andare all’essenziale perché solo questo resterà

pietra su pietra

«Fratelli, non sono le grandi moltitudini ciò che ci deve entusiasmare, bensì l’autenticità, la qualità dei cristiani, la sincerità della nostra ricerca di Cristo»

Oscar Romero

da Altranarrazione

«Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta» (1).

Delle strutture che militarizzano, degli orari che escludono, dei programmi pastorali che inaridiscono, non resterà nulla.

Delle carriere ecclesiastiche, dei dibattiti lontani dalla prassi, della liturgia senza condivisione e fraternità,  non resterà nulla.

Della dottrina elaborata dagli uomini, degli adempimenti degli ipocriti, della rigidità scambiata per fedeltà,  non resterà nulla.

Dei privilegi legati al ruolo, degli ossequi dei sottoposti, della predicazione calata dall’alto, non resterà nulla.

Dei paramenti sacri ricamati, dei marmi lucidati, dei calici d’oro, non resterà nulla.

Della esegesi senza Misericordia, della teologia senza Profezia, delle opere senza affidamento alla Grazia, non resterà nulla.

Mentre ogni parola pregata in confidenza, ogni speranza dell’oppresso nella liberazione di Cristo, ogni carità ai poveri rimarrà. In eterno.

«Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!» 1Corinzi 13, 13

(1) Vangelo di Luca 21, 6

la spiritualità della liberazione non è sopportazione né rassegnazione

storia di salvezza

da Altranarrazione

«Strappa l’oppresso dal potere dell’oppressore, non esser pusillanime quando giudichi» (1).

I dominatori del mondo, nella bulimica smania di conquista, non si appropriano solo della terra e della vita degli oppressi, ma anche del loro Dio. Così, promuovono la squallida manipolazione della Scrittura, che trasforma la spiritualità della liberazione in psicologia della sopportazione (tendente alla rassegnazione) e convincono, spesso, la Chiesa, in cambio di qualche triste privilegio, a mettersi al loro servizio, oppure a mantenersi equidistante, cioè pusillanime nel giudizio. Agiscono pure sugli oppressi facendo apparire conveniente la collaborazione con la catena di sfruttamento, che prevede qualche eccezione, a cui possono aspirare. Dio, invece, agisce in modo opposto, salvando l’ultimo. Su questo non abbiamo alcun dubbio, ma occorre riflettere sulle modalità. Sicuramente non adopera mezzi magici o spettacolari, e neanche procede dall’alto, sfoggiando poteri o prerogative. Dio scende, assume la condizione dell’oppresso, ed incarnandosi dimostra fattivamente da che parte si pone. Entra nella storia degli oppressi, la scrive camminando nelle profondità degli abissi (2) insieme a loro, e la legge da quella prospettiva. Dio cammina con i calpestati verso il Regno, ma non prescindendo da loro. Si tratta di una causa che richiede partecipazione e coinvolgimento. Si tratta, al tempo stesso, di vocazione e di missione, di un dono da ricevere e di un impegno da portare avanti. C’è la schiavitù che si può decidere di accettare e la libertà che si può, ancora, conquistare. In mezzo si trova il deserto, il nulla, l’incertezza. L’oppresso deve scegliere di attraversarlo, rompendo ogni indugio, rinunciando ad ogni calcolo, senza attendere autorizzazioni o aspettarsi applausi. Come unica certezza la Parola eterna che Dio ha pronunciato:

«Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso» (3).

(1) Siracide 4,9

(2) Cfr. Siracide 24,5

(3) Esodo 3,7-8

Europa terra da evangelizzare

l’altro

In Occidente l’altro è una cosa tra le cose, senza storia, volto e voce. Facilmente sostituibile perché considerato solo nel suo ruolo e non nella sua esistenza. Ma se non si riconosce l’altro non si riconosce neanche Dio.

quando arriverà il vangelo in Europa?

Di prima mattina la civiltà occidentale scatta al semaforo per precedere l’altro. Sulle strade non circolano esseri umani ma piloti di Formula Uno alla ricerca di record personali. C’è una gara da vincere e un piedistallo da conquistare. Il capoufficio aspetta, si deve far di tutto per entrare nelle sue simpatie magari svelando le negligenze vere o presunte del collega. Che poi è lo stesso con il quale a pranzo si critica (rigorosamente alle spalle) proprio il capoufficio. L’uomo evoluto crede che la dignità si trovi nella conquista. La luna, la terra, le risorse e il destino altrui. È sufficiente non guardare i morti che si lasciano per strada. Occorre scalare e se necessario calpestare. I complimenti e i riconoscimenti cancellano eventuali rimorsi ma ancora più efficaci sono le paroline magiche: funziona così. Cinismo? Funziona così. Prevaricazione? Funziona così. L’uomo occidentale tiene famiglia e soprattutto deve pagare le rate della macchina. Lo trovi perennemente davanti allo specchio mentre incensa il suo “io”, corruttibile e senza respiro. In Occidente l’altro è una cosa tra le cose, senza storia, volto e voce. Facilmente sostituibile perché considerato solo nel suo ruolo e non nella sua esistenza. Ma se non si riconosce l’altro non si riconosce neanche Dio. Infatti a preoccupare prima dell’affermazione delle radici cristiane dell’Europa dovrebbero essere i frutti contraddittori e decisamente antievangelici. La cultura, la prassi e la società occidentale risultano, ad oggi, le più ostili all’azione della grazia.

in Italia triplicati i poveri parola di Caritas

la povertà è triplicata in Italia

l’allarme della Caritas: un povero su due ha meno di 34 anni

In Italia, dagli anni pre-crisi ad oggi, c’è stato un aumento del 182 per cento dei poveri assoluti. Pesa la mancanza di istruzione e non solo tra i giovani

La povertà è triplicata in Italia. L'allarme della Caritas: un povero su due ha meno di 34 anni

globalist 17 ottobre 2018www.redattoresociale.it

La povertà assoluta in Italia è quasi triplicata dagli anni pre-crisi ad oggi: negli ultimi dieci anni è aumentata del 182 per cento, “un dato che dà il senso dello stravolgimento avvenuto per effetto della recessione economica”. È il nuovo rapporto 2018 di Caritas Italiana sulla povertà e sulle politiche di contrasto presentato oggi a Roma a dare le dimensioni di un fenomeno che anno dopo anno, nonostante le misure introdotte ad oggi, non fa che crescere. “In Italia il numero dei poveri assoluti continua ad aumentare – spiega la Caritas -, passando da 4 milioni e 700 mila del 2016 a 5 milioni e 58 mila del 2017, nonostante i timidi segnali di ripresa sul fronte economico e occupazionale”.

Sempre più poveri tra minori e giovani. Sono soprattutto i giovani a soffrirne negli anni successivi alla crisi economia e finanziaria che ha colpito l’intero occidente negli anni scorsi. “Da circa un lustro la povertà tende ad aumentare al diminuire dell’età – spiega la Caritas -, decretando i minori e i giovani come le categorie più svantaggiate (nel 2007 il trend era esattamente l’opposto). Tra gli individui in povertà assoluta i minorenni sono 1 milione e 208 mila (il 12,1 per cento del totale) e i giovani nella fascia 18-34 anni 1 milione e 112 mila (il 10,4 per cento): oggi quasi un povero su due è minore o giovane”. Per quanto riguarda la cittadinanza, aggiunge il rapporto, la povertà assoluta si mantiene al di sotto della media tra le famiglie di soli italiani (5,1 per cento), “sebbene in leggero aumento rispetto allo scorso anno”, precisa la Caritas. Livelli molto elevati di povertà, invece, si riscontrano tra i nuclei con soli componenti stranieri (29,2 per cento). “Lo svantaggio degli immigrati non costituisce un elemento di novità e nel 2017 sembra rafforzarsi ulteriormente – spiega la Caritas -. Volendo semplificare, tra i nostri connazionali risulta povera una famiglia su venti, tra gli stranieri quasi una su tre”.

L’istruzione continua ad essere tra i fattori che più influiscono (oggi più di ieri) sulla condizione di povertà, spiega la Caritas. I dati nazionali dei centri di ascolto, infatti, dimostrano anche una associazione tra livelli di istruzione e cronicità della povertà. “Esiste uno zoccolo duro di disagio che assume connotati molto simili a quelli esistenti prima della recessione – spiega Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana -, con la sola differenza che oggi il fenomeno è sicuramente esteso a più soggetti. Si tratta, dunque, di un esercito di poveri in attesa, che non sembra trovare risposte e le cui storie si connotano per una cronicizzazione e multidimensionalità dei bisogni davvero pericolose”. Secondo il rapporto, infatti, dal 2016 al 2017 si aggravano le condizioni delle famiglie in cui la persona di riferimento ha conseguito al massimo la licenza elementare (passando dal 8,2 per cento al 10,7 per cento). Al contrario i nuclei dove il “capofamiglia” ha almeno un titolo di scuola superiore registrano valori di incidenza della povertà molto più contenuti (3,6 per cento). Particolarmente accentuato, nel nostro paese, anche il legame tra povertà educativa minorile e povertà. Per Soddu, si tratta di un “fenomeno principalmente ereditario  – spiega -, che a sua volta favorisce la trasmissione intergenerazionale della povertà economica”. Il dossier della Caritas, infatti, evidenzia situazioni di maggior svantaggio “proprio nelle regioni del Mezzogiorno che registrano i più alti livelli di povertà assoluta – si legge nel rapporto -. Al Sud e nelle Isole c’è una minore copertura di asili nido, di scuole primarie e secondarie con tempo pieno, una percentuale più bassa di bambini che fruiscono di offerte culturali e/o sportive e al contempo una maggiore incidenza dell’abbandono scolastico”.

La povertà educativa colpisce anche gli adulti. Ad approfondire il tema, un’indagine sperimentale condotta sull’utenza Caritas in Germania, Grecia, Italia e Portogallo. “Limitando l’analisi ai tre Paesi che condividono una comune classificazione dei livelli scolastici (Grecia, Italia e Portogallo) si conferma una situazione di forte debolezza scolastica degli utenti Caritas – continua il rapporto -: in media, l’11,4 per cento è analfabeta o non possiede nessun titolo scolastico. Solo una esigua minoranza del campione (10,2 per cento) è in possesso di un titolo di scuola media superiore. Il titolo di studi più diffuso in tutti i Paesi esaminati tuttavia è la licenza media inferiore (38,1 per cento)”. L’analisi mostra una forte correlazione tra l’assenza di titoli di studio e situazione reddituale della famiglia. “Se nel campione complessivo quasi la metà delle persone risulta privo di una fonte stabile di entrate economiche, l’assenza totale di reddito appare più preoccupante nel caso delle persone che hanno un capitale formativo molto basso: si giunge infatti a sfiorare l’ottanta percento delle persone senza titoli di studio che, allo stesso tempo, non possono godere di nessun tipo di entrata economica”. Secondo la Caritas, si tratta di una popolazione di elevata marginalità sociale, in quanto all’assenza di lavoro si somma la quasi totale insufficienza del capitale formativo. “In termini assoluti, questo tipo di utenti, in evidente situazione di esclusione sociale, è pari al 4 per cento dell’intero campione – spiega il rapporto -. Si tratta quindi di un piccolo gruppo di persone per le quali è tuttavia necessario un duplice intervento, per favorire la ricerca di un lavoro e al tempo stesso il raggiungimento di un livello formativo idoneo”.

Oscar Romero il santo degli ultimi

san Oscar Romero

fratello nostro

da Altranarrazione

Proprio nel cuore dell’Impero occidentale, culla della civiltà secondo i dominatori, tomba dell’umanità secondo gli oppressi, risuona forte, intrattenibile, liberatorio, l’urlo del popolo: San Oscar Romero, fratello nostro.

È il santo degli ultimi, nessuna gerarchia potrà mai appropriarsene o ricordarlo senza imbarazzo.

È il santo della denuncia profetica, voce di contraddizione di tutte le logiche di sfruttamento, di conquista territoriale, di sopraffazione culturale ed economica.

È il santo che ha posto il suo corpo a difesa delle speranza dei diseredati, contro le menzogne e la repressione del Potere.

È il santo dell’opzione preferenziale per i poveri, ucciso non per questioni di appartenenza religiosa, ma per essersi schierato dalla loro parte.

Con testimoni come San Oscar Romero, il Vangelo continua a sovvertire la storia che i Padroni vogliono imporre, scrivendola sulla pelle dei calpestati. E di questo gioiamo pienamente.

San Oscar Romero, difendici.

San Oscar Romero, ispiraci.

San Oscar Romero, aiutaci, finalmente, a sollevarci.

la chiesa di Gesù non può essere che la chiesa dei poveri

la chiesa che nasce dai poveri

dagli scritti di Gustavo Gutierrez

 

Il Vangelo è un elemento di contraddizione dove c’è oppressione e sfruttamento.

Promuove la giusta indignazione, non addormenta le coscienze.

Il Vangelo è il libro della liberazione e non legittima nessun schiacciamento  dell’uomo sull’uomo.

Quando la chiesa-istituzione appoggia le classi dominanti significa che c’è qualcosa che non funziona.

Cercare o mantenere una posizione di rendita vuol dire porsi fuori dalla testimonianza evangelica.

La Chiesa, per vocazione, deve disturbare socialmente sia i governi che adottano politiche inique sia le classi sociali che ne traggono beneficio.

Se si toglie l’aspetto profetico rimane solo la burocrazia: e gli effetti di tale deformazione sono noti.

testo di Gustavo Gutierrez

“Il Vangelo letto a partire dal povero, dalle classi sfruttate e dalla solidarietà attiva con le sue lotte per la liberazione, porta alla convocazione di una Chiesa popolare; porta ad una Chiesa che nasce dai poveri, dall’emarginazione […] che nasce dal popolo, da un popolo che strappa il Vangelo dalle mani dei dominatori, che impedisce la sua utilizzazione come elemento giustificante di una situazione contraria alla volontà del Dio liberatore….”. L’Evangelizzazione sarà realmente liberatrice quando gli stessi poveri saranno i suoi portatori. Allora sì annunciare il Vangelo sarà pietra di scandalo, sarà un Vangelo non «presentabile in società» si esprimerà in modo poco raffinato, puzzerà….”.

Gustavo Gutiérrez, La forza storica dei poveri, trad. C. Delpero, Queriniana, Brescia, 1979, p. 27-28

la chiesa del grembiule che lascia in sagrestia i segni del potere

don Tonino Bello

il grembiule del sacerdote

da Altranarrazione 

 carissimo fratello sacerdote,

lascia in sacrestia non solo tutti i segni del potere e del lusso ma direi anche del ruolo (che pensi di svolgere).

Sono sicuro: Dio è allergico all’oro e rischiamo di metterlo seriamente in imbarazzo.

A lui piace il legno, soprattutto perché gli ricorda il momento in cui ha amato di più. Pensare a Lui nudo sulla croce e poi vederti con quei tessuti così finemente ricamati stona e scandalizza.

Il nostro Dio ha conosciuto un altro tipo di polvere: non quella dei riti ma quella della strada.

Il nostro Dio si è stancato, la sua missione l’ha sfinito.

Pregava, ma non credo avesse tempo per andare dal barbiere o in palestra.

Il nostro Dio non assomigliava ad un funzionario e neanche ad uno che conta socialmente. Ecco perché mi piacerebbe vederti ai semafori a parlare con i poveri più che presenziare alle inaugurazioni insieme alle c.d. autorità.

Informati sulle sofferenze che vivono disoccupati e precari, partecipa alle loro lotte di rivendicazione così sarai credibile quando parlerai del mistero e della straordinaria bellezza del matrimonio.

Sostieni concretamente le donne in difficoltà spirituale o materiale,  così sarai credibile quando parlerai in difesa della vita nascente.

Coinvolgiti in ogni sofferenza che esiste e separati solo per pregare.

Non stare rintanato nelle tue strutture mentali e non.

Fuori ti aspetta il Regno di Dio. Da costruire. Tutti insieme.

Con affetto ti auguro buon cammino.

testi di don Tonino Bello

“Forse a qualcuno può sembrare un’espressione irriverente, e l’accostamento della stola col grembiule può suggerire il sospetto di un piccolo sacrilegio. Sì, perché, di solito, la stola richiama l’armadio della sacrestia, dove, con tutti gli altri paramenti sacri, profumata d’incenso, fa bella mostra di sé, con la sua seta e i suoi colori, con i suoi simboli e i suoi ricami. Non c’è novello sacerdote che non abbia in dono dalle buone suore del suo paese, per la prima messa solenne, una stola preziosa. Il grembiule, invece, ben che vada, se non proprio gli accessori di un lavatoio, richiama la credenza della cucina, dove, intriso di intingoli e chiazzato di macchie, è sempre a portata di mano della buona massaia. Ordinariamente, non è articolo da regalo: tanto meno da parte delle suore per un giovane prete. Eppure è l’unico paramento sacerdotale citato nel Vangelo. Il quale Vangelo, per la messa solenne celebrata da Gesù della notte del giovedì santo, non parla né di casule né di amitti, né di stole né di piviali. Parla solo di questo panno rozzo che il Maestro si cinse ai fianchi con un gesto tipicamente sacerdotale. Chi sa che non sia il caso di completare il guardaroba delle nostre sacrestie con l’aggiunta di un grembiule tra le dalmatiche di raso e le pianete di samice d’oro, tra i veli omerali di broccato e le stole a lamine d’argento”.

don Tonino Bello, Chiesa, Stola e Grembiule, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2006, p. 46-47

“Il problema delle nostre chiese locali è quello di passare da tende di parcheggio e di protezione per chi da sempre vi sta dentro, ad accampamenti di speranza e di salvezza per chi da tempo o da sempre ne sta fuori.”

don Tonino Bello, Chiesa, Stola e Grembiule, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2006, p. 38

“Si tratta di fare affidamento su di loro, pensando che la salvezza del mondo Dio la opera per mezzo dei poveri. Si tratta di accettare che, come Gesù, pur essendo Dio, non ha disdegnato di farsi uomo e assumere la condizione del servo, così la chiesa, se vuole essere segno di epifania del Cristo, deve scegliere la strada dello svuotamento, della povertà. Si tratta in ultima analisi, di scegliere la strada battuta dagli ultimi come il luogo da dove parte la liberazione operata dal Signore”.

don Tonino Bello, Chiesa, Stola e Grembiule, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2006, p.65

Raniero La Valle e la santificazione di Oscar Romero

san Romero d’America, pastore e martire nostro

di Raniero La Valle
in “www.chiesadituttichiesadeipoveri.it” del 12 ottobre 2018

Care amiche ed amici, domenica 14 ottobre insieme a Paolo VI e a cinque altri nuovi santi, viene canonizzato da papa Francesco il vescovo di San Salvador Oscar Arnulfo Romero. Di Paolo VI tutto si sa, ma Romero lo ricordano in pochi anche se la sua morte per mano di un potere omicida attraversò come una folgore il mondo e accese molti cuori e molte fedi. Ma la Chiesa romana che l’aveva redarguito in vita, lo aveva dimenticato in morte, tanto che David Maria Turoldo poté cantare così:

«“In nome di Dio vi prego, vi scongiuro,// vi ordino: non uccidere!//Soldati, gettate le armi…” Chi ti ricorda ancora, //fratello Romero?//Ucciso infinite volte//dal loro piombo e dal nostro silenzio. Ucciso per tutti gli uccisi,//neppure uomo,//sacerdozio che tutte le vittime//riassumi e consacri. Ucciso perché fatto popolo//ucciso perché facevi//”cascare le braccia//ai poveri armati”,//più poveri degli stessi uccisi://per questo ancora e sempre ucciso. Romero, tu sarai sempre ucciso,//e mai ci sarà un Etiope//che supplichi qualcuno//ad avere pietà. Non ci sarà un potente, mai//che abbia pietà//di queste turbe, Signore?//nessuno che non venga ucciso? Sarà sempre così, Signore?»

E il poeta e vescovo del Brasile Pedro Casaldaliga cantò così:

«……Siamo nuovamente in piedi per dare testimonianza, San Romero d’America, pastore e martire nostro! Romero della pace quasi impossibile, in questa terra di guerra. Romero, rosso fiore della incolume Speranza di tutto il Continente. Povero glorioso pastore, assassinato a pagamento, a dollari, in valuta pregiata. Come Gesù, per ordine dell’Impero. Povero glorioso pastore, abbandonato dai suoi stessi fratelli di Pastorale e di Tavola (le curie non potevano comprendere Cristo). Ma era con te la massa dei poveri, in disperazione fedele, pascolo e anche gregge della tua profetica missione. Il popolo ti ha fatto santo. L’ora del tuo popolo ti ha consacrato nel Kairόs. I poveri ti hanno insegnato a leggere il vangelo….»

Per ricordare Romero pubblichiamo nel sito dei testi da due Veglie che nella Chiesa italiana furono da lui ispirate. La prima è la veglia pasquale del 4 aprile 2015 tenutasi a Caravaggio (Bergamo), nella piccola chiesa di San Bernardino, veglia che rievocava Oscar Romero e la sua rilettura pasquale degli eventi salvadoregni, assistito, come era stato, dalle amicizie liberatrici di Rutilio Grande e di Marianella Garcia Villas, martiri anch’essi della repressione nel Salvador. La seconda, su testi di padre David Maria Turoldo, fu tenuta nel 1982 presso l’aeroporto di Comiso in occasione di un Convegno nazionale della rivista “Bozze 82” sul tema: “Invece dei missili”, e fu ripetuta nel 2007 sul ciglio dell’aeroporto Dal Molin di Vicenza dove avrebbero dovuto avere la loro base gli aerei per la deterrenza e la ritorsione nucleare. Nella sezione “convegni e assemblee” diamo notizia di una “memoria” che la comunità di San Paolo farà nel prossimo novembre dell’eredità di Giovanni Franzoni, “storia e profezia

san Romero schierato “dalla parte degli sconfitti”

Oscar Romero

l’opzione per i poveri

da Altranarrazione

Ho avuto paura. Ho passato tutta la notte pensando che una pallottola avrebbe ben potuto attraversare la porta o le finestre” (1), confidava Monsignor Romero, ai suoi amici. Parole come queste certificano, qualora ce ne fosse bisogno, la sua santità.

Ha messo, con tutti i limiti, la sua umanità a servizio del Regno di Dio e quindi della causa degli oppressi. E noi contempliamo questa disponibilità ed i gesti profetici compiuti con il supporto della Grazia.

Radicale e fermo nell’esercizio del suo ministero, fragile nel privato, anche a causa dell’isolamento subito e delle calunnie messe in circolo dai suoi innumerevoli oppositori.

Pur attentissimo al valore dell’unità della Chiesa, quando si trattava di scegliere tra un accordo di facciata con le gerarchie locali e romane -penalizzante per le istanze degli ultimi- e l’appoggio alle sacrosante -ma conflittuali- rivendicazioni di giustizia sociale, non arretrava, scegliendo la seconda opzione.

Turbato per le divisioni, ma deciso nel far prevalere le dinamiche evangeliche sui posizionamenti opportunistici della diplomazia. E noi contempliamo la predilezione conflittuale di Romero per i poveri, ricordando le parole del Signore: «Non sono venuto a portare pace, ma una spada» (2).

Infatti, l’annuncio della buona novella è da portare urgentemente, scavalcando, se necessario, le tattiche della burocrazia, combattendo, se necessario, l’imborghesimento, o  la collusione con i tiranni, di quei pastori con la vocazione dei funzionari. Romero era un uomo di preghiera, con una profonda spiritualità.

E proprio la preghiera, insieme alla testimonianza di persone come p. Rutilio Grande, l’hanno portato a schierarsi dalla parte degli sconfitti, la stessa di Cristo, non la cultura del tempo, non la formazione ricevuta, non l’ideologia.

«Il mondo dei poveri, le cui caratteristiche sociali e politiche sono assai concrete, ci mostra dove la Chiesa debba incarnarsi per evitare quel falso universalismo che si conclude sempre in connivenza con i potenti» (3),

dichiarava pochi giorni prima di essere ucciso.

E noi ti ringraziamo, fratello Oscar, per averci ricordato la strada.

(1) Citazioni di O. Romero in Roberto Morozzo della Rocca, Oscar Romero. La biografia, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo  (Mi) 2015, p. 245

(2) Vangelo di Matteo 10,34

(3) Oscar Romero, La dimensione politica della fede, Università Cattolica di Lovanio, 2/2/1980 in La voce di Monsignor Romero. Testi e omelie, traduzione di Teodora Tosatti, Borla, Roma 2007, p. 155

testimoni

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