innamorati di Cristo e del vangelo

esultiamo

da Altranarrazione

siamo innamorati di te …

Siamo innamorati di te perché non credi alle cose che dicono di noi.

Siano innamorati di te perché ci proponi una storia tutta nuova, una storia di cambiamento: dall’oppressione alla liberazione, dai pre-giudizi alla fratellanza, dalla morte dei nostri parametri alla vita dei tuoi orizzonti infiniti.

Siamo innamorati di te perché possiamo essere pienamente noi stessi, con le nostre miserie, le ingiustificate repulsioni e le diffidenze verso di te.

Siamo innamorati di te perché non dobbiamo far finta di essere devoti per poterti parlare e trovare senso e consolazione.

Siamo innamorati di te perché possiamo sentirci svogliati e non allineati secondo i tempi liturgici (contenti il venerdì santo, tristi il giorno di Pasqua) senza offenderti.

Siamo innamorati di te perché non ti aspetti l’ossequio delle forme ma solo radicale autenticità.

Siano innamorati di te perché nessuna finzione resiste alla tua presenza.

Siamo innamorati di te perché sei il Dio del contenuto e non dell’apparenza.

Siamo innamorati di te perché hai scelto la compassione come via per scoprire la nostra umanità.

Siamo innamorati di te perché condanni i pilastri su cui l’uomo ha costruito l’inferno: l’arrivismo, l’accaparramento, l’indifferenza, la disuguaglianza.

Siamo innamorati di te perché hai trasformato i luoghi dell’emarginazione e della sofferenza in luoghi sacri.

Siamo innamorati di te perché hai scelto gli ultimi riscattandoli da tutte le umiliazioni.

Siamo innamorati di te perché sei il difensore dei poveri, e agisci per liberarli dall’artiglio dell’esclusione.

la croce espressione di amore

solo per amore

da Altranarrazione 

hai piantato la croce

nel nulla per donargli senso,

nel dolore per donargli dignità,

nell’esclusione per donarle riscatto,

nella fragilità per donarle benedizione,

nell’egoismo per donargli redenzione,

nell’oppressione per donarle giustizia,
nell’Impero per donargli contraddizione,

nel potere religioso per donargli spirito di servizio,

nell’abisso per donargli speranza,

nel ritualismo per donargli confidenza,

e nella morte per donarle Vita vera.

Per questo, noi, conquistati dal tuo Amore, anche se ancora vediamo in maniera confusa e conosciamo in modo imperfetto (1), non vogliamo fuggire dall’ignominia della croce ma, al contrario, testimoniarti come Cristo crocifisso, scandalo per gli osservanti senza misericordia e stoltezza per i dotti senza mistica (2).

(1) 1 Corinzi 13, 12

(2) Cfr.  1 Corinzi 1, 22-25

un ‘fascistometro’ per valutare il nosrto ‘fascismo linguistico’

‘nostro’ è la parola che più mi spaventa, il fascismo comincia dalle parole”

intervista a Michela Murgia

parla la scrittrice sarda, in libreria con

“Istruzioni per diventare fascista”

“Salvini? Mi fa paura”

 

da Huffpost

“Tutto comincia sempre dal puntare l’indice verso i diversi e le donne. Tutto comincia additando gli stranieri e gli omosessuali. Se vuole riconoscere i prodromi del fascismo, guardi come il Governo si comporta con le donne”. Parla così la scrittrice Michela Murgia, adesso in libreria con “Istruzioni per diventare fascista” (Einaudi), che ha generato un dibattito prevedibile nelle contestazioni, meno nei toni.

Numerose le domande e le provocazioni nel testo – che si conclude in un “fascistometro” in 65 punti – volte a riflettere sui tempi che stiamo vivendo. In ogni pagina risuona una celebre massima di Benito Mussolini: “Quando il fascismo si è impadronito di un’anima, non la lascia più”. E per raccontare le anime contemporanee Murgia – già vincitrice del Premio Campiello per l’Accabadora nel 2009 – si è immersa nel linguaggio e nel presente. “Tutto – mi spiega – nasce a Lucca dal desiderio di approfondire il tema del neofascismo, in una città che ne ha percentuali significative. Nasce anche dal confronto con l’attore Marco Brinzi, in scena con ‘Autobiografia di un picchiatore fascista’, e di un gruppo di persone che si domandavano cosa fosse giusto fare per rispondere a ciò che stava accadendo”.

La sua risposta?

La mia idea è stata quella di cominciare dal linguaggio. È come nell’arte erboristica: per ogni erba buona ce n’è una velenosissima che le assomiglia molto. Prendi due parole come “avversario” e “nemico” che apparentemente vogliono dire la stessa cosa. Le analizzi e ti rendi conto che una risponde a un pensiero democratico e una no. Il fascismo comincia dalle parole.

In questo dizionario, qual è secondo lei la parola più pericolosa?

Nostro.

Perché?

Perché racconta una comunità in cui la chiusura viene scambiata per identità. In cui l’appartenenza reciproca diventa un muro rispetto a quello che viene da fuori. Le nostre tradizioni, il nostro popolo, le nostre radici: queste affermazioni mi spaventano.

Mi spieghi meglio.

L’ossessione per il possesso difensivo rivela l’idea di un nemico, non una comunità. Di per sé, nostro non è una parola negativa. Lo diventa nei discorsi in cui devi spaventare le persone contro qualcuno e far credere che tutto ciò che è nostro ci verrà portato via.

Il libro è uscito da cinque giorni, e le polemiche sono quotidiane.

Se avessi voluto fare un esperimento sociologico per dimostrare che quello di cui scrivevo era reale, non avrei potuto agire meglio. Mi hanno accusato di tutto. Ma soprattutto di banalizzare il fascismo chiamando fascisti questi tempi.

Cosa le ha dato più fastidio?

La malafede. Questo è un libro sul presente e sul rischio che stiamo correndo, non sul fascismo storico. Viviamo in tempi razzisti, xenofobi, machisti: che cos’altro deve succedere per chiamarlo fascismo?

Me lo dica lei: che cosa?

Per me il discrimine è chiaro: fascista è chi il fascista fa.

Definisce il suo approccio metodico, non ideologico.

Il fascismo storico è un fascismo ideologico. C’era un manifesto fascista. C’erano documenti, leggi razziali, uno sviluppo tematico. In questo momento nessuno userebbe una simile esplicitazione. La stragrande maggioranza della gente si offende a essere chiamata fascista, anche i nostalgici.

Mi parli del fascismo metodico.

Il fascismo metodico è un modo antidemocratico di pensarsi dentro la democrazia, è un proto-fascismo. L’educazione all’irrisione dell’avversario fino al suo annichilimento, l’abitudine di immaginare un nemico che ci minaccia, la perpetua condizione di pericolo e l’idea che un capo unico e forte possa risolvere tutto sono elementi principe di questo metodo.

Umberto Eco lo chiamava “il fascismo eterno”.

Solo pronunciare questa parola, fascismo, genera fastidio in chi vuole usare tale metodo, ma non vuole usare la parola fascismo per non doverne rispondere come fenomeno. Se lo ricorda Marcello Dell’Utri che diceva “la mafia non esiste. È un’invenzione giornalistica degli anti-mafia, così hanno qualcosa di cui occuparsi?”.

Si, me lo ricordo.

Ecco: se neghi la parola, neghi il fenomeno. Se neghi il fenomeno, questo può svilupparsi senza rendere conto a nessuno.

Qual è stato il suo primo contatto con il fascismo?

Avevo quattordici anni. Una donna anziana, per molti anni presidente parrocchiale, figlia del podestà, mi parlava dei tempi del Duce con nostalgia. E mi diceva che allora tutto era in ordine, che tutti sapevano quale fosse il loro posto. Mi confessava che non sapeva adattarsi al cambiamento. Ma adattarsi al cambiamento è una caratteristica fondamentale dell’intelligenza evolutiva. Negando di averla, lei stava dichiarando la sua estinzione.

Eppure nel suo libro lei svela l’adattabilità del fenomeno, una resilienza quasi camaleontica.

Oggi siamo di fronte a qualcosa di diverso dal passato. Il dibattito pubblico sui social è una cosa nuova. Non c’era ai tempi di Spadolini o di Craxi, ma c’è ora. Questo abbassa nelle persone ogni potenziale conflittualità verso l’autoritarismo moderno.

In che modo?

Il fascismo mandava al confino i suoi avversari. Adesso, questi vengono lasciati sui social a esprimere la loro opinione in una sorta di instancabile rumore bianco. Le persone sono convinte che parlare sempre e comunque con tutti possa essere indice di libertà. Ma se quello che dici non conta niente, come si esprime la tua forza di dissentire?

Me lo dica lei.

(sospirando) Ormai i social sono una forma di disorganizzazione del dissenso.

Lei è Sarda. La Sardegna è razzista?

Essere razzisti sarebbe illogico: siamo un popolo di emigrati e tradizionalmente di dominati. Uno, dieci, cento sardi hanno paura dello straniero. Ma questo non fa di loro dei razzisti.

E l’Italia?

Io non penso che l’Italia sia razzista. I razzisti veri sono pochissimi. CasaPound ce l’abbiamo anche noi, certo, ma le organizzazioni che teorizzano il razzismo non vanno confuse con le popolazioni in preda a tentazioni xenofobe. Se con queste ultime è possibile utilizzare una pedagogia per arrivare alla riflessione, con i primi non ci può essere dialogo.

Secondo lei Salvini è fascista?

Poiché considero il fascismo un metodo, la sua modalità d’azione è sicuramente fascista.

Lei ha paura di Salvini?

Certo. Solo uno stupido non avrebbe paura di Salvini e di quello che sta facendo. Come si fa a non aver paura di un ministro degli interni che lascia una nave della Guardia Costiera, la Diciotti, in alto mare piena di persone sofferenti e stremate, solo per fare a braccio di ferro con l’Europa?

Luigi Di Maio è razzista?

No. Il Movimento Cinque Stelle in sé non è razzista, ma ha la colpa di essere accomodante rispetto a Salvini. Anche in questo caso se appoggi il razzista diventi razzista anche tu. Non si possono fare compromessi politici sui diritti umani.

Prima ha accennato al machismo come caratteristica di questo Governo.

È palese. La narrazione dell’uomo forte necessita di quella della donna fragile, docile e funzionale. Pensi alle foto di Elisa Isoardi che stira e le consideri materiale politico, come tutto quello che esce dai social di Matteo Salvini. Quando dice che “una donna deve sempre dare luce al suo uomo”, sostiene un’idea di docilità funzionale conservatrice e retrograda.

Come considera la norma in manovra secondo cui al terzo figlio si accede a un podere?

Una strategia comunicativa capace di distogliere l’attenzione. E di sostenere l’idea che la maternità sia un merito sociale e non una scelta personale. Se vuoi aiutare i genitori dai loro l’asilo gratis, la baby sitter di quartiere, tutele e sicurezze, non un podere!

Del disegno Pillon cosa pensa?

Fa arretrare la libertà delle donne sia in tema di divorzio che sulle denunce per violenza. Tutte le associazioni femministe sono unite in questa battaglia.

Le pare che questa reazione sia isolata?

No. Io vedo gli intellettuali reagire. Abbiamo uno schieramento pacifico che non si è mai verificato prima. Se tanti artisti e scrittori si mettono insieme vuol dire che il pericolo è percepibile in modo organico, e richiede una risposta organica.

Eppure questa stenta ad arrivare.

La colpa è della mancanza di un interlocutore politico che sia in grado di raccogliere tutto questo. Gli scrittori devono fare il loro mestiere. È la politica che non sembra più capace di fare il suo.

anche i ‘senza fissa dimora’ hanno diritto ad una dimora

Bari

nasce l’anagrafe per i senza fissa dimora

domicilio anche nei bar o nei posti frequentati

Bari, nasce l'anagrafe per i senza fissa dimora. Domicilio anche nei bar o nei posti frequentati

la decisione della giunta comunale: saranno istituite anche cinque vie non esistenti, dai nomi inventati. I senza tetto possono così accedere a prestazioni sanitarie e percorsi di inclusione

Ne dà notizia il Comune evidenziando che l’iscrizione anagrafica nel Comune di domicilio permette al cittadino senza fissa dimora o senza tetto di iscriversi nell’anagrafe del Comune dove stabilmente si trova, garantendogli così il diritto ad accedere ad ulteriori diritti individuali. Il domicilio potrebbe coincidere con la sede della struttura che eventualmente assiste il senza fissa dimora (o anche il senza tetto), ad esempio associazioni di volontariato e comunità religiose. 

In altri casi le persone senza tetto potranno eleggere il domicilio nei luoghi che coinvolgono la sfera giuridica di altri soggetti (ad esempio il portico di un palazzo dove passa la notte, o il bar presso il quale consuma i pasti), solo se c’è il consenso da parte di tutte le persone interessate. “Questo provvedimento – commenta l’assessore ai Servizi demografici, Angelo Tomasicchio – da un lato ha l’obiettivo di regolarizzare una condizione amministrativa degli uffici e di tutti i soggetti che a vario titolo nella nostra città si occupano della cura e della presa in carico delle persone senza fissa dimora e, dall’altro, di garantire diritti e doveri a chi, per scelta di vita o per condizioni economiche e sociali di grave disagio, è costretto a vivere per strada”.

“La delibera che abbiamo approvato – evidenzia l’assessora al Welfare, Francesca Bottalico – ha l’obiettivo di regolamentare le concessione di residenza anagrafica e salvaguardare il diritto alla residenza per tutti, favorendo anche il diritto all’uguaglianza formale e sostanziale, il diritto alla salute, alla difesa”.

un nuovo modello di uomo

nuovo paradigma

da uomini borghesi a uomini solidali

da Altranarrazione

Dovremmo abbandonare, come suggerisce Paolo agli Efesini(*), l’uomo vecchio, cioè borghese “che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli”, e rivestire l’uomo nuovo, cioè solidale.

Le strutture capitalistico-borghesi hanno infettato non solo le relazioni economiche ma anche quelle sociali.

Accettiamo di identificarci con la nostra attività lavorativa: “Mi chiamo Mario, sono un medico/insegnante/operaio/manager”. Sono un medico? Forse fai il medico. Ragionaci bene Mario.

Accettiamo la logica dello scambio, abbiamo amicizie utili, siamo competitivi pure con la persona che “amiamo”.

Accettiamo la separazione in categorie: giovani-anziani, cittadini-stranieri. Anche se quella più assurda è tra lavoratori. Dovremmo cancellare tutte queste divisioni eccetto quella tra oppressi e oppressori. Siamo orgogliosi di appartenere ad una “Patria” che esiste solo sulle carte geografiche. I confini sono un tratto di penna. Viviamo in un mondo, non in un recinto, tra persone non tra passaporti. Ci dovremmo riconoscere dal volto non dai documenti.

(*)Vi dico dunque e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri, ma voi non così avete imparato a conoscere il Cristo, se davvero gli avete dato ascolto e se in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù, ad abbandonare, con la sua condotta di prima, l’uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli, a rinnovarvi nello spirito della vostra mente e a rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità. (Efesini 4, 17-24)

contro il paradigma antievangelico adottato dal sistema occidentale capitalistico

parusia?

da Altranarrazione

Se si dovesse giudicare dal viso di tanti devoti cristiani e dalla loro non-preoccupazione si potrebbe pensare che la parusia sia già avvenuta. Sono rimasti solo i poveri in fila davanti alle mense, i migranti in fila davanti ai barconi, i disoccupati in fila davanti ai c.d. centri dell’impiego, i precari in fila davanti alle c.d. agenzie per il lavoro (o meglio per i lavoretti) a non essersi accorti del ritorno definitivo del Salvatore e dell’instaurazione del suo Regno di amore, pace e quindi di giustizia.

«Vi sembra questo il tempo di abitare tranquilli nelle vostre case ben coperte, mentre questa casa è ancora in rovina?» (Aggeo 1,4)

Tanti (direi troppi) devoti cristiani sembrano vivere praticamente già nell’eternità, distaccati, al di fuori del tempo e dello spazio. Da consumati professionisti dell’esicasmo rimangono impassibili davanti alla sottrazione di dignità che  tanti fratelli e sorelle subiscono. Allo stesso tempo da consumati professionisti del tifo sportivo perdono il controllo davanti ad una partita di pallone. Scambiano il sonno della coscienza, effetto dell’adorazione degli idoli, con la pace interiore, dono dello Spirito. Confondono il benessere materiale e le rendite di posizione, con la benedizione di Dio e la provvidenza.

«Le mie viscere, le mie viscere! Sono straziato» (Geremia 4,19)

Tanti (ri-direi troppi) devoti cristiani non manifestano nessun disagio nei confronti del paradigma antievangelico adottato dal sistema occidentale. Anzi lo giustificano e si offendono se si critica: lo considerano un parente stretto. Eppure si tratta di un sistema che assicura un riconoscimento sociale in cambio della disponibilità a partecipare all’oppressione, a giustificarla, a difenderla. Un sistema che assorbe, contamina, deforma e che di conseguenza si merita un netto e sereno rifiuto. D’altronde sarebbe sufficiente declinare l’opzione evangelica «o Dio o Mammona» così: o la condivisione o l’accumulo, o la solidarietà o la selezione, o la gratuità o la mercificazione, o la libertà o la schiavitù, per comprendere che questo può essere il paese dei balocchi ma non è certamente il Regno di Dio.

don Ciotti e la perdita di umanità verso la barbarie

barbarie

Luigi Ciotti
Ci sono frangenti della storia in cui il silenzio e l’inerzia diventano complici del male. Questo è uno di quelli. Le conseguenze della crisi economica si stanno manifestando come crisi di civiltà. Sulla paura e il disorientamento della gente soffia il vento della propaganda. Demagoghi scaltri e senza scrupoli si ergono a paladini del «popolo» e della «nazione» e acquistano di giorno in giorno consenso, additando nemici di comodo: erano le democrazie e gli ebrei al tempo del fascismo, oggi sono l’Europa e i migranti.
Il sistema economico dominante – quello che Papa Francesco definisce senza mezzi termini «ingiusto alla radice», responsabile di una «economia di rapina» – ha certo enormi colpe, a cominciare da un’immigrazione forzata, di fatto una deportazione indotta dalle disuguaglianze. Ma la denuncia dei suoi mali e l’impegno per eliminarli non giustifica il ritorno a società chiuse, guardinghe, attraversate dal rancore e dalla paura, avvinghiate a un’idea equivoca di sovranità, perché in un mondo interconnesso non si tratta di isolarsi – posto che sia possibile – ma di imparare a convivere e a condividere con maggiore giustizia, realizzando i principi della Costituzione, della Dichiarazione universale dei diritti umani, della Convenzione di Ginevra e di tutti i documenti scritti per archiviare una stagione di violenza e di barbarie.
Ecco allora l’importanza di uscire e di muoversi, di denunciare la perdita di umanità ma anche di capacità e onestà politica, perché un fenomeno come l’immigrazione non si può reprimere o respingere con i muri e le espulsioni, si deve governare con lungimiranza, pragmatismo e, certo, umanità. Senza smettere di chiederci come vorremmo essere trattati se al posto dei migranti ci fossimo noi.
Mettersi nei panni degli altri è la chiave dell’etica evangelica, ma lo è anche di una società consapevole che la vita non ha confini, così come non hanno confini i bisogni, le speranze, i diritti delle persone.
Facciamo sentire la voce di un’Italia che per quei diritti non smette di lottare.

la chiesa ‘inquieta’ e ‘in uscita’ di papa Francesco

papa Francesco

la chiesa inquieta

da Altranarrazione

Sogniamo una chiesa che faccia aspettare i c.d. capi di Stato quando alla porta suona una vittima delle loro politiche.
Sogniamo una chiesa che celebri Eucaristia di Solidarietà: ad esempio fuori l’Ilva di Taranto, davanti ai poligoni militari come quello di Salto di Quirra, davanti alle basi militari statunitensi presenti in Italia.
Sogniamo una chiesa che rivendichi la verità sulla strategia della tensione.
Sogniamo una chiesa che sia vicina alle vittime di tutte le tragedie, ed in particolare di quelle evitabili.
Sogniamo una chiesa che diventi megafono della sofferenza dei cittadini dell’Aquila, di Amatrice e di tutti quelli colpiti dal terremoto.
Sogniamo una Chiesa che ricordi ad ogni omelia i soldi che il nostro governo spende in armamenti, il numero di disoccupati e di precari.
Sogniamo una chiesa presente negli ospedali non solo per dare l’estrema unzione ma anche per rivendicare il buon funzionamento della sanità pubblica.
Sogniamo una chiesa coinvolta nei sit-in contro i licenziamenti dei lavoratori.
Sogniamo una chiesa che si sdegni di fronte alle ingiustizie sociali.
Sogniamo una chiesa che mantenga la schiena dritta davanti la potere e soprattutto che non cerchi contraccambi.
Sogniamo una chiesa che riconosca come martiri della verità ad esempio testimoni come Ilaria Alpi, Paolo Borsellino, Giovanni Falcone.
Sogniamo una chiesa che si preoccupi per la vita del magistrato Nino Di Matteo.
Sogniamo una chiesa che chieda di entrare nei CIE per verificare le condizioni dei migranti.

Per adesso sogniamo.

Ma un giorno siamo sicuri che diventerà realtà.

testo di papa Francesco:

“Mi piace una Chiesa inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta con il volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà”.

(Papa Francesco, Discorso all’incontro con i rappresentanti del V Convegno nazionale della Chiesa italiana, 10/11/2015, Firenze).

la marcia dei poveri espressione della collera dei poveri

la collera dei poveri
 Tonio Dell’Olio
Non so se è il simbolo della rivolta di popoli o il semplice sussulto di una coscienza popolare che sente di essere titolare del diritto alla vita per sé e per i propri figli, ma la marcia che, partita con poche centinaia di persone da San Pedro Sula in Honduras strada facendo è diventata un fiume in piena con migliaia di uomini, donne e bambini provenienti anche da El Salvador e dal Guatemala, è copertina eloquente per raccontare i nostri giorni.
Perché è specchio di disuguaglianze macroscopiche che, prima o poi, qualcuno dovrà urlarci contro.
Perché lentamente diventa consapevolezza che quella folla immensa non è il frutto amaro di un destino ingrato o dell’imperscrutabile volere degli dei. Semmai è il risultato di un neocolonialismo violento e cinico che abbiamo occultato abilmente per anni e anni. Da qui la reazione stizzita del presidente Usa che, anche personalmente, ha fondato le sue fortune economiche su quel sistema.
Quella che impropriamente chiamano “carovana di migranti” e che sarebbe più corretto definire “marcia dei poveri” sembra richiamare come un’eco le parole della Populorum Progressio di Paolo VI (1967) in cui si metteva in guardia dall’ostinata avarizia dei ricchi che non potrà che suscitare «il giudizio di Dio e la collera dei poveri, con conseguenze imprevedibili» (n.49).

Dio non è distante dalla storia dell’uomo

trasformare la società

un cristiano si riconosce da questo non si adegua alle situazioni di oppressione

«Dare da mangiare o da bere è ,al giorno d’oggi, un atto politico: significa la trasformazione di una società strutturata a beneficio di pochi che si appropriano il plusvalore del lavoro dei più»

Gustavo Gutierrez

Ci hanno convinto dell’immodificabilità della realtà e di conseguenza della distanza di Dio dalla storia dell’uomo. Se cerchiamo la semplice sopravvivenza materiale conviene certamente prendere atto dell’esistente e adeguarsi. Si tratterà di scegliersi il posto migliore a discapito di un nostro simile trasformato in nemico. Dovremo, è vero, sopportare la fatica di difenderlo ma la legge e le armi di solito vengono in soccorso di chi sceglie il compromesso con il regime dell’iniquità. Si diventa come loro, infatti il potere ha la capacità di convincere l’uomo che il cinismo sia necessario per proteggere la propria vita e quella dei familiari. Diventiamo dei cani rabbiosi e accettiamo un criminale come padrone che ci tiene al guinzaglio in cambio di qualcosa nella ciotola. Il Vangelo predica invece che l’uomo non si realizza nella sopravvivenza, nel lasciare le cose come stanno, ma nella trasformazione della realtà*. L’attuale assetto sociale è il frutto di logiche economico-finanziarie che rappresentano tutto il male possibile per l’uomo. Il Vangelo vive in esilio, ai margini, nelle minoranze, nei luoghi dove abitano le vittime di quelle scelte e di quei compromessi, fuori dagli spazi istituzionali, convenzionali ed ufficiali. Il Vangelo attende qualcuno che sia disposto a perdere la vita ossia la reputazione, l’approvazione di quelli che contano, l’immagine di plastica, per esistere, al contrario, secondo l’immagine autentica che Dio non impone ma che costruisce insieme a noi. Una società che si muove agli ordini del Capitale non può considerarsi cristiana anche se abitata da milioni di persone che si definiscono cristiane. Non basta una definizione per determinare la realtà che parla di oppressione e ingiustizia piuttosto che di compassione e di comunità. Di conseguenza occorrerebbe modificare la terminologia scegliendo tra: capitalisti, competitivi, selettivi, emarginatori, speculatori, indifferenti etc. Altrimenti la parola cristiano risulta o comica o ipocrita.

* “L’evangelizzazione deve calare profondamente nel cuore dell’uomo e dei popoli; perciò la sua dinamica tende alla conversione personale e alla trasformazione sociale”.

documento di Puebla, 362

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