bisogno di teologia della liberazione?

 

Boff
Perché ritorna la teologia della liberazione?

di Aldo Maria Valli

  Papa Francesco che riceve a Santa Marta Gustavo Gutiérrez, il padre della teologia della liberazione, è una notizia. Una visita in qualche modo anticipata dall’Osservatore romano che aveva parlato diffusamente del sacerdote peruviano. È vero che il domenicano, a differenza di altri esponenti di quel filone teologico, non è mai stato condannato da Roma, ed è altrettanto vero che l’attuale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, l’arcivescovo Gerhard Ludwig Müller, è addirittura un allievo di Gutiérrez nonché suo intimo amico. Ma lo spazio che il giornale della Santa Sede ha recentemente dedicato al libro scritto da Gutierrez e Müller (Dalla parte dei poveri. Teologia della liberazione, teologia della Chiesa, Edizioni Messaggero – Emi) segna comunque una svolta ed è indice di un clima cambiato. L’edizione italiana del libro scritto da Gutiérrez e Müller (uscito in Germania nel 2004) è stata presentata nei giorni scorsi a Mantova alla presenza dei due autori e anche a questo incontro l’Osservatore romano ha dato spazio grazie a una bella intervista di padre Ugo Sartorio al teologo peruviano. Nel libro il teologo Müller mette nero su bianco: «Il movimento ecclesiale e teologico dell’America Latina, noto come teologia della liberazione e che dopo il Vaticano II ha trovato un’eco mondiale, è da annoverare, a mio giudizio, tra le correnti più significative della teologia cattolica del XX secolo». E ancora: «Solo per mezzo della teologia della liberazione la teologia cattolica ha potuto emanciparsi dal dilemma dualistico di aldiquà e aldilà, di felicità terrena e salvezza ultraterrena». Papa Francesco è su questa stessa linea. Il che non autorizza certamente a sostenere che il pontefice argentino sia diventato un supporter della teologia della liberazione. Lui, semmai, è legato alla cosiddetta teologia del pueblo, che ha in Lucio Gera (immigrato italiano arrivato in Argentina da bambino) il fondatore e che recupera la religiosità popolare e accoglie l’opzione preferenziale per i poveri rifiutando però la dottrina marxista della lotta di classe e il rischio di ridurre la Chiesa a una sorta di agenzia sociale. Tuttavia è indubbio che in altri tempi il giornale della Santa Sede non avrebbe dedicato tanta attenzione a Gutierrez. Papa Francesco sa bene che il confronto con la cultura atea, terreno privilegiato da Joseph Ratzinger e in generale dalla teologia europea, non può essere l’unico sul quale impegnarsi. Certo, resta un terreno importante (come dimostra la lettera inviata dal papa a Eugenio Scalfari), ma accanto ad esso occorre recuperare quell’altra grande sfida rappresentata dalle vecchie e nuove povertà. Una sfida che la Chiesa può raccogliere in modo credibile e fruttuoso soltanto se a sua volta vive la povertà. In questo senso l’esperienza del teologo Müller è significativa. L’attuale prefetto dell’ex Sant’Uffizio conobbe Gutierrez e la teologia della liberazione negli anni Ottanta, durante un soggiorno in Perù. Vissero due settimane con i contadini delle Ande e con i poveri delle baraccopoli e solo dopo tennero una settimana di riflessione e di studio. Fu così che Müller capì che la teologia della liberazione non nasceva da una disputa teorica ma aveva concretamente a che fare con la vita dura e con la sofferenza dei poveri e con le cause che provocano la povertà. Papa Bergoglio è passato da un’esperienza analoga. Anche lui, in Argentina, ha toccato con mano la povertà ed è andato dai poveri, e anche lui, come Müller, ritiene che se il marxismo è stato il grande problema del XX secolo, il neoliberismo selvaggio è il grande scandalo del secolo XXI. Ecco perché Francesco, pur condannando un certo “progressismo adolescenziale” che ancora fa breccia nei cuori di alcuni cattolici, non esita a recuperare quanto, dal suo punto di vista, ci può essere di buono e di valido nella teologia della liberazione. Ed ecco perché, come spiega padre Sartorio sull’Osservatore, «con una papa latinoamericano, la teologia della liberazione non poteva rimanere a lungo nel cono d’ombra nel quale è stata relegata da alcuni anni, almeno in Europa».

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