a Lucca il ‘museo della follia’

arte e follia

l’umanità nascosta

 il ‘Museo della Follia’ 

a Lucca

Già all’ingresso, dove la luce è soffusa e le pareti che ti circondano riflettono ombre inquietanti, capisci che non sarà una visita facile. La gentilezza e il fare cordiale e disponibile delle ragazze addette alla biglietteria non bastano ad attenuare le scariche di adrenalina che si impossessano di te. Nemmeno la garanzia che il curatore è il Prof. Sgarbi ti aiuta a pensare che percorrerai la via della Bellezza.

Visitare il Museo della Follia di Lucca è un’esperienza unica. Un tuffo nel mare scuro dell’oblio. La voglia di fuggire fuori all’aperto e quella morbosa di continuare la visita si fondono tra loro.  Ormai hai sollevato il sipario nero e sei dentro, appena all’inizio di un arco scenico angosciante. Forse sì, forse sei ancora in tempo a tornare indietro quando leggi il cartello “Entrate ma non cercate un percorso, l’unica via è lo smarrimento”. No! Non c’è più tempo perché altri visitatori sono dietro di te. Oramai è troppo tardi.  Così inizi a guardare, leggere, sentire di quello che è stato in un tempo non molto lontano, un vero e proprio processo di disumanizzazione.

All’ex Cavallerizza di Lucca il filo conduttore delle oltre duecento opere in mostra, dove è stata data particolare attenzione agli artisti toscani, è proprio il legame tra arte e follia. I turbamenti, le angosce, le ansie e le paure di artisti del calibro di Goya, Lega, Bacon, Mancini, Signorini, Pirandello, Ligabue si sono concretizzati diventando opere meravigliose. Come non condividere ciò che il Prof. Sgarbi afferma dicendo «La follia è una forma creativa insuperabile».

All’interno, oltre alle installazioni interattive e multimediali, si trovano anche oggetti e documenti recuperati nell’ex manicomio abbandonato di Teramo dove i malati vivevano in condizioni a dir poco aberranti.  Questi reperti narrano l’umiliazione e il dolore dell’alienazione. Le teche, illuminate ad arte, magistralmente riflettono ombre e intorno a te è il buio. Esse contengono decine e decine di penosi reperti. Lettere di protesta, camice di forza, farmaci con i loro contenitori, siringhe, disegni, giocattoli e tanti altri effetti personali dei pazienti che, scampati alla distruzione, testimoniano una infelice esistenza.

In una sala, al centro, simile a quello originale esposto, fa mostra di sé un gigantesco “apribocca” di legno. È posto in relazione al dipinto “L’adolescente” di Silvestro Lega dove la fanciulla sembra avere lo sguardo assente e distante dal mondo.

Spesso le teche sono circondate da pitture di un cromatismo tale che sovente ricorda le opere dei migliori impressionisti.

Toccanti e commoventi sono le foto/ritratto di novanta pazienti selezionati tra le diverse cartelle cliniche negli ex manicomi d’Italia.  Ci si arriva attraverso un corridoio a specchi dove la luce abbagliante disturba la vista ormai abituata al buio delle altre sale. Una composizione della griglia illuminata a neon di oltre ottanta metri di superfice. I volti raffigurati che esprimono gli innumerevoli atteggiamenti del malato mentale sembrano guardare il visitatore e chiedere aiuto, comprensione, pietà.

Negli spazi della mostra colpisce in maniera particolare la ricostruzione della stanza dello scrittore Mario Tobino, primario del manicomio di Maggiano dal 1942 al 1980. Tutto perfettamente in ordine. Le carte, la macchina Olivetti sul tavolo, il lettino, sono un vero e proprio tuffo nel passato. Questo spazio si può solo osservare come odierni testimoni di qualcosa che appare essenziale, monastico, ridotto, minimalista ma estremamente affascinante. Il ricordo tangibile un uomo che ha dedicato la maggior parte della sua vita alle sofferenze dei malati di mente.

Usciti fuori, dopo la visita, l’aria aperta suscita l’impressione di liberarsi da mille catene e di ritrovare sé stessi. Rimane la sensazione di essere sfuggiti a un girone infernale, dove in quei luoghi chiamati manicomi, carenti di mezzi, spesso gestiti da uomini di scarsa volontà e che assomigliavano molto più a dei lager che a dei luoghi di cura, ci si occupava del malato di mente disprezzandolo fino al punto di considerarlo lo scarto della società.

Via via che ci allontaniamo dal Museo si fa strada, però, la certezza che nel nostro breve peregrinaggio attraverso il dolore ci siamo anche avvicinati ad un altare dove questi individui, sporchi, indifesi, senza voce e senza diritti, nella loro infinita debolezza, non sono rifiuti ma persone e conservano come ogni altro essere umano la propria dignità diventando l’immagine stessa di Dio e della Fede.

Herman Hesse diceva ” Anche un orologio fermo segna l’ora esatta due volte al giorno”

Alessandro Orlando

 

(Il Museo della Follia è un progetto di Contemplazioni a cura di Vittorio Sgarbi. Autori: Cesare Inzerillo, Sara Pallavicini, Giovanni Lettini, Stefano Morelli. La mostra itinerante che ha già toccato molte città italiane rimarrà aperta fino al 18 agosto 2019)

le foto sono state gentilmente concesse da Maurizio Gori




il Messaggio del Papa per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato del 2019

papa Francesco sui migranti

il motto dei veri cristiani è

«prima gli ultimi»


Il Messaggio di papa Francesco per la ‘giornata mondiale del migrante e del rifugiato’ del 2019, che si celebrerà il prossimo 29 settembre, sul tema
“Non si tratta solo di migranti”

Foro Osservatore Romano

 il testo del Messaggio del Papa per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato del 2019, che si celebrerà in prossimo 29 settembre

Cari fratelli e sorelle,

la fede ci assicura che il Regno di Dio è già presente sulla terra in modo misterioso (cfr CONC. ECUM. VAT. II, Cost. Gaudium et spes, 39); tuttavia, anche ai nostri giorni, dobbiamo con dolore constatare che esso incontra ostacoli e forze contrarie. Conflitti violenti e vere e proprie guerre non cessano di lacerare l’umanità; ingiustizie e discriminazioni si susseguono; si stenta a superare gli squilibri economici e sociali, su scala locale o globale. E a fare le spese di tutto questo sono soprattutto i più poveri e svantaggiati.

Le società economicamente più avanzate sviluppano al proprio interno la tendenza a un accentuato individualismo che, unito alla mentalità utilitaristica e moltiplicato dalla rete mediatica, produce la “globalizzazione dell’indifferenza”. In questo scenario, i migranti, i rifugiati, gli sfollati e le vittime della tratta sono diventati emblema dell’esclusione perché, oltre ai disagi che la loro condizione di per sé comporta, sono spesso caricati di un giudizio negativo che li considera come causa dei mali sociali. L’atteggiamento nei loro confronti rappresenta un campanello di allarme che avvisa del declino morale a cui si va incontro se si continua a concedere terreno alla cultura dello scarto. Infatti, su questa via, ogni soggetto che non rientra nei canoni del benessere fisico, psichico e sociale diventa a rischio di emarginazione e di esclusione.

Per questo, la presenza dei migranti e dei rifugiati – come, in generale, delle persone vulnerabili – rappresenta oggi un invito a recuperare alcune dimensioni essenziali della nostra esistenza cristiana e della nostra umanità, che rischiano di assopirsi in un tenore di vita ricco di comodità. Ecco perché “non si tratta solo di migranti”, vale a dire: interessandoci di loro ci interessiamo anche di noi, di tutti; prendendoci cura di loro, cresciamo tutti; ascoltando loro, diamo voce anche a quella parte di noi che forse teniamo nascosta perché oggi non è ben vista.

«Coraggio, sono io, non abbiate paura!» (Mt 14,27). Non si tratta solo di migranti: si tratta anche delle nostre paure. Le cattiverie e le brutture del nostro tempo accrescono «il nostro timore verso gli “altri”, gli sconosciuti, gli emarginati, i forestieri […]. E questo si nota particolarmente oggi, di fronte all’arrivo di migranti e rifugiati che bussano alla nostra porta in cerca di protezione, di sicurezza e di un futuro migliore. È vero, il timore è legittimo, anche perché manca la preparazione a questo incontro» (Omelia, Sacrofano, 15 febbraio 2019). Il problema non è il fatto di avere dubbi e timori. Il problema è quando questi condizionano il nostro modo di pensare e di agire al punto da renderci intolleranti, chiusi, forse anche – senza accorgercene – razzisti. E così la paura ci priva del desiderio e della capacità di incontrare l’altro, la persona diversa da me; mi priva di un’occasione di incontro col Signore (cfr Omelia nella Messa per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, 14 gennaio 2018).

«Se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?» (Mt 5,46). Non si tratta solo di migranti: si tratta della carità. Attraverso le opere di carità dimostriamo la nostra fede (cfr Gc 2,18). E la carità più alta è quella che si esercita verso chi non è in grado di ricambiare e forse nemmeno di ringraziare. «Ciò che è in gioco è il volto che vogliamo darci come società e il valore di ogni vita. […] Il progresso dei nostri popoli […] dipende soprattutto dalla capacità di lasciarsi smuovere e commuovere da chi bussa alla porta e col suo sguardo scredita ed esautora tutti i falsi idoli che ipotecano e schiavizzano la vita; idoli che promettono una felicità illusoria ed effimera, costruita al margine della realtà e della sofferenza degli altri» (Discorso presso la Caritas Diocesana di Rabat, 30 marzo 2019).

«Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e ne ebbe compassione» (Lc 10,33). Non si tratta solo di migranti: si tratta della nostra umanità. Ciò che spinge quel Samaritano – uno straniero rispetto ai giudei – a fermarsi è la compassione, un sentimento che non si spiega solo a livello razionale. La compassione tocca le corde più sensibili della nostra umanità, provocando un’impellente spinta a “farsi prossimo” di chi vediamo in difficoltà. Come Gesù stesso ci insegna (cfr Mt 9,35-36; 14,13-14; 15,32-37), avere compassione significa riconoscere la sofferenza dell’altro e passare subito all’azione per lenire, curare e salvare. Avere compassione significa dare spazio alla tenerezza, che invece la società odierna tante volte ci chiede di reprimere. «Aprirsi agli altri non impoverisce, ma arricchisce, perché aiuta ad essere più umani: a riconoscersi parte attiva di un insieme più grande e a interpretare la vita come un dono per gli altri; a vedere come traguardo non i propri interessi, ma il bene dell’umanità» (Discorso nella Moschea “Heydar Aliyev”di Baku, Azerbaijan, 2 ottobre 2016).

«Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli» (Mt 18,10). Non si tratta solo di migranti: si tratta di non escludere nessuno. Il mondo odierno è ogni giorno più elitista e crudele con gli esclusi. I Paesi in via di sviluppo continuano ad essere depauperati delle loro migliori risorse naturali e umane a beneficio di pochi mercati privilegiati. Le guerre interessano solo alcune regioni del mondo, ma le armi per farle vengono prodotte e vendute in altre regioni, le quali poi non vogliono farsi carico dei rifugiati prodotti da tali conflitti. Chi ne fa le spese sono sempre i piccoli, i poveri, i più vulnerabili, ai quali si impedisce di sedersi a tavola e si lasciano le “briciole” del banchetto (cfr Lc 16,19-21). «La Chiesa “in uscita” […] sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 24). Lo sviluppo esclusivista rende i ricchi più ricchi e i poveri più poveri. Lo sviluppo vero è quello che si propone di includere tutti gli uomini e le donne del mondo, promuovendo la loro crescita integrale, e si preoccupa anche delle generazioni future.

«Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti» (Mc 10,43-44). Non si tratta solo di migranti: si tratta di mettere gli ultimi al primo posto. Gesù Cristo ci chiede di non cedere alla logica del mondo, che giustifica la prevaricazione sugli altri per il mio tornaconto personale o quello del mio gruppo: prima io e poi gli altri! Invece il vero motto del cristiano è “prima gli ultimi!”. «Uno spirito individualista è terreno fertile per il maturare di quel senso di indifferenza verso il prossimo, che porta a trattarlo come mero oggetto di compravendita, che spinge a disinteressarsi dell’umanità degli altri e finisce per rendere le persone pavide e ciniche. Non sono forse questi i sentimenti che spesso abbiamo di fronte ai poveri, agli emarginati, agli ultimi della società? E quanti ultimi abbiamo nelle nostre società! Tra questi, penso soprattutto ai migranti, con il loro carico di difficoltà e sofferenze, che affrontano ogni giorno nella ricerca, talvolta disperata, di un luogo ove vivere in pace e con dignità» (Discorso al Corpo Diplomatico, 11 gennaio 2016). Nella logica del Vangelo gli ultimi vengono prima, e noi dobbiamo metterci a loro servizio.

«Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). Non si tratta solo di migranti: si tratta di tutta la persona, di tutte le persone. In questa affermazione di Gesù troviamo il cuore della sua missione: far sì che tutti ricevano il dono della vita in pienezza, secondo la volontà del Padre. In ogni attività politica, in ogni programma, in ogni azione pastorale dobbiamo sempre mettere al centro la persona, nelle sue molteplici dimensioni, compresa quella spirituale. E questo vale per tutte le persone, alle quali va riconosciuta la fondamentale uguaglianza. Pertanto, «lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo» (S. PAOLO VI, Enc. Populorum progressio, 14).

«Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ef 2,19). Non si tratta solo di migranti: si tratta di costruire la città di Dio e dell’uomo. In questa nostra epoca, chiamata anche l’era delle migrazioni, sono molte le persone innocenti che cadono vittime del “grande inganno” dello sviluppo tecnologico e consumistico senza limiti (cfr Enc. Laudato si’, 34). E così si mettono in viaggio verso un “paradiso” che inesorabilmente tradisce le loro aspettative. La loro presenza, a volte scomoda, contribuisce a sfatare i miti di un progresso riservato a pochi, ma costruito sullo sfruttamento di molti. «Si tratta, allora, di vedere noi per primi e di aiutare gli altri a vedere nel migrante e nel rifugiato non solo un problema da affrontare, ma un fratello e una sorella da accogliere, rispettare e amare, un’occasione che la Provvidenza ci offre per contribuire alla costruzione di una società più giusta, una democrazia più compiuta, un Paese più solidale, un mondo più fraterno e una comunità cristiana più aperta, secondo il Vangelo» (Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2014).

Cari fratelli e sorelle, la risposta alla sfida posta dalle migrazioni contemporanee si può riassumere in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Ma questi verbi non valgono solo per i migranti e i rifugiati. Essi esprimono la missione della Chiesa verso tutti gli abitanti delle periferie esistenziali, che devono essere accolti, protetti, promossi e integrati. Se mettiamo in pratica questi verbi, contribuiamo a costruire la città di Dio e dell’uomo, promuoviamo lo sviluppo umano integrale di tutte le persone e aiutiamo anche la comunità mondiale ad avvicinarsi agli obiettivi di sviluppo sostenibile che si è data e che, altrimenti, saranno difficilmente raggiunti.

Dunque, non è in gioco solo la causa dei migranti, non è solo di loro che si tratta, ma di tutti noi, del presente e del futuro della famiglia umana. I migranti, e specialmente quelli più vulnerabili, ci aiutano a leggere i “segni dei tempi”. Attraverso di loro il Signore ci chiama a una conversione, a liberarci dagli esclusivismi, dall’indifferenza e dalla cultura dello scarto. Attraverso di loro il Signore ci invita a riappropriarci della nostra vita cristiana nella sua interezza e a contribuire, ciascuno secondo la propria vocazione, alla costruzione di un mondo sempre più rispondente al progetto di Dio.

È questo l’auspicio che accompagno con la preghiera invocando, per intercessione della Vergine Maria, Madonna della Strada, abbondanti benedizioni su tutti i migranti e i rifugiati del mondo e su coloro che si fanno loro compagni di viaggio.




“prima gli ultimi!! – per papa Francesco gli ‘ultimi’ vengono prima!

papa Francesco contro il motto
prima gli italiani’
i cristiani dicono

prima gli ultimi’

per papa Francesco il trattamento riservato ai migranti sempre più spesso “rappresenta un campanello di allarme che avvisa del declino morale a cui si va incontro se si continua a concedere terreno alla cultura dello scarto”


Nel giorno del trionfo della Lega di Matteo Salvini alle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo Papa Francesco ha nuovamente lanciato un allarme riferendosi al modo in cui vengono trattati migranti e richiedenti asilo. Per il Pontefice il trattamento riservato loro sempre più spesso “rappresenta un campanello di allarme che avvisa del declino morale a cui si va incontro se si continua a concedere terreno alla cultura dello scarto”. “Non si tratta solo di migranti; su questa via – spiega Bergoglio -, ogni soggetto che non rientra nei canoni del benessere fisico, psichico e sociale diventa a rischio di emarginazione e di esclusione”.  Per questa ragione secondo Francesco “la presenza dei migranti e dei rifugiati – come, in generale, delle persone vulnerabili – rappresenta oggi un invito a recuperare alcune dimensioni essenziali della nostra esistenza cristiana e della nostra umanità, che rischiano di assopirsi in un tenore di vita ricco di comodità”.

Nel messaggio dedicato alla  Giornata mondiale del migrante e del rifugiato del 2019, che si celebrerà in prossimo 29 settembre, il Papa ha scritto: 

“Conflitti violenti e vere e proprie guerre non cessano di lacerare l’umanità; ingiustizie e discriminazioni si susseguono; si stenta a superare gli squilibri economici e sociali, su scala locale o globale. E a fare le spese di tutto questo sono soprattutto i più poveri e svantaggiati”. “Le società economicamente più avanzate – aggiunge – sviluppano al proprio interno la tendenza a un accentuato individualismo che, unito alla mentalità utilitaristica e moltiplicato dalla rete mediatica, produce la ‘globalizzazione dell’indifferenza”.

Secondo Bergoglio “il timore è legittimo, anche perché manca la preparazione a questo incontro”. “Il problema è quando dubbi e timori condizionano il nostro modo di pensare e di agire al punto da renderci intolleranti, chiusi, forse anche – senza accorgercene – razzisti. E così la paura ci priva del desiderio e della capacità di incontrare l’altro, la persona diversa da me; mi priva di un’occasione di incontro col Signore”.
Per finire a chi si fa schermo dell’identità cristiana, ricorda che “la fede si dimostra con le opere di carità verso gli ultimi, anche stranieri” e che per un cristiano è contraddittorio affermare “prima io e il mio gruppo” perché nella logica di Cristo e del Vangelo “gli ultimi vengono prima”



il fondamentalismo è anche tra noi – intervista a Timothy Radcliffe

 “anche i populismi sono una forma di fondamentalismo”

 

intervista con il teologo e biblista Timothy Radcliffe
Timothy Radcliffe
Chi è attratto da un fondamentalismo non riesce a confrontarsi con la complessità della vita
È il pensiero di Timothy Radcliffe, teologo e biblista di Oxford, uno degli autori cattolici più letti al mondo, che al Salone internazionale del Libro di Torino ha riflettuto sul tema «Credere al tempo dei fondamentalismi», politici e religiosi. Tra i quali inserisce anche i populismi.

Padre, quali rischi portano?

«L’incapacità di dialogare con le persone che pensano in modo diverso. Questo può portare un individuo a rinchiudersi in una bolla mentale. E tutto ciò viene aggravato dai moderni mezzi di comunicazione: gli algoritmi ci spingono a essere in contatto con individui che condividono i nostri pregiudizi e paure».

Chi si fa attrarre?

«Coloro che hanno difficoltà a confrontarsi con le ambiguità, la ricchezza e la complessità della vita. E la crescita del populismo – che è una forma di fondamentalismo – attira chi si sente lasciato indietro».

Ci fa qualche esempio?

«Negli Usa a votare Trump sono state molte persone bianche escluse dalle élite che dominano la politica e i mass media. La stessa cosa è avvenuta con la Brexit in Gran Bretagna. I gilet gialli in Francia esprimono un desiderio di visibilità e dicono: “Guardatemi! Esisto!”. Questa rabbia di non essere presi in considerazione finisce con l’attirare anche i detenuti che si convertono all’islam e poi si arruolano nell’Isis».

Che ruolo ha il cristianesimo?

«Ha una risposta arguta e sottile al desiderio di identità, uno dei primi elementi efficaci del fondamentalismo. Se sei cattolico, sai chi sei. Appartieni a una comunità definita con le sue proprie tradizioni. Ma attenzione: ti viene anche insegnato che non sai pienamente chi sei. L’apostolo san Giovanni scrive: “Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è”».

A livello laico quale atteggiamento serve?

«Riconoscere la rabbia e la frustrazione di chi si sente marginalizzato».

Basterebbe questo?

«No. Occorre anche smontare gli assunti di base di ogni forma di fondamentalismo, e avere la forza per sfidare ogni risposta populista alle sofferenze di chi è messo da parte».

Che cosa devono fare i cristiani?

«La Chiesa ha qualcosa di meraviglioso da offrire. Siamo parte di un’organizzazione locale, conosciamo il dolore della gente. Pensiamo a papa Francesco quando era arcivescovo di Buenos Aires: era immerso nella vita delle baraccopoli. Ma al contempo la Chiesa è anche l’istituzione più globale che esista, presente in ogni nazione. Per questo lo straniero è mio fratello. E Dio di solito visita le persone come uno straniero. Dobbiamo essere aperti alla presenza di Dio negli stranieri».

Questo articolo è stato pubblicato nell’edizione del 12 maggio 2019 del quotidiano La Stampa




papa Francesco contro Casa Pound … e Salvini

il papa riceve i rom di Casal Bruciato

«quel che è successo non è civiltà»

di Maria Rosaria Spadaccino
in “Corriere della Sera

«Quando leggo sui giornali qualcosa di brutto vi dico la verità: soffro. Oggi ho letto qualcosa di brutto e soffro perché questa non è civiltà, non è civiltà»

Sedana si fa il segno della croce quando papa Francesco arriva sull’altare di san Giovanni in Laterano durante l’assemblea diocesana. Nascosta dietro la prima navata, con Violetta la piccola di 3 anni tra le braccia, sorride emozionata. Imer Omerovic e la moglie Sedana, bosniaci musulmani, prima attendono tra la gente, poi raggiungono la sacrestia dove incontrano il Papa.

Francesco scherza con la bimba, li invita a chiedere aiuto alla Chiesa per qualunque cosa, si fa raccontare la loro storia. «Dovete resistere», li esorta. In questo modo manifesta il suo affetto alla famiglia vittima di minacce ed insulti razzisti, perché assegnatari legittimi di una casa popolare a Casal Bruciato. «Quando leggo sui giornali qualcosa di brutto vi dico la verità: soffro. Oggi ho letto qualcosa di brutto e soffro perché questa non è civiltà, non è civiltà». Le parole del Papa pronunciate ieri mattina in Vaticano durante l’incontro con il popolo rom sono una consolazione potente per chi da 4 giorni vive blindato nella casa che era il sogno di una vita. Ieri, in un primo momento, si era diffusa la voce che gli Omerovic spaventati avrebbero manifestato l’intenzione di andarsene, poi questa idea sarebbe cambiata nel corso della giornata. «Sono certo turbati e molto stanchi, ma vogliono provare davvero a cambiare vita. E questa casa è una grande opportunità», osserva Patrizia, l’operatrice sociale che li sta aiutando.

Ma le tensioni di questi giorni non si sono ancora dissolte come testimoniano ieri a Casal Bruciato le molte bandiere tricolori appese alle finestre (distribuite da CasaPound). Intanto dalle indagini sarebbero stati già denunciati gli autori, militanti di estrema destra, delle minacce di stupro alla madre della famiglia rom. Ma la vita per gli Omerovic è sempre complessa. Per uscire di casa e raggiungere la basilica di San Giovanni infatti sono stati scortati dalla polizia. Sul fronte politico la sindaca Virginia Raggi rivendica con forza la vicinanza ai rom: «Un sindaco deve stare vicino agli ultimi». E il vicepremier Luigi Di Maio precisa: «È giusto dare la massima solidarietà a una donna che viene minacciata di stupro da CasaPound o da fascisti».

Ma nella trasmissione «Dritto e Rovescio» aggiunge: «Però dobbiamo rivedere le norme che fanno arrabbiare le persone. Per evitare episodi come questo». Mentre il premier Giuseppe Conte aggiunge: «La legge va applicata». E il segretario del Pd Nicola Zingaretti annuncia la riapertura della sezione del partito a Casal Bruciato: «Bisogna starci 365 giorni l’anno, tornare nei luoghi dove la vita, se non ci sono politica e servizi, può provocare questi istinti




la spiritualità della liberazione è l’opposto della psicologia della sopportazione

storia di salvezza e storia di liberazione

«strappa l’oppresso dal potere dell’oppressore, non esser pusillanime quando giudichi» (1)

la squallida manipolazione della Scrittura trasforma la spiritualità della liberazione in psicologia della sopportazione (tendente alla rassegnazione)

I dominatori del mondo, nella bulimica smania di conquista, non si appropriano solo della terra e della vita degli oppressi, ma anche del loro Dio. Così, promuovono la squallida manipolazione della Scrittura, che trasforma la spiritualità della liberazione in psicologia della sopportazione (tendente alla rassegnazione) e convincono, spesso, la Chiesa, in cambio di qualche triste privilegio, a mettersi al loro servizio, oppure a mantenersi equidistante, cioè pusillanime nel giudizio. Agiscono pure sugli oppressi facendo apparire conveniente la collaborazione con la catena di sfruttamento, che prevede qualche eccezione, a cui possono aspirare. Dio, invece, agisce in modo opposto, salvando l’ultimo. Su questo non abbiamo alcun dubbio, ma occorre riflettere sulle modalità. Sicuramente non adopera mezzi magici o spettacolari, e neanche procede dall’alto, sfoggiando poteri o prerogative. Dio scende, assume la condizione dell’oppresso, ed incarnandosi dimostra fattivamente da che parte si pone. Entra nella storia degli oppressi, la scrive camminando nelle profondità degli abissi (2) insieme a loro, e la legge da quella prospettiva. Dio cammina con i calpestati verso il Regno, ma non prescindendo da loro. Si tratta di una causa che richiede partecipazione e coinvolgimento. Si tratta, al tempo stesso, di vocazione e di missione, di un dono da ricevere e di un impegno da portare avanti. C’è la schiavitù che si può decidere di accettare e la libertà che si può, ancora, conquistare. In mezzo si trova il deserto, il nulla, l’incertezza. L’oppresso deve scegliere di attraversarlo, rompendo ogni indugio, rinunciando ad ogni calcolo, senza attendere autorizzazioni o aspettarsi applausi. Come unica certezza la Parola eterna che Dio ha pronunciato:

«Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso» (3).

(1) Siracide 4,9

(2) Cfr. Siracide 24,5

(3) Esodo 3,7-8




il Dio di Gesù è il Dio della liberazione

credo al Dio della liberazione

Christine Prieto

Come Dio fece uscire gli Ebrei dal paese di schiavitù

allo stesso modo credo che Gesù Cristo ci fa uscire dalle nostre prigioni.

Credo che egli ci insegna, giorno dopo giorno, a costruire la nostra umana dignità

e a rimanere in piedi di fronte al Padre, nella gioia, nella pace del cuore,

nella fiducia nel suo amore e nel suo sostegno.

 

Credo che Gesù ci faccia scoprire chi è Dio.

Un Dio che non abita in case fatte dalla mano dell’uomo.

Ovvero un Dio che noi non possiamo racchiudere nelle statue,

nei templi, nei dogmi, nei pregiudizi.

Ma un Dio che abita le pietre viventi, che siamo noi.

 

Credo che Gesù ami e chiami tutti gli esseri umani senza distinzione:

le donne e gli uomini,

i bianchi, i neri, i gialli,

i poveri e i ricchi,

gli eterosessuali, gli omosessuali, i transessuali,

i giovani e i vecchi… e tutte le altre differenze che esistono.

Perché sono tutti diletti figli di Dio.

 

Credo che Dio voglia che costruiamo insieme un mondo di pace

condividendo la nostra diversità e le nostre ricchezze.

 

 Christine Prieto



la via crucis contro la chiusura ai migranti e contro la donna ‘usa e getta’

Via Crucis

suor Bonetti

Mediterraneo tomba d’acqua mentre i governi discutono


Luca Liverani 
Le meditazioni della Passione scritte dalla religiosa che da anni salva dal marciapiede le ragazze costrette a prostituirsi. «Nelle vittime di tratta Gesù crocifisso di nuovo sulla strada»

Foto archivio Ansa

«Porterò nella Via Crucis al Colosseo la sofferenza e la Passione di tante donne. Tante minorenni senza volto e senza speranze, donne usa e getta».

Suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata, da vent’anni lotta per liberare tante donne dalla schiavitù dello sfruttamento sessuale. Ed è a lei che il Papa, tramite il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio per la Cultura, ha chiesto di scrivere le meditazioni della Via Crucis che viene guidata come ogni anno dal Papa davanti al Colosseo. «Cristo muore ancora sulle nostre strade, ma per fortuna ci sono anche tante Veroniche che ne asciugano le lacrime, tante Marie che le sostengono nelle loro sofferenze», ha detto la religiosa, incontrando gli operatori dei media nella Sala Stampa della santa Sede.

Suor Bonetti

Suor Bonetti

Suor Eugenia racconta sorridendo di quando il cardinale Ravasi all’inizio di marzo le ha chiesto di scrivere le meditazioni: «Mi ha lasciato di stucco, non avevo idea di cosa scrivere. Mi ha detto: «Le do tempo per dirmi di sì, ma non mi dica di no». Dopo 24 anni in Kenya, suor Eugenia viene mandata a Torino in un centro di ascolto per stranieri. Ed è un incarico in cui inizialmente si trova a disagio.

«Lì non ci volevo stare – racconta la missionaria – chiedevo di tornare in Africa, non conoscevo nulla del problema, mi facevano rabbia quelle “statuette” di ebano per strada, che avevo lasciate in Africa piene di vita. Poi, un giorno, ho capito».

È Maria, una ragazza africana che le chiede aiuto per un problema di salute ad aprile gli occhi. Non c’era tempo per un conversazione nel centro d’ascolto, suor Eugenia deve andare a messa e invita la ragazza ad accompagnarla. La passeggiata sotto la pioggia per le vie di Torino non passa inosservata: sotto lo stesso ombrello una suora e una prostituta. «L’avevo etichettata, per me non era una persona, era solo una prostituta. In chiesa mi siedo davanti, la ragazza si mette più dietro e la sento piangere. Ho rivisto la scena del Vangelo di quello che dice “io non sono come lui”… Lei è uscita perdonata, io sono uscita stravolta. La notte non ho dormito: il Signore mi stava dicendo che doveva essere quello il mio nuovo compito. Avrei aiutato queste donne. Mi hanno raccontato l’orrore e la paura, quante lacrime ho asciugato!». Da allora lavora ogni giorno per «spezzare le catene che imprigionano queste donne: mai più schiave».

LE MEDITAZIONI

(a cura di Tiziana Campisi, da Vatican News)

La Via Crucis, la religiosa presidente dell’Associazione “Slaves no more”, l’ha voluta idealmente percorrere “insieme a tutti i poveri, agli esclusi dalla società e ai nuovi crocifissi della storia di oggi, vittime delle nostre chiusure, dei poteri e delle legislazioni, della cecità e dell’egoismo, ma soprattutto del nostro cuore indurito dall’indifferenza”.

Tra loro anche le 26 giovani nigeriane i cui funerali sono stati celebrati a Salerno, e la loro connazionale Favour, di 9 mesi, che ha perso i genitori in mare.

La piccola Favour

la piccola Favour

Nella prima stazione, la figura di Pilato ha ispirato la preghiera “per coloro che ricoprono ruoli di responsabilità, perché ascoltino il grido dei poveri” e “di tutte quelle giovani vite, che in modi diversi, sono condannate a morte dall’indifferenza generata da politiche esclusive ed egoiste”. In Gesù che prende la croce, c’è invece l’invito a riconoscere “i nuovi crocifissi di oggi: i senza fissa dimora, i giovani senza speranza, senza lavoro e senza prospettive, gli immigrati costretti a vivere nelle baracche ai margini della nostra società, dopo aver affrontato sofferenze inaudite”. Ma il pensiero va anche ai bambini “discriminati a causa della loro provenienza, del colore della loro pelle o del loro ceto sociale”. Di fronte a tutto ciò l’esempio da seguire è quello di Cristo che parlava di servizio, perdono, rinuncia e sofferenza, manifestando con la sua vita “l’amore vero e disinteressato verso il prossimo”.

Nelle tappe di Gesù verso il Calvario, suor Eugenia Bonetti riconosce diversi episodi di cui è stata testimone; nell’incontro con Maria intravede le “troppe mamme che hanno lasciato partire le loro giovani figlie verso l’Europa nella speranza di aiutare le loro famiglie in povertà estrema, mentre hanno trovato umiliazioni, disprezzo e a volte anche la morte”; in Gesù che cade per la prima volta, fragilità e debolezza umana sono spunto per ricordare i samaritani di oggi che si chinano “con amore e compassione sulle tante ferite fisiche e morali di chi ogni notte vive la paura del buio, della solitudine e dell’indifferenza”. “Purtroppo molte volte oggi non sappiamo più scorgere chi è nel bisogno, vedere chi è ferito e umiliato – scrive la religiosa della Consolata –. Spesso rivendichiamo i nostri diritti e interessi, ma dimentichiamo quelli dei poveri e degli ultimi della fila”. È allora che c’è da chiedere a Dio di aiutarci ad amare e a non essere insensibili al pianto, alle sofferenze e al grido di dolore altrui.

E come non vedere nella Via Crucis i tanti “bambini, in varie parti del mondo, che non possono andare a scuola”, “sfruttati nelle miniere, nei campi, nella pesca, venduti e comperati da trafficanti di carne umana, per trapianti di organi, nonché usati e sfruttati … da molti, cristiani compresi”. Sono i minori “privati del diritto a un’infanzia felice”, “creature usate come merce di poco valore, vendute e comperate a piacimento”. Ma al centro delle meditazioni di suor Eugenia Bonetti, che da anni si batte contro il traffico di esseri umani, ci sono i migranti e le vittime della tratta. Il richiamo a “crescere nella consapevolezza che tutti siamo responsabili del problema” e che “tutti possiamo e dobbiamo essere parte della soluzione” si legge nell’ottava stazione, “Gesù incontra le donne”. E soprattutto alle donne “è richiesta la sfida del coraggio”, “di saper vedere e agire”, di considerare “il povero, lo straniero, il diverso non … come un nemico da respingere o da combattere ma, piuttosto come un fratello o una sorella da accogliere e da aiutare”.

Nella nona stazione, a Gesù che cade la terza volta, “sfinito e umiliato sotto il peso della croce”, vengono accostate le “tante ragazze, costrette sulle strade da gruppi di trafficanti di schiavi, che non reggono alla fatica e all’umiliazione di vedere il proprio giovane corpo manipolato, abusato, distrutto, insieme ai loro sogni”. Sono il frutto della cultura usa e getta. A ridestarcene è la scomoda domanda di Dio – “Dov’è tuo fratello? Dov’è tua sorella?” – che deve “aiutare a condividere la sofferenza e l’umiliazione di tante persone trattate come scarto”.Denaro, benessere e potere gli idoli di ogni tempo

L’immagine del corpo spogliato di Cristo, paragonabile a quello dei minorenni, oggetto di compravendite, lascia riflettere sugli idoli di ogni tempo: denaro, benessere e potere che hanno reso tutto acquistabile. È venuta meno “la centralità dell’essere umano, la sua dignità, bellezza, forza”. Ma c’è chi ancora rischia la propria vita per salvarne altre, soprattutto nel Mediterraneo, dove in tanti hanno aiutato “famiglie in cerca di sicurezza e di opportunità”, “esseri umani in fuga da povertà, dittature, corruzione, schiavitù”; tutte persone di cui bisogna riscoprire la bellezza e ricchezza, “dono unico e irripetibile” di Dio “da mettere a servizio della società intera e non per raggiungere interessi personali”.

L’ultima stazione, che conduce al sepolcro di Gesù, infine, fa pensare ai “nuovi cimiteri di oggi”: il deserto e i mari, dove oggi trovano dimora eterna “uomini, donne, bambini che non abbiamo potuto o voluto salvare”. “Mentre i governi discutono, chiusi nei palazzi del potere – scrive suor Eugenia Bonetti – il Sahara si riempie di scheletri di persone che non hanno resistito alla fatica, alla fame, alla sete” e il mare si è trasformato in una “tomba d’acqua”. E allora l’auspicio è che la morte di Cristo possa “donare ai capi delle Nazioni e ai responsabili delle legislazioni la consapevolezza del loro ruolo a difesa di ogni persona” creata a immagine e somiglianza di Dio, e che la sua resurrezione “sia faro di speranza, di gioia, di vita nuova, di fratellanza, di accoglienza e di comunione tra i popoli, le religioni e le leggi”.




una ‘via crucis’, quella di quest’anno, evangelicamente davvero ‘pericolosa’

la ‘via crucis’ dei porti chiusi

per la prima volta la più importante celebrazione liturgica è dedicata ai fuggiaschi di oggi che spesso diventano schiavi

un preciso segnale politico a Salvini

Pope Francis asperses holy water as he celebrates Palm Sunday Mass in St. Peter's Square at the Vatican, Sunday, April 14, 2019. The Roman Catholic Church enters Holy Week, retracing the story of the crucifixion of Jesus and his resurrection three days later on Easter Sunday. (AP Photo/Gregorio Borgia)

papa Francesco come un nuovo Mosè alza la Croce davanti ai Faraoni del mondo per aprire il Mar rosso a un nuovo popolo eletto, quello degli ultimi, quello dei migranti

Dal 2013, dal primo viaggio a Lampedusa, sono innumerevoli gli interventi papali sul dramma di chi muore nel Mediterraneo e chi cerca di fuggire oltre i muri che numerosi si stanno alzando in Europa e nelle Americhe

nel ’68 si gridava “il personale è politico”. Oggi, quarant’anni dopo, la Chiesa di Francesco grida “Urbi ed orbi”, in mondovisione, che “la fede è politica”

Ma non era mai accaduto che un’intera celebrazione liturgica, per di più al centro del Triduo della Settimana Santa, i giorni più importanti della fede cristiana, fosse dedicata ai fuggiaschi di oggi che spesso diventano schiavi. Questo accadrà durante la tradizionale via Crucis del Colosseo, quando verranno lette le meditazioni di Suor Eugenia, “una giovane ottantenne” (come l’ha definita il direttore ad interim della Sala Stampa Vaticana, Alessandro Gisotti). Un vero e proprio j’accuse alle “politiche esclusive ed egoiste” che erigono muri e vedono nel diverso “un nemico da respingere o da combattere”, la denuncia dei “troppi calvari sparsi per il mondo, tra cui i campi di raccolta simili a lager nei Paesi di transito, le navi a cui viene rifiutato un porto sicuro, le lunghe trattative burocratiche per la destinazione finale, i centri di permanenza, gli hot spot, i campi per lavoratori stagionali”: una Via Crucis che denuncia senza mezzi termini la situazione degli “spaventosi centri di raccolta in Libia”. Durante la Via Crucis saranno lette le storie delle prostitute che dall’Africa giungono in Italia. “Racconti brevi”, che aiuteranno a far capire perché “occorre gridare con forza ‘Mai più schiave!’. Perché – ha aggiunto Suor Eugenia durante una presentazione in Sala Stampa vaticana – non è possibile che nel 2019 vi siano milioni e milioni di donne che ancora crocifiggiamo per il nostro consumo”.

Nel ’68 si gridava “Il personale è politico”. Oggi, quarant’anni dopo, la Chiesa di Francesco grida “Urbi ed orbi”, in mondovisione, che “la fede è politica”. Non è ricorrenza cerimonialistica, così ha detto qualche giorno fa Francesco. Sono gli ultimi ad essere la “carne di Cristo”.

Francesco proclama che la “fede è politica” e lo fa con tutta la forza (anche mediatica) di cui dispone, nel momento centrale del”passaggio” della Pasqua (solennità con cui gli ebrei celebrano la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto e i cristiani quello dalla schiavitù del peccato e della morte ad una vita nuova).

Le elezioni europee di fine maggio incombono, l’Europa nata anche dalla visione “cattolica” dei padri fondatori (molti non sanno che le dodici stelle della bandiera sono state scelte come omaggio alla corona della Madonna, la “Notre Dame”) potrebbe soccombere davanti alla possibile vittoria populisti e sovranisti.

E così Francesco e la sua Chiesa scendono in campo contro una politica giudicata incompatibile, quella “dei porti chiusi” di cui si è fatto araldo innanzitutto il vicepremier italiano Matteo Salvini.

Qualcosa di simile, ma meno eclatante, era già avvenuto nel 2016 per le presidenziali americane, quando quindici giorni prima del voto il nunzio apostolico di recò alla barriera al confine con il Messico a celebrare la Messa e alla candidata democratica Clinton fu “permesso” di usare nel suo discorso conclusivo la celebre frase di cui Francesco ha il copyright, “Costruire ponti e non muri”. Vinse Trump.

E naturalmente ciò sollevò e solleverà molte polemiche. “E’ questo quello che deve fare un Papa?”

Per una coincidenza oggi nella classifica delle cento persone più influenti al mondo stilata dalla rivista “Time”, c’è il leader del Carroccio (addirittura in copertina) insieme al presidente americano Donald Trump e Papa Francesco. A descrivere Salvini per il “Time” è stato Steve Bannon, ex stratega della Casa Bianca. “Salvini è ora uno dei politici di cui si parla in Europa, ed entro la fine di maggio, dopo le elezioni europee, potrebbe essere anche il piu’ potente”, ha scritto Bannon.

Qualche giorno fa il Guardian ha rivelato che fu proprio Steve Bannon che consigliò a Matteo Salvini di attaccare il Papa sulla questione immigrazione. Il “suggerimento” sarebbe stato fatto durante un incontro a Washington nell’aprile del 2016, pochi mesi prima che Bannon assumesse il ruolo di capo della campagna di Trump. La Lega, questo il consiglio di Bannon secondo la ricostruzione, avrebbe dovuto iniziare a prendere di mira Bergoglio, che dell’immigrazione ha fatto uno dei pilastri del suo papato.

“Bannon disse a Salvini che il Papa è una specie di nemico. Suggerì di attaccarlo frontalmente”. La Lega e l’entourage di Salvini hanno smentito con decisione che ciò sia avvenuto. Ma iniziò allora l’utilizzo da parte di Salvini di una maglietta significativa “Il mio papa è Benedetto” (alludendo a Benedetto XVI).

Chi tra Francesco e Salvini, conquisterà il cuore degli italiani e dell’Europa?

Il presidente Trump sa che il “brand” mondiale di Francesco è molto forte e oggi ha chiamato il Papa per esprimergli vicinanza per l’incendio che ha aggredito la cattedrale di Parigi, “la Signora”, una signora che ha resistito al fuoco, la “Notre Dame”, cuore simbolico dell’Europa cristiana, ben più che la Basilica di San Pietro




la situazione socio-religiosa dei rom in Croazia – relazione al C.C.I.T. 2019

 

 

 

 

 

 

CC1T- TROGIR -2019

LA SITUAZIONE DEI ROM IN CROAZIA

prof dr. sc. Neven Hrvati

Introduzone

Questa relazione ha due parti che illustrano l’ ‘evangelizzazione di ritorno’ nella pastorale di Roma in Croazia.

La prima parte la espone il dr.sc. Neven Hrvatie,  professore ordinario e permanente alla Facoltà di Filosofia — Zagabria — Dipartimento di Pedagogia e membro del Comitato di Conferenza episcopale croata per la pastorale dei Rom, iniziatore e realizzatore della Comunità educativa dei Roma dentro la Conferenza episcopale .

La seconda parte  sarà presentata dalla prof. Kristina Cacic, catechista e segretaria del Cimitato per la pastorale dei Roma della diocesi di Varazdin e  membro del Comitato per la pastorale dei Rom presso la Conferenza episcopale croata.

Ia PARTE

ROMA IN CROAZIA

Secondo l’ultimo censimento del 2011 e secondo l’indagine del Comitato per la pastorale dei Rom presso la Conferenza episcopale croata, in Croazia oggi vivono 16.975 Rom, pero’ secondo di valutazione della Commissione europea, delle associazioni Rom, in Croazia oggi vive tra 35 e 40 mila di Roma. I Roma come parte integrante del corpus croato, per oltre sei secoli della vita comune non hanno fin dal inizio del XXI secolo ( interamente ) creato e strutturato la sua comunita’ nazionale, neppure hanno realizzato di maggioranza loro diritti di minoranze. Dichiaratamente garantiti gli stessi diritti di tutte le minoranze nazionali non sono presso i Roma, nel perfido anteriore, seguito realizzazione politica, culturale, di media, attivita’ editoriale, uso linguistico e alfabetico, e in modo speciale nella educazione ed istruzione.
Le ragioni per sudetto sono multidimensionali:

■ Sonno grande le dfferenze tra i singoli gruppi etnici dentro la comunita’ di Roma riguardo alla appartenenza linguistica, socio-economica e religiosa,

■ stazionamento spaziale e attenuazione della vita nomade tradizionale ha causato i cambiamenti nella struttura economica dei singoli gruppi — Rom restano senza il lavoro, impoveriscono e spazialmente si separanno.

■ il processo di assimilazione collegato con il desiderio di migliorare lo standard di vita e di cambiamento di mestiere ( dei gruppi singoli ), cosi che i Roma nelle citta’ ( fuori dei loro villaggi oppure villaggi completi ) perdono la loro cultura e identita’ nazionale.

■ A causa per persecuzioni nel passato tanti Rom non si vogliono dichiarare ed identificare come appartenenti della comunita’ nazionale di Roma.

■ I Roma in Croazia vivono su tutto il territorio statale, pero’ non sono organizzati e riconoscibili come la comunita’, oltre di regione Medimurje — Croazia nord — dove vive maggoranza di Roma di Croazia.

La situazione reale di Roma in Croazia e la condizione marginale, ( i dati demografici, la struttura socio-economica, il modo di vivere e migrazioni, educazione ed istruzzione dei bambini….) non puo’ esere letta dai datti statistici perche’ i Rom in Croazia, nonostante delle differenze nei mistieri, delle lingue, religione e delle alcune altre carateristiche sono piu’ meno economicamente e socialmente marginizatti.

Il comitato per la pastorale di Rom presso la Conferenza episcopale croata — contribuisce alla evangelizazione di ritorno

Il comitato per la pastorale di Rom presso la Conferenza episcopale Croata ( creato nell’anno 1987. ) tenedno conto dei diversi approcci, offre stimoli significativi nella evangelizzazione della  comunità Rom, ma e’ anche un fattore importante nel campo dell’ educazione ed istruzione, verso un , obiettivo comune: integrazione di Roma nella comunità’ sociale e religiosa.
Un significativo passo avanti nella pastorale dei Rom si e’ smesso nel anno 20.05.pubhl.icando il catechismo „ Sulla via di Dio” nella lingua croata e nello stesso tempo nelle due lingue dei Rom piu diffuse in Croazia e 111.111% creando incontri nazionali degli operatori pastorali.

Le attività importanti dei comitato sono la organizazione degli incontri nazionali degli operatori pastorali tra i Rom che si organizzano dal 2009, con vari argomenti:

I Rom in Croazia: la cura dello stato Croato e la cura pastorale della Chiesa in Croazia ( 2009. )

il sacramento di battesimo (2010.)

Eucaristia: la pastorale delle famigkie Rom in occasione della prima comunione ( 2011.)

L’ idea ed esperienza di Dio tra i Rom (2012.),

Decennio per i Rom: gli obiettivi e realizzazione ( 2013.)

Convivenza nella diversita’ ( 2014. )

La pastorale dei vilaggi Reni ( 2015. )

La misericordia (2016.)

Il ruolo di catechista nella pastorale dei Rom (2017.)

Inclusione dei Rom nella vita della comunità parrocchiale (2018.)

Il comitato per la pastorale dei Rom presso la Conferenza episcopale croata 2009. ha iniziato e realizzato l’indagine della pastorale dei Rom in Croazia, e come indicano le esperienze europee e croate che nel processo di integrazione i Rom nella comunità sociale, come anche la creazone di un rapporto positivo con la scuola attività pastorali particolarmente importanti: scuole familiari religiose incontri pastorali, partecipazione a eventi religiosi comunitaria, il Comitato anche per l’anno 2019. e’ preparato la nuova ricerca completa sulla sitauzione di Roma in Croazia.

La comunita’ educativa di Roma ( ROZ )

Nell’ambito dell’approccio interculturale all’educazione e alla formazione dei rom la sua importanza ha il programma della Comunità Educativa Rom, presso il Comitato per la pastorale dei Rom della Conferenza episcopale croata. È una forma specifica di attività educativa, religiosa e formativa che si organizza per i bambini di Rom in Croazia.
Lo scopo di questa Comunità educativa: educazione e formazione interculturale, rispetando nella pastorale la specifica’ culturale di Roma, per costudire loro identica’ nazionale in Croazia.

I compiti della’ comunità educativa Rom:

• dare la possibilita’ ai bambini Rom di ricorrere ad altre persone , esperimentando e permeando le proprie e diverse caratteristiche culturali;

• educazione e formazione interculturale, conoscere la storia, le realizzazioni tradizionali e artistiche di Roma e le connessioni con le diverse culture;

• La conoscenza e la scoperta della fede nella vita comunitaria, rispetando la religione tradizionale dei Rom, loro lingua oppure il dialeto cui parlano.

• Forza creativa in lingua romana, e collegamento ed influenza reciproca della cultura croata e delle minoranze nazionali in Croazia.

• La socializzazione dei bambini rom, educazione familiare e sanitaria.

Obiettivo della comunita’ educativa e’: „ESSERE INSIEME” – NOJ UN Fl GRMAD. Professori, insegnanti, asistenti di Roma ed alluni come vera comunita’ pedagogica adempie questo programa con rispetto, tolleranza e fiducia.

La comunita’ educativa ha mostrato il suo impegno per I’ inculturuione e il rispetto della lingua dei Rom introducendo la lingua dei Rom nella liturgia ( La liturgia della Parola: le letture e la preghiera dei fedeli ).

Per la comunita’ nazionale a riguardo di Roma in Croazia, oltre il meglioramento della posizone socio-economico, l’integrazione in tutti i segmenti della societa’, e’ fondamentale tutto e sempre con il rispetto e la conservazione della cultura, la tradizione i lo stille della loro vita.

Le esperienze fin ora obbligano le istituzioni statali e la comunita’ di Roma in Croazia, perche’ si impegnino loro diritti che li ha lo magiontnza. Con il rispetto dei impegni di risolvere uniti problemi a riguardo dei Rom: alloggio, lavoro, salute„., proprio ambito di educazione, istruzione e pastorale mostrano la sintesi delle diversita’ di partenze e unitarieta’ di realizazione nel oprativo per il bene reciproco di Roma e di Non-roma.

IIa PARTE

I.’ ESPERIENZA DELLA PASTORALE TRA I ROM NELLA DIOCESI DI VARAZDIN

Prof. Kristina Cacic

A )  l.a cura concreta della chiesa locale per Roma: Il lavoro della Comitato per la pastorale di Roma della diocesi Varazdin.

“Per molto tempo si è sentito il bisogno di istituire il Comitato per la Pastorale Rom nella Diocesi alla fine di rendere un modo costruttivo e produttivo perche’ la Chiesa si avvicini ai membri del popolo Roma che, nella zona della nostra diocesi, in gran numero, hanno trovato la loro sistemazione permanente o la loro casa “.

Con questo detto il vescovo Mrzljak, dopo i saluti e le preghiere introduttive si e’ rivolto nei locali dell’ ordinariato diocesano agli attuali membri del futum Comitato pastorale Rom al venerdì 18 settembre 2016. data dell’istituzione ufficiale del Comitato per la pastorale di Roma nella diocesi Varaldin )

Nella sua riflessione sull’importanza dell’organizzazione di una pastorale qualitativa di Roma nella Diocesi, il vescovo Mrzljak ha sottolineato i seguenti fatti:

– perche’come una Diocesi con il maggior numero di membri della minoranza nazionale Rom e quelli si dichiarano i cristiani, il nostro dovere fraterno è quello di avvicinarsi al popolo Rom alla luce delle parole di Papa Francesco, conte dobbiamo portare la parola del Vangelo a chiunque sia in qualche modo emarginato o escluso nella società;

– nell’ operare pastorale con i Rom, siano essi bambini o adulti, ci conduce ispirazione pastorale e concreta saggezza pastorale, adattamento e intraprendenza, viste le numerose sfide nel lavorare con i fratelli e le sorelle Rom;

Per gli operatori pastorali nel lavorare con i Rom loro visione ed i loro obiettivi, la fonte di ispirazione e’ il documento ” Orientamenti per una pastorale degli Zingari” del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migratiti e gli Itineranti.

Obiettivo del Comitato:

Sulla base di un approccio pastorale ben concepito e di un’azione pastorale completa e ragionevole tra e con i membri del popolo Rom, costruire una vera conutnita’ cristiana di fratellanza alla luce della verita’ evangelica che siamo tutti i figli di unico Padre celeste.

Sentiamo ed esperimentiamo che tale pastorale e’ neccessaria nella evangelizzazione del polopolo Rom nella diocesi di Varaddin perche’ i Rom nella nostra societa’ sono ancora il gruppo di rischio più vulnerabile (socialmente svantaggiato / marginalizzato / escluso) principalmente a causa di alto grado di disoccupazione, copertura inadeguata del sistema educativo, condizioni abitative inadeguate e (no) regolarizzazione delle aree abitate dai Rom.

Esperimentiamo come dicono gli Orientamenti, che la Chiesa e’ chiamata costruire una pastorale speciale per i fratelli Rom, diretta verso la loro evangelizzazione promuovendo la dignità della persona umana. Orientamenti, Prefazione ).

Alcune delle attività della pastorale in Diocesi:

– organizzazione di celebrazione eucaristica con i Roma Beato Cefferino ed Emilia nella cattedrale di Varaddin

Organizzazione di via crucis per le strade di un insediamento Rom

pellegrinaggio annuale di madri e bambini al santuario mariano nazionale di Marija Bistrica

le visite alle famiglie rom su invito e / o raccomandazione durante l’anno.

“Missioni di famiglia”

partecipazione alle attività del Comitato per il servizio pastorale dei Rom della Conferenza episcopale croata

supporto nel lavoro professionale dcgli insegnanti in tutta la diocesi

 

B) Prospettiva di catechisti nel laroro con i bambini Rom

Ci sono ohm 20 scuole clementari nella diocesi di Vara/din tirquentato da studenti della minoranza nazionale rem e si iscrivono ad un materia scolastica chiamata Catechismo cattolico.

Come la premura pastorale noi catechisti la sentiamo conic la sfida ad impegnarsi con tutta la rrsponsabilita’ ad una cducazione i scuolari nella fede e a riguardo di questo noi tentiamo essere:

– i primi anunzziatori della parola di Dio

i primi creatori di vera immaggine della Chiesa

– anunzziatori sinceri della „cultum di vita”

Nelle ativita’ pastorali tra i Roma ci ispira it testo di n.60. dei Orientamenti: ,,la Parola di Dio annunciata agli Zingari nei van ambiti dell’azione pastorale sara’ da lore piu’ facilmente accolta se proclamata da qualcuno che si e’ dimostrato in concrete, solidale verso di are attraverso gli avvenimentt della vita.”

Nella diocesi si organizzano i seminari professionali per insegnanti con it supporto della Diocesi e dell’ Agenzia per educazione ed istruzione at livello del Ministere della Pubblica Istruzione della Repubblica di Croazia.

Gli obiettivi di tali incontri sono seguenti:

1. Conoscere gli elementi scientifici c professional dell’educazione ed istruzione interculturale che contribuiscano a una migliore comprensione e l’accettazione della minoranza nazionale rem attraverso it prisma dell’educazione religiosa;

2. Condividere l’esperienza professionale acquisita attraverso it lavoro educativo con la popolazione di bambini rom.

3. Rafforzare it livello professionale dell’istruzione religiosa nel lavoro con i bambini Rom;

Il Comitato pastorale Rom della diocesi di Varaddin continua a sostenere c rafforzare it lavoro degli insegnanti con bambini appartenenti alla minomnza nazionale Rem. Come risultato unico del lavoro di una delle conferenze professionali, c risorto it testo titolato: La letters di sostegno per Rom 1′ alluno di religion” in cui ii catechista esprime sincere sostegno a Rom alluno di cateschesi.

Caro Elvis, Sladana to mi sei importance ! Con questa letters roglio darti supporto e assistenza nella n,a ulterior:. educazione. Non collar:- it tuo sguadro, non ti metier: da parte perche it tuo posto e qui Ira tati. 3lostrami chi sei e troverema moire cose comunL Le differenze ci collegheranno, non ci separeratmo.

C) La testimonianza personale: it cambiamento di vita sulla base del comandamento dell’ amore: “ama il tuo fratello come te stesso.”

La mia vita personale e professionale è cambiata irrevocabilmente attraverso le riunioni, lavoro e convivenza con i fratelli e le sorelle Roma. Fin dall’inizio del lavoro di insegnamento con i bambini Rom, e tramite lord ed incontro con le loro famiglie mi sono rem come che l’altra parts di Dio di comandato di amare Amu it tuofratello come to siesso” solo puo’ condurre correttamente, guidare e rafforzare nel lavoro tra i Roma.

In questa forma di lavoro pastorale ci sono molte slide che mi incoraggia a persistere ad otTrire compassione supporto e rifugio per coloro che sono i piu vulnerabili tra noi nella Chiesa e nella societa. La seconda parte del comandamento dell’amore mi rende consapevole come e’ bello partecipare nella formazione delle anime umane e’ tut dono inapprezzabile che richiede solo una cosa: it vero amore umano che si realizza attraverso lo sguardo, it riconoscimento, attaccamento persistente e la disposizone di evangelizzarsi a vicenda.