Oceano, non lesinavano l’aut-aut agli indigeni: o diventavano cristiani o venivano eliminati. Le religione è, sia, un affare di coscienza. Cito il Concilio: “La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio”».