«Teologia della prosperità»: questo è il nome più conosciuto e descrittivo di una corrente teologica neo-pentecostale evangelica. Il nucleo di questa «teologia» è la convinzione che Dio vuole che i suoi fedeli abbiano una vita prospera, e cioè che siano ricchi dal punto di vista economico, sani da quello fisico e individualmente felici. Questo tipo di cristianesimo colloca il benessere del credente al centro della preghiera, e fa del suo Creatore colui che realizza i suoi pensieri e i suoi desideri.
Il rischio di questa forma di antropocentrismo religioso, che mette al centro l’uomo e il suo benessere, è quello di trasformare Dio in un potere al nostro servizio, la Chiesa in un supermercato della fede, e la religione in un fenomeno utilitaristico ed eminentemente sensazionalistico e pragmatico.
Questa immagine di prosperità e benessere, come vedremo più avanti, fa riferimento al cosiddetto American dream, al «sogno americano». Non si identifica con esso, ma con una sua interpretazione riduttiva. In sé questo «sogno» è la visione di una terra e di una società intese come un luogo di opportunità aperte. Storicamente, attraverso diversi secoli, è stata la motivazione che ha spinto molti migranti economici a lasciare la propria terra e a raggiungere gli Stati Uniti per rivendicare un posto in cui il loro lavoro avrebbe prodotto risultati irraggiungibili nel loro «vecchio mondo».
La «teologia della prosperità» prende spunto da questa visione, ma la traduce meccanicamente in termini religiosi, come se l’opulenza e il benessere fossero il vero segno della predilezione divina da «conquistare» magicamente con la fede. Questa «teologia» è stata diffusa – grazie anche a gigantesche campagne mediatiche – in tutto il mondo per decenni da movimenti e ministri evangelici, specialmente neo-carismatici.
Scopo della nostra riflessione è quello di illustrare e valutare questo fenomeno, che intende essere anche un tentativo di giustificazione teologica del neoliberismo economico. Alla fine verificheremo come papa Francesco sia intervenuto più volte per indicare i pericoli di questa teologia che, come è stato detto, «oscura il Vangelo di Cristo»[1].
La diffusione nel mondo
Il «vangelo della prosperità» (prosperity gospel) è andato diffondendosi non soltanto negli Stati Uniti, dove è nato, ma anche in Africa, specialmente in Nigeria, Kenya, Uganda e Sudafrica. A Kampala c’è un grande stadio coperto che è il Miracle Center Cathedral, la cui costruzione è costata sette milioni di dollari. È l’opera del pastore Robert Kayanja, che ha sviluppato anche un vasto movimento molto presente nei media.
Ma anche in Asia il «vangelo della prosperità» ha avuto un notevole impatto, soprattutto in India e in Corea del Sud. In quest’ultimo Paese, negli anni Ottanta, c’è stato un forte movimento autoctono legato a questa corrente teologica, promosso dal pastore Paul Yonggi Cho. Egli ha predicato una «teologia della quarta dimensione», secondo la quale i credenti, mediante lo sviluppo di visioni e sogni, sarebbero potuti giungere a controllare la realtà, ottenendo qualsiasi genere di prosperità immanente[2].
Si osserva anche un radicamento nella Repubblica Popolare Cinese, grazie alle «Chiese di Wenzhou». Wenzhou è un grande porto orientale nella provincia dello Zhejiang, nella cui zona grandi croci rosse sono comparse in sempre più numerosi edifici. Di solito esse indicano la presenza di una «Chiesa di Wenzhou», una comunità originata da vari imprenditori locali, legata al movimento della «teologia della prosperità»[3].
In America Latina, è stato a partire dal 1980 che la diffusione e la propagazione di questa teologia si è verificata in maniera esponenziale, sebbene se ne trovino radici tra gli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso. Questo fenomeno religioso si traduce, dal punto di vista mediatico, nell’uso della televisione da parte di figure molto carismatiche di alcuni pastori, detentori di un messaggio semplice e diretto, montato attorno a uno show di musica e testimonianze e a una lettura fondamentalista e pragmatica della Bibbia.
Se consideriamo l’America Centrale, Guatemala e Costa Rica probabilmente sono diventati i due bastioni principali di questa corrente religiosa. In Guatemala è stata determinante la presenza del leader carismatico Carlos Enrique Luna Arango, detto «Cash Luna». Il Costa Rica è la sede del canale televisivo satellitare evangelico TBN-Enlace.
In Sudamerica, la diffusione più significativa si è avuta in Colombia, in Cile e in Argentina, ma indubbiamente merita una considerazione speciale il Brasile, perché possiede una dinamica propria e un movimento pentecostale autoctono come la «Chiesa universale del Regno di Dio». Questo gruppo, denominato anche «Smetti di soffrire», ha ramificazioni in tutta l’America Latina, ma ha conservato un linguaggio intermedio tra lo spagnolo e il portoghese, che determina un tipo di comunicazione peculiare e accuratamente studiato. Basta analizzare l’annuncio della «Chiesa universale» brasiliana per ritrovare un forte messaggio di prosperità e benessere, collegato alla frequentazione personale dei suoi templi al fine di ricevere molteplici benefici.
Questo «vangelo» è propagandato da una presenza massiccia nei grandi mezzi di comunicazione, ed è sostenuto dalla sua forte incidenza sulla vita politica.
Le origini del movimento e il «sogno americano»
Se cerchiamo le origini di queste correnti teologiche, le troviamo negli Stati Uniti, dove la maggioranza dei ricercatori della fenomenologia religiosa americana le fanno risalire al pastore newyorchese Esek William Kenyon (1867-1948). Egli sosteneva che attraverso il potere della fede si possono modificare le concrete realtà materiali. Ma la diretta conclusione di questa convinzione è che la fede può condurre alla ricchezza, alla salute e al benessere, mentre la mancanza di fede porta alla povertà, alla malattia e all’infelicità.
Le origini della «teologia della prosperità» sono in realtà complesse, ma qui proponiamo le radici più significative, rinviando a volumi e saggi specialistici per approfondimenti. La teologa Kate Ward, ad esempio, ha scritto sull’influenza di Adam Smith, specialmente della sua «teoria dei sentimenti morali»[4]. La Ward, in questo senso, mostra come la compassione, per Smith, non riguarda i poveri, ma l’ammirazione di coloro che hanno avuto una storia di successo.
Queste dottrine si sono correlate e nutrite in misura consistente anche del positive thinking, il «pensiero positivo», espressione dell’ American way of life («modo americano di vivere»). Esse si collegano in questo senso alla «posizione eccezionale» che Alexis de Tocqueville nel suo celebre La democrazia in America (1831) attribuiva agli americani, a tal punto che si possa «ritenere che nessun popolo democratico verrà mai a trovarsi in una posizione simile» alla loro. Tocqueville arriva ad affermare che tale way of life plasma anche la religione degli americani.
A volte sono le stesse autorità americane a certificare questo legame[5]. Nel suo recente discorso sullo stato dell’Unione, del 30 gennaio 2018, il presidente Donald Trump, per descrivere l’identità del Paese, ha affermato: «Insieme, stiamo riscoprendo il “modo americano di vivere”». E ha proseguito: «In America, sappiamo che la fede e la famiglia, non il governo e la burocrazia, sono il centro della vita americana. Il motto è: “Confidiamo in Dio” (In God we trust). E celebriamo le nostre convinzioni, la nostra polizia, i nostri militari e veterani come eroi che meritano il nostro sostegno totale e costante». Nel giro di alcune frasi appaiono dunque Dio, l’esercito e il sogno americano[6].
Le «mega-chiese» del «vangelo diverso»
Un impulso fondamentale a queste idee di «prosperità evangelica» è stato dato dal Movimento «Word of Faith», che ha avuto come mentore principale il pastore, autoproclamatosi «profeta», Kenneth Hagin (1917-2003). Una delle caratteristiche di Hagin erano visioni ricorrenti, che lo portavano a dare una singolare interpretazione di alcuni testi molto conosciuti della Bibbia. È il caso, ad esempio, di Mc 11,23-24: «In verità vi dico: chi dicesse a questo monte: Lèvati e gèttati nel mare, senza dubitare in cuor suo, ma credendo che quanto dice avverrà, ciò gli avverrà. Per questo vi dico: Tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi accadrà». Questi due versetti sono per Hagin pilastri portanti della «teologia della prosperità».
Egli afferma che, per tradursi in opere, la fede miracolosa deve essere senza incertezze, specialmente nelle cose impossibili: deve dichiarare specificatamente il miracolo e credere che lo si otterrà nella maniera immaginata. Hagin ha pure enfatizzato un altro aspetto: il fatto che il miracolo desiderato deve essere considerato come già concesso. Cioè, si deve spostare la sua realizzazione dal futuro al passato.
Sia Kenyon sia Hagin hanno compreso che la comunicazione di massa era uno strumento fondamentale per la rapida diffusione dei loro insegnamenti. Il primo se n’è servito con il suo show personale Kenyon’s Church of the Air, e il secondo con il programma Faith Seminar of the Air.
Ci sono alcuni predicatori che si possono citare come continuatori delle teologie di Kenyon e Hagin e della loro strategia di comunicazione. Il primo è Kenneth Copeland – che dallo stesso Hagin fu «unto» come suo successore – con il suo programma televisivo Believer’s Voice of Victory, che ha diffuso in gran parte del mondo quelle dottrine. Allo stesso modo, Norman Vincent Peale (1889-1993), pastore della Marble Collegiate Church di New York, ha raggiunto la popolarità con i suoi libri dai titoli eloquenti nel loro significato: Il potere del pensiero positivo, Cambia i tuoi pensieri e tutto cambierà, Guida per una vita in positivo. Peale è stato un predicatore di successo, riuscendo a mescolare marketing e predicazione.
Negli Stati Uniti milioni di persone frequentano assiduamente «mega-chiese» che diffondono queste teologie della prosperità. I predicatori, profeti e apostoli arruolati in questo ramo estremo del neo-pentecostalismo, hanno occupato spazi sempre più importanti nei mass-media, pubblicando un’enorme quantità di libri rapidamente divenuti best-sellers e pronunciando conferenze che molto spesso vengono diffuse a milioni di persone con tutti i mezzi disponibili di internet e delle reti sociali.
Nomi come Oral Roberts, Pat Robertson, Benny Hinn, Robert Tilton, Joel Osteen, Joyce Meyer e altri hanno accresciuto la propria popolarità e ricchezza a forza di approfondire, enfatizzare ed estremizzare questo vangelo. La sola Joyce Meyer afferma che il suo programma televisivo «Come godersi la vita di ogni giorno» raggiunge due terzi del mondo attraverso la radio e la televisione ed è stato tradotto in 38 lingue[7].
Quello che risulta assolutamente chiaro è che il potere economico, mediatico e politico di questi gruppi – che abbiamo definito genericamente «evangelici del sogno americano» – li rende molto più visibili del resto delle Chiese evangeliche, anche di quelle della linea pentecostale classica. Inoltre, la loro crescita è esponenziale e direttamente proporzionale ai benefìci economici, fisici e spirituali che promettono ai loro seguaci: tutte benedizioni molto distanti dagli insegnamenti di una vita di conversione propria dei movimenti evangelici tradizionali.
Sebbene siano sorti e poi abbiano attraversato diverse denominazioni, questi movimenti hanno ricevuto non poche critiche anche dai gruppi di quelle Chiese carismatiche che hanno mantenuto la loro religiosità evangelica basata sui miracoli, sulle profezie e sui segni. Molti settori evangelici sia tradizionali (battisti, metodisti, presbiteriani…) sia più recenti hanno criticato duramente tali movimenti, al punto da chiamare quello che essi proclamano «un vangelo diverso» (a different gospel)[8].
Il benessere economico e la salute
I pilastri del «vangelo della prosperità», come già abbiamo anticipato, sono sostanzialmente due: il benessere economico e la salute. Questa accentuazione è frutto di un’esegesi letteralista di alcuni testi biblici che sono utilizzati all’interno di un’ermeneutica riduzionista. Lo Spirito Santo viene limitato a un potere posto al servizio del benessere individuale. Gesù Cristo ha abbandonato il suo ruolo di Signore per trasformarsi in un debitore di ciascuna delle sue parole. Il Padre è ridotto «a una specie di fattorino cosmico (cosmic bellhop) che si occupa dei bisogni e dei desideri delle sue creature»[9].
Nei predicatori di questo vangelo la «parola di fede» da loro pronunciata viene trasposta nel luogo che tradizionalmente occupava la Bibbia nel movimento evangelico come norma di fede e di condotta, fino a elevarla alla potenza e all’effetto della parola apostolica dell’«unto». Il parlare a nome di Dio in modo diretto, concreto e specifico dà alla «parola positiva» un senso creativo ritenuto capace di far sì che le cose succederanno, se coloro che assistono non le ostacoleranno con la loro mancanza di fede.
Al tempo stesso, essi insegnano che, trattandosi di una «confessione di fede», i seguaci sono responsabili, con le loro parole, di ciò che avviene loro, si tratti della benedizione o della maledizione economica, fisica, generazionale o spirituale. Un ritornello che molti di questi pastori ripetono è: «C’è un miracolo nella tua bocca» (There is a miracle in your mouth). Il processo miracoloso è il seguente: visualizzare dettagliatamente ciò che si vuole, dichiararlo espressamente con la bocca, reclamarlo con fede e autorità da Dio e considerarlo già ricevuto. Infine, il «reclamare» le promesse di Dio estratte dai testi biblici o dalla parola profetica del pastore colloca il credente in una posizione dominante rispetto a un Dio prigioniero della sua stessa parola, così come essa è stata percepita e creduta dal fedele.
Il tema della salute occupa a sua volta un ruolo preponderante nella «teologia della prosperità». In queste dottrine, è la propria mente che deve concentrarsi sulle supposte leggi bibliche, che poi producono la potenza desiderata attraverso la lingua. Si presuppone, per esempio, che un malato, senza ricorrere al medico, possa guarire col solo concentrarsi e pronunciare al tempo presente o passato frasi bibliche o preghiere ispirate alla Scrittura. Una delle frasi usate in maniera strumentale è: «Per le piaghe di Cristo già sono sanato». Sarebbero queste parole, a loro giudizio, a causare immediatamente lo «sblocco» della benedizione divina, che in quello stesso momento opererà la guarigione.
Ovviamente, eventi luttuosi o disastri, anche naturali, o tragedie, come quelle dei migranti o altre simili, non forniscono narrative vincenti funzionali a mantenere i fedeli legati al pensiero del «vangelo della prosperità». Questo è il motivo per cui in questi casi si nota una totale mancanza di empatia e di solidarietà da parte degli aderenti. Non c’è compassione per le persone che non sono prospere, perché chiaramente esse non hanno seguìto le «regole», e quindi vivono nel fallimento e non sono amate, dunque, da Dio.
Un Dio di «patti» e di «semi»
Una delle caratteristiche di questi movimenti è l’enfasi posta sul «patto» sottoscritto da Dio con il suo popolo, i suoi testamenti della Bibbia. E principalmente si è trattato di patti con i suoi patriarchi. Sicché il testo del patto con Abramo ha un posto centrale, nel senso della prosperità assicurata. La logica di questo concetto del «Dio dei patti» è che, siccome i cristiani sono figli spirituali di Abramo, sono anche eredi dei diritti materiali, delle benedizioni finanziarie e delle occupazioni territoriali terrene. Più che di un patto biblico, sembra che si tratti di un «contratto».
Kenneth Copeland ha scritto, nel suo libro Le leggi della prosperità, che, poiché il patto di Dio è stato stabilito e la prosperità è tra i lasciti di tale patto, il credente deve prendere coscienza del fatto che la prosperità adesso gli appartiene di diritto[10].
In queste teologie, l’appartenenza filiale dei cristiani in quanto figli di Dio viene reinterpretata come quella dei «figli del Re»: figliolanza che dà diritti e privilegi monarchici soprattutto materiali a coloro che la riconoscono e la proclamano. Harold Hill, nel suo libro Come essere un vincitore, ha scritto: «I figli del Re hanno diritto a ricevere un trattamento speciale, perché godono di una relazione speciale viva, di prima mano, con il loro Padre celeste, che ha fatto tutte le cose e continua a esserne Signore»[11].
In questa teologia un altro concetto centrale, e intimamente correlato con il precedente, è il principio di «semina» o di «seme». Il testo classico di riferimento è Gal 6,7: «Non fatevi illusioni; Dio non lascia ingannare. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato». Ma anche Mc 10,29-30: «Gesù [a Pietro] rispose: “In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà”».
La prosperità materiale, fisica e spirituale trova uno dei suoi testi preferiti nel v. 2 della Terza lettera di Giovanni: «Carissimo, mi auguro che in tutto tu stia bene e sia in buona salute, come sta bene la tua anima»[12]. Nell’Antico Testamento, il testo di riferimento è Dt 28,1-14.
I brani vengono interpretati in maniera del tutto funzionalistica. Ad esempio, nel libro La volontà di Dio è la prosperità, la predicatrice Gloria Copeland ha scritto, riferendosi a donazioni per ministeri come il suo: «Tu dai un dollaro per amore del vangelo, e già te ne toccano 100; tu dai 10 dollari, e in cambio ne riceverai 1.000 in regalo; tu dai 1.000 dollari, e in cambio ne ricevi 100.000. Se doni un aereo, riceverai cento volte il valore di quell’aereo. Regala un’automobile, e otterrai tante di quelle automobili da non averne più bisogno per tutta la vita. In breve, Marco 10,30 è un buon affare!»[13].
In definitiva, il principio spirituale della semina e del raccolto, alla luce di un’interpretazione evangelica completamente estrapolata dal suo contesto, è che dare è anzitutto un fatto economicistico, che si misura in termini di ritorno dell’investimento. Si dimentica, dunque, quello che si legge subito dopo Gal 6,7, cioè: «Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna» (v. 8).
Il pragmatismo e la superbia del successo
Il «vangelo» descritto viene facilmente assimilato nelle società attuali, in cui la legittimità del soprannaturale richiede una qualche verifica sperimentale. Il pragmatismo del successo richiede proposte semplici di fede. L’urgenza di una vita prospera e senza sofferenze si adegua a una religiosità a misura del cliente, e il kairos del Dio della storia si adegua al kronos frenetico della vita attuale. In definitiva, qui si parla di un dio concepito a immagine e somiglianza delle persone e delle loro realtà, e non secondo il modello biblico. In alcune società in cui la meritocrazia è stata fatta coincidere con il livello socio-economico senza che si tenga conto delle enormi differenze di opportunità, questo «vangelo», che mette l’accento sulla fede come «merito» per ascendere nella scala sociale, risulta ingiusto e radicalmente anti-evangelico.
In generale, il fatto che vi siano ricchezza o benefìci materiali ricade ancora una volta sull’esclusiva responsabilità del credente, e di conseguenza vi ricade anche la sua povertà o carenza di beni. La vittoria materiale colloca il credente in una posizione di superbia a causa della potenza della sua «fede». Al contrario, la povertà lo carica di una colpa doppiamente insopportabile: da una parte, egli considera che la sua fede non riesce a muovere le mani provvidenti di Dio; e, dall’altra, che la sua situazione miserabile è un’imposizione divina, una punizione inesorabile accettata con sottomissione.
Una teologia del «sogno americano»?
Questa teologia è chiaramente funzionale ai concetti filosofico-politico-economici di un modello di taglio neoliberista. Una delle conclusioni di alcuni esponenti di questa teologia è di natura geopolitica ed economica, legata al Paese di origine della «teologia della prosperità». Essa conduce alla conclusione che gli Stati Uniti sono cresciuti sotto la benedizione del Dio provvidente del movimento evangelico. Invece, gli abitanti del territorio che va dal Rio Grande verso Sud sono sprofondati nella povertà proprio perché la Chiesa cattolica ha una visione differente, opposta, «esaltando» la povertà. È pure possibile verificare il legame tra queste posizioni e le tentazioni integraliste e fondamentaliste dalle connotazioni politiche[14].
In verità, uno dei gravi problemi che porta con sé la «teologia della prosperità» è il suo effetto perverso sulla gente povera. Infatti, essa non solo esaspera l’individualismo e abbatte il senso di solidarietà, ma spinge le persone ad avere un atteggiamento miracolistico, per cui solamente la fede può procurare la prosperità, e non l’impegno sociale e politico. Quindi il rischio è che i poveri che restano affascinati da questo pseudo vangelo rimangano imbrigliati in un vuoto politico-sociale che consente con facilità ad altre forze di plasmare il loro mondo, rendendoli innocui e senza difese. Il «vangelo della prosperità» non è mai fattore di reale cambiamento, che invece è fondamentale nella visione che è propria della dottrina sociale della Chiesa.
Se Max Weber parlava della relazione tra protestantesimo e capitalismo nel contesto dell’austerità evangelica, i teologi della prosperità propagandano l’idea della ricchezza in relazione proporzionale alla fede personale. Priva di senso sociale e inquadrata in un’esperienza di beneficio individuale, questa concezione dà, consciamente o inconsciamente, una rilettura estremista delle teologie calviniste della predestinazione. In qualche modo, la soteriologia si àncora al temporale e al terreno e si svuota della tradizionale visione escatologica. Perciò, anche in ambito protestante, i molti che si attengono alla teologia tradizionale vedono con sfiducia, e più ancora con forti critiche, l’avanzare di queste teologie, alle quali non pochi associano la new age ed espressioni del misticismo magico.
«La salvezza non è una teologia della prosperità»
Sin dall’inizio del suo pontificato Francesco ha avuto presente il «vangelo diverso» della «teologia della prosperità» e, criticandolo, ha applicato la classica dottrina sociale della Chiesa. Più volte lo ha richiamato per porne in evidenza i pericoli. La prima volta è avvenuto in Brasile, il 28 luglio 2013. Rivolgendosi ai vescovi del Consiglio Episcopale Latinoamericano, aveva puntato il dito contro il «funzionalismo» ecclesiale», che realizza «una sorta di “teologia della prosperità” nell’aspetto organizzativo della pastorale». Essa finisce per entusiasmarsi per l’efficacia, il successo, il risultato constatabile e le statistiche favorevoli. La Chiesa così tende ad assumere «modalità imprenditoriali» che sono aberranti e allontanano dal mistero della fede.
Parlando di nuovo a vescovi, questa volta della Corea, nell’agosto 2014, Francesco ha citato Paolo (1 Cor 11,17) e Giacomo (2,1-7), che rimproverano le Chiese che vivono in modo tale che i poveri non si sentano a casa loro. «Questa è una tentazione della prosperità», ha commentato. E ha proseguito: «State attenti, perché la vostra è una Chiesa in prosperità, è una grande Chiesa missionaria, è una grande Chiesa. Il diavolo non semini questa zizzania, questa tentazione di togliere i poveri dalla struttura profetica stessa della Chiesa, e vi faccia diventare una Chiesa benestante per i benestanti, una Chiesa del benessere […], non dico fino ad arrivare alla “teologia della prosperità”, no, ma nella mediocrità».
I riferimenti alla «teologia della prosperità» sono riconoscibili anche nelle omelie di Francesco a Santa Marta. Il 5 febbraio 2015, il Pontefice ha detto con chiarezza che «la salvezza non è una teologia della prosperità», ma «è un dono, lo stesso dono che Gesù aveva ricevuto per darlo». E il potere del Vangelo è quello di «cacciare gli spiriti impuri per liberare, per guarire». Gesù infatti «non dà il potere di manovrare o di fare grandi imprese». Francesco lo ha ripetuto, sempre a Santa Marta, il 19 maggio 2016. Alcuni, ha detto, credono «in quella che è chiamata la “teologia della prosperità”, cioè Dio ti fa vedere che tu sei giusto se ti dà tante ricchezze». Ma «è uno sbaglio». Perciò anche il salmista dice: «Alle ricchezze non attaccare il cuore». Per farsi meglio comprendere, il Papa ha richiamato l’episodio evangelico del «giovane ricco che Gesù amò, perché era giusto»: lui «era buono, ma attaccato alle ricchezze, e queste ricchezze alla fine per lui sono diventate catene che gli hanno tolto la libertà di seguire Gesù».
La visione della fede proposta dalla «teologia della prosperità» è in chiara contraddizione con la concezione di un’umanità segnata dal peccato e con l’aspettativa di una salvezza escatologica, legata a Gesù Cristo come salvatore e non al successo delle proprie opere. Essa incarna dunque una forma peculiare di pelagianesimo dalla quale Francesco ha messo spesso in guardia. Egli ha scritto, infatti, nell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate, che ci sono cristiani impegnati nel seguire la strada «della giustificazione mediante le proprie forze, quella dell’adorazione della volontà umana e della propria capacità, che si traduce in un autocompiacimento egocentrico ed elitario privo del vero amore». Essa si manifesta in molti atteggiamenti apparentemente diversi tra loro e, tra questi, «l’attrazione per le dinamiche di auto-aiuto e di realizzazione autoreferenziale» (n. 57).
La «teologia della prosperità» esprime anche l’altra grande eresia del nostro tempo, cioè lo «gnosticismo»: infatti, afferma che con i poteri della mente è possibile plasmare la realtà. Ciò è particolarmente evidente nel lavoro e nella grande influenza di Mary Baker Eddy (1821-1910) nella Chiesa e nel movimento della Christian Science, ad esempio. Come scrive Francesco in Gaudete et exsultate, lo gnosticismo per sua propria natura vuole addomesticare il mistero di Dio e della sua grazia. Esso «usa la religione a proprio vantaggio, al servizio delle proprie elucubrazioni psicologiche e mentali». Invece, «Dio ci supera infinitamente, è sempre una sorpresa e non siamo noi a determinare in quale circostanza storica trovarlo, dal momento che non dipendono da noi il tempo e il luogo e la modalità dell’incontro». Una fede usata per manipolare mentalmente, psichicamente la realtà «pretende di dominare la trascendenza di Dio» (n. 41).
* * *
Il «vangelo della prosperità» è molto lontano dall’invito di san Paolo che leggiamo nel brano di 2 Cor 8,9-15: «Conoscete la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (v. 9). Ed è pure molto lontano dalla profezia positiva e luminosa dell’ American dream che è stata di ispirazione per molti. La «teologia della prosperità» è lontana dunque dal «sogno missionario» dei pionieri americani, e ancor più dal messaggio di predicatori come Martin Luther King e dal contenuto sociale, inclusivo e rivoluzionario del suo memorabile discorso «Io ho un sogno».
[1]. Cfr D. W. Jones – R. Woodbridge, Health, Wealth & Happiness: Has the Prosperity Gospel Overshadowed the Gospel of Christ?, Grand Rapids (MI), Kregel, 2010.
[2]. Cho è stato condannato per appropriazione indebita di circa 15 milioni di euro dalle casse della Chiesa, usati per cercare di recuperare le perdite in Borsa della sua famiglia.
[3]. Cfr K. Attanasi – A. Yong, Constructing China’s Jerusalem: Christians, Power, and Place in Contemporary Wenzhou, Stanford, Stanford University Press, 2011. Cfr anche T. Meynard – M. Chambon, «Vie per l’aggiornamento della Chiesa cattolica cinese», in Civ. Catt. 2018 I 271-280; P. Wu, «Reasons Why Prosperity Theology Floods in China», in http://chinachristiandaily.com/news/category/2016-11-03/reasons-why-prosperity-theology-floods-in-china_3103
[4]. K. Ward, «“Mere Poverty Excites Little Compassion”: Adam Smith, Moral Judgment and the Poor», in The Heythrop Journal, marzo 2015, in https://onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1111/heyj.12260 Cfr Id., «Porters to Heaven Wealth, the Poor, and Moral Agency in Augustine», in Journal of Religious Ethics, aprile 2014, in https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/jore.12054 Qui la Ward afferma anche che le radici di ciò che oggi chiamiamo «vangelo della prosperità» sono antiche e che esso era già noto ai tempi di Agostino, il quale si opponeva a tale visione.
[5]. Cfr «Why Evangelicals love Donald Trump. The secret lies in the prosperity Gospel», in The Economist, 18 maggio 2017; «Experts Discuss Role of “Prosperity Gospel” in Trump’s Success», in The Harvard Crimson, 24 ottobre 2017; P. Feuerherd, «Does the “Prosperity Gospel” Explain Trump?», in Jstor Daily, 1° maggio 2017.
[6]. Nel febbraio 2018, nell’abituale National Prayer Breakfast, Trump, associando il suo Paese ai sogni americani di libertà, eroismo e coraggio, ha definito gli Stati Uniti a light unto all nations («una luce per tutte le nazioni»). «Finché apriremo gli occhi sulla grazia di Dio – e apriremo i nostri cuori all’amore di Dio –, allora l’America sarà per sempre la terra degli uomini liberi, la casa dei coraggiosi e una luce per tutte le nazioni». Questa citazione è ripresa da una profezia biblica sul ruolo restauratore e messianico di Israele, il popolo eletto e la nazione grande e prospera che era stata sognata dai patriarchi: «Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra» (Is 49,6).
[7]. Ricordiamo pure che la cerimonia d’inaugurazione del mandato presidenziale di Donald Trump includeva preghiere di predicatori del «vangelo della prosperità» quali Paula White, uno dei suoi consiglieri spirituali. Nell’ottobre 2015 la White ha organizzato, nella Trump Tower, un incontro di telepredicatori legati alla «teologia della prosperità», che hanno pregato per l’attuale Presidente, imponendo le mani su di lui. Il video si trova in https://www.youtube.com/watch?v=EQ18exdhR6I
[8]. Cfr D. R. McConnell, A Different Gospel: Biblical and Historical Insights Into the Word of Faith Movement, Peabody (MA), Hendrickson, 1988.
[9]. J. Goff, «The Faith that Claims», in Christianity Today, n. 34, febbraio 1990, 21.
[10]. Cfr K. Copeland, The Laws of Prosperity, Tulsa (OK), Harrison House, 1974.
[11]. H. Hill, How to be a Winner, Alachua (FL), Bridge Logos, 1976.
[12]. Cfr R. Tilton, God’s Miracle Plan for Man, Tulsa (OK), Robert Tilton Ministries, 1987.
[13]. G. Copeland, God’s Will is Prosperity, Tulsa (OK), Harrison House, 1978.
[14]. Cfr A. Spadaro – M. Figueroa, «Fondamentalismo evangelicale e integralismo cattolico. Un sorprendente ecumenismo», in Civ. Catt. 2017 III 105-113.