il sesso difficile e sofferto dei nostri ‘giovanissimi’

continua il viaggio (costellato di apprezzamenti e di tante polemiche) di B. Borromeo (su ‘ilfattoquotidiano’) nel mondo dei giovanissimi, in particolare riferimento alla modalità di vivere la propria sessualità e fare sesso
mi piace riportare qui la terza ‘puntata’ che  evidenzia la particolare sofferenza e disagio di un ragazzo che a motivo della propria omosessualità ha conosciuto desiderio di nascondersi, depressione, vergogna anche di fronte alla famiglia, volontà anche di farla finita …

GAY A 14 ANNI: “MI NASCONDO E A VOLTE PENSO DI FARLA FINITA”

SEX AND THE TEENS
LA PAURA E L’OMOSESSUALITÀ 
La depressione dopo il coming out: “Ho cominciato ad avere attacchi di panico. Non riuscivo più a dormire. Ho iniziato anche a fare uso di sonniferi. Vorrei andare da uno psicologo, ma come faccio a chiedere i soldi alla mia famiglia senza rompere il tacito accordo di non dire la verità?”

Continua il viaggio del Fatto nel mondo dei ragazzi che si confrontano col sesso Per Tommaso è la frustrazione più grande: “Non ho mai baciato nessuno. Ho provato a uscire con una, ma non ce l’ho fatta. Vivo come un dodicenne che non sa gestire la propria sessualità. I miei genitori mi facevano giocare con le bambole, ma preferiscono non sapere Io so di essere un peso, non voglio creare problemi. Per fortuna ho qualche amico”
E poi il momento arriva: per non nascondersi più, per ammettere, almeno con se stessi, quel che si sa da anni. Per lasciare che il gesto di qualcun altro cambi anche la propria vita. Ottobre di tre anni fa, liceo classico Berchet, Milano. Come ogni autunno, é tempo di autogestione. C’è chi parla di insegnanti, chi di voti e chi di politica. Il microfono passa di mano in mano e l’aula magna è gremita. Poi prende la parola Alessandro e davanti a tutta la scuola dice, semplicemente, “sono gay”. “H0 realizzato così — racconta Tommaso, 14 anni, che quel pomeriggio era seduto per terra in fondo alla classe — che anche io, prima o poi, avrei potuto fare coming out. Ma ho sentito alcuni ragazzi, in corridoio, prendere in giro Ale. Dargli del frocio, dire che non poteva usare l’assemblea per raccontare certe cose. Ho avuto paura, non ero pronto”. Poi Alessandro diventa rappresentante d’istituto e la sua popolarità cresce di continuo. L’anno dopo, torna sull’argomento. “Quel ragazzo ha parlato della sua omosessualità davanti ai compagni, agli insegnanti, pure ai suoi nonni. E’ stato davvero straordinario”, ricorda il preside, Innocente Pessina, mentre guarda una foto scattata quel giorno. Allora Tommaso si decide: “Ho mandato una email ad Ale dicendogli che sono anche io gay. E’ incredibile: finché non senti la tua voce che lo dice, finché non leggi le tue parole sullo schermo del computer, non lo realizzi davvero. Appena ho cliccato ‘invio’, invece, mi é sembrato surreale il fatto di non averne mai parlato prima. Lui mi ha risposto con uno smiley”.

LA SCOPERTA

Tommaso giura che, senza Alessandro, sarebbe rimasto nell’ombra per anni. Forse per sempre: “Credo che mi sarei sposato, forse avrei avuto dei figli. So di essere omosessuale da quando avevo 12 o 13 anni. Ma la mente di un ragazzino gay fa miracoli: rimuove tutto, ignora i segnali. lo rifiutavo il pensiero, schiacciavo dentro di me ogni impulso, ero terrorizzato che gli altri sapessero. Eppure non bastava: già a 10 anni i bambini mi chiedevano se fossi gay, mi prendevano in giro. ‘Sono normale’, giuravo, ma a quell’età la cattiveria é pazzesca. Le medie sono state difficilissime”. E ancora fino a un anno fa Tommaso “commentava” le compagne di scuola come tutti gli altri: “Per far parte della conversazione, per non essere tagliato fuori. Mi ero anche imposto di uscire con una, ma non ho avuto il coraggio. Non ce la facevo più .

IL PANICO E I SONNIFERI

Tommaso beve un caffé in un bar buio a pochi passi dalla scuola, Intorno non c’e nessuno, eppure parla a voce cosi bassa che è quasi impossibile sentirlo. E’ un ragazzo alto e magro, seduto con la schiena curva. Giocherella con le dita lunghe come candele con le bustine dello zucchero, e si sfoga senza pause: “Ho letto le storie di Chiara e Mattia che avete pubblicato la scorsa settimana. Sapere che a qualcuno importa quello che pensiamo, e che viviamo, mi ha fatto stare bene. Io ho nascosto tutto fino a che il mio malessere é diventato così forte da non poterlo più ignorare. Poi sono esploso”. E proprio quando ha ammesso di essere gay, racconta Tommaso, le cose sono, inaspettatamente, peggiorate: “Si pensa che il coming out basti per stare meglio, per liberarsi. Invece io ho cominciato ad avere attacchi di panico. La mia inclinazione alla tristezza — mi sento inadeguato, brutto, sfigato, escluso dai gruppi piu popolari, più in vista — si é trasformata in depressione. Spesso sono completamente incapace di reagire”. Tommaso ripercorre l’apatia che lo accompagna di giorno e le crisi d’ansia che lo assalgono di notte, quando pensa alla sua vita, alla morte, al futuro che non riesce a immaginare: “Ho cominciato a fare use di sonniferi un paio di  mesi fa. Non ho preso davvero in considerazione il suicidio, ma non e escluso che possa succedere. Credo di no, perché ho tanti amici. Spero di no, ma non so”.

I GENITORI

Tommaso parla dei genitori come se toccasse a lui proteggerli, difenderli dalla sua omesessualità. Li racconta come persone aperte, semplici, che sanno di avere un figlio gay, ma scelgono di non confrontarsi. “Vedere il proprio bambino e sapere che é gay é un peso. E io non voglio pesare su nessuno. La mia omosessualità crea problemi e io non voglio essere un problema. I miei non hanno mai cercato di cambiarmi, volevo giocare con le bambole e me l’hanno permesso. Non ho ancora detto niente perché non so come gestire questa situazione, non voglio che mi vedano così disperato”. E parlare con uno psicologo, per Tommaso, spezzerebbe quel tacito accordo che c’è con la sua famiglia: “Dovrei chiedere loro i soldi e non saprei come giustificarlo. Per fortuna ho i miei amici, che sono gli unici a placare la mia angoscia”.

I TALK SHOW

Tommaso parla già da un’oretta e la luce che filtra nel bar pian piano sparisce. Per lui non é più un’intervista. Pare più un’autoanalisi, dove tutti i suoi dubbi emergono insieme. Ripercorre il primo dei suoi attacchi di panico, avvenuto mentre, in classe, si discuteva di bioetica e fecondazione assistita: “Di colpo ho pensato: ‘Avrò mai una famiglia? Come farò a sposarmi? Potrò adottare un bambino, o ricorrere all’utero in affitto? E soprattutto, è giusto che io abbia un figlio?’. Non so se posso essere genitore. Credo che sarei un bravo papà, non certo peggiore di un papà etero. Poi guardo la tv e vedo queste persone che descrivono quelli come me come esseri abominevoli, che rovinerebbero la vita dei propri figli. So che c’è gente per strada che mi picchierebbe. Se non mi insultano, in giro, é solo perché io non mostro la mia omosessualità. Mi vesto normalmente, mi comporto normalmente”.

MAI UN BACIO

Tommaso svela la sua frustrazione più profonda: “Non sono mai stato con un ragazzo. Nemmeno con una ragazza, a dire il vero. Non ho mai neanche baciato nessuno, a meno che non valgano quei baci a stampo durante il gioco della bottiglia, in seconda media. Ho 17 anni e sono come un preadolescente. Devo ricominciare tutto da capo: é come se avessi 12 anni, non so fare niente, mi sento completamente inadeguato”. E alle amiche, che insistono per accompagnarlo in un locale gay, risponde: “Perché devo andare in un posto pieno di sconosciuti, spesso molto più grandi di me? Per gli eterosessuali sperimentare é molto più semplice, e possono farlo con i coetanei. Io non me la sento di andare in quei locali. Soprattutto per via della mia più grande paura: che non succeda proprio niente. Che la vita passi senza che io la viva” .

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UNA MADRE RACCONTA
“Mia figlia lesbica? Egoista, non doveva dirmelo”

La telefonata dura circa un quarto d‘ora. Poi la madre di Vera, avvocato sulla cinquantina, butta giù il telefono. Spiega come può la frustrazione che l’accompagna da quando sua figlia le ha raccontato di essere lesbica: “Vera mi ha detto che le piacciono le ragazze l’estate scorsa, il giorno del suo compleanno, L’ho trovata una delle cose più egoiste che potesse fare. Io lo sapevo già, i genitori queste cose le sanno sempre. E per anni le ho fatto capire che non me lo doveva dire, che doveva far finta di niente, almeno con me, Che bisogno c’era di rovinarmi la vita?”. Parole che, proprio perché vengono da una donna in carriera, ancora giovane, e con una figlia in gamba (ottimi voti a scuola e già due stage nel curriculum), stupiscono ancora di più. E svelano il punto di vista di una madre che non riesce ad accettare sua figlia, né a dirle pm che le vuole bene (“é ovvio che la amo, ma perché dovrei dirglielo? Potrebbe pensare che sono d’accordo con le sue scelte), né a capire che di scelte non si tratta. Claudia e Vera vivono a Vicenza e a pesare é anche il giudizio dei vicini di casa: “Parliamo sempre dei nostri figli e ora che lei mi ha detto che é lesbica non so più cosa fare. Devo mentire ai miei amici? O continuare a pretendere che non sia vero?”. E poi, più in profondità, la paura che la sua omosessualità possa pesare sul futuro: “Ma si rende conto che non potrà avere figli? E io non sarò mai nonna”. Claudia sa che questo comportamento ferisce la figlia, eppure insiste: “Capisco che per lei é difficile, ma a me chi ci pensa?”.

 

 

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