fede e capacità di riconoscer … Lo

la nostra fede

«”È reo di morte!”. Allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono; altri lo bastonavano, dicendo: “Indovina, Cristo! Chi è che ti ha percosso?» (1).

Signore, sì, ti riconosciamo in tutti i calunniati e torturati dai regimi, in tutti i dissidenti e in tutti i derisi dal Potere.

«Spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto e, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella destra; poi mentre gli si inginocchiavano davanti, lo schernivano: “Salve, re dei Giudei!”. E sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo così schernito, lo spogliarono del mantello, gli fecero indossare i suoi vestiti e lo portarono via per crocifiggerlo» (2).

Signore, sì, ti riconosciamo in tutti gli spogliati, gli impoveriti dalle strutture di peccato economico-sociali, negli espropriati di opportunità, nei piegati, nei disoccupati/precari/operai colpevolizzati dai loro oppressori, in tutti i crocifissi dalla storia.

«”Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!”. Anche i sommi sacerdoti con gli scribi e gli anziani lo schernivano: “Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso. È il re d’Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo. Ha confidato in Dio; lo liberi lui ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: Sono Figlio di Dio!”. Anche i ladroni crocifissi con lui lo oltraggiavano allo stesso modo» (3).

Signore, sì, ti riconosciamo in tutti i testimoni della compassione, della giustizia, della profezia, della misericordia che non hanno pensato prima a salvare se stessi.

«Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: “Elì, Elì, lemà sabactàni?”, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: “Costui chiama Elia”. E subito uno di loro corse a prendere una spugna e, imbevutala di aceto, la fissò su una canna e così gli dava da bere. Gli altri dicevano: “Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo!”. E Gesù, emesso un alto grido, spirò» (4).

Signore, sì, ti riconosciamo in tutti gli abbandonati al loro destino,  nei disperati perché traditi e venduti come schiavi, nei reietti per motivi sociali, religiosi, sessuali, in tutti quelli che si sentono lontani da Dio.

Signore, sì, ti riconosciamo in quell’uomo nudo e crocifisso. Non ci vergogniamo, né ci scandalizziamo ma al contrario proviamo solo immensa gratitudine.

(1) Vangelo di Matteo 26, 67-68

(2) Vangelo di Matteo 27, 28-31

(3) Vangelo di Matteo 27, 40-44

(4) Vangelo di Matteo 27, 46-50

la valenza innovativo-rivoluzionaria della correziione al ‘padre nostro’

la nuova versione della preghiera cambia l’immagine del Dio e sposta radicalmente la teodicea, ovvero la secolare interrogazione (filosofica ed etica) su a chi debba essere attribuita la responsabilità del male

nel nome del padre che diventa anche un po’ madre

Laura Marchetti

Pur da atea e anticlericale, guardo con speranza il cambiamento formulato nel nuovo Messale Romano per la preghiera del Padre Nostro, la più importante perché l’unica formulata direttamente da Gesù ai discepoli nel Vangelo di Matteo (quello di Pasolini, del Cristo dei poveri cristi). A quasi 50 anni dalla versione di Paolo VI, la nuova traduzione dall’aramaico sembra più aderente al messaggio evangelico rivoluzionario.
Trasformata in orazione, in implorazione pronunciata da milioni di oranti, può contrastare in profondità, nell’inconscio, le parole feroci che dominano messaggi ed azioni del potere politico in questi sciagurati tempi.
La nuova versione, innanzitutto, cambia l’immagine del Dio e sposta radicalmente la teodicea, ovvero la secolare interrogazione (filosofica ed etica) su a chi debba essere attribuita la responsabilità del male. La vecchia formula «e non ci indurre in tentazioni», addossa in qualche modo a Dio (un Dio perverso, che gioca con la testa dell’uomo a fargli paura e a renderlo ancora più fragile con le sue trappole), la corresponsabilità nella tentazione, rendendo così il male inerente al sacro, dunque ontologico e ineliminabile. La nuova formula invece «non abbandonarci in tentazione», pur ribadendo la fragilità dell’uomo e quindi in parte assolvendolo, esonera Dio, finendo così per attribuire l’avvento del male alla storia o alla società. In questo modo il male diventa fenomenologico, dunque modificabile e, nell’estrema utopia, eliminabile.
La nuova formula del Messale Romano ha anche un’altra ricaduta sul quotidiano, in quanto modifica, oltre all’immagine di Dio, l’immagine del padre , sua proiezione, come sappiamo dopo Feuerbach. L’immagine paterna che emerge dalla prima versione è quella tradizionale del patriarcato: un padre che non vuol cedere la strada, ma anzi pone ostacoli al figlio come fosse un nemico, in un rapporto sempre improntato alla rivalità e al conflitto, conflitto dal quale il giovane esce sempre soccombente rispetto al vecchio (a fondazione di una gerontocrazia perdurante nei secoli). La nuova immagine paterna, invece, essendo evocata da una implorazione dettata non dalla paura ma finalizzata ad una richiesta sollecita di protezione e di cura («non mi abbandonare», vuol dire anche amami e non mi lasciare solo sulla mia croce o la mia strada), prefigura l’immagine di un padre dolce, scritto con la minuscola, e con funzioni materne: un padre/madre che, aiutando, può contribuire all’autonomia e alla liberazione del giovane figlio/a.
Un padre/madre così modifica anche l’immagine e la pratica della politica: il nostro punto cruciale. La patria , così come la intendono gli stati fra loro in guerra e in guerra con i cittadini, corrisponde ad un modello di pater patriarca e padrone e, soprattutto, proprietario di patrimoni (diritti e beni) per secoli lasciati in eredità solo al figlio maschio.
La sua idea sacrificale corrisponde perfettamente al Dio del Levitico che chiede sangue e sacrifici, forgiando militarmente, ancora oggi, il modello sovranista che, non a caso, è anche spudoratamente machista. Il padre/madre dolce, che non ti abbandona, corrisponde invece non allo stato militare ma allo stato sociale, leggero e tenero, non indifferente alla vita, ai bisogni, alle richieste di aiuto che vengono dal cittadino, anche da quello più fragile e abbandonato: dall’orfano, dalla vedova, dallo straniero, dall’ammalato, come recita un altro straordinario passo evangelico. Il suo gesto di cura riforma così la patria trasformandola in matria, terra della madri e dei padri/madri, terra natale comune, destino comune, lingualatte comune dal cui abbraccio nessuno, proprio nessuno, può essere escluso.

è la guerra contro i deboli della società

Erri de Luca

“qui siamo alla persecuzione dei mendicanti”

A partire dallo sgombero di Baobab, lo scrittore si sofferma sul clima nel Paese: “Non chiamatelo fascismo ma Salvini imita a pappagallo qualche slogan del ventennio, per quel conosciuto disturbo della personalità definito delirio di potenza dell’improvvisato al potere”. Poi parla dello snaturamento del M5S e sorvola, per pietà, sul Pd favorevole alla Tav: “A sinistra si è aperta una voragine che non ha ancora una voce di rappresentanza. Questa opposizione che esiste nella società aspetta una nuova espressione”.

intervista a Erri De Luca di Giacomo Russo Spena

Parla di guerra in atto contro i deboli della società ma, nello stesso momento, rifiuta categorie come il fascismo: “Non ci sono gli estremi per usare oggi tale termine”. Lo scrittore Erri de Luca si dice disgustato per la fase politica che il Paese sta vivendo senza però lasciarsi andare alla rassegnazione: “Al pianoterra della società, che frequento, trovo continue ragioni di conforto e di allegria. Ci sono forze che mi rendono lieto di appartenere al loro tempo”. Il problema è che nessuno, al momento, pare riuscirle a rappresentare.

Erri de Luca, per il governo gialloverde è tempo di primi bilanci: qual è il suo giudizio?
Non arrivo a chiamarlo governo, si tratta per me di uno stupro elettorale, fatto da due componenti che si sono presentate agli elettori come opposte e poi con un borseggio ai danni degli elettori stessi si sono piazzati sulle sedie di governo. Sono degli occupanti provvisori di quelle poltrone. Lo sanno e stanno svolgendo una continua campagna elettorale ognuno per proprio conto in vista di un imminente scioglimento di governo e di Camere.
Dopo il ddl sicurezza, il caso della mensa di Lodi o l’ennesimo sgombero a Roma di Baobab, per citare qualche episodio emblematico, c’è chi parla di deriva xenofoba del governo. E’ un timore che condivide o è solo una boutade giornalistica?

La xenofobia non distingue tra stranieri ricchi e poveri, li detesta entrambi. Qui si tratta piuttosto di persecuzione di mendicanti: nello sgombero del Baobab c’erano anche italiani sgomberati. Qui si pratica accanimento sui più esposti alle intemperie, effetto che misteriosamente rassicura chi rasenta la povertà. Intanto gli sbarchi alla spicciolata continuano e i provenienti dalle coste Africane sono solo una minoranza degli immigrati extracomunitari, rispetto a Ucraini, Albanesi, Moldavi.

Poveri e migranti vengono sgomberati in nome della legalità, Casa Pound sembra godere invece dell’impunità. Il ministro degli Interni utilizza due pesi e due misure?

Questo ministro degli Interni fece una manifestazione a Roma a Piazza del Popolo con i fascisti di Casa Pound. Sono un suo bacino elettorale.

Qualcuno arriva a dire che Salvini è culturalmente fascista. E’ d’accordo?

Il fascismo si manifesta con la violenza squadrista, gli assalti alle sedi di sinistra, la messa fuorilegge delle opposizioni, la soppressione della libertà di stampa. Non ci sono gli estremi per usare oggi il termine fascismo. C’è un ministro che imita a pappagallo qualche slogan del ventennio, per quel conosciuto disturbo della personalità definito delirio di potenza dell’improvvisato al potere.

Intanto, però, la Lega continua a salire nei sondaggi: la politica della ruspa sembra convincere i cittadini. Dopo il berlusconismo, è in atto una (nuova) rivoluzione antropologica degli italiani?

Le ruspe contro i campi nomadi e le tende dei senzatetto ci sono state anche prima. Il Baobab è stato sfrattato 22 volte in questi anni. Prevale in questo momento il sentimento politico della paura e del malanimo, che gonfia i sondaggi, che non sondano affatto, ma raccolgono solo la irritazione cutanea. Ma l’Italia si regge su sentimenti politici opposti, quelli del volontariato diffuso, capillare, solidale, di mutuo soccorso. Sono poco rappresentati dai sondaggi perché appunto non sanno sondare.

Quali sono le responsabilità del M5S? E’ deluso dai grillini?

Hanno cambiato i loro connotati da quando li sosteneva una persona di coerente sinistra come Dario Fo. Hanno smesso di raccogliere un’astensione che oggi riguarda più di un terzo di elettori. Hanno smesso di opporsi a opere pubbliche oscene per le quali hanno ottenuto consenso elettorale. Hanno smesso di conservarsi equidistanti da destra e sinistra accordandosi alla Lega. Insomma hanno smesso molto e continueranno a smettere. Le delusioni riguardano il loro corpo elettorale nel quale non rientro, non avendo voluto votare.

In passato si è schierato contro il condono ad Ischia dichiarando: “Ci sono ministri che trasformano l’oro in fango”. Ieri il governo è andato sotto proprio su questo provvedimento. Una buona notizia?

La maggioranza è scomposta e si sgambetta da sola. Mi spiace per l’isola della mia infanzia che è diventata titolo di un caso di favoritismi.

Parliamo anche dell’opposizione. Possiamo dire che, al momento, non esiste?

Esiste, composta da Forza Italia e in secondo piano dal Pd che però da un anno è in cerca di autore. Ma a sinistra si è aperta una voragine che non ha ancora una voce di rappresentanza. Questa opposizione che esiste nella società aspetta una nuova espressione.

Non posso esimermi dal farle una domanda sul corteo pro Tav che ha organizzato il Pd a Torino. Cosa ha pensato nel vedere quella piazza?

Ne dovranno fare altri novantanove di cortei per pareggiare quelli che ho fatto io stesso contro quel treno merci e prima che si possa prendere in considerazione la esistenza politica di piazza di un sì che sta invece da sempre dentro i governi, i ministeri e le ditte appaltatrici dello scempio.

Recentemente si è detto “disgustato” dalla politica. Non le entusiasma nulla? Non c’è nessuno all’orizzonte capace di ridarle speranza?

Il disgusto è per me un sentimento politico nuovo, da elaborare. Si manifesta cambiando prontamente canale all’apparizione di pubblici rappresentanti e rifiutando di pronunciarne i nomi, per misura di igiene orale. Ma al pianoterra della società, che frequento, trovo continue ragioni di conforto e di allegria. Ci sono forze che mi rendono lieto di appartenere al loro tempo.

“e noi quanto stiamo diventando cattivi?” lo sgomento di Ascanio Celestini

Il PARTITO DELLA RUSPA
con lo sgombero dei poveri cristi del Baobab 
una ferita per la città perché era una risorsa vera per i disperati di Roma 

s’è toccato un fondo che non era facile toccare

mentre il mostro conta i voti parliamo di noi

di Ascanio Celestini

Quanto stiamo diventando cattivi? Come quelli che prendevano il caffè alla stazione quando partivano i treni pieni di ebrei e zingari? Come quelli che erano contenti dell’impero. Quando l’Amba Aradam era sinonimo di confusione?
Ecco, noi siamo cattivi come Salvini. Un signore che ci parla dal suo telefonino. Si riprende. Dice che è un papà. Vuole un po’ di ordine nelle nostre città. Conta i “like” sulla sua pagina facebook e imposta la politica del suo partito seguendo le indicazioni dei followers. Non è un politico. No. È un contatore.
Più ci penso e più credo che non serve molto parlare di immigrati, di stranieri. Dobbiamo parlare di noi. Dell’umanità che ci stiamo perdendo per strada.
Con lo sgombero dei poveri cristi del Baobab – una ferita per la città perché era una risorsa vera per i disperati di Roma – s’è toccato un fondo che non era facile toccare. Solo con questi personaggi disumani potevamo toccarlo.
Con questi che si circondano di mostri per essere sempre più mostruosi. Quanti like mi mettono se porto un mazzo di fiori per una sedicenne stuprata? E se ce ne aveva tredici?
Viviamo in una città nella quale bisognerebbe riparare le strade piene di buche, dare un alloggio a chi non lo ha, migliorare il trasposto pubblico e le scuole, la sanità, eccetera. Ma si prendono voti con questi argomenti? No, cari elettori.
Allora arrivano i blindati «l’avevamo promesso, lo stiamo facendo.
E non è finita qui. Dalle parole ai fatti» dice il mostro di Riace, quello che ha trattato come un malfattore il sindaco Mimmo Lucano che ha dato una casa ai migranti e un paese ai suoi paesani.
Il ministro che sta facendo a pezzi le nostre barricate di civiltà.
E noi?

Europa malata di indifferenza

 papa Francesco

l’Europa malata di indifferenza e chiusura, serve misericordia

Udienza al Pontificio Comitato per i Congressi Eucaristici internazionale:

oggi nel mondo un «fiume carsico di miseria» provocato da «tante forme di paura, sopraffazione, arroganza, malvagità, odio». I cristiani siano un «balsamo» per l’umanità ferita

salvatore cernuzio

Famiglie in difficoltà, giovani e adulti senza lavoro, malati e anziani soli, migranti: sono tante le situazioni in questa «Europa malata d’indifferenza e attraversata da divisioni e chiusura» nelle quali i cristiani sono chiamati a «versare il balsamo della misericordia con opere spirituali e corporali». Ancora una volta Papa Francesco posa lo sguardo sulle categorie umane più ferite, segnate «da fatiche e violenze e altre povertà», e nel suo discorso ai membri del Pontificio Comitato per i Congressi Eucaristici internazionali, ricevuti in udienza questa mattina in Vaticano, richiama la responsabilità di tutti i credenti a compiere azioni concrete in nome di quella misericordia che, seppur sia una «parola quasi tolta dal dizionario della cultura attuale», dev’essere iniettata nuovamente nelle vene del mondo.  

Occorre riportare «in superficie parole di Vangelo che le nostre città hanno spesso dimenticato»: questa è, secondo il Papa, l’urgenza per il tempo attuale in cui «tutti si lamentano per il fiume carsico di miseria che percorre l’esperienza della nostra società». «Si tratta – evidenzia il Pontefice – di tante forme di paura, sopraffazione, arroganza, malvagità, odio, chiusure, noncuranza dell’ambiente, e così via. E tuttavia i cristiani sperimentano ogni domenica che questo fiume in piena non può nulla contro l’oceano di misericordia che inonda il mondo».

In questo scenario drammatico «i cristiani rinnovano prima di tutto, di domenica in domenica, il gesto semplice e forte della loro fede: si radunano nel nome del Signore riconoscendosi fratelli. E si ripete il miracolo: nell’ascolto della Parola e nel gesto del Pane spezzato anche la più piccola e umile assemblea di credenti diventa corpo del Signore, suo tabernacolo nel mondo». Ogni celebrazione dell’Eucaristia diventa così «incubatrice degli atteggiamenti che generano una cultura eucaristica», una cultura, cioè, che «spinge a trasformare in gesti e atteggiamenti di vita la grazia di Cristo che sì è donato totalmente». Che porta quindi alla comunione, alla fraternità e alla misericordia, tutti valori apprezzabili e percepibili anche al di là dell’appartenenza ecclesiale.

La comunione in particolare, spiega Papa Bergoglio, è una «vera sfida» per la pastorale eucaristica, perché si tratta di aiutare i fedeli a vivere in Cristo e con Cristo «nella carità e nella missione». Da ciò, dalla logica cioè del «corpo donato» e offerto per molti, si entra nella logica del servizio: «I cristiani servono la causa del Vangelo inserendosi nei luoghi della debolezza e della croce per condividere e sanare», afferma il Pontefice. Essi diventano «servitori dei poveri, non in nome di una ideologia ma del Vangelo stesso, che diventa regola di vita dei singoli e delle comunità, come testimonia l’ininterrotta schiera di santi e sante della carità».

In questo modo «la misericordia», dice il Papa, entra «nelle vene del mondo e contribuisce a costruire l’immagine e la struttura del Popolo di Dio adatta al tempo della modernità».

A conclusione, Francesco ricorda il prossimo Congresso Eucaristico Internazionale che si terrà nel 2020 a Budapest, in Ungheria (all’udienza è presente infatti la Delegazione del comitato ungherese guidata dal cardinale Peter Erdő). «Questo evento – rileva il Pontefice – sarà celebrato nello scenario di una grande città europea, dove e comunità cristiane attendono una nuova evangelizzazione capace di confrontarsi con la modernità secolarizzata e con una globalizzazione che rischia di cancellare le peculiarità di una storia ricca e variegata».

Portando avanti «una storia più che centenaria», il prossimo Congresso è chiamato pertanto ad «indicare questo percorso di novità e di conversione, ricordando che al centro della vita ecclesiale c’è l’Eucaristia», mistero «capace di influenzare positivamente non solo i singoli battezzati, ma anche la città terrena in cui si vive e si lavora». Auspicio del Papa è dunque che l’appuntamento eucaristico di Budapest possa «favorire nelle comunità cristiane processi di rinnovamento» che si traducano nel diffondersi di una «cultura eucaristica capace di ispirare gli uomini e le donne di buona volontà nei campi della carità, della solidarietà, della pace, della famiglia, della cura del creato».

prima chi? “gli ultimi saranno i primi”

prima gli oppressi

O Dio, Padre degli orfani e delle vedove, rifugio agli stranieri, giustizia agli oppressi, sostieni la speranza del povero che confida nel tuo amore, perché mai venga a mancare la libertà e il pane che tu provvedi’

da Altranarrazione

è fatto così il nostro Dio: diligente nel medicare ferite, negligente nell’assegnare colpe

Se gli oppressi non hanno dove posare il capo, hanno però un luogo dove trovare consolazione*. Il cuore di Dio è innanzitutto per loro. Gli altri dovranno attendere prima di essere ammessi. Udranno parole uniche che Dio rivolgerà solo a loro. Nessun altro potrà ascoltarle, neanche origliando. Riceveranno spiegazioni, ogni interrogativo troverà risposta, e scopriranno che Dio non ha dimenticato nulla della loro sofferenza. Ogni lacrima degli oppressi è stata annotata con la mano di un ragioniere scrupoloso, mentre del bilancio dei peccati sembra che se ne siano perse le tracce.

È fatto così il nostro Dio: diligente nel medicare ferite, negligente nell’assegnare colpe. D’altronde sembra abitare più in un ambulatorio che in uno di quei lussuosi palazzi dove si emettono sentenze civili o religiose. Ma sempre “umane”, nel senso di terrene. Com’è diverso il senso della Giustizia nella sua logica: per Lui significa riscattare l’infelicità di quest’esilio vissuto dai suoi figli al buio ed esposti ad ogni genere di male. Se per l’uomo giustizia è punire per il Signore è guarire. Attualmente però Dio è impegnato nella ricerca di persone che si rendano disponibili ad anticipare il suo conforto agli ultimi, qui sulla terra. Le selezioni sono molto difficili e vanno spesso deserte per gli improrogabili impegni degli uomini: accumulare denaro, programmi televisivi, partite di calcio**. È così che a Dio gli tocca vedere morire i suoi figli prediletti nella solitudine. Questa assurda separazione, che ci fa rinviare le dinamiche del Regno all’aldilà, produce molte vittime. Il rinvio è il lago in cui sguazza il male. Non servono lamenti ed invocazioni se non ci convertiamo dalla passività e ci continuiamo a dimenticare che non solo la terra ma anche i nostri/e fratelli/sorelle ci sono stati affidati in custodia.

* “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro”  (vangelo di Matteo 11,28)

** vangelo di Matteo 22,1-14

un’Europa dove riprendono paurosamente i pogrom contro rom ed ebrei

Kiev

pogrom neonazi contro i rom

allenamento per il seguito

Ucraina. Almeno sei gli attacchi registrati quest’anno. Tra le vittime anche una bambina di dieci anni uccisa

I fascisti del gruppo S-14, le sovvenzioni statali e le complicità vergognose.
-E altri miliardi senza rendiconti di democrazia dall’Unione europea.

problema irrisolto la destra estrema

Kiev, pogrom neonazi contro i rom, che prima di passare al bersaglio classico degli ebrei, scelgono un bersaglio più facilmente detestabile, i Rom, per allenamento e proselitismo. Lo denuncia la giornalista Halya Coynash sul portale Kharkiv Human Rights, che ci da anche nome ed indirizzo degli squadristi molto, troppo ben protetti. I «vigilantes» fascisti del ‘S-14’ che da mesi spadroneggiano per le vie delle città ucraine portando violenza e paura con l’avvallo silenzioso e quindi complice delle forze di sicurezza. Arroganza da impunità, con rivendicazioni pubbliche, ad esempio, del pogrom del 24 ottobre. Kiev, pogrom neonazi contro i rom, Il 24 ottobre, ma attorno c’è ben altro. Torniamo ad Halya Coynash, la giornalista, che a sostegno delle sue accuse a Human Rights, ha portato video e fotografie: «il 24 ottobre nell’area vicino alla stazione meridionale di Kiev un raid neonazista ha devastato un campo abitato da famiglie rom». La particolare gravità di questo assalto è che per la prima volta la polizia municipale non è restata solo ad osservare le gesta dei fascisti del gruppo S-14 ma ha attivamente partecipato all’azione, dando l’impressione -oramai, vedremo tra poco- molte conferme che i raid erano stato organizzati e coordinati. Dall’inizio dell’anno sono già 6 i casi noti di pogrom in Ucraina, uno dei quali terminato con l’uccisione di una bambina di soli 10 anni. Denunce pubbliche ma nessuna protesta dalla Ue. Anzi, quasi fossero premi meritati, piovono euro su Kiev. Con la Rada -il parlamento locale- che per una volta a grande maggioranza, decise di accettare il miliardo di euro di aiuti dall’Unione Europea. Spiccioli in realtà, visto che all’ascesa del governo di Petr Poroshenko, 2014, arrivò il maxi prestito di 17,5 miliardi di dollari dal Fondo Monetario Internazionale, e l’anno dopo 1,8 miliardi di euro Ue, in cambio di promesse di democrazia. A oltre quattro anni dalla Maidan, l’Ucraina ha il problema irrisolto di un sottobosco di gruppi estremisti, filonazisti e xenofobi che non si limitano alle parole. A inquietare, è l’immobilismo di governo, polizia, politica di Kiev. Il disinteresse per una serie di crimini violenti che hanno come obiettivo minoranze ai margini della società. Un immobilismo che qualche volta rasenta la connivenza. È il caso del gruppo neonazista ‘C14’ che, secondo ‘Human rights protection group’, ha ricevuto soldi pubblici per «educazione patriottica». Circa 40mila euro con i quali il ministero della Gioventù ha finanziato iniziative «nazional-patriottiche» . La matrice neonazista di questo gruppuscolo non è in discussione. C in cirillico è S, iniziale di slova, слова, parole. C14 si rifà alle 14 parole di David Lane, leader defunto del gruppo suprematista americano The Order: «We must secure the existence of our people and a future for white children». È una formazione apparsa di recente, in parte come spin off di Svoboda, il partito estremista che svolse un ruolo di primo piano nelle occupazioni violente dei palazzi del potere nei giorni della Maidan. Ma che ha anche contatti stretti con la galassia dell’estrema destra nazionalista, da Pravyi Sektor al Natsionalyikorpus, al Karpatska Sich. Kiev, pogrom neonazi contro i rom Il realtà, da analisti non legati a politica e Stati, ben poco sul fronte e delle riforme democratiche promesse da Kiev è stato fatto. In Ucraina si parla ormai di miseria e degrado. Reddito medio annuo a parità di potere d’acquisto è di 2990 dollari, mentre -accusa diffusa- ‘le oligarchie dilapidano i prestiti internazionali’. Per protestare contro una situazione ogni giorno più insostenibile, la Federazione dei Sindacati Ucraini aveva organizzato il 23 ottobre scorso un grande sciopero nazionale e a tutt’oggi nel Donbass, la parte non separatista, i minatori restano a rotazione nei pozzi per protestare per il mancato pagamento dei salari da 4 mesi a questa parte.

NEONAZISTI CRESCONO

la passione di papa Francesco per i poveri, gli ultimi, gli scartati della storia, le vittime della società

“Papa Francesco e i poveri”


dal sito del Monastero di Bose

Nell’affrontare il tema della passione di papa Francesco per i poveri, gli ultimi, gli scartati della storia, le vittime della società, non posso non fare memoria di alcune parole profetiche di Giovanni XXIII, pronunciate un mese prima dell’apertura del concilio: “La chiesa si presenta quale è, e vuole essere, come la chiesa di tutti, e particolarmente la chiesa dei poveri” (Radiomessaggio ai fedeli di tutto il mondo, 11 settembre 1962). Parole che allora parvero inedite, ma che durante il concilio presero fuoco e diventarono un’urgenza avvertita con forza, un segno dei tempi, perché quell’ora era ritenuta “l’ora dei poveri”.
Quel fuoco acceso da papa Giovanni forgiò uno straordinario diamante nella Lumen gentium: “Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la chiesa e chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza … Così anche la chiesa, benché per compiere la sua missione abbia bisogno di risorse umane, non deve cercare la gloria terrena, ma con il suo esempio diffondere umiltà e abnegazione” (LG 8). Questa è la logica dell’evangelizzazione operata dal Signore Gesù Cristo, che “da ricco che era si è fatto povero per noi” (cf. 2Cor 8,9; cf. ibid.), e dunque questa deve essere la via percorsa dalla chiesa per portare la buona notizia ai poveri. Questa istanza – diciamo la verità – è parsa paradossale e anche, qua e là nella chiesa, scandalosa, perché molti hanno continuato a pensare che solo una chiesa ricca, forte e potente possa fare del bene ai poveri. Anche per questo la profezia evangelica della povertà, dopo il concilio, e in particolare negli anni ’80 del secolo scorso, si è indebolita, è diventata silente ed è stata spesso contraddetta in modo anche clamoroso, provocando scandalo nella chiesa e nel mondo.
Ma proprio tra sue primissime parole, papa Francesco ha quasi sospirato: “Ah, come vorrei una chiesa povera e per i poveri!” (Udienza ai rappresentanti dei media, 16 marzo 2013). Da allora Francesco, che ha assunto il nome del santo che ha legato la sua vita cristiana alla povertà, non cessa di ripetere, quasi in modo ossessivo, l’urgenza della povertà della chiesa e della sua responsabilità di fronte ai poveri del mondo. Sono convinto che di questo papa saranno ricordate soprattutto le sollecitudini per la misericordia e la povertà, perché in lui il mistero cristiano si riassume soprattutto nel Cristo povero e misericordioso dei vangeli. D’altronde egli è ben consapevole che solo una chiesa povera e misericordiosa può fare riforme profonde, non operazioni di maquillage che sono senza forza e durano un momento, che incantano ma non causano conversione. È significativa questa sua affermazione: “Non si può comprendere il vangelo senza la povertà” (Intervista a La Vanguardia, quotidiano catalano, 12 giugno 2014; cf. Osservatore romano, 13 giugno 2014).
Potrei fornire diverse citazioni, tratte da numerosi interventi del papa su questo tema, sia in discorsi sia nel suo magistero quotidiano nelle omelie mattutine a Santa Marta: contro il “denaro, radice di tutti i mali” (cf 1Tm 6,10), “capace di togliere la fede”, “fonte di corruzione”, contro il potere che non diventa servizio del fratello, soprattutto dell’ultimo, contro la vanità e l’orgoglio ecclesiastico. Ma, anziché ricordare queste invettive profetiche del papa, preferisco mettere in evidenza due sue preoccupazioni emblematiche.
La prima è quella che i cristiani abbiano occhi capaci di scorgere nei poveri “la carne di Cristo”. Al cristiano – ricorda il papa – è assolutamente necessario innanzitutto sentire la chiamata a essere povero, a spogliarsi di se stesso, in una vera kénosis sull’esempio di Cristo (cf. Fil 2,7), a imparare a stare con i poveri, praticando la condivisione con chi è privo del necessario, in modo da “toccare la carne di Cristo” (Veglia di Pentecoste con i movimenti, le nuove comunità, le associazioni e le aggregazioni laicali, 18 maggio 2013; cf. anche omelia a Santa Marta, 7 marzo 2014). Ha affermato ancora il papa: “Il cristiano è uno che incontra i poveri, che li guarda negli occhi, che li tocca” (Incontro con i poveri assistiti dalla Caritas, Assisi, 4 ottobre 2013). E recentemente, con parole che vanno messe in pratica, senza commenti: “Davanti ai poveri non si tratta di giocare per avere il primato di intervento, ma possiamo riconoscere umilmente che è lo Spirito a suscitare gesti che siano segno della risposta e della vicinanza di Dio. Quando troviamo il modo per avvicinarci ai poveri, sappiamo che il primato spetta a Lui, che ha aperto i nostri occhi e il nostro cuore alla conversione. Non è di protagonismo che i poveri hanno bisogno, ma di amore che sa nascondersi e dimenticare il bene fatto. I veri protagonisti sono il Signore e i poveri” (Messaggio per la II Giornata mondiale dei poveri, 13 giugno 2018). Sembra che il bacio di san Francesco al lebbroso sia per il papa l’icona del vero rapporto di amore con chi è bisognoso. Ma, di nuovo, questo è lo stile di Gesù, è ciò che i vangeli ci raccontano di Gesù, il quale sempre ha voluto toccare corpi di malati, abbracciare i bisognosi, stare a tavola con gli scarti della società, impuri ed emarginati.
Papa Francesco esprime una vera povertà cristologica, o una cristologia della povertà, con accenti che ricordano i padri della chiesa, soprattutto Basilio di Cesarea, Giovanni Crisostomo, Ambrogio di Milano. “Il povero è un vicario di Cristo”, ha detto più volte (cf., per esempio, Incontro con i poveri, Assisi, 4 ottobre 2013; Omelia a Santa Marta, 20 gennaio 2014; Intervista all’Osservatore romano, 13 giugno 2014), proprio lui che mai e poi mai direbbe di sé di essere il vicario di Cristo. Per i poveri nessuna carità “presbite”, che li tiene lontani e li discerne solo nella lontananza; verso di loro nessuna ottica di superiorità, l’ottica di chi li guarda dal centro o dall’alto. No, occorre vederli stando accanto a loro nelle periferie dell’esistenza, nella consapevolezza che “esiste un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri … i destinatari privilegiati del Vangelo” (Evangelii gaudium 48); “i poveri … categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. Dio concede loro la sua prima misericordia”, perché “essi hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente” (ibid. 198). L’insegnamento di papa Francesco sui poveri è un insegnamento in primo luogo a livello rivelativo, cristologico, e questo conferisce alle sue parole una particolare autorità nello spazio della fede. La chiesa non può restare sorda o non tenerne conto, perché sul rapporto con i poveri e la povertà si gioca la sua fedeltà al Signore, il suo essere o non essere chiesa di Cristo.
L’altra preoccupazione di Francesco riguarda la povertà della chiesa stessa. Se la chiesa è chiesa di Cristo, allora – come si vedeva nella citazione della Lumen gentium – essa deve percorrere la via di Cristo nel suo cammino verso il Regno, facendo della povertà, dell’umiltà, della mitezza, del servizio il suo stile. Qui povertà e umiltà della chiesa sono immanenti l’una all’altra: sempre siamo tentati dalla ricchezza, dal potere, dal successo, come Gesù nel deserto all’inizio del suo ministero (cf. Mt 4,1-11; Lc 4,1-13). Ma – dice Francesco nel suo splendido discorso tenuto a Seoul ai vescovi della Corea del Sud il 14 agosto 2014 – “la vita e la missione della chiesa … non si misurano in definitiva in termini esteriori, quantitativi e istituzionali; piuttosto esse devono essere giudicate nella chiara luce del Vangelo e della sua chiamata a una conversione alla persona di Gesù Cristo”. Sempre la memoria della nostra identità “deve essere realistica, non idealizzata e non ‘trionfalistica’ … L’ideale apostolico [è quello] di una chiesa dei poveri e per i poveri, una chiesa povera per i poveri” … Tutti infatti saremo giudicati su quel “protocollo” – Mt 25,31-46 –, dove Cristo identifica se stesso con i poveri e i bisognosi. La chiesa deve soprattutto vigilare “nei momenti di prosperità”, quando c’è “il pericolo che la comunità cristiana diventi una società, cioè che perda quella dimensione spirituale, che perda la capacità di celebrare il Mistero e si trasformi in una organizzazione spirituale, cristiana culturalmente, con valori cristiani, ma senza lievito profetico”. Nessuna chiesa è esente dalla tentazione di porre fiducia in sé e nei suoi mezzi, nella sua affermazione nel mondo. È “la tentazione del benessere spirituale, del benessere pastorale”. Allora la chiesa “non è una chiesa povera per i poveri, ma una chiesa ricca per i ricchi, o una chiesa di classe media per i benestanti” (ibid.).
Queste sono parole infuocate, soprattutto se le pensiamo rivolte a una chiesa particolare che, secondo il papa, può correre tale rischio. Francesco opera un capovolgimento dei traguardi che qualcuno voleva dare a qualche chiesa particolare negli ultimi decenni, proponendo che la chiesa cercasse riconoscimenti, si facesse vedere forte, volesse concorrere culturalmente con la società… Il risultato dell’evangelizzazione di una chiesa in questo stato è la sterilità, e in tal modo l’immagine della chiesa si deforma, diventando sempre più debole nell’essere un segno innalzato tra le genti.
È all’insegna della misericordia, del “cuore per i miseri”, che va compresa la passione di papa Francesco per i poveri, gli ultimi, gli scartati della storia, le vittime della società: tutti figli e figlie di Dio, tutti con la stessa dignità, tutti “segno” di Gesù Cristo. Una “chiesa povera e per i poveri” e dunque una chiesa di poveri “beati” secondo il Vangelo: questo è ciò che desidera papa Francesco ed è ciò cui si sente impegnato dal nome del santo di Assisi che ha voluto assumere.

una povertà che uccide

morire di povertà

Secondo un rapporto Istat (pubblicato il 26 Giugno 2018) con riferimento all’anno 2017, in Italia, la povertà assoluta è aumentata rispetto al 2016 sia in termini di famiglie che in termini di individui.

Secondo la definizione:

“la povertà assoluta è calcolata su una base di una soglia corrispondente alla spesa mensile minima necessaria per acquisire un paniere di beni e servizi che, nel contesto italiano e per una determinata famiglia, è considerato essenziale a uno standard di vita minimamente accettabile”.

In altre parole, ci sono famiglie e individui che non possono letteralmente comprare i beni necessari (e tra i beni sono compresi cibo e medicinali) e che quindi non hanno un livello di vita umanamente accettabile. In particolare, la soglia di povertà è peggiorata per i minori e ed è aumenta rispetto al 2016 nelle famiglie con uno o più minori a carico.

Dunque, l’aumento della povertà è un triste dato di fatto. Come questo influisca non solo sulla qualità della vita ma sulla vita stessa e una correlazione che espliciterò tra un attimo. Esiste una vasta letteratura in merito al legame tra povertà e condizioni di salute generale. Nella mia carriera ho dedicato larga parte allo studio di quelle che vengono definite le determinanti socio-economiche che influiscono sul livello di Salute delle donne e dei bambini e purtroppo sono giunta a terribili conclusioni.

Al pari dell’alcool, dell’inquinamento e del fumo, la povertà è un killer silenzioso che aumenta la sua azione in tempi di crisi. Come questo avvenga è dimostrabile e determinabile. Prendiamo in considerazione, per esempio, il dato sulla mortalità infantile e la malnutrizione. Questi fenomeni registrano un calo generale, tuttavia le disuguaglianze tra poveri e ricchi all’interno della stessa nazione e tra nazioni persistono e, anzi, sembrano essere in aumento.

Inoltre, le disparità tra paesi industrializzati e in via di sviluppo è considerevole: rispettivamente un tasso di mortalità per bambini sotto i cinque anni nel primo caso di 6/1000 e nel secondo di 91/1000. La stessa dinamica si ripete all’interno dei paesi stessi. Per esempio, in Brasile, tra il 1987-1992 il tasso di mortalità per i bambini più poveri era circa sei volte quello dei bambini più ricchi. Ciò impone di pensare strategie per la riduzione della mortalità infantile. Dapprima analizzando il materiale a disposizione sulle cause socio-economiche delle diseguaglianze.

Le maggiori cause di morte per i bambini sotto i cinque anni sono: polmonite, diarrea, malaria, morbillo, HIV/AIDS. Cosa determina la distribuzione di queste cause specifiche di morte? Risposta: le determinanti che influiscono sulla salute della madre e del bambino. Vi sono determinati dirette e indirette. Tra le prime si annoverano: la nutrizione (appunto), l’attività di prevenzione e le cure durante la maternità e i primi mesi di vita.

Per quanto riguarda il primo punto, è importante ricordare che la malnutrizione è causa del 60% delle morti dei bambini sotto i cinque anni. Dunque, riproponendo il dato citato prima sull’impossibilità di comprare cibo, possiamo affermare che è probabile causa di morte. Tra le cause indirette vi sono: il livello di educazione della madre, il reddito e la possibilità di accedere alle cure. Tali cause indirette potremmo definirle le già citate determinanti socio-economiche.

Educazione, reddito e accesso alle cure sono dipendenti dall’ambiente in cui il soggetto vive, ovvero il contesto economico e sociale. Ecco che allora la povertà emerge come principale fattore nel determinare lo stato di Salute ed è una vera e propria causa di morte. Dobbiamo iniziare a ripensare la povertà non solo in termini di una maggior giustizia sociale ed equità, ma di una vera e propria “emergenza sanitaria”.

È importante ricordarlo, soprattutto in questo contesto di crisi economica, dove un taglio alle spese potrebbe avere ricadute pesanti sullo stato di salute generale del paese, in particolare quello delle categorie più vulnerabili: bambini, donne e anziani. Categorie, che per definizione, hanno meno possibilità di uscire da uno stato di povertà, poiché si vedono impedite nell’accesso al lavoro, che è il mezzo primario per produrre ricchezza. Se non si tiene a mente questo importante fattore si rischia letteralmente di “tornare indietro”.

Un caso simile è già accaduto nella storia. Ho lavorato in Argentina proprio negli anni della crisi economica tra la fine degli anni ’90 e i primi 2000 e ho avuto (purtroppo) modo di verificarne personalmente i pesanti effetti. Questo paese, che aveva raggiunto un buon livello di Salute pubblica in tempi pre-crisi, è velocemente ripiombato nel baratro, danneggiando soprattutto donne e bambini.

E insieme alle conseguenze monetarie del default argentino, ricomparirono nello spazio di sei mesi casi di Kwashiorkor, severa malnutrizione nei bambini, che determina rigonfiamento dell’addome e rallenta irreversibilmente lo sviluppo cognitivo dei bambini. Raggiungere un buon livello di Salute per un Paese richiede immani sforzi e moltissimo tempo.

Perdere quanto ottenuto può essere invece molto rapido, se non si presta la giusta attenzione. Rivolgo quindi un appello urgente a questo governo. È necessario difendere ora in ogni modo il sacro principio sancito dalla Costituzione all’articolo 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.

E con questo si intendono tutti indigenti, anche coloro che non vengono definiti propriamente italiani. È un dovere costituzionale, oltre che etico. Perché di povertà si muore, purtroppo. Anche nel 2018. Anche in Italia.

la scandalosa povertà nel nostro mondo

papa Francesco

“nel mondo c’è una povertà scandalosa”

lo ha detto il papa nell’udienza generale a San Pietro:

“per non rubare occorre imparare a condividere, nessuno è padrone assoluto dei beni”

Papa Francesco

La nostra vita non è fatta per “possedere” ma “per amare”. Lo ha ribadito Papa Francesco nell’udienza generale in Piazza San Pietro dedicata al settimo comandamento ‘non rubare’.
“Il mondo – ha detto il Papa – è ricco di risorse per assicurare a tutti i beni primari. Eppure molti vivono in una scandalosa indigenza e le risorse, usate senza criterio, si vanno deteriorando”.
“La ricchezza del mondo – ha sottolineato Francesco – oggi è nelle mani della minoranza, di pochi, e la povertà e la miseria è la sofferenza di tanti, della maggioranza”.
“Nessuno – ha proseguito Bergoglio – è padrone assoluto dei beni: è un amministratore dei beni. Ogni ricchezza, per essere buona, deve avere una dimensione sociale. Per non rubare occorre imparare a condividere”.
“Se sulla terra c’è la fame – ha concluso il Papa – non è perché manca il cibo! Anzi, per le esigenze del mercato si arriva a volte a distruggerlo, si butta. Ciò che manca è una libera e lungimirante imprenditoria, che assicuri un’adeguata produzione, e una impostazione solidale, che assicuri un’equa distribuzione”.

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